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Sorella di Messalina
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Ebook125 pages1 hour

Sorella di Messalina

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LanguageItaliano
Release dateNov 27, 2013
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    Sorella di Messalina - Annie Vivanti

    The Project Gutenberg eBook, Sorella di Messalina, by Annie Vivanti

    This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org

    Title: Sorella di Messalina

    Author: Annie Vivanti

    Release Date: July 7, 2013 [eBook #43115]

    Language: Italian

    Character set encoding: ISO-8859-1

    ***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SORELLA DI MESSALINA***

    E-text prepared by Carlo Traverso, Leonardo Palladino,

    and the Online Distributed Proofreading Team

    (http://www.pgdp.net)

    from page images generously made available by

    the Google Books Library Project

    (http://books.google.com)


    ...SORELLA DI MESSALINA

    Opere di ANNIE VIVANTI


    ANNIE VIVANTI


    ...SORELLA

    DI MESSALINA


    ROMANZO


    LETTERARIA

    CASA EDITRICE ITALIANA

    Corso Vinzaglio, 23

    TORINO

    1922

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI PER TUTTI I PAESI


    Copyright 1922—by Annie Vivanti Chartres


    Officina Grafica Editrice Bodoniana—OGEB

    Torino—Corso Principe Oddone, 34

    PARTE PRIMA


    I.

    SIGNORA nè buona, nè bella, nè giovane, nè ricca, desidera fare la conoscenza di un signore che possegga tutte le doti che a lei mancano. Intelligenza non necessaria. Avventurieri e studenti si astengano dal rispondere. Scrivere X. Y. ecc.».

    Piero e Alberto in barca sul Po lessero casualmente l'annuncio nella quarta pagina del giornale, e risero.

    —Che cinismo!—disse Alberto, disapprovando.

    —Che sfrontatezza!—disse Piero, ridendo.—Rispondiamo?

    —Ah, io no!—esclamò Alberto.

    —Tu hai l'anima di un trepido coniglio in un corpo di giovane pantera,—disse Piero.—Risponderò io.

    Ma avendo egli l'anima (e la professione) di impiegato di banca in un corpo di Giovane Werther, e non volendo compromettersi con una sconosciuta, firmò col nome di Alberto e diede l'indirizzo dello studio di lui, che era un pittore.

    La signora nè buona nè bella nè giovane nè ricca rispose. Alberto aprì la lettera, si stupì, comprese, si sdegnò; ma non ne parlò con Piero. Piero da parte sua non ne parlò ad Alberto perchè il coniglio, quando qualcosa gli spiaceva, non era comodissimo a trattare. E quanto a Piero l'incidente si chiuse lì.

    Alberto lesse e rilesse la lettera, ch'era breve.

    «Stasera, ore nove. Giardino Ambasciatori. Abbiate una rosa in mano».

    —Ridicolo!—mormorò Alberto, sgualcendo la lettera e gettandola in un angolo dello studio disordinato.—«Abbiate una rosa in mano!». Non sarò così idiota.—(Era il coniglio che parlava).

    Tuttavia alle otto comprò una rosa (era la pantera che aveva il sopravvento). Però alle nove non andò agli Ambasciatori, bensì a sentire il concerto di Boasso al Balbo, spintovi dal coniglio.

    Ciononostante alle dieci e un quarto andò agli Ambasciatori trascinatovi dalla pantera.

    Non aveva la rosa in mano, ma all'occhiello.

    Non vide nessuna signora che non fosse bella e giovane; e, in quella penombra soavemente illuminata da lampadette colorate, parevano anche tutte buone e ricche. Allora egli si strappò la rosa dall'occhiello e, prima di gettarla via, la trattenne nelle mani un momento. Poi la rosa cadde.

    In quel momento da un tavolino in un angolo appartato nel verde, partì una sommessa risatina femminile.

    Alberto si volse a guardare, e vide due signore; una vestita di nero e l'altra di chiaro; una con un cappello piccolo e l'altra con un cappello grande; una sorrideva e l'altra rideva.

    Il coniglio fuggì, morsicato e dilaniato dalla pantera che avrebbe voluto restare.

