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La guerra dell'acqua.
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La guerra dell'acqua.

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Inquinamento, conflitti per il controllo delle risorse idriche, idrodiplomazia e necessità di una gestione concertata... sono solo alcuni dei temi affrontati in questo notevole saggio in modo chiaro e semplice. Grazie a numerose illustrazionie schemi, oltre che a diversi esempi estrapolati nei più diversi contestimondiali, quest’opera rappresenta senz’altro uno strumento prezioso per capire le sfide ed i problemi legati alla necessità di disporre per l’uomo di questa risorsa fondamentale per la vita, che pur essendo la più abbondante sul nostro Pianeta, è sempre più di difficile utilizzo. Circa un quarto della popolazione mondiale infattinon dispone di un accesso diretto a questo bene primario, mentre il controllo delle fonti e dei servizi idrici è sempre più in mano alle multinazionali. Oggi la crescita demografica ed i cambiamenti climatici hanno reso ancor più pressantequesto tema affrontato da vicino al Forum Mondiale sull’Acqua che si tiene ogni tre anni e che riunisce i rappresentanti di 190 Paesi.

LanguageItaliano
Release dateNov 12, 2012
ISBN9781301499878
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    Libro bellissimo..consiglio!

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La guerra dell'acqua. - Suzanne Dionet-Grivet

«La rana non beve mai tutta l’acqua

dello stagno dove vive».

Proverbio Sioux

Poiché essa è vitale, la disponibilità della piccola molecola semplice H₂O può divenire una delle sfide fondamentali del XXI secolo. Dipendono da essa: l’alimentazione, la salute, lo sviluppo economico e la pace nel Mondo. Da ciò deriva l’evidenza che l’acqua è abbondante sul Pianeta blu. Se, però, la sua presenza fosse uniformemente ripartita sulla superficie terrestre, cancellerebbe la maggior parte dei rilievi, mentre i livelli degli oceani salirebbero di circa 2,6 km, contro, facendo un paragone, i venti centimetri se ciò accadesse su Marte.

L’acqua dolce diponibile, indispensabile e insostituibile per la vita dell’uomo, degli animali e delle piante, rappresenta meno dell’1% di tutte le risorse idriche terrestri, benché questa percentuale sia largamente sufficiente, secondo le statistiche (per una quantità stimabile in 6.800 m³ l’anno per abitante, contro i 1.000 m³ l’anno calcolati come effettivamente sufficienti per soddisfare ogni individuo), alle necessità umane.

Questa risorsa naturale fondamentale, di fatto, è comunque una delle meno accessibili e utilizzate in maniera uniforme ed equa. Non esiste in realtà una questione mondiale per quanto riguarda l’acqua, ma dei problemi regionali. Una decina di Paesi favoriti dal clima, si dividono il 60% delle risorse mondiali idriche, allorchè l’aridità imponga, invece, delle penurie gravi nelle regioni in stato di stress idrico cronico come il Triangolo della sete (Africa del nord, Medio Oriente e Asia centrale), o in situazioni di crisi locali, quando gli approvvigionamenti d’acqua sono irregolari. Nello stesso tempo, i Paesi industrializzati dispongono all’incirca di 250 litri d’acqua al giorno per usi domestici ad abitante, mentre il consumo di un africano è compreso tra i 10 e i 40 litri. Di fatto, per i mezzi finanziari limitati nei Paesi del sud del Mondo, 1,1 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,6 miliardi non dispongono di acqua per l’uso domestico, inoltre 10 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate alla sua mancanza.

