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Genesis: Due mondi. Una missione
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Ebook470 pages7 hours

Genesis: Due mondi. Una missione

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About this ebook

Azione, spionaggio, indagini poliziesche ed intrighi internazionali, in thriller unico che fonda le radici in un nuovo genere di realtà scientifica, prodotta dell’immaginazione dell’autore.
Romanzo poliziesco danese: un successo internazionale.
LanguageItaliano
PublisherBookBaby
Release dateJul 10, 2014
ISBN9788799640782
Genesis: Due mondi. Una missione

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    Book preview

    Genesis - Claus M. Lohman

    ———————————————————————————————————

    PRIMA PARTE

    ———————————————————————————————————

    1

    David Stoltzfus tirò il freno a mano della sua Chevrolet Trailblazer del 2001, presa a nolo e mise la marcia in folle. Poi girò la chiave del SUV, mettendo a tacere il borbottio del motore.

    Aveva viaggiato nel fuoristrada per circa un mese: aveva solo ventitre anni e non aveva mai guidato un’auto prima. Aveva la patente da sole quattro settimane, dopo un corso intensivo di teoria e pratica con Jack Drummond, l’istruttore di guida di Lancaster.

    David si era subito abituato al SUV, ma l’ebbrezza della guida, che non aveva veduto l’ora di provare, sorprendentemente stava già affievolendosi.

    Si cacciò le chiavi dell’auto nella tasca dei suoi nuovi jeans, acquistati in un negozio della capitale della Pennsylvania: si trattava dei primi abiti non fatti su misura per lui. Aveva atteso con impazienza il momento in cui avrebbe potuto andare a comperarsi i vestiti da solo.

    Ora però, non era poi tanto sicuro della scelta. I calzoni gli sembravano così stretti. Pensò per un attimo di rimettersi i suoi soliti pantaloni blu scuro, che la madre gli aveva cucito e nei quali si sentiva così a proprio agio. Si aggiustò le bretelle e si riposizionò la camicia attillata nei pantaloni. L’indumento, senza maniche, metteva in bella vista i suoi bicipiti atletici e ben scolpiti, come il resto del suo fisico asciutto, dal duro lavoro alla fattoria.

    Attraversò la strada, fermandosi a due passi dall’edificio a due piani che ospitava il dormitorio dove abitava temporaneamente, vicino al centro di Philadelphia.

    Di fianco alle automobili, due poliziotti stavano parlando con un ragazzo, che David immaginò essere Chris: si stava stringendo nelle spalle, rassegnato.

    Uno dei poliziotti scarabocchiava qualcosa sul suo taccuino, mentre l’altro consegnava al ragazzo un foglio di carta e sembrava dargli indicazioni, così almeno pareva a David, mostrando un punto in fondo alla strada.

    Il giovane annuì, chiaramente irritato ed iniziò ad avviarsi verso il luogo che gli era stato indicato dal poliziotto.

    David, proseguendo oltre l’ambulanza e le automobili della polizia parcheggiate lì, si avvicinò ai due pubblici ufficiali. Scusate, io vivo qui!, cominciò educatamente con un tono di voce basso, facendo cenno con il capo verso l’edificio grigio che ospitava il dormitorio, proprio di fronte a lui. Cosa sta succedendo?

    Uno dei due poliziotti avanzò di un passo verso David, fermandosi davanti al nastro che impediva l’ingresso, proprio per ribadire il concetto. E’ stato rinvenuto un cadavere qui: una giovane donna, rispose l’uomo con un tono incolore.

    David fissò il poliziotto senza parole. Cosa ha detto? esclamò, con voce strozzata. Non aveva ancora conosciuto molti dei suoi coinquilini del dormitorio, perchè era arrivato solo da circa un mese, ma aveva un’idea sommaria delle varie persone che risiedevano lì. Non potè trattenere la curiosità e chiese Sapete di chi si tratta?

    Il secondo ufficiale li raggiunse e guardò David con un’espressione tranquilla. Non deve preoccuparsi di nulla, signore, rispose con tono più pacato e rilassato del suo collega, Ma ha detto che lei vive qui?

    David annuì: Sì, è così!, rispose, sperando di poter avere accesso all’edificio.

    Il poliziotto di nuovo prese il proprio taccuino. Qual’è il suo nome?, chiese al ragazzo, mentre scarabocchiava le sue generalità sulla pagina.

    Il secondo ufficiale passò un foglio a David: Sfortunatamente dovrà andare alla stazione di polizia, per rilasciare una dichiarazione disse, indicando la strada. E’ giusto a due isolati da qui, proprio dietro l’angolo, sulla destra. Questa è una cartina che mostra come arrivarci.

    David prese il foglio e cominciò a studiarlo. Si trattava di una foto aerea del quartiere, sulla quale era tracciato il percorso per raggiungere il commissariato.

    Posso cambiarmi prima?, chiese David. I jeans iniziavano a dargli davvero noia.

