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Il Mistero dell'Universo
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Il Mistero dell'Universo

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In questo percorso prenderemo in esame le teorie sull’origine dell’Universo e sui corpi celesti che lo compongono, per poi passare alla nostra Galassia ed al Sistema Solare. Infine cerceremo di capire quali eventi potrebbero portare alla fine della Vita sulla Terra ed alla possibile conclusione del nostro Ciclo Universale. Nella parte conclusiva mi sarà consentito accennare ad una mia personale intuizione che potrebbe aprire nuove prospettive di indagine sul grande Mistero dell'Universo.

LanguageItaliano
Release dateMar 3, 2012
ISBN9781466041943
Il Mistero dell'Universo

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    Il Mistero dell'Universo - Giancarlo Varnier

    Da sempre il Mistero dell’Universo ha affascinato la mente dell’uomo. Il progredire della conoscenza intorno ai corpi che costellano la volta celeste ha scandito le tappe salienti della sua evoluzione. Oggi, grazie al prezioso contributo di pensatori, scienziati e ricercatori, conosciamo molto di più rispetto al passato, ma allo stesso tempo questo complesso di conoscenze ha contribuito ad aprire misteri ancora più grandi che sembrano superare i limiti stessi della comprensibilità umana. Di fonte all’incommensurabilità dell’Universo l’uomo percepisce, in tutta la sua portata, l’inesorabile limite della sua finitezza. Se parametrata al respiro del cosmo, infatti, l’intera evoluzione dell’Uomo, dall’origine sino alla sua, più o meno lontana, ma inevitabile estinzione, non è che un breve battito di ciglia. A questo è necessario aggiungere la consapevolezza che ogni possibile comprensione dell’Universo, anche quella più rigorosamente scientifica, non è che una interpretazione del pensiero umano, con tutti i limiti e le relatività implicate dalle funzioni e dalle strutture gnoseologiche di un tale pensiero.Tuttavia, il cammino verso la conoscenza, seppur lento e faticoso, rappresenta una componente ineludibile dell’essenza umana, alla quale non è possibile abdicare, neppure attraverso l’assunzione di prospettive agnostiche: prospettive che, in ultima analisi, si riducono ad una vera e propria contraddizione performativa, in quanto per trovare giustificazione e fondamento fanno ricorso ad un complesso non trascurabile di conoscenze, di indubbia matrice positiva.

    In questo percorso testuale cercheremo di rimanere, per quanto possibile, in aderenza con le evidenze del pensiero scientifico. Prenderemo in esame le teorie sull’origine dell’Universo e sui corpi celesti che lo compongono, per poi passare alla nostra Galassia ed al Sistema Solare. Nella parte conclusiva mi sarà consentito far cenno ad una mia personale intuizione che potrebbe aprire il campo a nuove prospettive nell’indagine sul Mistero del nostro Universo.

