Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Summer Seven
Summer Seven
Summer Seven
Ebook688 pages8 hours

Summer Seven

Rating: 5 out of 5 stars

5/5

()

Read preview

About this ebook

E come scriveva Emily Dickinson: “Fai che per te io sia l’estate anche quando saran fuggiti i giorni estivi”, noi de Il Mondo dello Scrittore abbiamo deciso, tramite il nostro 7 giorni di follie, di dare vita scritta ai sogni estivi dei nostri membri, offrendo loro uno spazio in cui possano concretizzare un’arte che prende vita con le parole. Dunque se è l’estate a fare da accumulatore di energie, è il resto dell’anno a condurre le danze, portando gli autori fra le nostre pagine, spronati a dare il meglio di se stessi attraverso i temi che proponiamo loro ogni mese. Temi che riescono a stuzzicare la loro fantasia e creatività. Noi li chiamiamo affettuosamente “Portatori di Penna”, ovvero coloro che portano nel futuro un lascito per i posteri, per tutti coloro che rivivranno le nostre stesse estati e le nostre stesse emozioni trasformando i nostri sogni nei loro. Scrittori e Poeti che ereditano il testimone dal passato e lo fanno transitare in un domani che ancora vedrà le loro parole stampate in modo indelebile nel web, attraverso lo spazio offerto dal blog e, non ultimo, il nostro Summer Seven, il quale raccoglie quanto è stato prodotto da settembre 2013 a giugno 2014. L’ebook non è soltanto lo strumento digitale con il quale è stato unificato tutto il materiale presente nel blog, ma diventa la prova tangibile di quanto quei sogni siano diventati realtà per taluni e conferme per altri. Dunque non solo sogni da vivere in una lunga estate, ma una lunga estate che dura tutta la vita.
Lasciatevi trascinare dal nostro vortice di emozioni, dallo sfavillare dei colori e dall’intensità con la quale i nostri autori hanno lasciato traccia di sé fra queste pagine. Buona lettura!

LanguageItaliano
Release dateJul 8, 2014
ISBN9781311291219
Summer Seven
Author

Il Mondo dello Scrittore

Il Mondo dello Scrittore è stato fondato nel febbraio del 2012 da Irma Panova Maino, inizialmente come gruppo Facebook, un luogo pensato per dare spazio alle promozioni dei libri degli autori presenti in rete. Tuttavia, fin da subito, si è evidenziata la necessità di non circoscrivere tale vetrina solo al social network, ma di espandere la promozione anche in tutto il web ed è stata questa la spinta che ha fatto sì che nascesse una stretta collaborazione con Andrea Leonelli e il suo blog Opinions on Books. In capo a pochissimo tempo anche Elisabetta Bagli, con il suo blog Voci letterarie e non solo, si è inserita nella collaborazione, condividendo la stessa filosofia e gli stessi ideali, apportando, a sua volta, quella creatività e quella passione che hanno permesso di far crescere l'odierno network. Nel marzo dello stesso anno è stato creato il sito Il Mondo dello Scrittore, il quale ha iniziato a raccogliere sotto di sé una fitta rete di collaborazioni e un circuito comprensivo di altri blog, in grado di aumentare ulteriormente la visibilità degli autori presenti.Nel 2014, vista la costante necessità di trovare collaboratori validi, in grado di assumersi determinate responsabilità, Sauro Nieddu è stato inserito nello staff amministrativo, Seguito a breve da Andrea Marinucci Foa, Manuela Leoni e Marina Aztori.Oggi il network è diventato una realtà e un punto di riferimento nel web per tutti coloro che vogliono promuovere le proprie opere, oppure per tutti coloro che desiderano avere contatti più ravvicinati con il mondo dell’editoria e conoscere gli argomenti ad esso collegati.

Related to Summer Seven

Related ebooks

Poetry For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Summer Seven

Rating: 5 out of 5 stars
5/5

1 rating0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Summer Seven - Il Mondo dello Scrittore

    Dietro la maschera

    E’ finalmente ricominciata la nostra avventura settimanale di 7 giorni di follie. L’argomento della settimana appena trascorsa è stato Dietro la maschera e ha dato, ai nostri partecipanti, l’opportunità di sbizzarrirsi in un campo tutt’altro che semplice. La maschera è stata intesa come modello abituale di comportamento per taluni, oppure come arma di difesa per altri. Una maschera che, prima o poi, tutti ci troviamo costretti ad indossare nella vita dato che, purtroppo, non è sempre facile comportarsi in modo spontaneo o naturale. Ci sono situazioni che ci impongono di essere diversi da come siamo, o più semplicemente non sempre riusciamo ad accettarci ed ecco che vengono fuori sfumature comportamentali diverse rispetto ai nostri usuali canoni. Questi concetti ci vengono egregiamente espressi nei pezzi della settimana, dalla bravissima Ramona Dandy Di Ventura, Nicoletta Berliri, Elisabetta Bagli, Sofia Skleida, Sabrina Grementieri, Oliviero Angelo Fuina, Rossana Roxie Lozzio, Irma Panova Maino, Lila Marinelli, Sebastiano Impalà, Anna Cibotti, Allie Walker e Christiana V. Come partenza è stata più che gratificante e la partecipazione numerosa dei nostri scrittori e poeti ci invoglia a proporvi sempre cose nuove e migliori. Pertanto, non mancate ai nostri prossimi appuntamenti che comprenderanno argomenti sempre nuovi e diversi, ma con lo stesso spirito di gruppo che, da sempre, ci anima.