Gli esperti temono una crisi idrica dovuta a ragioni economiche. La rete di zone umide e di laghi, di coste e di fiumi, di falde freatiche e di riserve sotterranee fossili rappresenta l’apparato circolatorio del nostro Pianeta, ma gli uomini hanno costruito le loro città e le loro attività proprio in prossimità di queste aree. Sui corsi d’acqua navigano giunche, chiatte e cargo. Con la rivoluzione economica, dopo il XIX secolo l’impiego dell’acqua è aumentato più velocemente della stessa popolazione mondiale. Infatti, quest’ultima si è triplicata nel XX secolo, mentre il consumo d’acqua si è sestuplicato. L’industria impiega il 20% di un’acqua che lava, disseta, raffredda e produce energia. Man mano che sono migliorati il livello di vita e la situazione sanitaria, i bisogni di acqua domestica sono cresciuti e rappresentano oggi il 10% dell’impiego di questa risorsa. Per quanto riguarda i consumi inerenti all’irrigazione agricola essi riflettono l’importanza strategica dell’acqua per l’indipendenza alimentare nei Paesi in via di sviluppo e la posizione finanziaria raggiunta dall’agricoltura commerciale del Nord. L’irrigazione dei campi impiega il 70% dell’acqua dolce utilizzata in totale, fornendo il 40% della produzione agricola mondiale, però sprecando gran parte di questa risorsa, a causa di utilizzi inefficienti e di condotte in cattivo stato. Sarebbe necessario, infatti, avere nuove tecnologie, sviluppare nuove scelte culturali, oltre ad una pedagogia di utilizzo dell’acqua e di investimenti cospicui per ridurne il suo consumo.

Secondo il World Wide Fund for Nature, su un totale di 1,4 miliardi km³ di acqua disponibile sul Pianeta, solo il 2,5% (35 milioni di km³) è costituito da acqua dolce (fiumi, laghi, ghiacciai ecc.), di cui solo l’1% è potenzialmente utilizzabile dall’uomo per le proprie necessità vitali, esso invece si appropria del 54% di tutta l’acqua dolce accessibile, della quale il 70-80% nel Mondo – in Italia circa il 60% – viene usato per l’irrigazione delle colture. Il resto del 2,5% di acqua dolce sul totale di risorse idriche mondiali è così distribuito: per circa il 70% (24 milioni di km³) è imprigionata sotto forma di neve e ghiacci permanenti nelle regioni montuose, antartiche e artiche; per il restante 30% (0,7% delle risorse idriche totali) è confinata in depositi sotterranei (falde, umidità del suolo, acquitrini, permafrost, etc.) mentre solo lo 0,3% (105 mila km³) è acqua superficiale di laghi e fiumi.

Gli uomini hanno sfruttato l’acqua senza un criterio a lungo termine, sperperandola e inquinandola senza preoccuparsene. I progressi della tecnica hanno reso possibile la costruzione di barriere faraoniche e la crescita d’importanti strutture idriche. Enormi incanalamenti hanno portato l’acqua dei fiumi verso le terre aride, provocando spesso anche disastri ecologici (sparizione del Mare d’Aral, salinizzazione delle terre e sovrasfruttamento del fiume Colorado, etc.), mentre si è cominciato anche a svuotare le falde fossili non rinnovabili nei deserti e gli ecosistemi delle zone umide sono sempre più minacciati. D’altronde, l’inquinamento è una bomba a orologeria, infatti, gli scarti agricoli, urbani e industriali deteriorano le acque di superficie. Prodotti tossici si accumulano nel profondo della terra fino a raggiungere le falde freatiche e contaminano alla fine anche il mare.

Il divario Nord-Sud scaturisce anche con il deficit di utilizzo dell’acqua, dovuto alla mancanza di volontà politica e di mezzi adeguati per poterla sfruttare nei Paesi in via di sviluppo. L’acqua sembra poi sempre più fluire verso interessi economici e politici. Benché si tratti di un patrimonio comune dell’umanità, il mito della sua gratuità sta svanendo a beneficio del profitto e della mercificazione della risorsa.

Chi deve pagare il servizio dell’acqua? Il problema della sua gestione è all’ordine del giorno nelle legislazioni e nelle normative del Nord del Mondo (allorché sia in cronico ritardo nel Sud) ed è oggetto oggi di una concorrenza acerrima tra pubblico e privato.

