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I lillà dello zar
I lillà dello zar
I lillà dello zar
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I lillà dello zar

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About this ebook

Lui si chiama Spiratos Katapotis ed è un giornalista e fotografo. Lei invece è Larisa, deliziosa, intrigante e di carattere. S’incontrano e all’inizio sembra un colpo di fulmine, come talvolta capita. Lui è a San Pietroburgo, in Russia, per realizzare un reportage sui lillà creati dall’ultimo zar, Nicola II, una storia che, ai nostri giorni, sono in pochi a ricordare. Ma i lillà dello zar non sono solo fiori e lei non è una donna incontrata per caso. Così, tra San Pietroburgo e Mosca, prima, Tallinn e Londra, poi, si fa largo una storia dai contorni sorprendenti e inquietanti. Una faccenda che risveglia un intrigo in sonno da tempo e che una serie di combinazioni ha riportato all’attenzione dei servizi segreti russi e inglesi. La miccia è stata accesa, seppur involontariamente, proprio dal giornalista che però così si trova tra le mani uno scoop eccezionale, di quelli che, nel suo mestiere, capitano una volta nella vita, se capitano.

LanguageItaliano
Release dateMar 16, 2012
ISBN9781476035550
I lillà dello zar
Author

Massimo A. Rossi

Journalist and photographer. I like to tell stories with words and pictures. Old cameras and very used shoes.

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    I lillà dello zar - Massimo A. Rossi

    I LILLÀ DELLO ZAR

    Romanzo

    Massimo Angelo Rossi

    Smashwords Edition

    Copyright 2007 - 2012 Massimo Angelo Rossi

    Tutti i diritti riservati

    Seconda edizione

    In copertina:

    "Mosca, Cremlino, lillà Syringa Vulgaris Maximovic,

    ibrido creato da Nicola II; sullo sfondo il Campanile di Ivan il Grande",

    foto di Massimo Angelo Rossi.

    Grafica Giuseppe Meligrana

    ****

    Questa è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni romanzesche. Ogni riferimento a persone e fatti reali è puramente casuale. L’unico elemento che corrisponde a realtà è che l’ultimo zar, Nicola II, era effettivamente un appassionato ibridatore di lillà e che i fiori da lui creati esistono. Tutto il resto è frutto dell’immaginazione, tutto il resto è cinema.

    Indice

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Massimo A. Rossi

    Copertina

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Epilogo

    Musiche

    Ringraziamenti

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale

    e non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividerlo con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la propria copia.

    Grazie per il rispetto del duro lavoro di questo autore.

    Massimo A. Rossi

    Sono giornalista e fotografo. Per poco più di quindici anni sono stato dipendente di una importante casa editrice. Poi ho scelto di essere free-lance. Per cercare di fare quello che credo sia il mestiere più bello del mondo: raccontare storie con parole e immagini. Così ho collaborato con quotidiani, settimanali, mensili, italiani, e con agenzie fotografiche. Questo mi ha permesso di viaggiare un bel po’, anche se non abbastanza.

    Ho pubblicato tre libri. Il rinoceronte: storia, simbologia, leggende, tradizioni, Arnoldo Mondadori Editore (1991). Sempre per la Mondadori, insieme con un collega, L’abc del ballo (1997) e L’abc del ballo moderno (1998), manuali pratici, con mie foto, arricchiti da informazioni storiche e di costume. Questi due manuali sono stati tradotti e pubblicati in Francia e in Russia.

    Ho scritto anche un po’ di racconti, alcuni pubblicati, e un paio di romanzi che sono lì, nel cassetto. Questo, I lillà dello zar, è il terzo, il mio primo che vede la luce.

    Per contattarmi e leggermi:

    mail to: mar@journalist.com

    https://smashwords.com/profile/view/marrossi

    https://spiratoskatapotis.wordpress.com

    Copertina

    Prologo

    APRILE 1917, CARSKOE SELO,

    A SUD DI PIETROBURGO

    Karl Ghekkel è soprannominato il Rosso per via del colore dei suoi capelli. È mattina presto quando lascia il Palazzo di Caterina per andare alle stalle.

    Poi, con il calesse, costeggia il Villaggio cinese e s’inoltra nel parco di Alessandro.