    La considerazione degli altri di Anna Cibotti

    L’uomo rientrò a casa.

    Al peso degli abiti bagnati dalla pioggia, si aggiunse quello che si portava dentro da troppo tempo. La croce interiore quotidiana della sua consapevole nullità. La solitudine dell’uomo invisibile. La sua inettitudine e il suo aspetto dimesso, lo condannavano a un isolamento che lui stesso per primo, contribuiva a crearsi intorno.

    Per gli altri non esisteva e lui anelava la loro considerazione.

    Seduto sul letto disfatto si chiese come fare…

    Qualche goccia di pioggia colando dai capelli si confuse con le lacrime che non riuscì a trattenere, e rimase fermo a fissare qualcosa davanti a sé.

    Era lì, appesa a un chiodo che non aveva vinto la resistenza del muro rimanendo instabile, ma sufficientemente fisso a sostenerla. Era una maschera di legno scolpita ad arte. Rappresentava il viso marcato e fiero di un indiano pellerossa, solitario ospite sulla parete bianca di fronte al letto.

    L’uomo continuava a fissarla come ipnotizzato fino a che non la sentì diventare tutt’uno con la sua faccia.

    Ora i suoi piccoli occhi porcini e sfuggenti avevano un taglio deciso e uno sguardo penetrante. Il naso aquilino, la bocca e il mento volitivi dell’indiano, coprivano i suoi flaccidi lineamenti.

    E lui si vide allo specchio un altro uomo.

    L’effetto maschera lo rese più sicuro e da quella sera non camminò più ingobbito e goffo, ma assunse una fierezza di portamento che gli altri non poterono non notare. Ormai la sua faccia era quella… la sua maschera perfetta.

    Ma un giorno l’incubo più terribile frantumò il suo sogno. Vide nella faccia di un altro, la sua adorata maschera.

    Tornò a casa disperato e si guardò allo specchio. Si rivide l’ometto di una volta, alzò lo sguardo verso la sua icona… ma al suo posto c’era rimasto solo un chiodo arrugginito.

    Corse fuori di casa.

    Cercava l’uomo che gliela aveva rubata. Pioveva a dirotto e lui sentiva delle voci confuse che lo infastidivano.

    Lo vide da lontano e cominciò a gridare. Lo raggiunse alle spalle. L’altro si voltò appena in tempo per essere colpito e buttato a terra.

    Dammi la maschera… è mia!

    Prese una pietra e gli sfondò la fronte. Farneticava e tentava di togliergli la pelle, inutilmente. Poi di colpo si fermò.

    Quello che vide lo riempì di orrore.

    Davanti a lui c’era una maschera sì… una poltiglia di carne e sangue, non la sua!

    Una calma improvvisa gli distese i nervi. Finalmente aveva fatto qualcosa per cui sarebbe stato considerato.

    Un passante accorso per soccorrere l’infelice a terra, lui non lo vide nemmeno. Vide una marea di gente, non un uomo solo, e lui in mezzo a loro con la sua bella faccia importante.

    Una voce cominciò a sussurrargli all’orecchio parole stridule e indistinte.

    Silenzio mormorò fra sé e sé…

    Ascolta la pioggia!

    Maschere infernali di Ramona di Ventura

    Venezia, XVIII secolo

    La preziosa gondola laccata si staccò dolcemente dal pontile e prese a fendere le scure acque del canale. Il pungente odore salmastro e la folla rumoreggiante, che affollava le calli della città, riempivano l’aria mattutina di quella particolare giornata di festa.

    Allora Fiammetta, è già pronto il tuo costume per la festa di questa sera?

    Una giovane fanciulla dai lineamenti delicati distolse lo sguardo dal cielo azzurro e si voltò verso la sua compagna. I lunghi capelli d’oro, raccolti in una massa di riccioli, ondeggiarono sulle sue spalle, ammantate di ricco velluto verde. Le perle che ornavano il suo costoso corpetto scintillarono, colpite dal pallido sole di marzo.

    Certo, Verenia, che domande! Sarà il costume più bello di tutta la festa, vedrai. Mia madre lo ha fatto fabbricare dai migliori sarti della città.

    Verenia sorrise maliziosa, gli occhi scuri come ossidiana fissi sulla giovane.

    Te lo chiedo per una buona ragione, mia cara amica.

    Fiammetta inarcò le eleganti sopracciglia, incuriosita.

    E sarebbe?

    Qualcuno mi ha domandato come potrà riconoscerti tra la folla. Qualcuno di molto affascinante.

