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La principessa e il mio tempo
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La principessa e il mio tempo

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About this ebook

Diario autobiografico che narra le 27 giornate vissute dall' autore che battendo il tempo
supera la cocente delusione per la fine di una convivenza durata otto anni una con una
ragazza molto piu giovane di lui. La fine della famiglia progettata, il figlio di lui, l'
investigatore assunto, il rifiuto di lei di giustificare l' abbandono, l' innamoramento con una
nuova ragazza, la forza, il dolore descritto mettono a nudo i protagonisti nella spasmodica
ricerca delle colpe , del tempo e della verità. Una storia di vita che molti hanno vissuto
LanguageItaliano
PublisherBookBaby
Release dateJun 27, 2013
ISBN9781483502335
La principessa e il mio tempo

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    La principessa e il mio tempo - Riccardo Tesoro

    I) LA SCOPERTA DEL TRADIMENTO

    Era sabato, la chiamai al telefono chiedendole di rientrare anticipatamente da Siena, dove era andata il giorno precedente recandosi nella città natale che frequentava raramente per mantenere i rapporti con le amiche di sempre, dove risiedeva ufficialmente nella casa del padre.

    Avevo necessità di parlarle, mi disse che anche lei doveva farlo. Approfondimmo, alla domanda:

    "Ci sono problemi, cose che devi dirmi anche tu?"

    Mi confessò di essere in crisi, di attraversare un momento di difficoltà nella nostra storia.

    Parlammo ancora, le chiesi se ci fosse un altro e, con sorpresa, ammise subito. Lo confermò immediatamente, ma non era quello il motivo della sua crisi, era semplicemente una persona alla quale aveva dato confidenza con sms, non vi era stato nulla fra loro, non le chiesi se erano già usciti assieme, disse: Non ti ho mai tradito.

    Non arrivammo al giorno successivo, decidemmo in quella telefonata che sarebbe dovuta rientrare per parlare, per prendere il minimo di cose indispensabili per vivere indipendente e non tornare nella sua casa nei giorni successivi. Sarebbe andata in un albergo che, nel frattempo, avrei prenotato per due settimane per farla riflettere, per farle comprendere cosa volesse veramente per il suo e per il nostro futuro.

    Lei era ben più avanti, la sua volontà era già decisa. Il suo pensiero che da quel momento e ancor oggi che scrivo, ho ritenuto offuscato, travolto, senza un minimo di razionalità, quella che non può scomparire o cambiare perché in otto anni la persona era vissuta accanto a me, era ben più lontano. Di lei ero convinto di conoscere la morale, l’intelligenza, la maturità…

    Il giorno successivo, domenica 9 settembre, quando ci incontrammo, aveva probabilmente già parlato con il padre e le zie che da anni la sostenevano economicamente. Con loro aveva concordato nel giro di poche ore un aumento di contributo economico, al fine di poter vivere in una casa che fosse esclusivamente sua.

    Lo capii qualche giorno dopo quanto, con questo e altri mille gesti, fosse anni luce lontano rispetto a me, rispetto alla mia Principessa, che credevo di conoscere e forse non conoscevo affatto.

    Parlammo due ore quella mattina, le parole non dicevano nulla, riempivano solo il silenzio. Parlammo poco di quel che dovevamo dirci, o forse troppo, perché nulla di più era da dire.

    Fra lacrime e gesti di disperazione di entrambi, abbracci, una sigaretta continua, la sua mente, i suoi occhi, il suo sguardo, le sue parole erano di una persona che non conoscevo.

    Nella valigia che prese, la stessa che avevo utilizzato qualche giorno prima per l’ultima vacanza fatta con mio figlio Francesco a Formentera, vide una sua foto che avevo dimenticato. Una foto di quando era bambina, l’unica trovata la mattina che partii e che di nascosto da tutti avevo portato con me in quel breve viaggio. Una vacanza in barca con mio figlio Francesco e il suo amico Marino, oltre a tre amici miei, con i quali condividevo da anni la passione della vela.

    Una vacanza speciale perché, per la prima volta, era presente in barca anche Francesco. Aveva quasi diciannove anni e non avevamo avuto occasioni in precedenza di provare a navigare assieme. Andare per mare non era certamente la sua massima aspirazione, preferiva, come i suoi coetanei, un comodo albergo con una discoteca vicina.

    Quello che facevano le sue mani continuando a riempire la valigia erano gesti di un’altra persona. Non era Veronica in tutto, in tutto tranne quando in un momento di forte emozione scagliò la valigia contro l’armadio.