    INTRODUZIONE

    Possiamo solo immaginare quale sia stato lo stupore e la meraviglia nell’uomo primitivo di fronte allo spettacolo della volta celeste nel corso delle notti stellate che hanno accompagnato la sua evoluzione ancestrale. La sua impenetrabile immensità ha contribuito ad instillare nella mente dell’uomo primitivo l’idea del divino e le infinite forme del sacro. Tuttavia, i primi ad affrontare il problema dell'origine delle cose, senza fare ricorso alla divinità o al sovrannaturale, ma alle leggi naturali, furono i filosofi ionici. Secondo Anassimandro, tutta la materia deriva da un principio primo, da lui chiamato apeiron ossia illimitato. Secondo Leucippo e Democrito i mondi si formano e si disgregano, e la materia è costituita da particelle indivisibili: gli atomi. I Greci scoprirono la sfericità della Terra, e descrissero il movimento dei pianeti con modelli sempre più complessi. Aristarco di Samo propose nel III secolo a.C. il modello eliocentrico ma, in assenza di una corretta fisica del moto planetario, e anche per ragioni teologico-religiose, prevalse il modello geocentrico, che durante il Medioevo si inserì in modo naturale nella visione antropocentrica del cristianesimo. Il sistema eliocentrico fu riproposto soltanto nel 1543, anno della pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Coelestium di Copernico, e si divulgò grazie ai lavori di Tycho Brahe, Keplero, e Galileo. Con l'affermazione del sistema copernicano risultò evidente che le stelle erano altrettanti soli, forse infiniti, con infiniti mondi abitati (come sostenuto da Giordano Bruno, bruciato sul rogo per eresia nel 1600). Nei Principia Mathematica (1687), Isaac Newton formulò la legge di gravitazione universale, secondo la quale la forza di attrazione di due corpi è proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza: una legge fisica valida ovunque, sia sulla Terra che nello spazio (di qui la sua qualifica di universale). Invero, la gravità è una delle quattro forze fondamentali presenti in natura; le altre sono l'elettromagnetismo, l'interazione forte e quella debole. La gravità è in realtà la meno intensa delle quattro (basti notare che la forza di repulsione elettromagnetica fra due elettroni è circa 1040 volte superiore alla loro attrazione gravitazionale), ma le interazioni forte e debole hanno un raggio di azione limitato, e l'elettromagnetismo ha cariche opposte che tendono a neutralizzarsi, motivo per il quale il moto dei corpi celesti è dovuto, in prevalenza alla gravità. Il tentativo di applicare la legge di gravitazione all'universo intero, formulando in tal modo una cosmologia newtoniana, non è propriamente sostenibile. Una distribuzione inizialmente statica e finita di stelle nello spazio sarebbe destinata a crollare su se stessa, e l'universo non potrebbe dunque essere né stabile né eterno. A Newton parve allora naturale supporre una distribuzione uniforme di stelle nello spazio infinito. In tal caso, però, non è possibile ottenere una descrizione matematicamente coerente nell'ambito della fisica newtoniana. Per avere una descrizione dinamica dell'universo occorre anche sapere come è distribuita la materia nello spazio ma, se a partire dal 1838 fu possibile misurare le distanze delle stelle più vicine, fino agli inizi del XX secolo non fu possibile determinare né la distanza né la natura delle nebulose, in particolare di quelle a spirale. Per questi motivi, mentre da un lato la meccanica newtoniana conobbe, nel XVIII e XIX secolo, una serie di straordinari successi, portando alla previsione del ritorno delle comete periodiche, alla scoperta di Nettuno, al calcolo delle orbite dei pianetini, dall'altro non si ebbe invece la nascita di una cosmologia scientifica, anche se vi furono le importanti osservazioni da parte di William Herschel, mirate a determinare la struttura della Via Lattea e la natura delle nebulose. Herschel, almeno in un primo tempo, si convinse che le nebulose fossero sistemi stellari come la Via Lattea. Questa ipotesi era stata già avanzata, insieme ad altre speculazioni cosmologiche, da Thomas Wright e da Immanuel Kant. Degna di nota è inoltre la concezione dell'universo come ammasso omogeneo di sistemi stellari, nato in seguito alla frammentazione di una particella primordiale, che viene descritta da Edgar Allan Poe nel suo poema in prosa Eureka (1848); si tratta sostanzialmente di una versione newtoniana dell'atomo primitivo di Lemaître, di cui tratteremo più avanti. Il progresso della cosmologia moderna fu determinato da vari fattori, legati al progresso tecnologico e teorico. Nella seconda metà del XIX secolo, cominciarono ad essere applicate all'astronomia la fotografia e la spettroscopia, mentre nel XX secolo si ebbe la costruzione di telescopi a specchio (riflettori) di sempre maggiori dimensioni, unitamente allo sviluppo di strumentazione e rivelatori sempre più sensibili, grazie ai quali si rese possibile l'analisi della luce proveniente da lontani sistemi stellari. Parallelamente, all'inizio del XX secolo ebbero luogo delle vere e proprie rivoluzioni nella fisica fondamentale, rappresentate dalla teoria della relatività, ristretta e generale, e dalla meccanica quantistica. La teoria della relatività ristretta, pubblicata da Albert Einstein nel 1905, ha portato all'abbandono dei concetti newtoniani di spazio e tempo assoluti, e alla concezione di una nuova entità fisica, lo spazio-tempo, ma esse vale soltanto per sistemi di riferimento che si muovono di moto rettilineo uniforme (sistemi inerziali). Successivamente, con la formulazione definitiva della relatività generale da parte dello stesso Einstein nel 1916, l'azione della gravità dovuta alla massa dei corpi ha trovato una rappresentazione geometrica come curvatura dello spazio-tempo. La relatività generale ha permesso di superare le limitazioni newtoniane, consentendo per la prima volta una descrizione matematica coerente anche di un universo infinito, omogeneo e isotropo. Attraverso la soluzione delle equazioni della relatività generale, a partire da alcune ipotesi semplificatrici, si ottengono dei modelli matematici che descrivono la dinamica dell'universo. I modelli standard assumono che la distribuzione della materia nell'universo possa essere descritta come un fluido omogeneo. L'omogeneità implica che volumi uguali di spazio, indipendentemente dalla loro posizione, devono contenere la stessa quantità di materia; in essi noi dobbiamo contare ad esempio lo stesso numero di galassie. Palesemente ciò non è vero per l'universo locale, dove osserviamo una gerarchia di strutture