    Gli occhi di Fiammetta brillarono come due zaffiri. Sapeva di chi stavano parlando e il suo cuore prese a battere, un piccolo tamburello impazzito.

    Oh sì, hai capito bene mia cara. Proprio lui, Alfonso, il figlio del Doge. Vedessi com’era impaziente di sapere qualcosa in più! Credo che voglia approfittare della confusione per corteggiarti senza suscitare pettegolezzi velenosi.

    La fanciulla arrossì. Alfonso era fidanzato con una ricca ereditiera veneziana ma, ogni volta che incrociava Fiammetta, le lanciava sguardi ardenti e molto espliciti. In città le malelingue mormoravano già da un po’ e i suoi genitori facevano l’impossibile per evitare che i due si incontrassero anche solo di sfuggita. Quella sera, però, non avrebbero potuto riconoscerlo. Infatti, erano giorni di festa per Venezia. Aveva inizio il Carnevale e l’apertura era affidata ad una grande festa nelle piazze e nelle strade della città. Per legge era proibito mascherarsi di notte, ma la prima sera si faceva un’eccezione e i gendarmi chiudevano un occhio per ordine del Doge in persona. Dunque era l’occasione per fetta per incontrare Alfonso. Era così bello ed elegante!

    Parli del diavolo… sussurrò Verenia, alzando il viso verso il ponte di Rialto.

    Un gruppetto di ragazzi era appoggiato al parapetto e guardava le gondole passare nel canale sottostante. Tra di essi spiccava un giovane riccamente vestito, dal portamento altero e i lineamenti finemente scolpiti. I suoi occhi verdi come il mare erano fissi su Fiammetta. La fanciulla si sentì come se le avessero acceso un fuoco nel petto. Alfonso le rivolse un elegante cenno di saluto con la testa e un sorriso che tutto era tranne che innocente.

    Avrò una maschera di pizzo bianco ornata di perle, un vestito bianco e oro e un ventaglio di piume. I miei capelli saranno intrecciati di nastri rossi e splendenti come il mio nome. Riferisciglielo Verenia.

    L’amica annuì, un sorriso sardonico celato dietro il ventaglio.

    L’aria fresca della sera portava la musica e le risate della festa fino al cielo stellato. Giocolieri e mangiafuoco erano appostati in ogni angolo, ogni calle era adornata di festoni di seta colorati e luminosi, petali di fiori profumati ricoprivano il suolo, emanando dolci fragranze che quasi nascondevano l’odore forte dell’acqua dei canali. Ovunque, nella meravigliosa città lagunare, maschere di ogni tipo ballavano, ridevano, spettegolavano e passeggiavano, salutandosi senza riconoscersi.

    Mantelli di velluto ricamati frusciavano sfiorando il suolo, gonne di seta tempestate di pietre preziose scintillavano ad ogni svolazzo, copri capi di piume e lustrini fluttuavano leggeri attorno a lucide maschere di raso, di pizzo, di stoffa. Ogni maschera era diversa, ma allo stesso tempo uguale alle altre. Ogni maschera celava il vero volto di chi la indossava e annullava l’identità di ognuno. C’erano uomini vestiti da donne e donne vestite da uomini. C’erano poveri vestiti da ricchi, giovani vestiti da vecchi, brutti vestiti da belli. C’erano buoni rintanati dietro maschere tetre e spaventose e malvagi appostati dietro maschere dolci e candide. Tutti erano tutti e tutti erano nessuno. Tutti erano ciò che non erano e non sarebbero mai stati. Per quella notte potevano fingersi diversi. Per una notte potevano fare ciò che più li spaventava o che più li attraeva. Per una notte sarebbero stati invincibili, dietro quel sottile strato di tessuto che li allontanava o li avvicinava alla realtà. Per una notte potevano essere profondamente loro stessi: ciò che non avevano il coraggio di essere senza quella maschera. Per assurdo, erano più onesti così che senza il loro travestimento.

    Fiammetta era stupenda con la mascherina che copriva solo i suoi occhi, mentre il ventaglio vezzoso celava il resto del suo grazioso viso. Passeggiava con Verenia per Piazza San Marco, procedendo a fatica, tanta era la folla.

    Eccolo, Fiammetta! È lui! Quello con la maschera nera

    Lo vide e il suo cuore si fermò. Era tutto vestito di nero, con un largo mantello che lo avvolgeva dolcemente. La maschera copriva la metà superiore del suo volto e il cappello dall’ampia tesa ornato di piume nascondeva la sua chioma castana. I suoi occhi, però, più verdi che mai, lo rendevano perfettamente riconoscibile. Le fece un inchino, indugiò sul suo viso un attimo di troppo, poi si voltò e si avviò tra la folla.

    Forza, seguilo!