    Il primo poliziotto gli sbarrò la strada con il braccio. No, deve andare immediatamente alla centrale!, aggiunse con tono freddo.

    David istintivamente arretrò di un passo.D’accordo. Scusi!, mormorò educatamente, mentre lo sguardo gli corse malvolentieri nella direzione indicata.

    Un raggio del sole di quella tarda estate raggiunse il suo viso per via dell’intervallo tra le case a bordo strada e lo costrinse a stringere gli occhi, mentre la luce tagliente e calda lo investiva e si perdeva sui suoi riccioli biondi, freschi di taglio.

    Raggiunse l’angolo di strada che gli era stato mostrato e svoltò, provando gratitudine per l’alto edificio che impediva ora alla luce del sole di tormentargli gli occhi. Si sentì al sicuro nella fresca ombra, proprio mentre scorgeva in fondo alla strada quello che sembrava essere il commissariato.

    Di norma avrebbe evitato la polizia e tutte le forme di autorità, per cui non era con particolare piacere che ora si trascinava verso l’edificio. Non capiva perchè avesse bisogno di rilasciare una dichiarazione, ma dato che aveva provato a sollevare obiezione con scarso successo, non gli rimaneva molta scelta, se non quella di attenersi agli ordini.

    Avanzò lento e controvoglia, tra alti grattacieli che svettavano ai lati della strada e tentando di schivare sul marciapiedi manager stressati ed accigliati, che sfrecciavano saldamente aggrappati alle proprie ventiquattrore, oltre a diverse altre persone affaccendate in più piacevoli attività, ma con un passo altrettanto veloce.

    Era stato davvero colpito dal ritmo e dall’energia che la grande città emanava, ma dopo qualche settimana di questa vita, tutto ciò gli pareva molto meno affascinante di quanto sembrasse all’inizio.

    David si fermò pazientemente ad attendere il verde al semaforo pedonale della trafficata strada nella quale si trovava il posto di polizia. Rimase ad osservare diversi altri pedoni non altrettanto pazienti, che sebbene il semaforo fosse rosso, attraversavano, causando le reazioni degli automobilisti, costretti a frenare bruscamente ed a suonare vigorosamente il clacson. Spesso i pedoni rispondevano con altrettanto vigore, quasi si trovassero dalla parte della ragione.

    David si chiedeva il perchè di così poco rispetto reciproco. Era stato cresciuto nei valori dell’altruismo e della generosità, ma in quella grande città americana, questo stile di vita sembrava piuttosto un’eccezione alla regola. Sentiva più che mai la mancanza di casa, della sua chiesa, che era in realtà essenzialmente la ragione del suo soggiorno a Philadelphia.

    Il semaforo divenne verde, David attraversò la strada e raggiunse la stazione di polizia, sminuita, nonostante i suoi quattro piani, dai giganteschi edifici che la circondavano. Aprì la porta d’ingresso e si face strada all’interno, ritrovandosi nella piccola stanza che accoglieva il front office. Il locale ospitava il desk sulla destra e sulla sinistra una panca, l’ascensore ed un corridoio.

    Si avvicinò alla reception, dove una ragazza di colore dal tono molto irritato, stava strillando ad un uomo più anziano, all’apparenza ubriaco. Siediti là ed aspetta con gli altri! Gli urlò queste parole in malo modo, indicando con il dito lo spazio tra le panche dove già si trovavano una dozzina di persone in attesa.

    L’uomo singhiozzando barcollò verso i posti a sedere, lasciando finalmente in pace la ragazza all’accettazione.

    David le si avvicinò timidamente.  Mi scusi, signorina, le disse mi hanno chiesto di venire qui in relazione al corpo rinvenuto al numero 12 di Pier Street.

    L’addetta dell’accettazione lo degnò della sua attenzione e addentando un boccone del proprio muffin, Quale è il suo nome?, gli chiese masticando.

    David Stolzfus, rispose lui, con la zeta.

    La ragazza alzò di sfuggita lo sguardo su di lui, come a dire che già lo sapeva, premette un pulsante blu e ripetè il suo nome nel microfono che le stava davanti. Gli diede un’altra occhiata ed aggiunse, imbronciata, Con la zeta. Poi gli indicò la fila di panche dove anche l’ubriaco era stato indirizzato, Si sieda lì ed aspetti di essere chiamato!

    David annuì educatamente, Grazie mille, signorina!, rispose mentre si dirigeva verso le panche. Scorse il tipo che prima aveva visto parlare con i poliziotti: credeva si chiamasse Chris.

    Gli si avvicinò lentamente e notò che stava ascoltando un altro uomo. David si sedette in un posto vuoto alla loro sinistra e prestò attenzione a sua volta, alla conversazione.

