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Informazioni e sicurezza esterna francese: una genealogica (1680-2008).
Informazioni e sicurezza esterna francese: una genealogica (1680-2008).
Informazioni e sicurezza esterna francese: una genealogica (1680-2008).
Ebook139 pages1 hour

Informazioni e sicurezza esterna francese: una genealogica (1680-2008).

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About this ebook

Spionaggio e intelligence sono da tempo i soggetti preferiti sia del grande pubblico che degli specialisti. L'attenzione intorno al caso Wikileaks, a quello Renault, come pure per l'attacco, condotto a fine 2010, ai computer del Ministero dell'Economia francese durante la presidenza di Parigi al G20, hanno ancora una volta confermato il livello di attenzione verso questi temi da parte dei media e del pubblico. Si rivela così fondamentale seguire l'evoluzione storica dell'intelligence d'Oltralpe per capirne la situazione attuale e tracciare delle linee guida utili anche nel nostro Paese.

LanguageItaliano
Release dateMay 18, 2013
ISBN9781301850532
Informazioni e sicurezza esterna francese: una genealogica (1680-2008).

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    Book preview

    Informazioni e sicurezza esterna francese - Franck Bulinge

    Introduzione

    Torna all’Indice

    La pubblicazione del Libro bianco 2008 sulla difesa e sicurezza nazionale¹ lancia il segnale di una riforma profonda del sistema di intelligence francese, incoraggiata tanto dal potere politico quanto dalla necessità. Infatti, essa al contempo risulta, a priori, da un riorientamento del potere esecutivo, dall’evoluzione delle problematiche della politica internazionale e dalle minacce attuali che la nazione deve fronteggiare.

    La riforma francese non è un fenomeno isolato. Pare, infatti, di assistere a una vera e propria rivoluzione dell’intelligence occidentale in seguito al fallimento del sistema di intelligence americano messo in luce dagli attentati dell’11 settembre 2001 e dai successivi avvenimenti, in particolare la guerra in Iraq. Com’è stato possibile che il più grande sistema di intelligence al mondo, dotato di mezzi colossali e di un’organizzazione tentacolare, non abbia saputo anticipare una minaccia tale? La questione, posta in questi termini alla conclusione dell’inchiesta parlamentare americana sugli attentati dell’11 settembre, sembra logica e sorprendente nella sua semplicità e in realtà rivela una problematica molto più complessa.

    Infatti, se la sovrabbondanza di mezzi e di tecnologie dell’intelligence americana non è bastata a fare della buona intelligence, ciò prova che il sistema non ha funzionato, ovvero che non era adeguato alla realtà. Si tratta di una costatazione bruciante per milioni di contribuenti e incoraggiante per i nemici dell’Occidente. Di fatto, le difficoltà riscontrate dai servizi di intelligence trovano la loro origine da un lato nell’evoluzione rapidissima, nella diversificazione e dispersione delle minacce, ma dall’altra nell’evoluzione profonda del mondo e dell’umanità, segnata dalla globalizzazione e dalla nascita di una società dell’informazione e della conoscenza, pur annunciata da Marshall McLuhan nel 1967.

    L’ondata di riforme dei sistemi di intelligence occidentali non è dunque una mera peripezia politica, un capriccio del Principe. Essa emerge da una tripla rivoluzione (sociale, geopolitica e tecnologica) che richiede e traduce una necessaria ridefinizione dei bisogni dei servizi di intelligence in termini di conoscenze teoriche e metodologiche, ma anche di intelligence, in merito alla quale Edgar Morin scrive che può essere riconosciuta innanzitutto come arte strategica nella conoscenza e nell’azione.²