    Verenia le diede un colpetto. Fiammetta esitò, poi prese coraggio. Senza perdere di vista quella macchia scura tra i mille colori dell’immensa tavolozza che era la piazza, lo seguì, mentre si immetteva in un vicolo illuminato e festoso. Ogni tanto, Alfonso si voltava per sincerarsi della sua presenza, sorrideva e proseguiva, per strade sempre più strette, meno affollate e più buie. Fiammetta non se ne accorse, tanto era presa dall’eccitazione di poter stare finalmente sola con lui. Alfonso svoltò ancora una volta e Fiammetta lo seguì. Si ritrovò in una strettoia buia e silenziosa. Le luci e i rumori della festa erano lontani e quasi inudibili. Di Alfonso nessuna traccia. La strettoia finiva con un muro e un piccolo spiazzo. Dove era finito lui? Fiammetta aveva forse sbagliato svolta? Si voltò per tornare indietro ma un corpo le si parò davanti e le sbarrò la strada. Nonostante la luce scarsa, la giovane si accorse che non era Alfonso. Il losco figuro era, sì, vestito di nero, ma i suoi occhi non brillavano come il mare. Erano scuri, come la pece. Spaventata, Fiammetta si voltò di nuovo e fu immobilizzata da un altro uomo, anche lui di nero vestito, anche lui con una maschera sul viso. Nemmeno lui, però, era Alfonso. I suoi occhi erano freddi e chiari come ghiaccio. Basse risate le giunsero alle orecchie da ogni direzione. Alla fioca luce di una lanterna apparsa dal nulla, Fiammetta vide altre figure nere disposte in cerchio attorno a lei, ognuna con un ghigno malvagio sul volto.

    Finalmente sei mia, dolce Fiammetta.

    La voce suadente e calda era alle sue spalle. La giovane si voltò e li vide. Quegli occhi che tanto l’avevano fatta ardere e arrossire. Quegli occhi che le erano sembrati tanto buoni, ora rivelavano tutta la loro malvagità. Contornati dal nero della maschera, sembravano uscire dal buio nella notte, più simili a braci infernali che a stelle lucenti. Quegli occhi e gli occhi degli altri furono le uniche cose che Fiammetta riuscì a vedere da quel momento in poi. Gli uomini ammantati di nero si avventarono su di lei come corvi su una carcassa. A turno le strapparono il ricco vestito, le scarmigliarono i preziosi capelli, le violarono il candido corpo finché non fu coperto di lividi, graffi e sangue. A turno le tappavano la bocca per impedirle di urlare e chiedere aiuto. Se anche lo avesse fatto nessuno l’avrebbe udita. Erano tutti alla festa. Fiammetta era sola. Risero come satiri impazziti, grugnirono come cinghiali e la violarono senza pietà. Quando furono finalmente soddisfatti, la lasciarono nel vicolo, al buio, insanguinata e con le vesti a brandelli. La sua mascherina giaceva a terra, sporca e strappata. Fiammetta respirava a fatica, frantumata, spezzata, straziata. Lacrime calde le scendevano dagli occhi e bagnavano il selciato. Protetta dalla sua ingenuità, non avrebbe mai immaginato quanto male poteva nascondersi dietro bellezza ed eleganza. Aveva pagato a caro prezzo quella sua innocenza e ne avrebbe portato i segni per sempre. Aveva imparato che nulla è come appare, che dietro il bello c’è spesso il marcio. Se voleva sopravvivere doveva adattarsi e nascondere la fragilità e il dolore dietro una maschera di freddezza e imperturbabilità. Se voleva che nessuno si prendesse più gioco di lei, doveva essere lei a giocare d‘anticipo. Doveva prendersi ciò che voleva senza chiedere il permesso, come quei balordi avevano fatto col suo corpo. Aveva riconosciuto ognuno dei suoi carnefici e avrebbe reclamato vendetta, senza alcuna pietà. Non era più la Fiammetta innocente che era entrata in quel vicolo, ma nessuno doveva saperlo. Giurò a se stessa che nessuno avrebbe mai visto il suo vero volto. Nessuno le avrebbe mai più tolto la maschera.

    Il ventaglio di piume giaceva lontano, una bianca colomba macchiata di sangue.

    Aria rossa di Allie Walker

    Il mattino era arrivato prima di quanto pensasse, i suoi occhi si aprirono a fatica e si persero nella luce della camera, toni caldi, tanto da smarrirsi, gettavano sangue sul pavimento e alle pareti in turbini ammalianti fino a riempire la stanza di un velo porpora. La notte era stata frenetica e gli eventi avevano preso una piega che non si aspettava ma, per quanto inaspettati, degni di attenzione. La sera prima ebbe appena il tempo di gettare i vestiti, prima di affondare in quel letto in compagnia di una donna appena conosciuta, senza la possibilità di chiudere le tende. Lei dormiva ancora, accanto a lui, il ritmo costante del suo respiro indicava che era ancora impantanata nel sonno e ne avrebbe avuto per un bel po’. Non ebbe il coraggio di svegliarla, ne aveva appena per continuare la sua strada arrancando verso la coscienza e il calore del giorno. Fece scivolare il piumino dal corpo con riluttanza e si alzò. La camera era fredda, alcuni brividi scivolarono sulla pelle, fino al membro che, come al solito, si presentava nella sua fierezza, turgido ed eretto. Rinunciò a prestargli attenzione incuriosito dalla luce che entrava dalla finestra e ovviamente, per lui, la curiosità correva sempre davanti alle sue strette necessità. Forse perché non era nel suo solito ambiente, non era la sua camera e il suo letto, o forse perché quella donna era al posto di qualcuna che poneva il suo primario interesse verso i bambini piuttosto che al sesso. Riuscì a fatica a mettere un passo dietro l’altro e si piazzò con le mani appoggiato al davanzale. Guardò oltre il vetro.