«Rive, sponde e rivalità»: dagli Anni ’80 sono continuamente cresciute le crisi dovute all’impiego delle acque. Se il dialogo ha permesso il più delle volte una certa cooperazione, oggi la pressione sempre più gravosa su questa risorsa ha riaperto nuove tensioni geopolitiche già esistenti tra Stati rivieraschi. In Medio Oriente, lo Stato di Israele, l’Egitto e la Turchia impongono la legge del più forte ai loro vicini. Gli Stati Uniti privano il Messico dell’acqua del fiume Colorado, mentre il fiume Senegal è sempre più al centro di tensioni tra i Paesi che ne sono attraversati.

Ma altre tensioni sono suscettibili di emergere in un prossimo futuro. Nel 1995 il 30% della popolazione mondiale subiva uno stress idrico giornaliero, ma tale percentuale potrebbe raggiungere il 40% nel 2050 e toccare così i 4 miliardi di esseri umani.

Due grandi cambiamenti stanno modificando la situazione dei fragili territori nel mondo in via di sviluppo. Con l’esplosione demografica, la popolazione mondiale dovrebbe passare dai 6,5 miliardi ai 9 miliardi di abitanti nel 2050. L’urbanizzazione galoppante concentra gli uomini, i problemi di approvvigionamento idrico e quelli di inquinamento.

Il numero di persone denutrite sorpassa ormai il miliardo: sarà necessario raddoppiare la produzione agricola e praticare nuovi metodi economici per evitare la fame e la necessità di acqua. Il riscaldamento climatico si manifesta attraverso fenomeni violenti ed estremi e riduce l’apporto d’acqua in aree già delicate come il Bacino Mediterraneo o l’Africa sub-sahariana. Il 2010, ad esempio, ha lasciato il ricordo di un anno caotico per via delle inondazioni in Pakistan e nella valle dello Yanghze, le drammatiche siccità nell’Africa orientale e nel Sahel, diluvi nel Ladakh arido e perturbazioni dovute ai monsoni nel Bangladesh.

Con l’aumento del consumo idrico e la frequente crescita della sua penuria e di inondazioni non produttive dovrebbe affermarsi una nuova cultura dell’acqua. In particolare, questa richiede una governance a livello locale, regionale e mondiale ed esige un’evoluzione verso la gestione razionale della domanda (per quanto riguarda gli aspetti economici, il trattamento delle acque usate, la scelta delle attività in funzione della disponibilità idrica, etc.) che dovrebbe permettere di preservare questa fondamentale risorsa.

Sacralizzata per la sua purezza in tutte le civiltà antiche, risorsa vitale per l’uomo e le sue attività, l’acqua può portare anche alla morte per la sua sovrabbondanza durante le inondazioni e rischi sanitari associati al suo inquinamento. Strumento di coesione nelle società tradizionali dove la sua assenza relativa rinsaldava i gruppi sociali nelle avversità, questa è divenuta oggetto, nella storia, di ricerca di potenza in un mondo basato sempre più sulla concorrenza e sulla rivalità. Questa ambivalenza rappresenterà il fulcro delle sfide di domani sia economiche, che sociali e geopolitiche o legate allo stesso sviluppo umano.

Cap. 1 - La pressione umana sulle risorse idriche: la scarsità d’acqua e la crescente diseguaglianza.

A. Il ciclo naturale dell’acqua: il Pianeta blu.

Gli stock sono giganteschi, ma l’acqua disponibile è limitata.

