ANNI DI VITA: Storie di gatti al confine tra istinto e volontà
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About this ebook
Entra un gattino in una casa. E il mondo cambia. Un anno dopo, entra un altro gatto. E tutto ricomincia nuovamente. Un diario scritto da un esordiente totale, che giorno dopo giorno ha imparato una nuova definizione dell'amore, condotto per la coda da due mici sempre al confine tra istinto e volontà. E, alla fine, una domanda non trova risposta: In questo dialogo continuo, in questo cercare di capirsi a vicenda tra umani e felini, chi aiuta chi, chi riempie davvero la vita a chi? Sono grato ai miei gatti, perché mi hanno consegnato una vita insospettabile, molto più densa, consapevole e ricca di prima.
"Il fatto è che si fidano. Per questo è una vigliaccata, un omicidio diverso ma non meno infame, torturare un animale: se loro hanno deciso di seguirti, si lasceranno annientare credendo ancora che sia amore. Questi animali sono soli, sapete. Soli con la loro libertà. Soli col loro sforzo di parlarci. Con il loro amore inspiegabile e invincibile, che ci lasciano anche quando sono tornati al loro paradiso. Vanno a scaldarsi sulla riva del cielo e tu senti che ti guardano, come quando li incontri per strada, dietro a un vetro".
Massimo Del Papa
Faccio il giornalista dal 1990. Ho scritto alcuni libri, di preferenza in formato ebook.
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Book preview
ANNI DI VITA - Massimo Del Papa
Anni di Vita
Storie di gatti al confine tra istinto e volontà
Massimo Del Papa
Copyright Massimo Del Papa 2013
Published at Smashwords
Se un gatto fa qualche cosa si dice che è per istinto, se noi facciamo la stessa cosa, la definiamo intelligenza.
Will Cuppy
Indice
Nerino
Umano, troppo umano
Il predestinato
Il teppista
Ostaggi
Nerino sei una bestia
Loro e noi
Gioie e dolori a quattro zampe
Il paraculo
Gatto in coperta
Relax (ma non troppo)
Bestializzando
Sparring partner
La luce
Natura umana
Gatto maleducato!
Palla, palla, palla!
Fiesta!
Odio
Linguaggi
Cartoni animati
Volontà di vita
E' amore
L'imbecille
La favola sua
Che bel caratterino
Fuga in sogno
Quel furbetto del Nerino
Soltanto un gattino
Il re
Quello che nascondi
Mister strafottenza
L'anima
Gran varietà Nerino
Nerino senza colori
Se tu non ci fossi
Tornerà l'estate
Camillo
Quegli occhi
Il volo di Camillo
La tribù (epilogo)
Cleo (la sa lunga) - Appendice
A Chet, detto Ciccio, che aveva un cuore così grande
A Lilly, che mi tremava in braccio
Al gattino bianco, che non aveva neanche un nome
Al gattino nero, che è tornato nel vento
A Leo, che è volato sul ponte
Nerino
Ti abbiamo cercato, ma come sempre ha deciso il destino. Un viaggio per raggiungerti al capolinea d'occasioni sprecate. E poi ci hai guardato mentre ti guardavamo, ed è bastato. T'avevano scartato, i superstiziosi: così nero con occhi di giada, metti qualche brivido. Ma io amo i brividi, amo le inquietudini, e tu le vai ad artigliare una per una. Sette settimane, un batuffolo d'inchiostro. Non hai protestato quando ho preso la tua gabbia. Non hai protestato tornando a casa. Sembravi perfino impaziente. Forse sentivi che era il posto tuo? Ora t'aggiri, esplori le tue stanze, timido ed incerto, entusiasta e sfrontato. Ci accompagnerai... Le tue sorprese saranno le nostre, e sento già un sottile filo di strazio mentre assaporo il tuo umido, complicato affetto: hai bisogno di tutto, sei fragile come la vita, come l'irreparabilità di tutto ciò che è stato, e che non posso cambiare. L'incosciente gioia del bambino che non abbiamo avuto ce la porti sulle zampe quando mi fissi con il tuo sguardo di mare incandescente, quando mi chiami per poi nasconderti, e allora io t'ignoro e tu mi vieni a prendere. Ruffiano e quasi offeso. Se stai in braccio a me, guardi Claudia. Se è lei che ti tiene, guardi me. Sei nato paraculo, nero e paraculo. Hai imparato subito: quando mi siedo al computer, dovunque ti trovi, te ne accorgi e come un pazzo accorri, rimbalzi per i tuoi tortuosi percorsi, t'arrampichi su me e mi lavi la faccia. Poi t'accoccoli sulle gambe, m'accarezzi con le unghie e ti lasci assopire. Ed io scrivo al ritmo delle tue fusa. Chissà se dirotti i miei pensieri... Sono i primi articoli insieme, ma giuro che non ricordo d'aver mai scritto altro che con te addosso.