    Non ne sono sicuro, Chris, sentì dire l’altro uomo, confermando che il suo nome era appunto questo, ma Jimmy diceva che Melissa l’aveva trovata sul letto. E’ stata violentata ed accoltellata! C’era del sangue dappertutto! Melissa è quasi svenuta quando ha trovato la povera Celine! Ha cominciato ad urlare ed è arrivato un sacco di gente. Jimmy era nella sala comune quando ha sentito Melissa strillare e ha raggiunto la stanza di Celine seguendo le sue urla! La camera era già piena di gente! Aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava e quando ha visto il verso della Bibbia scritto sul muro con il sangue di Celine, per poco non sviene!

    David serrò gli occhi scioccato.

    Conosceva la ragazza uccisa.

    Chris, tutto assorbito dalla questione, si era spostato sul bordo della panca con il viso completamente girato verso l‘altro uomo, che stava evidentemente informandolo su ciò che sapeva dell’accaduto. Che verso della Bibbia era?, chiese Chris con gli occhi di fuori per la curiosità.

    L’altro tizio si appoggiò all’indietro Qualcosa dal nuovo Testamento, sul fatto di andarsene e separarsi. Non ho un’idea di cosa significhi, ma si tratta chiaramente di un pazzo furioso per fare una cosa del genere!

    David, che aveva ascoltato tutto, era sotto shock per la notizia della morte così orrenda di Celine. Avevano chiacchierato diverse volte loro due, al dormitorio.

    La notte precedente avevano bevuto qualcosa insieme; solo qualche birra, ma dal momento che non aveva mai bevuto alcool prima, erano bastate per metterlo knock out. Non si ricordava come fosse andata a finire la serata.

    Un pensiero assillante si fece strada nella sua mente, distraendolo per un attimo dalla terribile emicrania che gli trapanava la testa. Era convinto di non aver causato la sua morte.

    Fino a quel momento, non aveva avuto intenzione di intromettersi nella conversazione dei due uomini, ma quando lo sconosciuto menzionò una citazione sulla quale David basava la sua intera vita ed il suo credo, si sentì in dovere di farlo.

    Mi scusi, il versetto  proviene dalla Seconda Lettera ai Corinzi, capitolo 6, verso 17, disse cauto, mascherando l’orrore che provava nei confronti della notizia dell’omicidio. "E’ certamente un verso del Nuovo Testamento e dice: Allontanatevi, separatevi da loro, non toccate le loro cose sporche!"

    Entrambi si girarono istintivamente verso David, fissandolo come se lo vedessero allora per la prima volta. Poi si guardarono a vicenda e a quel punto lo sconosciuto si alzò, minaccioso, in piedi. Che diavolo ha a che fare questo con noi?, commentò in tono scostante. Stai seduto qui a spiarci, per caso?

    David abbassò lo sguardo impaurito e non vide Chris che gesticolava all’altro uomo di calmarsi. Rilassati, Mike! disse. E’ tutto a posto. Non farebbe del male ad una mosca.

    Il tipo nervoso, che Chris aveva chiamato Mike, si sedette di nuovo sulla panca. Chris gli diede una sonora ma amichevole pacca sulla spalla e questi  emise un suono inarticolato, simile ad un grugnito.

    Chris rivolse la sua attenzione a David, che stava ancora fissando il pavimento. Non fare caso a Mike!, disse gentilmente. Non è nulla! Come è che ti chiami..?

    David alzò gli occhi lentamente. David, rispose quasi in un soffio, per non provocare l’amico di Chris.

    Non ti preoccupare, David!, disse questi sorridendo, Mike non fa niente. Dicci cosa sai del versetto della Bibbia di cui parlavi!

    David tossicchiò e guardò di sottecchi i due uomini, che ricambiarono con uno sguardo interessato.

    In quel momento, la porta di fronte a loro si spalancò. Un poliziotto in uniforme si piantò sulla soglia con un foglio di carta in mano. Mike Michaels, Bryan Patterson, Chris Tennant e David Stoltzfus!, disse leggendo. Seguitemi, per favore!

    Un tizio basso, che era probabilmente Bryan Patterson, li sorpassò e si fermò di fianco al poliziotto.

    Vi ascolteremo in gruppo prima e poi uno per uno. Infine vi prenderemo un campione di sangue e di tessuti, spiegò l’ufficiale di polizia. Dopo di che siete liberi di andare. Non siete tra i sospettati.

    Grande!, disse Mike Michaels, in tono sarcastico. Allora perchè diavolo siamo qui..?

    Il poliziotto ignorò il commento tagliente ed fece cenno ai quattro uomini di entrare nella stanza.

    David si sentì in imbarazzo per Mike. Non avrebbe mai parlato così irrispettosamente ad un’altra persona, fosse questa un pubblico ufficiale, un amico, o qualcuno di famiglia, ma nemmeno se si fosse trattato di uno sconosciuto.

    2

    I raggi del sole mattutino, ancora basso nel cielo, provavano a penetrare tra le tende chiuse dell’appartamento, quando Sarah Bermann si svegliò all’improvviso, mettendosi subito a sedere sul letto.