L’aspetto peculiare della Terra è di essere il pianeta dell’acqua. L’idrosfera, l’insieme delle masse d’acqua presenti sulla superficie del globo terrestre, che occupa un volume di circa 140 milioni km³, è immensa. Questa esiste sotto tre forme: gassosa, con il vapore acqueo presente nell’aria, solida, con la neve e i ghiacci, liquida, con l’acqua degli oceani, dei fiumi e delle falde sotterranee. L’acqua dolce però, la sola utilizzabile dall’uomo, al contrario dell’acqua dei mari salata (il 71% dell’intera superficie terrestre, pari a un volume, rispetto alla stessa, del 97,5%), non rappresenta che una piccolissima parte (2,5%) dell’acqua dell’intero Pianeta. Inoltre, bisogna tener conto del fatto che la maggior parte di tutta l’acqua dolce (2% dell’idrosfera) si trova allo stato solido, nelle lande artiche e antartiche e nei ghiacciai di alta montagna, rendendola ad oggi ancora inutilizzabile con le attuali tecniche disponibili. L’acqua potabile allo stato liquido non rappresenta invece che l’0,5% del volume totale. Essa si concentra soprattutto nelle profondità delle falde freatiche e sotterranee. Le acque di superficie (corsi d’acqua e laghi), alimentate dalle precipitazioni e le più accessibili da parte dell’uomo, si stima che rappresentino soltanto l’0,3% dello stock globale di acqua dolce. «Se si fermassero i flussi dei fiumi per un istante, la quantità d’acqua che essi contengono corrisponderebbe allo 0,005% dell’acqua totale» (J.-M. Fritsch, La crise de l’eau n’aura pas lieu, La Recherche, n°421, luglio-agosto 2008).

Rinnovabile non vuol dire inesauribile.

La quantità disponibile di acqua per l’uomo è sempre la stessa. Ad eccezione delle falde fossili, l’acqua è infatti una risorsa rinnovabile. La Terra la ricicla continuamente e i prelievi umani sono in realtà piccolissimi comparati alla produzione globale naturale. I motori del ciclo dell’acqua sono l’energia solare e la gravità. L’acqua evapora dal mare e dai continenti, si condensa nelle nuvole e ricade sotto forma di pioggia o neve sulla superficie del Globo. Una piccola parte ritorna negli oceani, un’altra s’infiltra sotto terra. Una molecola di H²O resta una settimana nell’atmosfera, sedici giorni nei fiumi, diciassette anni nei laghi, 1.400 anni nelle falde sotterranee, 2.500 anni negli oceani, diverse centinaia di migliaia d’anni nei ghiacciai. Se sappiamo che gli uomini prelevano circa il 10% della quantità di acque continentali, l’eterno ciclo dell’acqua non può essere analizzato a livello planetario perché è frammentato in molteplici circuiti locali che offrono dei risultati molto diversi fra loro. Questi però sono a rischio di esaurimento per eccesso di sfruttamento, poiché i prelevamenti umani sottraggono interamente gli apporti naturali o impediscono a questi di rigenerarsi. È in particolare il caso delle zone aride o semiaride (sud-ovest degli Stati Uniti, Libia, Arabia Saudita, etc.) dove l’utilizzo dell’acqua minaccia il livello dei corsi idrici e quello delle falde sotterranee costituite di acqua fossile, quindi esauribile come il petrolio. Inoltre, anche la qualità dell’acqua è minacciata dai diversi tipi di inquinamento legati alle attività umane, che la rendono in certi casi addirittura pericolosa per quei territori che ne sono dipendenti. Un metro cubo di acqua inquinata rende inutilizzabile da 8 a 10 metri cubi di acqua pulita. Si tratta, in particolare, di scarichi chimici o di scarti dovuti agli allevamenti intensivi, del deficit di reti fognarie nei Paesi poveri o dalla negligenza nella gestione delle emissioni industriali che moltiplicano le piogge acide e trasformano i corsi d’acqua in cloache. Questo genere di emissioni si sono moltiplicate per venti nel corso del XX secolo (da 50 milioni m³ nel 1900 ai 1.000 milioni di m³ attuali) e hanno ridotto per sempre le quantità d’acqua potabile, in particolare proprio nelle regioni che ne erano già deficitarie.