    Non sorprende quindi che il Libro bianco sulla difesa e sicurezza nazionale sottolinei la necessità di sviluppare in Francia la ricerca nelle scienze umane e sociali sulle questioni strategiche: investire nell’ambito della ricerca di alto livello e nella formazione superiore equivale altresì a contribuire a una buona comprensione dell’apparato di difesa e di sicurezza da parte della società. La comunità scientifica si trova pertanto di fronte a una grande sfida e a un’opportunità che deve cogliere. La creazione del Consiglio superiore della formazione e della ricerca, nel 2009, prova la realtà della riforma annunciata dal Libro bianco e, stando alla lettura degli atti delle basi dell’8 giugno 2011,³ il lavoro è enorme e le poste in gioco tolgono il fiato: cecità strategica, fallimento dei modelli, debolezza degli avvisi, crisi di governance e di anticipazione, le parole suonano come allarmi nella cabina di pilotaggio di un aereo. Ora, queste parole in filigrana suggeriscono la necessità di migliorare il sistema di intelligence. Capiamoci, si tratta del sistema nel senso di dispositivo globale, e non solamente di mezzi o di organizzazione.

    Problematiche della ricerca sull’intelligence

    In un saggio critico apparso nel 2007, il giornalista Philippe Madelin solleva giustamente una serie di questioni fondamentali: I servizi sembrano essere simultaneamente su tutti i fronti. Sono però adeguati al mondo d’oggi? I loro metodi sono compatibili con le problematiche delle relazioni internazionali globalizzate? Questi funzionari sono armati contro le nuove minacce, pur imponendosi l’applicazione dei principi fondamentali della democrazia? In sintesi, i servizi francesi sono all’altezza delle problematiche che dominano le relazioni internazionali? La loro organizzazione è compatibile con le missioni loro assegnate? Le zizzanie che troppo spesso li contrappongono non ne compromettono le missioni? Non mascherano lacune più gravi?.

    Rispondere a queste domande, grazie in particolare a una politica di ricerca adeguata, può sicuramente contribuire a migliorare il nostro sistema di intelligence. Dunque la questione principale è proprio contribuire a far evolvere l’intelligence francese in un contesto di iperinformazione, e perfino, come vedremo, di ipercomunicazione.

    Missione impossibile?

    L’intelligence, la cui pratica risale alla più remota Antichità, paradossalmente continua a essere un mistero noto a tutti. Confinata nello spazio ermetico del segreto di Stato, è per natura difficilmente accessibile agli accademici, e rimane, soprattutto in Francia, un territorio inesplorato. Più in generale, si può leggere nel Libro bianco 2008 che Poco rappresentate in seno al mondo accademico, le ricerche nell’ambito delle scienze umane e sociali dedicate alle questioni di difesa e di sicurezza oggi contribuiscono insufficientemente alla costruzione di una cultura scientifica in questo campo. È opportuno dunque riconoscerne il ruolo, accanto alla ricerca scientifica e tecnologica e alla ricerca strategica.

    Per gli accademici la difficoltà principale è avere al contempo una visione generale e una conoscenza dettagliata dell’intelligence in quanto oggetto di ricerca. Sfida improbabile, poiché se è vero per un’organizzazione aperta, lo è ancora di più in un sistema di organizzazioni retto da regole di compartimentazione, di segreto e del bisogno di conoscere, ma anche da sistemi di culture diverse (politiche, diplomatiche, poliziesche e militari). L’intelligence fa riferimento, infatti, alle nozioni di difesa e di sicurezza che, sebbene fortemente legate e interconnesse (in particolare nell’ambito antiterroristico), nelle democrazie occidentali rimandano a tutt’oggi a due problematiche distinte. Da un lato i poliziotti agiscono teoricamente all’interno del territorio nazionale, in un quadro legale e con delle finalità ben definite; dall’altro il personale della direzione dell’intelligence militare e dei servizi speciali agisce all’esterno delle frontiere nazionali, in condizioni e secondo regole non sempre esplicite. Ci si rende conto che in realtà questa norma di territorialità non è sempre adeguata alle realtà operative dei diversi servizi di intelligence.