Così strano, essere adorato da un mistero.
Umano, troppo umano
Non mi ero mai reso conto di quanto l'uomo imitasse la natura. Perché le appartiene, anche se lo ha dimenticato. È il mio gatto, che in realtà mi ha adottato, a ricordarmi una comune origine: più lui si comporta da gatto, e più io tendo a umanizzarlo. La zampa che lui mi appoggia addosso. La strategia contorta per stanare il cibo. Il nascondersi in un pertugio inaccessibile appena vede i guanti che annunciano gocce nelle orecchie. L'intelligenza che rivela inventando un nuovo gioco. I comportamenti atavici, istintivi, che ricalcano i nostri, ma che noi dobbiamo ritrovare risalendo a ritroso l'albero dell'evoluzione. C'è una foto di Georges Hignet su un libro di Maigret, che ritrae una prostituta degli anni '30 seduta sulle gambe di un cliente. Lei lo circonda con un braccio sulle spalle, per sentirne la fisicità e per bloccarlo. Da quando c'è il gatto, quell'arto di donna mi pare una zampa, e il segno del possesso femminile si rivela ai miei occhi più conturbante, addirittura inquietante, perché figlio di una provenienza animale. M'illudo di stabilire col mio gatto un contatto intellettuale, voglio credere che quegli sguardi adoranti siano proprio per me, che nel suo miagolio che trovo irresistibile stia nascondendo volontà consapevoli. Sono arrivato a fare ciò che ho sempre giudicato idiota nei padroni
di animali, parlargli con parole e frasi di senso compiuto: Basta? Te la vuoi finire? Stasera niente bocconcini!
. Per non parlare di quando gli faccio sentire i Rolling Stones, aspettandomi che gli piacciano, e magari di vedergli battere la zampetta. Mi sento un cretino, ma ho scoperto che è l'unico modo che conosco per comunicare con lui: formulare i miei stati d'animo. Siamo noi impediti con loro, non il contrario.
Perché con tutta la mia intelligenza
, io forse sono solo quello che gli dà da mangiare, evento che torna a renderlo un animale entusiasta e selvaggio. Gli servo, l'ho viziato, comprendo che mi usa e debbo ogni tanto ripagarlo della stessa moneta, l'indifferenza, l'egoismo per vederne riaffiorare l'affetto. Tende a diventare prepotente, e ho imparato che guardandolo negli occhi, con un tono di voce fermo, secco, riesco a ristabilire una gerarchia sempre sul punto di sfuggirmi. Sono gatti, niente di meno e niente di più. Eppure mi cerca. Eppure non posso fare un passo senza ritrovarmelo addosso. È lui a stabilire un legame: non tollera vedermi sedere al computer se non per occuparmi di lui: appena stacco le mani dalla sua schiena per posarle sulla tastiera lui protesta, nel suo modo adorabile: miagola e miagola finché non gli do retta: allora si erge sulle zampe, minuscolo com'è, mi scala
letteralmente, raggiunge la mia faccia e la copre di bacini con la sua lingua rasposa. Quindi s'accoccola e mi lascia lavorare. Le sue unghiette, già micidiali, non mi hanno mai graffiato, nemmeno per gioco. Posso percepirlo davvero, ci sta attento, si fa prendere le zampe e gli piace che i suoi polpastrelli tocchino i miei. Però quando gli infilo nelle orecchie il flacone per le gocce diventa una furia, il suo musetto tenerissimo si contrae nella maschera demoniaca che ha ispirato tanti racconti dell'orrore, e i suoi artigli hanno squarciato i miei guanti di lattice. Poi fa l'offeso: mi guarda in tralice e per un po' non si degna di farsi prendere in braccio. Gli passa presto, ma solo quando vuole lui. Ecco, sto umanizzandolo ancora. Mi pare anche che obbedisca: nella cesta!