    Rimase alla finestra per un tempo indefinito e, nonostante l’ocra dell’alba si stesse affacciando in un nuovo scenario, una figura comparve contro lo scarlatto dell’aria. Fuori da quella stanza le colline toscane erano un bagno di sangue, il casolare e le costruzioni adiacenti dipinti sanguigni, marroni e verdi sporcavano il rosso, il cielo era devastante e lei… la sua figura in un manto magnifico.

    Nonostante il volto nascosto da una maschera senza espressione e quel poco di chiarezza mentale dopo una serata di bagordi tra alcool e marijuana, la riconobbe, inconfondibili gli occhi che lo stavano fissando. Pensò di sentire anche la sua voce, un suono ammaliante e una melodia conosciuta, un canto che spesso aleggiava nell’aria quando era nella sua casa, una nenia al pari di una ninna nanna. Si guardò alle spalle, guardò il modo in cui la luce si fondeva con l’oro dei capelli della donna nel letto, rendendoli più caldi. Sembrava innaturale, tutto era innaturale, anche la sua presenza in quel posto. Tornò a guardare fuori e, mentre la figura della donna si dissolveva contro il cielo di sangue, il sole si scrollò ed entrò a comandare. Tutta la tavolozza dei colori tornò alla normalità, il rosso drenato completamente dal cielo.

    Aveva passato gran parte della sua vita a rafforzare le sue convinzioni, esaminando le strutture e il contesto in cui si trovava, ogni volta, e faceva in modo di trovarsi sempre su una base solida e consona alla sua vita sociale, padre amorevole e marito adorabile. Stavolta, nonostante sotto i suoi piedi avesse solidi mattoni, sentì come se stesse scivolando nella sabbia erosa dal mare.

    Sfumature di Irma Panova Maino

    Conosco l’animo umano, lo percepisco sull’epidermide come una sottile corrente che mi sfiora la pelle, trasmettendomi gli stati emotivi che provano le persone. Sono empatica e vivo questa mia dote a volte come una maledizione, assorbendo dall’ambiente che mi circonda le energie emanate, siano esse positive o negative cedendo, a mia volta, forze così faticosamente racimolate. Non riesco nemmeno a nascondermi dalle sollecitazioni, non riesco a porre quegli scudi che mi porrebbero al riparo dalla follia e dalla cattiveria umana, riesco solo a lasciare che tutto mi attraversi, restando talvolta inerme di fronte all’intensità delle altrui emozioni. E vi sono stati dei momenti nella mia vita, probabilmente ve ne saranno ancora, in cui le percezioni hanno sommerso il mio stesso essere, facendomi vivere l’esistenza altrui quasi come se fosse stata la mia. Istanti terribili in cui due mondi sono entrati in collisione lasciandomi sfinita e spossata, totalmente depredata di quelle energie che avrebbero dovuto essere solo mie. Tuttavia un altro dono mi è spesso venuto in aiuto, una particolare predisposizione con la quale sono nata e che ho compreso solo in età adulta, ma che ora utilizzo di sovente, specialmente i quei casi in cui nulla sembra essere reale e tutto viene celato sotto strati e strati di artifici ben confezionati. Sono una superficie riflettente sopra la quale si specchiano i volti di coloro che guardano, vedendo finalmente se stessi per ciò che realmente sono. Sono la verità degli animi esposti, senza orpelli né finzioni. Sono ciò che la loro mente razionale nega di essere, tentando di nascondere le proprie bassezze e meschinità nei più remoti recessi. Sono l’essenza del loro essere veri al di là di qualsiasi apparenza, frantumando qualsiasi maschera che possa essere stata indossata per anni. Ed è proprio l’attimo in cui il volto si denuda, in cui l’anima si espone che il cuore trema. L’attimo in cui, scivolando via la maschera, l’essere umano teme di non trovare nulla se non il vuoto abissale pronto ad accoglierlo, divenendo l’ennesima sfumatura di una vita racchiusa in un refolo di vento.

    Occhi scuri dietro la maschera di Lila Marinelli

    Aveva gli occhi scuri, profondi. Potevi guardarli, ma rischiavi di cadere nel loro pozzo e perderti. Un pozzo senza fondo, un’attrazione incorniciata da ciglia nere.

    Era lui.

    Come non ho fatto a riconoscerlo?

    Ma no, aspetta un attimo. Aspetta, forse mi confondo. Forse…

    Sento che mi sta assalendo l’ansia. Sento che mi manca il respiro. Guardo nella tazzina del caffè, cerco di prendere la bustina di zucchero. Urto con l’avambraccio il mio vicino di banco che mi lancia un’occhiata tagliente. Mi scusi, mi scusi, desolata, non volevo, davvero mi scusi.