che va dalle stelle alle galassie, e dalle galassie agli ammassi di galassie. Si ritiene, però, che, considerando regioni di universo abbastanza grandi, attorno a qualche centinaio di milioni di anni-luce, l'universo divenga davvero omogeneo; come vedremo, vi sono diverse osservazioni che confermano questa ipotesi, detta principio cosmologico. Assumendo questo principio, Einstein ottenne nel 1917 il primo modello relativistico, nel quale l'universo ha un volume finito, ma non ha limiti; una situazione che possiamo visualizzare in due dimensioni con la superficie di una sfera, che possiede un'area finita ma illimitata. L'idea di uno spazio curvo era già stata ipotizzata da Gauss, Riemann ed altri. Il modello di Einstein appariva dunque come la brillante sintesi della millenaria contrapposizione dialettica fra spazio finito e spazio infinito, ma non evitava il problema della stabilità dell'universo. Einstein si rese infatti conto che il suo modello avrebbe subito il collasso gravitazionale e, poiché riteneva che l'universo dovesse essere statico, fu costretto ad introdurre nelle sue equazioni la famosa costante cosmologica, la quale, se positiva, equivale ad una forza repulsiva. L'equilibrio così ottenuto fra attrazione e repulsione è però instabile e l'universo è prima o poi destinato a contrarsi o ad espandersi. Le soluzioni più generali furono invece ottenute dal russo Alexander Friedmann nel 1922, e indipendentemente dal belga Georges Lemaître nel 1927, ma rimasero per diversi anni ignorate dalla maggior parte degli astronomi. Nel caso dei modelli relativistici classici, senza costante cosmologica, la storia dell'universo è legata alla geometria e dipende direttamente dalla densità di materia. Se la densità è molto elevata, superiore ad una soglia critica, allora l'universo è destinato in futuro a rallentare e fermare la propria espansione, per poi collassare su se stesso, e il suo volume è finito e illimitato, come nel caso dell'universo di Einstein: l'universo è chiuso. Se l'universo ha invece una densità inferiore alla densità critica, allora è destinato ad espandersi per sempre, la sua geometria è detta iperbolica, e lo spazio è infinito: per questo viene detto universo aperto. Infine, se l'universo ha esattamente la densità critica, allora esso è infinito e destinato ad espandersi per sempre, come nel caso precedente, ma ha in questo caso la familiare geometria euclidea, ed è chiamato per questo motivo universo piatto. In presenza di una costante cosmologica, la relazione fra geometria e destino dell'universo non è più così semplice, e si può avere ad esempio un universo geometricamente chiuso ma destinato ad espandersi per sempre: tale era ad esempio il modello preferito di Lemaître. I modelli cosmologici relativistici sarebbero rimasti delle semplici curiosità matematiche, se gli astronomi non fossero riusciti, nello stesso periodo, a comprendere quale fosse la natura e la distanza delle nebulose. All'inizio del XX secolo la maggior parte degli astronomi riteneva che tutte le nebulose osservate appartenessero alla nostra galassia. Nel 1924 l'astronomo americano Edwin Hubble, osservando al telescopio di 2,5m del monte Wilson, che era allora il più grande del mondo, riuscì ad identificare alcune Cefeidi nella nebulosa di Andromeda. Le Cefeidi sono una particolare classe di stelle variabili: dal periodo di variazione della luce di una Cefeide si può ricavare la sua luminosità intrinseca, e dal rapporto fra la luminosità intrinseca e il flusso luminoso osservato si ottiene la sua distanza. Con questo metodo, Hubble fu in grado di dimostrare che Andromeda è un sistema stellare al di fuori della Via Lattea, e più in generale che tutte le nebulose a spirale sono galassie come la nostra. A questa scoperta, di per sé già fondamentale, ne seguì un'altra ancora più sorprendente e inaspettata. Sin dal 1912, l'astronomo Vesto Slipher aveva cominciato ad ottenere gli spettri delle galassie più vicine. Ricordiamo che lo spettro di una sorgente luminosa è la scomposizione della sua luce nelle varie lunghezze d'onda, le quali sono percepite dall'occhio come diversi colori; la luce rossa corrisponde a lunghezze d'onda più grandi e la luce blu a lunghezze d'onda più piccole. Gli atomi di un dato elemento, come ad esempio l'idrogeno, possono assorbire o emettere luce solo a determinate lunghezze d'onda; ad esempio, gli atomi che si trovano in una atmosfera stellare, assorbendo la luce proveniente dagli strati interni della stella, causano la presenza di righe scure nel suo spettro. Queste righe si ritrovano nello spettro di una galassia, la cui luminosità è generalmente dovuta all'insieme delle stelle che la costituiscono. Le osservazioni di Slipher mostravano che le lunghezze d'onda delle righe degli elementi identificati nelle galassie erano sistematicamente superiori alle lunghezze d'onda delle stesse righe misurate in laboratorio. Tale spostamento verso lunghezze d'onda maggiori, dunque verso il rosso, è noto con il termine inglese di redshift. Il fenomeno fu interpretato dagli astronomi come una conseguenza dell'effetto Doppler, che consiste in un aumento della lunghezza d'onda nel caso di una sorgente in allontanamento e in una diminuzione della lunghezza d'onda nel caso di una sorgente in avvicinamento. Lo sperimentiamo quotidianamente nel caso delle onde sonore, con la sirena di un'ambulanza, il cui suono risulta più acuto quando l'ambulanza si avvicina e più grave quando si allontana. Nel 1929 un articolo di Hubble convinse gli astronomi che la velocità di allontanamento delle galassie è direttamente proporzionale alla loro distanza da noi. L'interpretazione più naturale di questa relazione, pienamente confermata dalle osservazioni successive, è che l'universo intero sia in espansione: la separazione fra le galassie aumenta col tempo. Nel caso di un universo chiuso, possiamo riprendere l'analogia bidimensionale con un palloncino che si gonfia. Naturalmente l'espansione non ha un centro, così come non hanno centro una superficie sferica o un piano infinito che si dilatano. Si tenga inoltre presente che non sono le galassie che si stanno allontanando con una loro velocità, ma è lo spazio stesso che si sta espandendo. In questi ultimi anni stiamo assistendo alla comparsa sul terreno scientifico di teorie in grado di rivoluzionare profondamente la nostra immagine dell’Universo, della materia e della vita, ma ciò non esclude, in linea di principio, che la soluzione del grande mistero dell’Universo possa essere molto più semplice e molto più vicina a noi di quanto possiamo immaginare.