    Si sentiva confusa.

    Afferrò il proprio smartphone, che stava come al solito sul comodino ed ebbe la conferma che mancava ancora un’ora al suo solito orario di sveglia.

    Reclinò di nuovo la testa sul soffice cuscino di piume, raggomitolandosi e chiudendo gli occhi un’altra volta.

    Aveva sognato ancora ed i sogni erano sempre ben presenti nella sua memoria al risveglio, con immagini nitide. Le capitava ormai quasi ogni notte.

    Sempre lo stesso sogno. Sempre la stessa storia. Sempre una creatura scura, indefinita, che ruggiva e la catturava mentre lei tentava di scappare, ma le sue gambe erano troppo rigide per riuscirci e non poteva proprio fuggire.

    Dietro di lei, avvertiva la presenza di una figura offuscata che provava a prenderla. Una figura che tentava di portarla via da lì, in salvo. Ma qualcosa andava sempre storto. Non riusciva a raggiungerla perchè la creatura indefinita aveva messo qualcosa tra di loro, qualcosa che emetteva un suono assordante, che le faceva venire la pelle d’oca.

    Sarah si rigirò nel letto un paio di volte, ma già sapeva che non sarebbe riuscita a riaddormentarsi. Non ne aveva davvero voglia, per via di quel sogno che la perseguitava. Quindi decise che, dopotutto, era meglio alzarsi.

    Levò i piedi dal letto e calzò i soffici mocassini, che si trovavano come ogni mattina sul pavimento di fianco al comodino. Lanciò un’occhiata oltre il letto matrimoniale, prima di alzarsi e lisciare il piumone, già piuttosto in ordine.

    Andò alla finestra e tirò le tende, permettendo ai raggi del sole di illuminare completamente la stanza. Serrò le palpebre, mentre la luce invadeva festosa la camera.

    Dopo che i suoi occhi si furono abituati al bagliore intenso, cosa che richiese qualche minuto, si mise ad osservare la grande città, già in piena attività. 

    Vide due ragazzini che giocavano a palla nella stradina a senso unico, imboccata di solito fortunatamente solo da qualche motociclista. Sentiva un lontano ronzio di elicottero: probabilmente portava in giro turisti curiosi.

    Il suo appartamento si trovava al quinto piano di un complesso residenziale di dieci piani, diviso in ventidue alloggi. Sebbene fosse collocato in uno dei quartieri residenziali più esclusivi della città, il che naturalmente non aiutava per quel che riguardava il prezzo dell’affitto, non aveva mai dubitato che fosse il posto giusto per lei, sin dalla prima volta che l’aveva visto.

    Afferrò la Tshirt appesa al pomo del letto e si diresse verso l’ingresso del suo alloggio a due camere.

    Il muro, che le stava di fronte, era l’unico decorato in quella stanza. Un enorme quadro con una scena marittima, che aveva ricevuto dal padre in regalo, quando aveva lasciato casa. Raffigurava un grosso veliero che avanzava tra le schiumose onde dell’Atlantico. Suo padre l’aveva acquistato su Ebay e tutte le volte che veniva a trovarla, si incantava ad ammirarlo. Anche lei passava del tempo a studiare il dipinto, immaginando la vita di chi viveva a bordo a quei tempi.

    Tutte stanze del suo appartamento si affacciavano sull’ingresso.

    Le pareti ed il soffitto erano dipinte con colori luminosi, che emanavano un caldo chiarore aranciato. Questa tinta non era in vendita nei negozi e Sarah si ricordava bene il tempo passato a mescolare e sperimentare le combinazioni di tonalità, quando lei ed il suo ex avevano iniziato a vivere lì. Tutti quei tentativi avevano dato piuttosto sui nervi a lui, anche se poi alla fine, era stato molto contento del risultato e delle sue doti pittoriche.

    Aveva perfino insistito che questo fosse il colore delle pareti e del soffitto sia in cucina che in bagno, scelta con cui Sarah concordava perfettamente.

    Tornando al presente, la ragazza si fermò e fissando una porta chiusa, istintivamente si interrogò se fosse meglio aprirla o meno.

    Inspirò profondamente e girò molto lentamente la maniglia, entrando in una piccola camera vuota, con le pareti immacolate ed intonse.

    Si guardò intorno.

    Sulla scrivania, si trovava il suo portatile e nell’angolo accanto un cesto pieno di bambole ed orsacchiotti, molti dei quali ancora con l’etichetta appesa. Si passò le dita tra i lunghi capelli biondi, che le arrivavano alle spalle, quasi per asciugarsi la fronte, ora imperlata di sudore. Entrò di malavoglia nella stanza, dirigendosi alla scrivania per prendersi il portatile.

    Uscì in fretta, lanciando un’occhiata veloce al cesto dei giocattoli.

    Chiuse la porta frettolosamente e si spostò in cucina, appoggiando il portatile sul piano dell’ultra moderno tavolo da pranzo, che era stato il regalo per il suo venticinquesimo compleanno da parte dei suoi amici, l’anno prima.