    Ma no, non può essere. Oramai è passato tanto tempo, e poi me lo ricordavo diverso.

    No, no, no, non può essere lui.

    L’ultima volta che ci siamo visti mi ha perforato con quel suo sguardo magnetico l’anima e non l’ho mai più dimenticato. Non può essere lui.

    Ora mi sembra diverso, mi sembra come se… come se… come se non indossasse più quella maschera.

    Ora, forse riconosco, forse si, ora si… riesco a vedere quello sguardo che solo una volta ho intravisto, dietro quella maschera che portava.

    Era uno sguardo timido. Era uno sguardo che mi aveva abbracciato con la tenerezza che solo uno sguardo innamorato sa fare, mi aveva avvolto come una coperta di lana in una mattina grigia e piovosa.

    Lo riconosco, ora, quello sguardo. E’ lui.

    Non può che essere lui.

    Si.

    Senza maschera il suo sguardo è lo sguardo che mi era rimasto impresso nella mente, quello sguardo che mi aveva accompagnato nella notte quando per caso le nostre vite si incrociarono…

    Mi sta sorridendo e i nostri occhi si sono aggrappati allo stesso ricordo; è un ricordo senza maschere… ora.

    Dietro la maschera di Sebastiano Impalà

    Dietro la maschera

    ci sta un uomo

    sospeso al filo

    della sua carne.

    Dietro il pensiero

    vive una donna,

    costume nero

    per non apparire

    nei luoghi occulti

    dell’onestà.

    Nei nostri corpi

    ci siamo noi

    umidi e avvolti

    nei nostri amplessi

    di rossa lava.

    Anime eccelse

    in estinzione,

    poeti vivi

    che navighiamo

    nei fiumi sacri dell’irrealtà.

    Non chiedermelo di Sabrina Grementieri

    Ti giuro, ci ho provato.

    Alzarmi la mattina, aprire gli scuri su un mondo pieno di colore e scegliere il grigio della massa. Vestire i suoi panni, portare i suoi accessori, esprimermi con le sue parole. A tratti ho avuto la sensazione di indossare quella pelle fredda e vuota, ma indispensabile per sentirmi parte di un tutto.

    Quando il peso della maschera mi ha schiacciata, e ho letto attraverso quelle soffocanti fessure il disprezzo nei tuoi occhi, allora ho capito.

    All’interno di quell’involucro io stavo morendo. Come potevi sentire il calore delle mie mani? Come potevi leggere nei miei occhi? Non erano forse fredde le mie labbra? Quella non ero io.

    Ti giuro, ci ho provato.

    Ma è bastato un battito di cuore per sgretolare quelle catene di carta velina. Quale potere ho messo nelle tue mani per credere che fossero così robuste da non potersi spezzare?

    Non chiedermi più di vivere una vita che non mi appartiene. Su questo palcoscenico voglio portare i miei colori, la mia esuberanza, la mia follia. Voglio ridere fino alle lacrime, e piangere il dolore di una ferita. Voglio sentire il vento tra i capelli, il sole sulla pelle, la luce accecante negli occhi. Non voglio più nascondermi.

    Io non mi chiederò più di indossare la maschera del gregge.

    Sono quel che sono di Christiana V

    Quanti abiti ho messo e smesso nella mia vita? Quanti falsi sorrisi e finte emozioni ho dovuto elargire a una platea pronta solo a giudicare per ciò che vedeva? Quanto ho sofferto nel dover affermare quel che non ero, ciò che non sentivo, solo per uniformarmi a una massa che altrimenti mi avrebbe emarginata, relegandomi ai bordi di una società che pretendeva soltanto l’apparenza e non la sostanza?

    Ma io sono sostanza, non apparenza, e non permetterò a nessuno di schiacciarmi affinché rientri in uno schema piatto affibbiandomi un numero che m’identificherà per tutta la vita. Quel che ero, dietro la maschera che celava a tutto il mondo le mie vere fattezze ricoprendole di finzione e falsità, era una pantomima creata ad arte per rientrare in una collocazione necessaria alla sopravvivenza.

    Ma non ero io.

    Quando ho compreso l’importanza del mio essere, ho spezzato le catene librandomi in volo sopra quei volti dall’espressione disgustata, soddisfatti di aver eliminato un concorrente senza muovere un dito.

    E adesso vivo per quel che sono e per quel che sento.

    Sicuramente non sono nessuno per il mondo, ma sono tutto per chi mi conosce o si sforza di guardarmi, almeno di sbieco…

    Ballo in maschera di Allie Walker

    Camille sorseggiò il suo terzo flute di spumantino brut mentre guardava Capitan Spaventa che chiacchierava amabilmente con Colombina. La ragazza ridacchiava, era chiaro che il Capitano le stava raccontando qualcosa di piccante e piacevole.

    Ottimo. Quella sera tutti dovevano essere allegri, e dalla riuscita della festa dipendeva la sorte di tanti bambini abbandonati.