    Arrivato alle serre, entra e trova due grosse valigie di vimini e un pacco di giornali. In bell’ordine, in perfetto ordine, ci sono i filari dei lillà.

    Cinquantadue ibridi, piante madri, create dallo zar Nicola II, con il suo aiuto. Karl è orgoglioso di quello che ha fatto.

    Lui, olandese trapiantato in Russia, ora però ha un compito più difficile. In questo momento non si tratta di incrociare due lillà tra loro, ma di salvarli tutti.

    La famiglia dei Romanov è agli arresti, qui a Carskoe Selo. E non è chiaro che cosa accadrà poi. Ma i lillà non possono essere persi. Ed è suo dovere proteggerli.

    Con le cesoie, Karl trancia il miglior ramo di ogni albero di lillà. Poi avvolge ciascuna marza in carta di giornale e bagna il pacchetto con acqua. Infine ripone i rami avviluppati nelle valigie di vimini.

    All’improvviso, nella serra entra Nicola II, che con passi lenti e mani dietro la schiena si avvicina a Karl. Lo zar indossa una cerkessa, la lunga tunica grigia cosacca e un mantello di astrakan nero. Sul capo porta un semplice berretto rigido, con visiera e gradi di colonnello degli Ulani.

    Grazie, Karl per quello che sta facendo.

    Altezza, per me è un onore servirla ancora una volta. Porterò i suoi lillà al sicuro.

    Tra due ore parte il treno per la stazione di Vitebskij e da lì raggiungerà Amburgo. I due agenti che le ho assegnato, come d’accordo, la seguiranno fino a destinazione. Loro hanno tutti i necessari lasciapassare e carte di transito. Lei deve solo occuparsi dei nostri fiori.

    Altezza, farò del mio meglio. Porterò a termine l’incarico. Si fidi di me.

    Lo so Karl, ne sono certo.

    Capitolo 1

    AMBURGO, TRANSATLANTICO DRESDEN,

    NIENTE CRAVATTA NERA.

    DESTINAZIONE BAIA DI SAN LORENZO

    Sono Anthony Hopper Farrell, comandante della Dresden nell’ultimo viaggio di questo piroscafo. Benvenuto a bordo, signor Ghekkel. So che lei ha un carico speciale con sé. Posso esserle d’aiuto?

    L’olandese ha il fiatone. Salire i sessantatré ripidi e alti gradini dello scalandrone gli ha reso le gambe doloranti. E poi c’è l’umido della nebbia, del mare e la stanchezza delle ore passate in treno.

    La cabina è grande?

    È un appartamento dove, in passato, ci sono stati passeggeri che hanno tenuto feste da ballo. Credo possa essere l’ideale per le sue necessità. Le persone che l’accompagnano saranno alloggiate nella cabina adiacente alla sua.

    Bene, bene. Lei mi ha offerto il suo aiuto? Allora ho bisogno di una settantina di bottiglie di Champagne vuote e una cinquantina di metri di cima, con uno spessore meno della metà del mio mignolo. E per indicare la misura, Ghekkel mostra al comandante la sua mano destra, grossa come un badile.

    Settanta bottiglie vuote? Immagino ben risciacquate. Tra un’ora le avrà, insieme con la cima. Ora seguite il marinaio che vi porterà ai vostri alloggi.

    Comandante, questo è l’ultimo viaggio della Dresden? Così mi sembra che abbia detto. Non mi sembra un piroscafo malandato, anzi.

    Siamo in guerra, signor Ghekkel. Questa nave è stata costruita qui, ad Amburgo, da un armatore tedesco. Da poco è stata ceduta a una società canadese e una volta giunti a destinazione cambierà nome e seguirà altre rotte. Di questi tempi, qui in Germania, avere soldi liquidi può fare una grande differenza per un armatore, come per chiunque altro.

    Capisco, capisco... comandante, quanto durerà la navigazione?

    Salperemo a mezzanotte. Se il mare non ci sarà avverso, con una velocità media di 22 nodi, nel giro di sette giorni entreremo nella Baia di San Lorenzo.

