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Sahara, sabbia e sangue
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Sahara, sabbia e sangue

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Sahara Sabbia e Sangue è un romanzo il cui protagonista, che prenderà il nome di Bruto
Nulli II, è un legionario straniero del Tercio spagnolo. In realtà però il nostro scanzonato
e sarcastico antieroe è un italiano tifoso della Lazio che, per colpa di una boutade – qualcosa
tipo non voglio stare in Italia il giorno in cui la Roma vincerà lo scudetto – inizierà un’avventura che andrà avanti per inerzia e per una sorta di incapacità del personaggio di ammettere la propria anormalità. Così si passerà da una battuta fatta per motteggio a tutta una serie di scherzi da caserma che lo accompagneranno per tredici mesi, dall’arruolamento del giugno 2001 all’epilogo di fuoco del luglio 2002. Di stanza a Melilla, enclave spagnola circondata dal Marocco, concluderà la sua fuga su un isolotto conteso che si erge nello stretto di Gibilterra. Non senza tuttavia aver prima incontrato predoni del Ri , formiche sconosciute, incantatori di cobra, dromedari travestiti e camerati – Ercolino-sempre-in-piedi su tutti – dal destino irrimediabilmente segnato. Marciare per non marcire rappresenterà alla ne l’unico modo per tornare a casa, dove la bandera gialla e rossa di Spagna riacquisterà il suo originario signi cato. Il tutto in funzione di una manciata di ultime righe attraverso le quali l’autore sovverte come al solito ogni certezza.

LanguageItaliano
Release dateFeb 6, 2013
ISBN9781301467730
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    Sahara, sabbia e sangue - Pierluigi Felli

    CAPITOLO PRIMO – MONDOVADO

    Tutto ebbe inizio nel gennaio del Duemilauno.

    Era appena terminato il girone d’andata del massimo campionato di calcio ed io avevo già intuito come sarebbe andata a finire. Non che fossi un veggente e nemmeno un trentacinquenne dall’intelligenza superiore o un grande esperto di calcio. Diciamo che lo sentivo e basta, anzi di più: ne ero certo.

    Io insomma sapevo chi avrebbe vinto lo scudetto, cioè la Roma, e volevo a tutti i costi tutelarmi. Non avrei potuto impedirlo, questo è ovvio, e neanche mi sembrava opportuno sprecare preghiere. Volevo solamente disporre un mio piano di fuga al fine di non stare in Italia quella maledetta domenica di giugno, che inesorabile sarebbe arrivata e mi avrebbe fatto molto male. Tutto qui.

    Nel momento in cui sto per scrivere le motivazioni alla base di tale decisione – è normale per un romanziere entrare con la penna in ciò che di intimo, profondo e anche oscuro può avere una scelta così bizzarra – mi viene da pensare al fatto che a volte ragioni non ce ne sono e ogni cosa avviene senza un preciso motivo. È così, lo senti dentro, ma non riesci a spiegarlo. Sfugge alla razionalità, attiene alle viscere e non puoi farci nulla.

    Ad esempio, questa storia che ho appena cominciato a raccontare prevede due persone fondamentali per evolversi. Una è l’editore, senza le cui insistenze voi non avreste questo libro in mano. L’altra è un uomo che, sebbene mai ritornerà nel racconto, potrebbe essere definito addirittura una figura essenziale nell’economia del romanzo perché senza di lui il viaggio, la fuga dai festeggiamenti giallorossi non si sarebbe potuto realizzare.

    Ebbene, con costoro io non ho mai avuto uno screzio: siamo in rapporti di reciproca cordialità, sicuramente leali e, se non proprio di amicizia, comunque di rispetto, di condivisione o al limite, per tenermi basso, di buon vicinato. Quando tuttavia penso al fatto che quei due sono pure romanisti, allora non posso fare a meno di odiarli.

    Si può dunque spiegare la causa, anche recondita, di un siffatto odio? Non avendo vinto il Campiello, credo di no.

    Molto meglio scrivere soltanto di una serie di avvenimenti, alcuni fortemente voluti ed altri del tutto fortuiti, e dell’immane sproporzione tra l’esito di morte, che si sarebbe potuto facilmente concretizzare per quanto vi sono andato vicino, e un prologo al contrario allegro, comico e che comunque mai avrebbe fatto immaginare un epilogo dalle conseguenze tanto gravi. Il tutto senza appunto addentrarmi in quelle analisi psico-sociologiche che, per mancanza di alternative, ci tocca sentire solo nell’allineato salotto della Domenica Sportiva, detta anche Tanti bla bla bla e poche immagini.

    Quindi per riassumere: era gennaio, faceva freddo, guadagnavo poco ma me lo facevo bastare, guidavo una Panda 30 maggiorenne, non avevo telefonino, niente bancomat o carta di credito, vivevo ancora con i miei vecchi, la mia ragazza se n’era andata da un anno e mezzo, non ero felice ma in compenso vivacchiavo tranquillo, mi ero pure fatto da non molto un’amante sosia del sindaco di Milano (la Moratti, non Albertini) e i romanisti continuavano senza soste a starmi tutti sul cazzo senza una specifica ragione.