    Un vasto campo di studi

    Per studiare l’intelligence bisogna affrontarla come uno spazio pluridimensionale che richiede conoscenze teoriche, strategiche, tecnologiche, politiche, socioeconomiche, giuridiche, geopolitiche, storiche e culturali. Queste dimensioni sono strettamente interdipendenti e insieme formano un sistema. Ne consegue che non si può concepire lo studio dell’intelligence al di fuori di una visione globale e senza un’acuta conoscenza della sua complessità. In altre parole, non può essere affrontata come un tutto senza considerarne le parti, e viceversa. Caso contrario, il suo studio non può che risultare semplificatore e suscitare controversie. Studiare, per esempio, l’intelligence da un punto di vista teorico, senza tener conto della dimensione tecnologica, economica e strategica, sarebbe un puro esercizio di stile. Ciò spiega il carattere multidisciplinare del tema ma anche, a livello accademico, la necessità di un approccio interdisciplinare, poiché si tratta di comprendere l’intelligence nella sua complessità.

    Obiettivo e delimitazione dello studio

    L’obiettivo principale di quest’opera è esplorare le dimensioni dell’intelligence di difesa, nel senso di intelligence di interesse militare (DRM) e di sicurezza esterna (DGSE), con la finalità di contribuire all’elaborazione di una teoria moderna dell’informazione e dell’intelligence strategica.

    Questa scelta richiede due osservazioni: la prima riguarda l’inadeguatezza della nozione di difesa che continua a caratterizzare la cultura strategica francese e che è simboleggiata dalla Linea Maginot, in un universo strategico estremamente dinamico. Per questo preferiremo il termine intelligence esterna, che sarà progressivamente sostituito in quest’opera da quello di intelligence strategica, al fine di dare conto dell’evoluzione ineluttabile del modello in quanto grande funzione strategica, come definito nel Libro bianco sulla difesa e la sicurezza pubblicato nel 2008. La seconda osservazione rimanda proprio a questo Libro bianco, che tende a sopprimere la frontiera tra le nozioni di difesa e di sicurezza, al punto da turbare i sostenitori di una netta separazione tra le due attività. In materia di intelligence, ciò si traduce in particolare nella creazione nel 2010 dell’accademia dell’intelligence, segno della volontà politica di avvicinare i servizi e di costruire una base metodologica comune. Converrebbe dunque trattare insieme i due ambiti, anziché separarli. Tuttavia, la realtà degli attori e dei sistemi⁴ richiede pragmatismo e buon senso. Infatti, non si può cambiare, né mescolare sistemi di culture così diversi, per semplice decreto, per quanto forte ed emblematico. Ci vuole tempo e, soprattutto, che ciascuno sia in grado di definire il proprio modello fondato su un concetto e dei metodi provati e trasferibili. Ineluttabilmente, ciò implica una fase di concettualizzazione di ordine epistemologico (come si costruisce l’intelligence, ovvero la conoscenza strategica, e accessoriamente, come la si utilizza). Di fatto, se le finalità sembrano convergere verso un fine comune, ogni soggetto può ancora e deve essere trattato separatamente senza che questo nuoccia all’insieme. Infatti, le attività dei servizi del Ministero dell’Interno (DCRI) e del Ministero delle Finanze (TRACFIN, DNRED) sono per propria natura distinte da quelle dei servizi del Ministero della Difesa (DRM, DGSE) e vincolate dal diritto. L’intelligence militare o di interesse militare, incarnata dalla DRM, dipende da un contesto variabile, in tempo di pace, di crisi e di guerra, in cui emergono delle situazioni estreme. Mette in atto dei mezzi e dei metodi che poco si addicono al diritto interno e internazionale; per quanto attiene ai servizi speciali, incarnati dalla DGSE: essi rientrano nella ragione di Stato e in larga parte si affrancano dai vincoli del diritto, secondo una logica estrema del chi s’è visto s’è visto.

    Tralasceremo volontariamente la questione dell’intelligence di sicurezza interna, che dipende dal Ministero degli Interni (DCRI) e dell’intelligence che dipende dal Ministero dell’Economia (TRACFIN, DNRED).

    Seguiremo tre interrogativi cui

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