    Ora Ghekkel ha una certezza in più di portare a termine il suo compito. Inizialmente, infatti, la prima ipotesi di salvataggio dei lillà era stata quella di raggiungere in treno Bordighera, in Italia. Ma la guerra in Europa è ancora troppo pericolosa. Già si sa come andranno a finire le cose, ma colpi di coda e rovesci improvvisi non si possono mai escludere. E lui a questo pensa. Certo, a Bordighera avrebbe potuto ottenere l’aiuto del vivaista che da anni rifornisce la corte dello zar. E avere l’appoggio degli aristocratici russi che laggiù risiedono, soprattutto a Sanremo. Ma poi avrebbe comunque dovuto invasare le marze di lillà e questo avrebbe significato almeno un anno di tempo prima di arrivare a destinazione.

    Così, invece, tutto è più semplice o, per lo meno, sembra più semplice.

    In cabina, Ghekkel sistema ogni ramo in una bottiglia piena d’acqua. Con la cima lega le bottiglie tra loro in modo da formare delle specie di zattere o plotoni. Così che il rollio o il beccheggio della nave non possano rovesciarle. Ma il trucco ha anche il vantaggio di poter spostare con facilità i gruppi di bottiglie, secondo la luce che entra dalle finestre.

    La prima notte, il giardiniere lavora fino all’alba e il sistema funziona. Perché già verso la sera dopo, le foglie quasi appassite dei lillà hanno ripreso vigore.

    Per tutto il viaggio Ghekkel non esce dalla cabina e non partecipa alla vita di bordo.

    Dopo sette giorni di navigazione, quando ormai mancano poche ore all’arrivo, sa di avercela fatta. Il Giardino botanico di Toronto non è più troppo lontano. E allora, cancella dalla sua mente la parola che più lo aveva tormentato per tutto il viaggio: ramp, disastro in olandese.

    Capitolo 2

    SAN PIETROBURGO, AI NOSTRI GIORNI.

    LA LUCE NON VUOLE CEDERE

    A giugno il tramonto sfinisce. Sembra non arrivare mai al dunque. E per un fotografo, la giornata si estenua.

    Alla periferia sud di San Pietroburgo, in direzione dell’aeroporto, lungo la Moskovskij Prospekt, c’è un mercatino dei fiori. In città è famoso perché è aperto giorno e notte. Alle sette la luce è ancora buona ed è capace di tenere per un po’ diaframma 8 oppure 5,6 e 4,5 nelle ombre. I fiori esposti sulle scalette fanno tristezza. Per la maggior parte sono artificialmente colorati: blu, fucsia, verdi. Se fossi una donna, fiori così mi farebbero ridere. C’è una ragazzina, occhi tristissimi, da russa con pazienza infinita. Le chiedo se ha dei lillà.

    Dopo pochi secondi torna con tre steli fioriti.

    Quanto?

    Con l’indice scrive venti nell’aria.

    Va bene, te ne do cinquanta, perché ti voglio fotografare con i lillà.

    All’inizio lei non sembra capire. Poi, quando la metto in posa, si rende conto. Scatto più volte, ma un sorriso sembra impossibile. Le do i soldi. Mi allontano con lo striminzito mazzetto avvolto in uno striminzito cellophane. Torno verso il mio albergo, a poche centinaia di metri. Sono stanco e desidero una birra gelata e una doccia che lavi via la giornata di fatica.

    Ma la storia, improvvisamente, non sembra finire lì. Due ragazze, una bruna e l’altra bionda, si materializzano lungo la strada, dalla parte dove c’è il sole. Avranno poco più di vent’anni ed entrambe abbracciano fasci enormi di lillà, bianchi e lilla. Le fermo, le fotografo a raffica. Ridono contente, mi dicono di chiamarsi Larisa, la bionda, e Anna, la bruna. Poi appare una specie d’armadio che barcolla. Un ragazzo anche lui sui vent’anni, ubriaco come una scimmia. A gesti si offre di fotografarmi con le ragazze. Mi metto tra loro e le prendo per la vita. Larisa appoggia il suo capo sulla mia spalla destra. Le stringo appena il fianco e lei preme un po’ di più con la testa. Lo scricciolo, dunque, forse approva. È una briciola che mi scalda. Larisa è minuta e ha un sorriso che fa posare gli scudi. Belle mani, con dita sottili, quasi fragili.

    L’armadio mi rende la fotocamera e mi rilasso. A San Pietroburgo non sai mai come va a finire, quando si esce dagli schemi. Poi, Anna e il coso se ne vanno, così senza una parola. Anche Larisa sta per farlo, ma la trattengo. Del terzetto è l’unica che parla inglese.