    Capitolo 1

    L'UNIVERSO

    Si può affermare che la cosmologia moderna nasce fra il 1915 ed il 1929: nel 1915, infatti, Einstein pubblicò il primo articolo riguardo alla teoria della relatività generale, mentre nel 1929 Hubble scoprì la sua famosa legge, che implica che l'Universo è in espansione. Poco tempo dopo la pubblicazione della sua teoria (che sostituiva la gravitazione universale newtoniana), Einstein per primo la applicò al calcolo dell'evoluzione dinamica dell'universo. Gli fu subito evidente che, assumendo che la materia sia distribuita nell'universo in modo omogeneo, anche un universo infinito tenderebbe a collassare su sé stesso. Essendo però opinione comune che l'universo fosse statico (ed eterno), Einstein ricorse all'artificio di aggiungere nelle equazioni del campo gravitazionale una costante, detta costante cosmologica, per controbilanciare questa contrazione. Questa costante non modificava minimamente le predizioni della teoria in tutti gli altri campi, ma la sua introduzione si prestava ad un altro genere di critica. Infatti, esiste un unico valore della costante cosmologica che consente di avere un universo in equilibrio statico, ed anche in questo caso l'equilibrio risulta instabile; ciò significa che per avere un universo eternamente statico il valore fisico della costante cosmologica dovrebbe essere esattamente quello richiesto dalla condizione di staticità. Ogni altro valore, anche estremamente prossimo a quello indicato da Einstein, conduce ad un universo in collasso o in espansione. Nel 1922 il matematico russo Alexander Friedmann notò questo problema e, abbandonando l'ipotesi che l'universo sia statico (ed eterno), trovò che le soluzioni delle equazioni della relatività generale indicavano che l'universo avrebbe avuto un inizio in cui sarebbe stato infinitamente denso, e che da allora si sarebbe espanso; cinque anni dopo Georges Édouard Lemaître arrivò allo stesso risultato in modo indipendente. Sia Friedman che Lemaître trovarono anche che nel caso da loro esaminato (e comunemente accettato anche attualmente) di un universo omogeneo ed isotropo (accettando il principio cosmologico), la metrica che risolve le equazioni del campo gravitazionale è la cosiddetta metrica di Friedman-Lemaître-Robertson-Walker. L'insieme di questa metrica e delle soluzioni trovate da Friedmann e Lemaître costituiscono il cosiddetto modello cosmologico di Friedmann-Lemaître. Pochi anni dopo queste idee teoriche trovarono una clamorosa conferma sperimentale nella scoperta di Hubble che le galassie si allontanano da noi ad una velocità proporzionale alla loro distanza, la qual cosa può essere spiegata facilmente assumendo che l'universo si stia espandendo. L'idea che l'universo avesse un inizio portò alla formulazione della teoria del Big Bang, ovvero che l'universo sia nato da una singolarità gravitazionale in cui erano concentrati tutto lo spazio-tempo e la materia dell'universo; in particolare nel 1948 Alpher, Bethe e Gamow introdussero il cosiddetto modello αβγ, che spiegava come potesse avvenire la sintesi degli elementi chimici nell'ambito della teoria del Big Bang, ovverso in un universo in rapida espansione ed in raffreddamento. Tuttavia alcuni scienziati non accettarono l'idea di un universo che non fosse eterno e proposero modelli alternativi; fra questi il più famoso e fortunato fu la teoria dello stato stazionario di Fred Hoyle, in cui l'universo sarebbe eterno e la diluizione della materia dovuta all'espansione sarebbe bilanciata da una continua creazione spontanea di particelle (1948). Per circa 20 anni la controversia fra i due modelli cosmologici fu alquanto accesa; essa giunse però ad una conclusione piuttosto rapida dopo che l'osservazione della radiazione cosmica di fondo a microonde (nel 1964 da parte di Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson) e diverse misure della densità dei quasar non portarono al quasi totale abbandono delle teorie alternative ed all'adozione quasi unanime di quelle basate sul Big Bang. Secondo questo la materia nell’universo è omogenea e isotropica e lo spazio tempo può essere distorto per effetto gravitazionale solo in tre modi:

    A. curvatura positiva (W0 >1), finito.

    B. curvatura negativa (W0 <1), infinito.

    C. piatto (W0 =1), infinito.

    Attenzione: la curvatura positiva, negativa o l’essere piatto sono attributi che non si riferiscono al suo aspetto reale. Sono delle proprietà geometriche. In particolare, in un Universo positivo e finito la somma degli angoli interni di un triangolo è > 180°, in quello negativo è < 180° ed in quello piatto è = 180°. Perciò un Universo piatto non si presenta come un foglio di carta sottile: significa solo che in esso le distanze tra i vari oggetti si misurano applicando le comuni regole della geometria Euclidea. La materia gioca dunque un ruolo fondamentale nel determinare la geometria dell’Universo. Tutta la materia attualmente presente nell’Universo al tempo del Big Bang aveva temperatura altissima e densità infinita! E’ utile ricordare alcune cose, per evitare dei luoghi comuni sul Big Bang: 1. il Big Bang non è avvenuto in un solo punto dello spazio come un’esplosione. E’ meglio pensarlo come l’apparizione simultanea dello spazio in tutto l’Universo. Infatti se l’Universo è infinito, è nato infinito. Solo se esso fosse finito, avrebbe avuto all’inizio volume nullo e si sarebbe espanso da li. Per definizione l’Universo racchiude tutto lo spazio ed il tempo come lo conosciamo. Per quanto dopo il 1970 il modello del Big Bang sia rimasto praticamente senza serie alternative, esso presentava e presenta alcune rilevanti lacune. Entrambe queste lacune emersero poco dopo la scoperta della radiazione di fondo, e riguardavano l'estrema uniformità su tutto il cielo della radiazione stessa:

    1. il primo problema (problema dell'orizzonte) è che nei modelli standard del big bang due regioni di cielo sufficientemente lontane fra loro (ad una distanza angolare superiore a circa un grado) non possono essere entrate in contatto fra loro prima dell'epoca alla quale la radiazione di fondo è stata emessa, per cui non possono aver raggiunto un equilibrio termico alla medesima temperatura; sarebbe quindi logico attendersi disomogeneità molto più accentuate nella radiazione che osserviamo;

    2. il secondo problema è che nella teoria originale del big bang le fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo sono molto più piccole di quanto sarebbe necessario per spiegare la formazione delle galassie in un tempo più breve dell'età dell'Universo.

    Per risolvere il problema dell'orizzonte è stata introdotta un'idea teorica nota come inflazione, secondo la quale subito dopo il Big Bang l'universo avrebbe attraversato una fase di espansione estremamente accelerata (l'inflazione, appunto); due regioni di cielo estremamente lontane fra loro potrebbero quindi essere state in contatto (ed avere avuto il tempo di entrare in equilibrio termico) prima dell'inflazione.

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