    Era stato davvero un dono fantastico, anche se si era lamentata con loro alla sua festa di compleanno perché erano stati un po’ cattivi: adesso toccava a lei investire una fortuna per comperare le sedie abbinate, di tasca sua. Loro avevano riso e le avevano promesso le sedie come regalo per i suoi trent’anni, ma Sarah non poteva aspettare così a lungo, e quindi aveva tentato la sorte al mercatino dell’usato, un sabato mattina, sperando di essere fortunata.

    A quella prima visita al mercatino ne erano seguite molte altre, ma non era ancora riuscita a trovare il set di sedie da accompagnare al tavolo, così la sua era un’attesa forzata. Non aveva però intenzione di cedere al compromesso: sapeva per esperienza che il prezzo del design è innegoziabile e che è assolutamente meglio attendere, ma alla fine trovare la soluzione perfetta. I mercatini dell’usato forse, non erano il luogo ideale dove trovare questi pezzi d’arredamento.

    Riempì la sua caffettiera da espresso per due, pressando con gentilezza il caffè nel filtro, ben attenta a lasciarlo respirare, quindi senza premere troppo. Mise la caffettiera sul fornello ed accese la fiamma. Versò latte biologico in un bicchiere, riempiendolo per tre quarti. Lo appoggiò nel microonde e puntò il timer a due minuti. Infilò anche due fette di pane nel tostapane, richiudendo il coperchio e pregustando l’aroma di sandwich caldi, che sia lei che suo padre adoravano.

    Infine accese il forno, prima di ritornare nell’ingresso e poi dirigersi in bagno, dove si sedette sul WC.

    Si prese la testa tra le mani, dondolandola. Colpì il lavandino con il gomito, il che le causò una sensazione di scossa elettrica, che la fece rabbrividire. Il suo non era il bagno più spazioso che avesse mai visto, ma possedeva tutto il necessario. Quando si era trasferita lì, era stata particolarmente felice del fatto che il padre era riuscito ad infilarci un box doccia, così non avrebbe dovuto lavarsi con la doccetta del lavandino.

    Sentì il campanello del microonde, per cui si alzò, si sciacquò le mani e passando, si rimirò nello specchio antico, trovato al mercato delle pulci: un premio di consolazione al fallimento delle sedie da pranzo. Notò qualche goccia di sudore attorno ai suoi occhi blu. Si strofinò il viso con le mani bagnate, per rimuoverla.

    Al ritorno in cucina, imburrò le fette di pane tostato ed aggiunse la gelatina di frutta.

    Montò il latte scaldato nel microonde con il frullino e lo versò sul caffè appena fatto.

    L’aroma aveva invaso la cucina, ricordandole quanto amasse il caffè latte alla mattina, appena sveglia.

    Si sedette sul divano kaki, in sala: era rimasto a lei, dopo che si era lasciata con il suo ragazzo, l’anno prima. L’avevano comprato insieme in un negozio di arredamento molto cool, Global Furniture, appena aperto a Philadelphia. Un prezzo amico per l’inaugurazione. Sarah aveva fatto la coda fuori dal negozio dal mattino molto presto ed era riuscita a mettere le mani su uno degli ultimi divani, anche se era solo la nona persona in coda. Era così attaccata a questo pezzo d’arredamento che ora non riusciva ad immaginare la casa senza di esso: il suo ex d’altra parte, quando aveva avuto fretta di andarsene, non aveva obiettato al fatto che lo tenesse lei.

    Aveva provato a spostarlo in diverse parti della stanza, ma alla fine aveva dovuto accettare, a malincuore, che la sua posizione originale era la migliore.

    Al di sopra del divano, era appesa un’enorme cornice con singole strisce di colore, che Sarah vi aveva dipinto, circondate dalla nuance calda delle pareti.

    Non c’erano molti soprammobili ed orpelli nella stanza; giusto un candelabro a tre luci sul davanzale interno della finestra. Un vaso di rose rosse era l’unico elemento che spezzava il mood, altrimenti spartano, dell’ambiente.

    Nell’angolo aveva posizionato una palma, alta circa sei piedi, in un classico vaso di terracotta. Questa macchia verde aggiungeva, secondo Sarah, un piacevole elemento vitale. La pianta era imponente e toccava quasi il soffitto.

    Al muro in fondo, era appoggiata una libreria bianca, che Sarah aveva comprato dopo la separazione dal suo ragazzo. Assemblarla era stato un incubo. Dopo averci armeggiato per diverse ore, aveva dovuto rassegnarsi controvoglia al fatto che i suoi talenti non includevano il risolvere i misteri dei manuali di istruzioni di montaggio mobili. Aveva dovuto chiamare il padre, il quale il giorno successivo, era venuto a casa sua ad assemblare il tutto. Era sempre pronto ad aiutarla e non l’aveva mai presa in giro per le sue piccole inabilità.