    Devi andare?

    Sì, torno a casa, perché?

    Vuoi cenare con me? Sto al Pulkovskaja, dall’altra parte della piazza e lo indico con la mano.

    Verrei... volentieri. Ma vorrei andare a casa per farmi una doccia, per cambiarmi e abito lontano da qui e lo dice togliendosi gli occhiali da sole per rivelare occhi verdi, come solo la madreperla delle conchiglie e gli stagni coperti di foglioline e raganelle sanno regalare.

    Ti faccio una proposta, Larisa. E te la spiego di corsa, prima di sentirmi imbarazzato. Se vuoi rinfrescarti, lo puoi fare nella mia camera. Dopo, quando avremo cenato, sarà un mio piacere offrirti il taxi per tornare a casa. Per favore, è un po’ di giorni che sono qui a San Pietroburgo a fotografare e questa sera mi sento un po’ solo. Mi farebbe piacere la tua compagnia.

    Larisa mi guarda sorridendo appena, si aggiusta i lillà che continua ad abbracciare. È incerta. Allora aggiungo: Larisa, non temere. Non ti propongo più di quello che ti ho detto. Ti chiedo solo un po’ di compagnia, sono un gentiluomo.

    Un gentiluomo?

    Sì, che rispetta la parola data.

    Tu mantieni sempre la parola data?

    Be’, diciamo che fino a oggi sì.

    Larisa sorride. Penso che sei un gran bugiardo!

    "Come nella canzone Great Pretender dei Queen?"

    Mi guarda negli occhi con aria perplessa. Poi sembra arrendersi.

    Sì, quella, quasi.

    Be, certo, quasi. Perché tu non mi stai lasciando. O sbaglio?

    No, per ora no. Dài, andiamo, bugiardo.

    Allora si fa secondo i patti?

    D’accordo e se sarà il caso si vedrà. I patti si possono sempre rompere.

    Detta così, sembra una promessa.

    Passiamo di fianco a una fontana. Due ragazzi bellissimi, una lei e un lui, si stanno baciando in modo quasi disperato. Come se il loro mondo rotolasse nel fruscio dell’acqua che cade e basta. Intanto le loro mani osano attraversare i confini. Insomma si palpano a vicenda, lì, per strada. Scendiamo nel sottopassaggio che attraversa la piazza.

    Come ti chiami? chiede Larisa.

    Spiratos.

    Spiratos, non farti illusioni.

    Non temere. Io non mi faccio mai illusioni. Talvolta sogno, ma sono altre storie.

    Spiratos sei italiano, vero? Perché se vuoi possiamo parlare nella tua lingua, la conosco bene dice in italiano.

    Davvero? Va benissimo!

    La hall dell’albergo ha un’impronta stalinista. È vasta, con marmi alle pareti, fino al soffitto e lampadari con cento lampadine, tutte fioche. Subito a sinistra ci sono i negozietti. I tacchetti di Larisa risuonano sul marmo. Come se conoscesse a memoria l’albergo, entra nel secondo negozio, quello di abbigliamento.

    Come una Pretty Woman guarda tutti i capi esposti. Quelli che l’attirano se li appoggia sul corpo davanti allo specchio. E io da dietro, riflesso, con la testa dico sì o no. Alla fine sceglie nell’ordine: una maglietta nera con un cuore di strass sul petto, un paio di pantaloni di seta grezza blu notte al polpaccio che le fanno un culotto da mordere, uno slip tanga rosso e un reggiseno coordinato.

    Quando sembra aver finito di fare shopping, le chiedo: Mi permetti di pensare ai tuoi acquisti?

    Mi inquadra con i suoi occhi di smeraldo.

    Spiratos, grazie. Ma ho deciso io di fare questi acquisti, perciò pago io. Sai, ho sempre così poco tempo che quando mi capita l’occasione ne approfitto subito. Va bene così. A te lascio l’onore della cena e del taxi.

    Mentre usciamo, si ferma davanti a un espositore di smalti per unghie.

    Che colore ti piace? le dico in un orecchio.

    Il viola, questo viola e indica il più cupo che c’è.

    E viola sia.