    L'indomani Alberto ricevette un'altra lettera:

    «Stasera. Ore nove. Al San Giorgio.

    «Siete bello».

    Allora la pantera mangiò il coniglio e Alberto vi andò.

    Strada facendo egli si domandava:—Quale delle due sarà? Spero sia quella vestita di nero col cappello piccolo. Mi pareva più carina.

    Era quella vestita di chiaro col cappello grande. Sedeva sola a un tavolo, e vicino a lei una sedia inclinata all'orlo della tavola indicava che il posto era preso. Alberto esitò molto prima di accostarsi.

    Ella alzò gli occhi, e guardandolo senza sorriso, gli fece un gesto d'invito colla mano. Allora egli, scoprendosi, la salutò. Ella studiò un attimo con occhi lampeggianti i folti capelli e la chiara fronte aperta del giovane.

    —Segga—disse indicandogli la sedia appoggiata.—La aspettavo.

    Invero non era bella. Aveva un tipo quasi orientale; gli occhi però molto chiari (e sciupati, come per aver visto molte cose inusitate); la bocca tinta un po' viziosa (e amara, come se su di essa fossero passate molte parole e molti baci); le mani bianche e lunghe (dalle dita irrequiete, come cercanti il contatto di denari e di carezze).

    E invero non era giovane. Aveva quell'età indefinita, così difficile a indovinare, della donna molto sicura di sè e molto esperta, che ha talora i gesti di una bambinetta viziata e talora gli sguardi dell'antico serpente del giardino d'Adamo. Aveva quell'apparenza raffinata, stanca e insidiosa di chi molto ha sofferto e fatto soffrire, e di chi molto ha gioito e fatto gioire, che per alcuni uomini ha un fascino assai maggiore che non la sana, candida e impacciata giovinezza.

    Non per Alberto, però, il quale era un'anima semplice e che—eccetto in arte—aveva dei gusti elementari e primitivi. Nella sua pittura egli metteva tutte le stravaganti e morbose eccentricità ch'egli nè sentiva nè credeva sentissero gli altri; ma che, essendo prescritte dalla moda del momento, diventavano ipso facto regolamentari e convenzionali.

    Nulla essendovi oggi in arte di più normale dell'anormale, Alberto dipingeva delle mostruosità per paura di sembrare bizzarro.

    —Avrete trovato strano il mio annuncio;—disse la signora in una calda voce vellutata, poggiando il mento sulla mano sottile, e fissandogli in viso gli occhi chiari e lunghi.

    —Sì,—ammise Alberto—l'ho trovato un poco strano.

    —Ebbene—diss'ella, sempre guardandolo fisso—a me pare più strano che voi abbiate risposto.

    —Già,—fece Alberto, e i suoi pensieri corsero a Piero con un senso di ostilità. Poi, riprendendosi:—Posso offrirle qualche cosa?

    La signora ordinò svariate bevande che non bevve e vivande che non mangiò. Aveva molta sicurezza e «aplomb», e Alberto si sentiva come un collegiale impacciato e maldestro al suo cospetto.

    —Siete giovane,—constatò ella squadrandolo con lentezza dalla punta dei capelli bruni alla punta delle scarpe di vernice: il percorso era lungo ed attraente.

    Alberto rise.

    —L'annuncio lo esigeva,—disse.—Chiedevate un signore che possedesse tutte quelle doti—Tacque.

    —... Che mancano a me? È vero—disse la signora.—Io non sono giovane. Non sono affatto giovane. Quando la vostra bocca suggeva il latte, la mia era già bruciata dai baci degli uomini.

    Alberto ebbe uno strano senso di dispetto. La sua gioventù, che gli sembrava una innegabile superiorità, cessava di esserlo, presentata a quel modo. Anche gli fece orrore l'immagine di quegli uomini ch'ella aveva baciato, e gli parve di odiare loro e lei.

    —D'altronde—disse la signora,—che cos'è la gioventù? Che cosa conta? Noi donne che l'abbiamo oltrepassata siamo molto più interessanti; e siamo anche più felici. Conosciamo il valore di ogni cosa. Non vi è nulla di più inquieto ed infelice che la gioventù.—E additando una fanciulla in diafane vesti colle gambe snelle scoperte fino alle

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