    Accese la Tv, un modello classico da ventotto pollici. Si sintonizzò immediatamente su Disney Channel, mettendosi a guardare Topolino, mentre il pensiero le correva alla sua precedente relazione con un collega di lavoro. Quando si sentì emettere inavvertitamente un sospiro, cambiò subito canale ed appoggiò in fretta il telecomando sul tavolino del salotto, di fronte a lei. Assaggiò il suo caffè latte, il cui aroma aveva riempito la stanza ed iniziò a fare colazione.

    Smettila ora, Sarah, pensò. Dimenticati di Andreas. Lo sai perchè ti ha lasciato; non si merita che continui a perdere tempo con lui.

    Il trillo martellante della sveglia del suo smartphone, che proveniva dalla stanza da letto, la risvegliò dai sogni ad occhi aperti.

    Si alzò per prendere il telefono in camera e spegnere la sveglia. Notò allora un messaggio: Ciao, Sarah. Buone notizie. Gli esami di ieri sera sono pronti. La nuova Mama è impaziente di iniziare a lavorare: la reazione a catena della polimerasi d’ora in poi richiederà solo un’ora. Ci vediamo! Simon.

    Sarah ripose al messaggio nel suo solito modo, con uno smiley dalla forma che ricordava una spirale aperta di DNA, dove la coppia alla base erano bocca e denti. L’immagine rimandava a quella delle fauci di un coccodrillo, viste di lato, o della bocca di un’ombra cinese, di un mostro, che il papà le faceva per divertimento quando era piccola.

    Sorrise, rivelando i bianchi denti perfetti, niente affatto come quelli dello smiley che aveva appena mandato.

    Arrivò un altro messaggio: Vestiti, signorina DNAmann!

    Sarah scoppiò a ridere. I suoi colleghi la chiamavano spesso così, per via delle notti sovente trascorse in laboratorio a produrre PCR, o a fare analisi sulle mutazioni dei campioni di sangue che il Centro riceveva regolarmente.

    Fondevano la parola DNA con il suo cognome Bermann e creavano questo nomignolo.

    Sissignore, Simon!, disse ad alta voce, nella stanza vuota, mentre si dirigeva in bagno, per farsi una doccia.

    Il suo umore stava risalendo e si impose di smettere di immergersi nei ricordi e nei sogni ad occhi aperti. Si mise a fischiettare Amazing Grace sotto la doccia, godendosi tutto il piacere dell’acqua calda che le scorreva sul corpo.

    3

    Le prime foglie avevano iniziato a cadere dai grossi olmi, nella contea di Lancaster: Daniel Stolzfus ammirava i colori dell’imbrunire sui toni del fogliame, mentre tornava a casa a bordo del suo calesse.

    Aveva concluso un’altra giornata di lavoro nei campi di mais, interrotta solo da un sontuoso pranzo, seguito da un sonnellino presso la fattoria che afferiva ai campi.

    Era con suo cugino Adam, i tre figli di quest’ultimo, Marker, Cleon e Abram, ed era accompagnato anche dai suoi stessi ragazzi, John e Samuel, e dal vescovo della comunità, Isaac.

    Daniel, nonostante l’età, aveva lavorato duro tutto il giorno e non vedeva l’ora di tornare a casa da Sadie, per godersi il tabacco della sua pipa, ricevuto in dono dalla famiglia Beiler.

    La congregazione aveva posseduto per molto tempo dieci ettari di terreno incolto come riserva: in un’America nella quale, nonostante la crisi finanziaria, il prezzo dei terreni era lievitato esponenzialmente, rendendo impossibile avere di che vivere per molti agricoltori Amish, la comunità aveva deciso di vendere alla famiglia Beiler una parte della terra, ad un prezzo ragionevole. Questo aveva permesso loro di avere un reddito e di continuare a vivere secondo i propri dettami.

    Sebbene l’estate fosse stata caratterizzata da lunghi periodi di siccità, Daniel era stato soddisfatto del raccolto di mais. Come gli altri Amish, non faceva uso di fertilizzanti, o di concimi industriali. Si affidava al letame per arricchire e nutrire il terreno in modo naturale. Anche se il rendimento era di circa il 40% inferiore a quello degli appezzamenti coltivati con moderne tecnologie intensive, il sapore del loro prodotto era incomparabilmente migliore.

    Il terreno aveva per Daniel e per gli altri suoi confratelli un significato particolare: secondo la loro credenza, la terra appartiene a Dio ed all’uomo è dato il compito di coltivarla ed accudirla, nel nome del Signore.

    Il genere umano può sostentarsi attraverso di essa, ma deve anche occuparsene, in modo da lasciarla sempre arricchita di raccolto in raccolto. Il suo potenziale non deve mai impoverirsi.

    Quando un contadino Amish muore, Dio considera i suoi meriti anche in base a come ha gestito il podere che gli era stato affidato. Daniel cercava di attenersi scrupolosamente a questi regole.