    Sospirò guardandosi attorno. La grande sala era gremita, decorata come se fosse un set di un teatro della commedia dell’arte buffa. Gli organizzatori avevano fatto uno splendido lavoro; il cibo ottimo, fornito gratuitamente dal miglior catering della zona. Vino buono e spumante scorrevano a fiumi.

    Si apprestavano a tirare a sorte la lotteria. Ogni invitato uomo era segnato su un cartoncino e tutti dovevano partecipare con un congruo versamento a favore dell’Onlus per cui era stata organizzata la serata, in cambio un ballo con una delle donne presenti, a scelta. Camille era annoiata e a disagio per questa scelta alla cinquanta sfumature di grigio, e c’era qualcosa nell’aria che ancora non riusciva a captare.

    La sua inquietudine dipendeva anche dal peso dell’acconciatura che portava in testa, un parruccone biondo con riccioli che le cadevano sul collo e le irritavano la pelle. Imprecò contro la scelta del personaggio che le avevano assegnato, una sorta di dama veneziana, con un abito ingombrante e pesantissimo, stretta in vita da un corsetto che le sprimacciava i seni, che strabordavano pericolosamente dalla scollatura. A tratti le toglieva il fiato, tanto era stretto.

    Si aggiustò per l’ennesima volta le tette, grattandosi.

    Sai che sei fenomenale, carissima?

    Camille si voltò verso la sua collega e amica, Amanda, vestita da Lady Oscar. Era bellissima. L’abito maschile le aderiva alla perfezione e ogni volta che si muoveva, gli uomini della sala non le toglievano lo sguardo di dosso.

    Che cosa Amanda?

    Hai una calma che ti invidio. Se fossi io la candidata alla direzione dell’Onlus, correrei in giro come un’ossessa per controllare ogni cosa e chiacchierare con tutti.

    La mia non è calma, è consapevolezza. Se non mi nominano direttore questa è la volta buona che mando a fanculo tutti quanti e mi licenzio.

    Amanda si avvicinò di più a Camille: Hai visto quel tipo vestito da Pantalone? Qualcuno dovrebbe avvertirlo riguardo la calzamaglia. Dai, doveva proprio mettere così in mostra i propri attributi?

    Camille si mise a ridere: E’ pericoloso dare un ballo in maschera. Uno psichiatra avrebbe terreno fertile per dei test riguardo alla scelta dei costumi. Per quanto mi riguarda sono stata quasi obbligata e maledico quel poveretto di Malaguti che lo ha fatto apposta per guardarmi le tette.

    Amanda si voltò e la guardò con occhio critico: Beh, sicuramente ha scelto l’abito adatto per mettere in mostra quel ben di Dio che ti porti addosso.

    Camille la guardò torva e la mandò al limbo. Le due erano completamente diverse, a cominciare dal carattere bizzarro e libertino della collega, ma la conosceva meglio di chiunque altro: Ma che hai oggi? Io mi sento a disagio così in mostra.

    Sei antiquata e ridicola. Nessuno ai nostri giorni dovrebbe vivere in un mausoleo di casa e, per giunta, da sola. Cristo! Invita qualcuno, datti da fare. Non si consuma niente li sotto. Possibile che nessun uomo sia giusto per te?

    Camille bevve un altro sorso di spumante. Avrebbe dovuto smettere, ma la sensazione di disagio era rimasta, aumentata anche, dopo quella breve conversazione. Forse era frustrata? Era parecchio tempo che non faceva sesso, ma i suoi ideali erano altri. Il lavoro al primo posto.

    Grazie alla sua professione di avvocato, aveva raggiunto ben presto i vertici dell’Onlus e si preparava ad accogliere la decisione del consiglio per la sua candidatura di direttore.

    Una sgomitata della collega la fece sobbalzare: Oh, guarda quella! Non riesco a capire chi sia.

    Lo sguardo di Camille seguì il dito di Amanda e vide una Wonder Woman mezza nuda, attorniata da un capannello di ammiratori che stava cercando di ammaliare battendo le ciglia e ridendo in maniera esagerata e provocante.

    Penso sia la moglie di Malaguti. Ammazza che trasformazione!

    Stai scherzando vero? Ma che caspita le è saltato in mente? Non ha praticamente lasciato nulla all’immaginazione.

    La moglie di Malaguti, in passato, era sempre stata una donnina che detestava farsi notare; di feste e cene ne avevano date tante e, ogni volta si era soffermata a guardarla, aveva notato la sua timidezza e vergogna. Camille non poté fare a meno di chiedersi come ci si sentisse a lasciarsi andare in quel modo, senza badare alle conseguenze. E Malaguti, il marito, glielo aveva permesso? Anche lui candidato alla direzione, forse aveva in mente di influenzare il consiglio con quella pantomima?

    Lo maledisse ancora una volta.

    Credo che il marito sia un gran bamboccio…proseguì Amanda. Scommetto quello che vuoi che quando sono nella loro casa lei sia una despota e lo comandi a bacchetta, come tutti gli uomini sposati d’altronde…

    Come hai fatto a divenire così cinica!