    Pranzammo velocemente, in un silenzio rotto solo dalla tensione e dalla speranza, solo mia, che fosse un sogno, che fosse un incubo. Le consegnai una busta con dentro un peluche, era il mio ultimo regalo acquistato un mese prima e non ancora consegnato.

    Pensai stupidamente di iniziare da subito la ricostruzione del nostro rapporto, della nostra famiglia. Quando fu pronta le dissi di attendere un attimo, perché anch’io dovevo partire.

    Preparai una piccola valigia, mi vestii con accuratezza come se avessi dovuto incontrare una persona importante. Mi chiese: Dove vai?

    Non risposi. Insistette: Con chi vai?

    Veronica non sono più affari tuoi.

    La colpì quella frase. Insistette un’altra volta, ma inutilmente perché il mio silenzio proseguì.

    La valigia scagliata contro l’armadio, gli abbracci, i baci di quel giorno e dei due successivi, queste ultime frasi e poche di più, furono i suoi unici gesti di debolezza manifestati fino a oggi. Gli unici nei quali potevo riconoscere la mia Principessa.

    Tutto il resto che pensò, disse, fece mostrò una persona determinata nelle proprie ferree convinzioni, priva di qualsiasi sentimento.

    Dopo l’ultimo abbraccio in ascensore, si mise alla guida della sua auto, io la seguii con la mia, la nostra. Percorrendo la breve distanza che vi era per arrivare all’albergo, dove giungemmo verso le quattordici, dovetti rallentare notevolmente quando accusai dei forti capogiri.

    La accompagnai in stanza, parlammo qualche minuto, le chiesi un bicchiere d’acqua quando mi girò nuovamente la testa. Non per quel che era accaduto quel giorno: per una colica che nei giorni precedenti mi aveva debilitato fisicamente.

    Si mostrò preoccupata raccomandandomi che non guidassi almeno in autostrada. Ci stringemmo, l’ultimo bacio sulle labbra. Mi accompagnò all’uscita della stanza dicendomi che, se avessi avuto problemi, avrei dovuto chiamarla, era troppo preoccupata.

    Non era un albergo scelto a caso, era quello nel quale pochi mesi prima avevamo fatto assieme un regalo alla mia ex moglie Maria Paola, lasciandola padrona della casa dove vivevamo io, Veronica e Francesco.

    Lui era convalescente dopo un grave infortunio nel quale aveva riportato la frattura di tre vertebre, bloccato a letto per trenta giorni. Pensammo di regalare a Maria Paola due notti assieme, dicemmo a entrambi che avevamo programmato un week end fuori Pistoia, in realtà dormimmo in quell’albergo a un chilometro da casa.

    Non partii per nessun viaggio. Rientrato a casa passai un’ora a fissare gli oggetti custoditi nel cassetto del suo comodino, non toccai e non spostai nulla.

    Mi telefonò Francesco dicendomi che stranamente non riusciva a contattarla. Gli risposi mentendogli, dicendogli la bugia concordata con lei, perché il legame di affetto che esisteva fra loro era troppo profondo. Lui non doveva sapere, avrebbe sofferto inutilmente.

    Quel giorno credevo che avremmo dovuto superare una semplice crisi passeggera. Pensai fosse inutile coinvolgerlo: Veronica è a un corso a Milano starà via due settimane, ovviamente il prossimo week end sarà qui, non preoccuparti, sarà in metrò o avrà finito la batteria del cellulare.

    Tentai subito di contattarla, il cellulare era staccato, stranamente anche per me, c’eravamo lasciati poco prima, era preoccupata per la mia condizione fisica, si era raccomandata di chiamarla se avessi avuto necessità di aiuto.

    Un’ora dopo il suo cellulare era ancora staccato. Decisi di verificare di persona tornando all’albergo. Non la trovai, non trovai nemmeno la sua auto, non era parcheggiata dove l’aveva lasciata poche ore prima.

    Pensai fosse andata a comprare le sigarette… no, il cellulare era staccato, era senz’altro andata in qualche posto, a meditare da sola, ma dove? Dove poteva essere un posto scelto da Veronica per meditare?

    Ricordai che mi aveva più volte confessato di amare le passeggiate nella campagna al di fuori dell’azienda dove lavorava. Me lo aveva raccontato tante volte di quelle passeggiate fatte nella pausa pranzo con Carlo, il suo diretto superiore.