, ordino, e lui, docile, si arrampica, si mette quieto. Si accomoda e mi guarda come a dirmi: visto, che faccio il bravo?
Non ho esperienza, non so se tutti i mici si comportino così o se proprio il mio sia speciale (ogni micio è speciale al padrone suo), so solo che questo è affettuoso in misura esagerata: mi pare terrorizzato alla sensazione (stavo per dire: all'idea) di restare ancora solo, mi dicono fosse un trovatello, separato troppo presto dalla madre. Ho fatto delle prove: appena esco dalla stanza comincia a piangere, se rientro si calma. Gli basta solo vederci, me o mia moglie. Starò umanizzando una volta di più, ma col cavolo che mi sbaglio. Una volta o l'altra, questo gatto indipendente e coccolone, mi sa che finirà col dire: non dimenticatemi, eh!
In una settimana ha travolto la nostra casa, i nostri giorni e ci pare di non avere mai vissuto senza di lui. Pazzesco, come un esserino così piccolo (ma vivace in proporzione) dia tanto da fare: per reazione ai guai che combina, alla polvere che scova e lascia in giro, la nostra umile dimora non è mai stata tanto pulita. Adesso sto scrivendo queste righe su di lui, e Nerino s'è trovato una poltrona sulla mia spalla. Ho un gatto nero sulla spalla, ed è una sensazione bellissima.
Il predestinato
Da cosa ho capito che quel minuscolo sorcetto scovato su internet era speciale, era quello che mi aspettava? Non lo so, sono misteri che è bello lasciare tali, io so solo che quando Franca me l'ha mostrato mi è venuto spontaneo prenderlo in braccio, io che avevo sempre avuto il terrore delle bestiole. Il Nerino invece m'ispirava tenerezza, voglia di accarezzarlo, di stabilire un contatto con lui. Che fosse un micino molto buono si vedeva subito, dove s'è visto mai un gatto di 40 giorni chiuso nella gabbietta per tutto un viaggio di 50 chilometri senza mai agitarsi? Lui andava incontro al suo sconosciuto destino, stava lì sdraiato, ogni tanto guardava in alto, come a rassegnarsi, poi si rimetteva quieto. Neanche un miagolio. Una volta a casa è corso dietro la lavatrice, nel buco nero irraggiungibile. Ma è stato un attimo: dieci minuti dopo, già ronfava in grembo a mia moglie. Sia quello che sia, io qui ho trovato casa, dopo che mi hanno tolto la madre e i miei fratellini uno per uno.
Giorno dopo giorno, abbiamo costruito un legame che farebbe inorridire qualsiasi etologo, perché si può solo definire morboso. L'ho viziato, ebbene sì. Questo gatto ha il terrore di star solo, dobbiamo esserci noi in giro e allora si calma, gioca anche per conto suo, ma non in una stanza vuota. Cerca il fisico. Mi sta attaccato come una protuberanza, e per lui ho sacrificato quel sommo piacere che è la scrittura. Non posso sedermi al computer senza che mi salti sulle gambe, e poi protesta se mi sposto, se mi sgranchisco: io sono il suo cuscino, fine della storia. Non posso sdraiarmi sul divano senza vedermelo piombare addosso (una volta mi è planato sulla testa, a zampe larghe, pareva un pipistrellone), e poi si lagna perché pretende la posizione che ha imparato a prediligere: fra il mio corpo e lo schienale. A pancia in su, le zampe distese, come pigliasse il sole, li mortacci sua. Vuole stordirsi di coccole, da buon gatto. I primissimi giorni mi trattava come una mamma, non sono un esperto ma non credo mi riconoscesse come una specie differente. Senza preavviso mi guardava fisso fisso, con un'intensità inquietante che io giudicavo supplichevole: non lasciarmi. E poi mi tempestava di bacetti, no, non era l'annusare che ormai conosco bene, erano proprio quei