    Quando arriviamo in camera sono le otto passate. Il sole è ancora implacabile. Accendo la radio che è sintonizzata sul canale dove diffondono solo canzoni italiane. Poi, in bagno, riempio d’acqua uno dei due lavandini e metto il mazzo di lillà a mollo.

    Larisa, se vuoi, fatti la doccia. Io me la faccio dopo. Vuoi una birra?

    Verso da bere per entrambi e tocchiamo i bicchieri. I suoi occhi di smalto di giungla e il suo sorriso sfrontato mi stanno entrando sotto pelle. Brutta storia. Anzi, bella, ma pericolosa. Forse mi sono cacciato in un guaio. E per giunta parla italiano.

    Larisa va in bagno e lascia la porta socchiusa. Sento scrosciare la doccia. Alla radio canta Laura Pausini e lei ci va sopra con la voce. Quindi cambia registro prima con Mina, poi con Celentano. E mentre è la volta di Toto Cutugno, mi chiama.

    Attraverso la porta del bagno socchiusa, la vedo riflessa nello specchio sopra i lavandini. Sorride e mi guarda, coprendosi sommariamente con la tenda della doccia. È graziosissima e anche se minuta ha un fisico allenato, con due seni della misura giusta.

    Mi dài l’accappatoio, per favore?

    Entro nel bagno e lei si copre di più.

    Le allungo l’accappatoio. Esco e continua a canticchiare. Sembra contenta e spensierata. A sentirla così cinguettante, mi fa piacere aver osato invitarla. Anche se continuo a non essere tranquillo. Perché è come se un cecchino mi tenesse di mira dal palazzo di fronte.

    Alla fine esce dal bagno, come nel film Appartamento al Plaza. Accappatoio, asciugamano raccolto sulla testa e mani che agita nell’aria.

    Spiratos, mi metti lo smalto?

    Dove?

    Sui piedi. Sulle unghie delle mani l’ho già messo. Mi fa un po’ male la schiena.

    Va bene, Larisa. Siediti qui, sul letto. È la prima volta in vita mia che lo faccio, magari non sarà un lavoro perfetto.

    Sorride, socchiude per un attimo gli occhi e sospira.

    Mi metto per terra con le gambe incrociate.

    Appoggia i piedi sulle mie ginocchia.

    Ha piedi splendidi e minuti, mi ricordano quelli di Wendy, milioni di anni fa. Intanto cura il mio lavoro, donna curiosa che si sporge dal balcone.

    E mentre pennello le domando: Quanti anni hai?

    Trentadue.

    Te ne davo molti di meno.

    Sì, me lo dicono sempre. E tu, quanti anni hai?

    Un po’ di più.

    Non me lo dici?

    Te lo direi, ma ho perso il conto.

    Sei il solito bugiardo!

    ****

    Il ristorante nell’albergo è una birreria simil tedesca. Entriamo che sono quasi le nove passate e il cielo è ancora chiaro. L’orchestrina sta suonando Besame mucho. Larisa si guarda in giro con occhi sfavillanti e sorride. È quasi una settimana che vengo qui a mangiare la sera. Ma ora è una cosa diversa. Ci sediamo.

    A pochi metri da noi c’è il tavolo dove stazionano le signore della notte. Mi salutano con un Ciao, Spiratos! in coro.

    Larisa guarda loro e guarda me, dubbiosa.

    Sì, le conosco. Abbiamo bevuto qualcosa insieme. Ma solo bevuto. E poi sono affari miei.

    Una cameriera mongola, lunghe trecce nere, denti di neve, viene a prendere l’ordinazione con un sorriso che avvolge.

    Scegliamo gamberi all’americana, con patatine fritte e due boccali di birra.

    Che cosa fai nella vita? le chiedo.

    Sono laureata in lingue e faccio l’interprete per le aziende russe.

    Di solito, quando sono solo, le signore della notte mi lanciano sorrisi e strizzate d’occhi. Questa sera che sono in compagnia, mi lasciano perdere.

    E tu, Spiratos, sei fotografo?

    Sono giornalista, scrivo e fotografo per i giornali italiani.

    Avevo capito subito che eri italiano, anche se il tuo nome è greco. Un italiano lo si riconosce per come si comporta, per come è vestito e perché non è ubriaco prima di andare a cena.

    "Quindi

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