    Trovai la sua auto parcheggiata in una strada secondaria, vicino all’uscita della Maxicoop, dove mi ero precipitato a tutta velocità dopo quell’illuminazione.

    "Bene – pensai – riflette." Poi realizzai che lo stava facendo da troppo tempo, con l’arrivare del buio la mia preoccupazione salì sempre di più.

    Doveva esserle accaduto qualcosa, si era sentita male, soffriva spesso di pressione bassa. Con la tensione di quel giorno era svenuta in mezzo alla campagna.

    Iniziai a cercarla, poi a chiamarla ad alta voce. Un’ora dopo rientrai velocemente a casa, presi una torcia e, dopo aver parcheggiato la mia auto vicino alla sua, continuai quell’inutile ricerca nel buio lungo le piccole strade e i campi adiacenti.

    Erano le ventitré e dieci. Da quasi un’ora volevo chiamare i carabinieri per denunciare l’accaduto, perché fosse più facile ritrovarla e soccorrerla. Con stupore ricevetti un sms da un numero non conosciuto.

    Vai a vedere la sorpresa alle undici e trenta alla Maxicoop. Cosa era? Che cosa voleva dire? Chi poteva mandarmi un messaggio così?

    Nei giorni successivi non tentai di scoprire, anche se era facile farlo, chi spedì quel messaggio. Mi fu sufficiente quello che ipotizzai qualche ora dopo. Certamente erano stati gli amici, non i miei o i suoi, gli amici di quel ragazzo che dopo pochi minuti arrivò e parcheggiò la sua auto nella quale intravidi anche Veronica.

    Nel frattempo avevo spostato la mia, appartandomi dietro ad una siepe, in quanto le varie auto che passavano, rallentavano tutte, vedendomi da solo in quella strada buia e isolata, frequentata solitamente da prostitute con i clienti di turno.

    Che cosa dovevo fare? Non ero mai stato coinvolto in una situazione come quella. Pensai di andarmene senza farmi vedere. Un secondo dopo cambiai idea. Era meglio identificare l’auto, con il numero di targa avrei saputo almeno chi fosse quel ragazzo.

    Partii a luci spente. Feci il giro dell’isolato, a un centinaio di metri da loro inserii gli abbaglianti, per acciecarli e non farmi identificare. La strada era stretta, la portiera del passeggero si stava aprendo. Dovetti rallentare, pensai che mi avrebbero riconosciuto e decisi di fermarmi a pochi metri da quelle due auto parcheggiate.

    Scesi dalla mia, mi diressi verso il ragazzo che, nel frattempo, era sceso dalla sua e che venendomi incontro disse: "Questo non mi sembra il modo di comportarsi…"

    Non gli feci terminare la frase. Gli risposi: Tu sei l’unico che deve star zitto, tu sei Fausto?

    Si sono io.

    Complimenti, io sono Riccardo, in bocca al lupo.

    Gli appoggiai la mano sulla spalla: Bravo, hai preso una bella ragazza, ma attento non è mica facile, è una difficile. Guardai finalmente lei, seduta all’interno. Incredula, impallidita: Complimenti anche a te Veronica vedo che hai riflettuto molto, ora augura la buona notte a Fausto che dobbiamo parlare noi.

    Il suo atteggiamento mi fece capire in un secondo quello che non avevo compreso nell’ultimo anno. Non scese immediatamente al mio invito, per una frazione di secondo rivolse lo sguardo a Fausto, cercava la sua approvazione, difendeva lui non la persona che aveva avuto al suo fianco e amato negli ultimi otto anni. Era un’altra la persona che sentiva intima, la persona alla quale doveva giustificare i suoi gesti.

    Maggior sorpresa mi provocò il secondo fatto, che razionalmente non doveva accadere: scese dall’auto, si diresse verso di lui, lo salutò stringendogli la mano e dandogli due baci sulle guance. Con sfrontatezza, senza il minimo rispetto di ciò che quel gesto poteva naturalmente provocarmi, si baciarono davanti a me. Non lui che fu passivo in quel gesto, lei arrivò a tanto.

    Tre giorni prima mi aveva dato il bacio del buongiorno e nel pomeriggio, partendo per Siena, mi aveva detto: Ciao amore, come sei stato gentile. Le avevo comprato le lenti a contatto, perché era in ritardo, sapevo che le aveva finite e che avrebbe perso ulteriore tempo, perché le occorrevano assolutamente prima della partenza. Poche ora prima mi aveva detto di essere preoccupata per il mio stato fisico. Si era raccomandata di chiamarla e poi aveva staccato il cellulare per ore e ore.