I divari planetari esistono già a livello dei flussi idrici.

A prima vista, l’umanità non manca certo d’acqua; tale risorsa appare, infatti, globalmente più che sufficiente. La quantità d’acqua dolce necessaria all’uomo per sopravvivere è stimata in circa 1.000 m³ l’anno, mentre ogni abitante del Pianeta dispone, attualmente, di 6.800 m³/ab/annui. Queste cifre danno un’impressione certamente di abbondanza, però devono essere correttamente interpretate. Infatti, le disparità sono enormi da luogo a luogo. Queste rendono fortemente ineguale la disponibilità di questa risorsa, rispetto alla ripartizione della densità umana e la sovra popolazione: un islandese dispone di 607 mila m³, un kuwaitiano di 10 m³. Se la Repubblica del Congo, inoltre, detiene un potenziale di 270 mila m³ per abitante annui, un libico si deve accontentare di 113 m³. Tali ineguaglianze si manifestano a livello sia di continenti che di Stati, come anche a livello locale. Per quanto riguarda i continenti, l’America con il 41% di risorse idriche rispetto al 14% dell’intera popolazione mondiale, beneficia di una situazione privilegiata. I laghi del Canada e dell’Alaska danno un vantaggio di prim’ordine all’America del nord, mentre l’America del sud, dove scorre il Rio delle Amazzoni, possiede il 26% delle riserve mondiali contro il 6% della popolazione globale. L’Europa (13% di abitanti del Pianeta e 11% delle risorse idriche) ha invece una situazione fortemente irregolare: il nord Europa dispone di buone quantità d’acqua, mentre le regioni centrali e mediterranee vivono una realtà più difficile. All’opposto, l’Asia rappresenta il 60% degli abitanti totali con il 36% di riserve, infine, l’Africa l’8% di popolazione mondiale e il 15% riserve idriche.

Alcuni Stati fanno la figura di Giganti mondiali in termini di risorse. Tutto dipende dalla superficie degli Stati stessi e dalla loro appartenenza all’uno o all’altro insieme climatico. I primi dodici Paesi controllano i 3/4 delle risorse idriche totali (vedi tabella a pagina 15). Alcuni di questi possiedono i territori più irrigati del mondo, disponendo di enormi bacini fluviali. È il caso, ad esempio, del Bangladesh, della Colombia e del Congo, mentre la Russia, il Canada e la Cina hanno dell’estensioni di carattere continentale che gli permettono un bilancio idrico nazionale comunque importante, benché abbiano al loro interno delle disparità idriche accentuate. Il Brasile detiene il primato tra gli Stati più ricchi d’acqua (6.950 km³), dato che la maggior parte del suo immenso territorio si estende in zone pluviali. Al contrario, una ventina di Paesi hanno una situazione critica. La Libia, i Paesi del Golfo Persico o Cipro (dove l’acqua è importata, attraverso navi cisterna, dalla Turchia e dalla Grecia) hanno delle scarse quantità di riserve idriche. Il Kuwait detiene un record mondiale di penuria d’acqua: 0,2 km³. Quanto ai Paesi europei industrializzati questi dispongono di volumi tra i 10 e i 200 km³/annui (Norvegia 381,4, Italia 175, Malta 0,07). Questi dati, però, mascherano comunque delle forti disparità all’interno degli stessi Stati. Il nord-est brasiliano è arido, come anche il nord della Cina e il sud di quasi tutti i Paesi più ricchi d’acqua. Anche la California soffre di forti penurie d’acqua, mentre il nord-ovest degli Stati Uniti beneficia di piogge oceaniche regolari.