    Aveva diversi campi sul suo appezzamento, tutti accuditi con eguale attenzione. Accanto alle coltivazioni di mais, ne possedeva diverse di grano, segale, avena, erbe aromatiche, che venivano seccate, per poi diventare fieno. I raccolti seguivano cicli di rotazione quinquennale, e dopo ogni mietitura, la campagna veniva usata come pascolo per gli animali della fattoria, per fare in modo che venisse concimata.

    Daniel era abituato al duro lavoro dei campi ed alla fattoria, ma sentiva che le sue forze pian piano venivano meno. Faceva fatica a continuare per ore senza sosta, anche se sapeva di essere fortunato ad avere spesso l’aiuto di altri uomini della sua famiglia, che si offrivano senza farglielo pesare.

    Questa fratellanza non l’avrebbe scambiata per niente al mondo ed era sicuro che avrebbe attirato anche suo figlio David, che era stato via da casa per almeno un mese durante Rumspringa, e l’avrebbe convinto ad abbracciare lo stile di vita agricolo degli Amish, a cui lui stesso si era sempre attenuto. David avrebbe sicuramente capito quanto fosse importante.

    Non c’era una mansione più essenziale dell’altra alla fattoria: tutti i compiti erano voci diverse di una stessa melodia, tutte di eguale importanza, tutte confluenti in una musica intonata dall’intera famiglia ed ancor di più, dall’intera comunità.

    Daniel svoltò per una stradina polverosa, con i suoi due ragazzi, che stavano ridendo e si spingevano giocosamente. Fece un cenno di saluto al cugino Adam, alle redini del calessino dietro al suo.

    I tre figli adulti di Adam avevano scelto di continuare ad occuparsi del raccolto, e per questo si trovavano ancora sui campi.

    Il vescovo Isaac era alle redini della terza carrozza della fila: anche lui Daniel salutò, mentre svoltava per la stradina.

    Dopo aver percorso circa venti iarde, giunsero a destinazione: Daniel tirò le redini per arrestare l’animale.

    Scese dal calesse e si fermò ad accarezzare il suo cavallo Tom dietro l’orecchio, cosa che sapeva, gli piaceva molto.

    Al contrario dell’agricoltore americano medio, gli Amish avevano un rapporto affettuoso con le proprie bestie, quasi come animali da compagnia. Specialmente i cavalli e le mucche, avevano nomi di battesimo, in parte per identificarli, ma anche per creare un rapporto stretto con loro, dato che erano tutti parte essenziale della vita alla fattoria.

    Staccò Tom dal cocchio e lo condusse all’ingresso del recinto, perchè potesse raggiungere gli altri cavalli. Aprì il cancello, conducendolo dolcemente all’interno e liberandolo dai finimenti. Poi si avvicinò al più vicino degli altri cavalli, per accarezzarlo.

    In seguito ritornò al calesse, che i figli John e Samuel stavano ricoprendo con una cerata trovata nel granaio, dove venivano accatastati fieno e provviste.

    Ogni due domeniche la costruzione veniva usata come chiesa: lì gli Amish, a turno, celebravano le funzioni religiose.

    Daniel guardò orgoglioso i suoi ragazzi.

    Quando vide che ebbero finito, gli si avvicinò cingendogli le spalle con un braccio, mentre tutti e tre avanzavano verso l’edificio bianco situato a circa cinquanta iarde dalla casa principale e dal granaio.

    Per raggiungerlo, passarono di fronte alla Casa di Grossdaddy, una piccola abitazione in legno, che si trovava tra quella principale ed una delle due capanne della tenuta.

    Era una tradizione Amish quella che permetteva al figlio più giovane di prendere possesso della fattoria, quando i genitori divenivano troppo anziani per continuare a lavorare la terra.

    Questa usanza richiedeva che questi ultimi aiutassero i figli più grandi a creare le proprie fattorie, fintanto che ne avevano la forza.

    Quando poi fossero troppo vecchi per fare qualsiasi cosa, avrebbero lasciato la loro fattoria nelle mani del figlio più giovane, trasferendosi nella Casa di Grossdaddy, molto più piccola e costruita accanto alla principale.

    La piccola abitazione in legno sull’appezzamento di Daniel e Sadie era al momento vuota. Li attendeva per la loro vecchiaia, quando avrebbero lasciato la casa principale al loro figlio più giovane, Samuel ed alla sua futura famiglia. Se allora Samuel avesse scelto di rimanere nella comunità.

    Il sole era basso all’orizzonte e gli ultimi raggi del giorno illuminavano la corte della fattoria.

    Le lunghe ombre di Daniel, John e Samuel ondeggiavano dolcemente dietro di loro, mentre questi avanzavano verso l’edificio bianco che costituiva l’abitazione della famiglia e salivano nel portico, ingombro di panni scuri stesi ad asciugare in diverse file.