    Alla faccia della promessa fatta, della sincera preoccupazione che provava nei miei confronti, era immediatamente uscita per stare assieme a lui, staccando il cellulare tramite il quale avrebbe ricevuto una mia richiesta di aiuto. Il pensiero che mi aveva accompagnato nelle ore precedenti, nelle quali avevo creduto che le fosse accaduto qualcosa di grave, mi diede un grande sollievo.

    Mi rese forte al punto di non provare nulla, oltre alla sorpresa del momento, nulla. Nessuna delusione o mortificazione per quello sguardo di approvazione e per quel saluto. Fausto partì, parlammo per pochi minuti. Ero lucido, avevo ancora speranza che tornasse mia. Era una situazione imprevista, non doveva accadere. Nonostante tutto, compresi fin da quegli istanti che nulla era cambiato in funzione del mio obiettivo vero: riconquistarla.

    In fondo ero stato io, uscendo dall’albergo, a spingerla verso quell’incontro. Mi ero raccomandato sul fatto che utilizzasse quei quindici giorni per frequentare il più possibile Fausto e principalmente per riflettere sul nostro futuro. Mai avrei immaginato che solo due ore dopo quella raccomandazione, anziché usare il tempo per riflettere, lo avrebbe immediatamente utilizzato per uscire con lui. Ci salutammo. Rientrai a casa, ero turbato per tutto quello che era accaduto in quel giorno. Avevo un pensiero che mi martellava continuamente: come faceva la donna che aveva convissuto, da tanto tempo e fino al giorno prima al mio fianco, a essere così lontana in poche ore?

    Era da otto anni che mi diceva Ti amo.

    Non dormii nemmeno un minuto quella notte, la prima alla quale ne seguirono molte altre.

    In quelle ore pensai esclusivamente a lei. Sentivo la sua voce che sicuramente stava telefonando a Fausto. Gli stava raccontando cosa era accaduto dopo che lo avevo invitato a lasciarci soli.

    Magari gli stava dicendo: Fausto non preoccuparti, dopo quello che è successo questa sera è impossibile tornare indietro, starò con te, stai tranquillo, gli ho raccontato che era la prima volta che siamo usciti assieme e che ci siamo baciati, tanto cosa avrei dovuto dirgli? Non ci avrà creduto, sicuramente non ci avrà creduto…ma cosa avrei dovuto dirgli?

    Veronica avrebbe potuto dire la verità, non mentire, lo avrebbe dovuto fare almeno per lei, per la sua dignità, quella che avevo sempre creduto avesse.

    A volte da una semplice frase si comprende l’intera vita di una persona: il suo carattere, i suoi valori, a volte in un secondo molto più che in otto anni di convivenza.

    II) IL CONFRONTO CON GLI AMICI E FRANCESCO

    Lunedì 10 settembre chiesi immediatamente, con un’umiltà che non avevo mai mostrato prima, aiuto a tre amici.

    A Mario, quello che non è semplicemente il mio migliore amico. Quello che è di più, quello che sono sempre io.

    Nella telefonata che gli feci quella mattina fu sorpreso, stupito di quella notizia che io conoscevo da due giorni e che credeva fosse una delle mie solite burle per quanto conosceva la fedeltà, la sincerità di Veronica, l’armonia che esisteva nella nostra famiglia.

    A Emanuele, un altro grande amico, uno dei più stretti e con il quale mi confidavo spesso. Intelligente, maturo e saggio. Compagno di Simona, che era diventata da alcuni anni una delle migliori amiche di Veronica, senz’altro quella che frequentava maggiormente a Pistoia. Una delle poche alle quali confidava tutto.

    Ad Annalisa, da sempre la migliore amica di Veronica, che abitava a Siena, a pochi chilometri da dove abitava lei prima di trasferirsi a vivere nella casa che arredammo assieme a Pistoia.

    Avevo da poco terminato una lunga telefonata con Emanuele che non fu sorpreso come Mario. Simona era già stata contattata da Veronica ed entrambi erano già informati della sua decisione di lasciarmi.

    Ero in autostrada, uscii al casello di Siena, era quasi mezzogiorno. Telefonai ad Annalisa chiedendo di incontrarla, ero ormai vicino alla sua casa.

    Ebbi la conferma della grande persona che era. Dimostrò di essere grande amica di Veronica e inaspettatamente anche mia e con lei suo marito, Massimo.

    Fino a quel giorno non

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