Le irregolarità riguardano anche gli stessi bacini idrici. Si definisce un bacino idrico come la superficie topografica dove le precipitazioni cadono verso uno sbocco unico (fiume, lago o mare interno). Questo è separato dal bacino idrico vicino alla linea di divisione segnata dalle sue acque. I principali bacini idrici del mondo si individuano per la loro estensione e per la portata dei corsi d’acqua che li attraversano, i quali sono in funzione della quantità e regolarità delle piogge. Così il bacino del Rodano dipende dal clima alpino e da quello mediterraneo, mentre la portata della Senna ha un carattere oceanico, cosicché si spiega il fatto che la gestione delle acque in Francia sia effettuata nel quadro di sei diversi bacini idrici e non attraverso quello delle regioni amministrative delle quali è composto il Paese. Il più grande bacino idrico del mondo (per superficie e capacità) è quello amazzonico, mentre all’opposto il Nilo ha un bacino fluviale immenso (6 mila km di lunghezza) che tocca più Stati, ma un flusso debole alla foce, poiché questo fiume non gode di piogge equatoriali ed è sottoposto ad una forte evaporazione oltre ad essere impiegato per l’irrigazione del deserto egiziano. Infatti, queste ineguaglianze sono fondamentalmente climatiche. Le regioni aride e semiaride con latitudine prossima ai tropici non ricevono che il 6% delle precipitazioni e il 2% di approvvigionamento dai corsi d’acqua, di contro le regioni intertropicali umide concentrano il 53% dei flussi idrici, le zone temperate il 45%, dividendosi così la quasi la totalità della rete idrografica mondiale, non considerando le zone polari ghiacciate. Esiste uno stretto rapporto tra le risorse idriche e i fenomeni climatici, come le precipitazioni e le temperature.

2. Il ruolo del clima.

La risorsa idrica dipende dalle piogge. In media le Terra riceve 800 mm di acqua e ne perde per l’evaporazione 500. Queste cifre riassumono però delle realtà molto variegate. Il bilancio idrico fa apparire delle forti differenze tra le principali aree climatiche. Alcune regioni devono tener conto di contrazioni idriche annuali. Le zone polari sono caratterizzate da bassissime temperature e hanno deboli precipitazioni. Nelle zone tropicali, invece, i deserti (Sahara, Kalahari, Atacama, etc.) sono caratterizzati da una forte aridità, con precipitazioni inferiori ai 100 mm e con alte temperature che favoriscono l’evaporazione non permettendo così alla vegetazione di svilupparsi. Al contrario, le piogge sono abbondanti e regolari sotto l’Equatore dove vi sono dei fiumi giganteschi, come il Congo e il Rio delle Amazzoni. Dall’altronde la quantità di piogge è regolare in quei sistemi climatici dove i periodi di scarsità sono piuttosto stagionali: tra una stagione fredda e una calda alle latitudini temperate; tra una stagione secca e una umida nelle zone tropicali.

Questo sistema è caratterizzato da perturbazioni non locali. I litorali sono particolarmente ricchi di corsi d’acqua alle latitudini temperate nell’ovest dei continenti e nell’est delle zone intertropicali. Questa continentalità fa sì che piova meno all’interno degli stessi continenti dato che il 35% delle precipitazioni continentali proviene dagli oceani: 1.000 mm a Brest, 500 mm a Mosca e 300 mm in Siberia. Soprattutto l’Asia è particolarmente ricca d’acqua al sud e all’est, benché l’India e la Cina dovrebbero, alle loro latitudini, avere il clima del Sahara, ma questa regione è colpita dai monsoni.

La risorsa idrica dipende dai venti. Le precipitazioni sono molto legate ai flussi d’aria che circolano sulla superficie terrestre e che dipendono essi stessi dalle differenze di pressione atmosferica. Il vento soffia sempre, infatti, in zone di alta pressione verso zone di bassa pressione. Esistono diversi grandi tipi di correnti.