    Accanto alla casa, stavano parcheggiati svariati monopattini, che erano, assieme al calesse, l’unico mezzo di trasporto della famiglia.

    Era un modo comodo per andarsene in giro, per distanze non troppo lunghe. Una delle regole Amish stabiliva che la vita ruota attorno alla famiglia, alla comunità ed alla chiesa.

    John, che aveva circa 14 anni, aprì la porta d’ingresso ed entrò in casa, seguito da suo padre e da suo fratello Samuel, minore di un anno.

    Potè immediatamente respirare l’aroma della cena pronta in cucina; così corse a levarsi gli zoccoli ed il cappello di paglia: l’appese al chiodo che faceva da attaccapanni, nell’ingresso.

    Attraversò di corsa la sala da pranzo, un ambiente semplice, funzionale, senza eccessivi orpelli, solo un calendario ed un ricamo in cornice, che raffigurava una citazione della Bibbia, Il Signore è il mio pastore, appeso al muro.

    Sui tappeti patchwork stesi sopra il pavimento in legno scricchiolante, erano appoggiate un paio di poltrone in olmo chiazzato, che erano state il regalo di nozze di Daniel e Sadie; alle finestre erano presenti degli scuri, così come in camera da letto, per consentire di fare buio durante il pisolino pomeridiano della famiglia.

    Non esistevano tende alle finestre, perchè potevano essere ritenute elementi decorativi e quindi in contrasto con lo stile di vita Amish.

    John proseguì verso la cucina, dove erano radunate le donne della famiglia. Cosa c’è per cena?, chiese affamato, parlando nel dialetto olandese della Pennsylvania, con la sua voce stentata, per l’età. Sto morendo di fame!

    Questo idioma era una caratteristica peculiare degli Amish ed era adoperato solo da loro. Si era sviluppato a partire dal tedesco parlato, che aveva nel corso del tempo, subito l’influenza dell’inglese. Gli Amish per farsi capire dagli altri americani, erano costretti ad insegnare a scuola ai loro figli anche l’inglese.

    Samuel e Daniel entrarono in cucina poco dopo John, e si accomodarono accanto a lui al lungo tavolo a cui si era seduto.

    Erano tutti ansiosi e curiosi di sapere cosa ci fosse per cena.

    Come capo famiglia, Daniel sedeva appunto sul lato corto del tavolo, secondo la tradizione.

    La mamma del ragazzo e moglie di Daniel, Sadie, stava friggendo polpette, mentre sua figlia Ada di tredici anni e l’altra figlia Amanda di sedici, stavano affettando la lattuga e bollendo le patate e le salsicce.

    Il più giovane membro della famiglia, la piccola Katie di quattro anni, stava sdraiata sul pavimento giocando con la sua unica bambola, Schumi, ricavata da un vecchio sacco di farina.

    La bambolina era ricoperta di macchie e segni, chiara testimonianza di quanto Katie amasse giocare con lei. Non aveva caratteri somatici: niente occhi, niente bocca, niente naso e nemmeno capelli, il che era cosa normale per le bambole degli Amish, fortemente contrari all’idolatria.

    Tale avversione trovava le sue radici nel secondo comandamento del Vecchio Testamento, che così recita:

    "Non ti farai idolo nè immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù in terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano ed osservano i miei comandamenti".

    Questa era la ragione per la quale gli Amish non amavano essere fotografati, desiderio che il numero sempre crescente di turisti, che si presentavano senza invito, facevano molta fatica a rispettare.

    Sadie abbassò la fiamma della stufa a carbone, poi si avvicinò ai suoi figli maschi per baciarli sulla fronte. Non vi preoccupate, ragazzi, disse con un sorriso furbo, Anche se sul menu c’è la Torta di Melassa, non credo che vi vada poi così male..

    Anche a Daniel toccò un bacio, questa volta sulla bocca. Bentornato, Daniel!, gli disse in tono gioviale, mentre ritornava ai fornelli. Sei riuscito a fare tutto quello che avevi pianificato?

    Lui le rispose con sorriso dolce, mentre abbracciava le sue tre figlie, che gli erano corse incontro e che stavano per tornare ognuna alla sua occupazione. Sì, quasi!, rispose mentre riempiva la pipa con il tabacco regalatogli dalla famiglia Beiler: lo aveva trovato sul tavolo, dove Sadie l’aveva messo apposta per lui. Ma Marker, Cleon e Abram hanno insistito per finire tutto, portando la loro parte del raccolto fino al silos.

    Che bello!, disse Sadie. Come se la sono cavata Tom e Tony con questa dura giornata di lavoro?

    Daniel finì di riempire la pipa e se la mise in bocca. Prese un fiammifero, pronto sul tavolo accanto al tabacco, sempre grazie alla premura di Sadie, e si appoggiò allo schienale della sedia, soddisfatto, assaporandosi l’aroma del fumo. Non abbiamo portato Tony oggi, rispose. "L’abbiamo lasciato nel

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