    Ma in fondo questa che state per leggere, oramai l’avrete capito, è una storia senza specifiche ragioni.

    L’elenco appena ultimato sarebbe potuto essere più lungo e non solo, anche più articolato. Per ogni parola si poteva aprire una parentesi, un approfondimento, una finestra che affacciasse nella casa della mia vita di uomo qualunque, anonimo, comune. Non l’ho fatto per il puro timore di risultare noioso. A me basta far comprendere – e per questo bastano pochi tratti – la quotidianità nella quale mi trovavo al tempo in cui mi spuntò nella zucca quell’assurda idea. Qui sì, invece, che c’entrano le motivazioni. Chi fugge per andare incontro ad un’esistenza futura non può infatti non pensare, anche solo per qualche secondo, a ciò che potrebbe attenderlo e soprattutto a cosa lascia a casetta sua. Poco o tanto, non saprei. Io so soltanto che lasciavo un elenco di cose. Un elenco che per alcuni forse sarebbe stato del tutto diverso dal mio. Penso a chi dice che è povero ma poi fa colazione al bar, penso ai Suv, al sushi, a frasi come: «questa cavne è teneva come il buvvo», al rum e pera, a Bruno Vespa, agli happy hours o a situazioni del tipo ora faccio la road map per arrivare nella location dove abbiamo il reading.

    Certo, la gente che si esprime così non lascerà mai niente, perché quanto lascia pretende di ritrovarlo anche nel luogo dove arriva. Che se non è Porto Cervo è Formentera, non si scappa. Chi invece deve scappare per davvero il posto non se lo può scegliere, ma è quest’ultimo a scegliere lui.

    Kourou, Mururoa, Gabode, Oueah, Ceuta, Melilla, Dzaoudzi e Calvi sono soltanto alcuni degli assolatissimi e a volte impronunciabili avamposti (non posti) costantemente aperti nell’accogliere uomini più o meno costretti a disancorarsi dal proprio porto perché in fuga da qualcosa. Non da erre mosce, questa volta, bensì da gendarmi che vorrebbero tanto raggiungerli o da donne che invece si vorrebbe tanto dimenticare. Che siano amori passati a qualcun altro o sentenze passate in giudicato non fa molta differenza, perché il risultato non cambia quasi mai: l’illusione è dietro l’angolo, anche se questo sta in capo al mondo, e la disperazione riaffiora comunque. Chi si allontana, insomma, ha sempre torto e spesso, nonostante i muscoli o il naso schiacciato, la cicatrice sul ventre o un tatuaggio scolorito sul petto, è soltanto un vigliacco che non ce la fa ad affrontare il proprio destino. Non a caso, in Legione, il ragazzo che supera il portone della caserma di prima accoglienza viene subito battezzato Bibì. Oh m’sieurs, diamo il benvenuto al nuovo Bibì te dicono proprio in francese perché il nome trae la propria origine da un antico detto transalpino: Bibì s’en va, bébé viendra! Se Bibì se ne va è perché sta per arrivare un bebè. Come dire: quando la femmina resta incinta, il maschio scappa via.

    Sicuramente, infine, c’è pure chi decide di sfidare l’ignoto perché invischiato in altre situazioni – tipo mancanza di famiglia o di pane – o affascinato dal mai domo spirito d’avventura che persino oggi, nel terzo millennio, ancor rugge in qualche moderno guerriero.

    Ce ne sono, credetemi, ma io non rientravo tra costoro. Io mi sarei arruolato nella Legione Straniera spagnola, nel famigerato Tercio, solamente perché non volevo più sentir parlare dell’A.S. Roma.

    Ma vi rendete conto?

    Nell’aiutarmi a raggiungere questo scopo ci mise la zampa anche la sorte – niente di strano –, che prese le sembianze di un falsario, il romanista di prima, e di un semplice foglietto di pubblicità, ricordo di un mio zio, che ritrovai in cantina mezzo strappato, roso da chissà quale coleottero, impregnato di stantio, voi mi capirete, ma ancora leggibilissimo. Quantomeno a senso.

    C’era scritto … Españoles y extranjeros… artistas, caballeros, poetas, músicos, antiguas militares, ingenieros, médicos, escritores, abogados, cómicos, campesinos… Todos ellos componen las gloriosas legiones del Tercio… e nell’osservarlo mi vennero presto in mente due o tre pensieri: che lì ogni categoria era ben accetta, che lo spagnolo è un italiano con la esse finale e soprattutto che il numero di telefono stampato sotto in piccolo poteva anche essere ancora attivo. Poi lessi pure la specificazione, fondamentale, che con quel extranjeros si intendevano solamente gli stranieri di chiara e certificata origine latina. A me in Latino la professoressa Roma – un nome una condanna – mi affibbiava per consuetudine cristallizzata

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