La circolazione atmosferica generale è caratterizzata da anticicloni che si sviluppano al livello dei tropici, queste cellule di alta pressione spingono verso le periferie cicloniche delle masse d’aria per mezzo della forza di Coriolis (una forza apparente, a cui risulta soggetto un corpo quando si osserva il suo moto da un sistema di riferimento che sia in moto circolare rispetto a un sistema di riferimento inerziale) verso destra nell’Emisfero nord, verso sinistra nell’Emisfero Sud. Queste masse d’aria divengono gli alisei nella zona intertropicale e la grande circolazione occidentale alle latitudini temperate. Tali spostamenti d’aria si caricano di umidità sugli oceani, portando le piogge sui litorali disposti nella parte orientale dei continenti tra i tropici e, ad ovest, alle latitudini temperate. A livello dell’Equatore, gli alisei dei due emisferi si incontrano; lo sviluppo impetuoso di aria così prodotta si traduce in un fenomeno di condensazione che dà origine alle piogge equatoriali. Negli strati più alti dell’atmosfera le correnti d’aria si separano per formare i contro alisei. Questi si concentrano ai tropici (alte pressioni dinamiche) e bloccano così la possibilità di risalita di condensazione a livello dei deserti, spiegando ciò la scarsità di precipitazioni.

Il monsone asiatico è un vento regionale ciclico legato a dei cambiamenti di pressione di origine termica. Il monsone è freddo e secco in inverno e soffia in direzione del mare a partire dal Continente euroasiatico, venendo sottoposto a delle basse temperature e a delle alte pressioni. Quando le temperature e le pressioni si invertono in estate, questo diviene caldo e umido e forti piogge cadono sul Continente tra giugno e settembre. Dal monsone dipende la vita delle popolazioni delle pianure risicole super popolate dell’Asia, se questo fosse troppo forte o se arrivasse in ritardo i raccolti sarebbero perduti. Il nord dell’India, nell’estate del 2009, ha conosciuto la sua peggiore siccità degli ultimi trent’anni. Il monsone è giunto soltanto alla fine del mese di agosto e quindi la maturazione del riso non è avvenuta nei modi migliori. A corto di risorse, così, intere famiglie del Punjab hanno dovuto lasciare i loro piccoli appezzamenti per le bidonville di Delhi e diversi contadini si sono suicidati. Nella zona calda, i cicloni tropicali sono responsabili di diluvi nella parte orientale dei continenti. Questi sono costituiti da cellule depressionarie, accompagnate da ascensioni d’aria e da venti vorticosi molto violenti (300 km/h) che nascono sugli oceani nelle stagioni intermedie quando la temperatura del mare è più elevata rispetto a quella terrestre. Spinti dagli alisei orientali verso occidente, queste tempeste tropicali devastano i litorali per indebolirsi subito dopo e terminano rapidamente lungo le coste, invertendo il loro corso in direzione delle medie latitudini. Katrina ha devastato New Orleans nel 2005 e Nargis il Myanmar nel 2008.

L’acqua dipende dai castelli d’acqua montani.

Le precipitazioni aumentano con l’altitudine. Esse sono più abbondanti sul versante sopravento, dove si sviluppano fenomeni d’ascendenza, oltre la condensazione quando il versante sottovento è in posizione riparata. In media le precipitazioni raddoppiano in quantità ogni 2.000 metri. In Francia queste raggiungono i quattro metri sulla sommità del Monte Bianco, mentre il Massiccio Centrale è il castello d’acqua (riserva idrica) del Paese. Nelle zone aride, le aree pedemontane raccolgono i flussi idrici provenienti dai pendii più ricchi d’acqua: è là che sono situate le oasi coltivate ed è anche lungo gli uadi che i tuareg conducono i loro animali nel Massiccio dell’Hoggar. In Asia, sul versante himalayano esposto ai monsoni, alcune aree raggiungono i dodici metri di pioggia annuali. Tutti gli anni, provenienti dalle montagne, il Gange, il Brahmaputra e il Meghna inondano, depositando il loro limo,

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