    Non sono cinica. Sono realista. So quello che vogliono gli uomini e sfrutto le mie possibilità. Disse sprimacciandosi i seni, ridendo.

    Credi che tutti gli uomini vogliano solo quello?

    Amanda scosse la testa, buttando i lunghi capelli dietro le spalle. Lei non aveva avuto bisogno di una parrucca, aveva già una folta chioma bionda e riccioluta di natura. No. Non tutti. Ma i migliori sono già impegnati, come i parcheggi. E poi scusa, se dovessi scegliere un uomo con cui andare a coricarmi ogni notte per il resto della mia vita, prima vorrei provarlo. Tu compreresti mai un’auto senza prima salirci sopra e sentire il rombo del motore, la spinta, gli affondi, la ripresa?

    Su questo hai ragione, un’auto non si può modificare, a meno che non serva per le corse. Ma un uomo… il rapporto con un uomo, se non fosse perfetto, potrebbe sempre migliorare.

    Sei un’ingenua. Tu sbagli tutto. Hai mai sentito parlare di chimica? Se non c’è… non c’è.

    Amanda, per cortesia, ti voglio bene, ci conosciamo da tanto tempo. Ma ora smettila, perché dovrei scegliere un uomo con cui andare a letto?

    Ok. Adesso vado a cercare Pantalone, sotto quella calzamaglia ho scorto qualcosa di interessante… Fallo anche tu, scegline uno. Scopaci, stasera stessa!

    Camille scosse la testa seguendo con lo sguardo la collega, era sicura che l’avrebbe fatto sul serio, poi si spostò da dove era e tentò di raggiungere un consigliere. La sala era gremita all’inverosimile, sembrava che tutti urlassero per farsi sentire e il livello del frastuono era altissimo.

    Camille. Aspetta!

    Si voltò di scatto cercando di capire chi l’avesse chiamata. Un attimo dopo, la Fata Turchina, con tanto di bacchetta magica, arrivò di corsa.

    Giulia, accidenti! Sei meravigliosa.

    Grazie, anche tu.

    Giulia era la segretaria del direttore uscente, che doveva lasciare la direzione per limiti di età, nonché moglie del sindaco del paese; aveva circa quarant’anni e si manteneva perfettamente, nonostante avesse avuto quattro figli, tutti vicinissimi.

    Hai visto mia sorella? L’ho cercata ovunque. L’unica cosa che riesco a pensare è che sia finita in uno sgabuzzino con quel fustacchione che era con lei, o meglio… vorrei tanto lo avesse fatto.

    Non l’ho vista, ma dubito che si sia appartata da qualche parte

    Giulia sospirò in maniera drammatica: Lo so, continuo a cercare di deviarla, di convincerla a lasciarsi andare… è così maledettamente noiosa, proprio come te. Potreste avere uno stuolo di uomini ai vostri piedi, invece sembrate due suore carmelitane dedite alla clausura. Mamma mia che spreco!

    Camille scosse la testa per la seconda volta quella sera: Ma che avete tutti stasera? Sei la seconda persona che mi consiglia di fare sesso. E’ il vestito? O forse hanno messo qualcosa nello spumante e nel vino?

    Giulia batté con la bacchetta magica sulle unghie perfettamente laccate di turchino, come l’abito: Hum. credo sia l’atmosfera. I visi nascosti dietro le maschere, il fingere di essere qualcun altro, il mistero. Sento l’aria carica di elettricità. Potrei prendere mio marito e andare a nascondermi in qualche ripostiglio. Ma tu non te ne sei accorta? Pensa sono stata tentata da quello che ho intravisto sotto la calzamaglia di Pantalone. Se fossi sicura di non essere scoperta, probabilmente ci proverei io pure con quello, non dovessi trovare mio marito… ridacchiò Io non sono come voi.

    Tu sei tutta matta. Io non faccio queste cose e tu non puoi.

    Ehi, non incazzarti. Ma sei così pudica? Guarda che il sesso fa stare bene… E poi non scherzavo quando parlavo dello sgabuzzino… A meno che non fosse stato il cappotto con il pelo al collo appeso alla parete che emetteva dei gemiti languidi pochi minuti fa…

    Credi davvero che fosse stata tua sorella?

    Lo spero! Significa che almeno una volta nella sua vita si è concessa l’ebbrezza di una follia.

    Per la terza volta Camille scrollò la testa e la salutò continuando la sua ricerca del consigliere.

    Senza dire una parola con alcuno, attraversò la stanza, rischiando di travolgere un vassoio di leccornie appoggiato su un tavolo, il suo vestito era maledettamente ingombrante. La sua attenzione fu attratta da uno strano movimento su un corridoio di lato alla sala della festa. Pulcinella, tenendo per mano una Dama che non seppe riconoscere, stava aprendo una porta di uno stanzino che era adibito a spogliatoio e, dopo essersi guardato intorno per vedere se qualcuno li notasse, si infilarono dentro e chiuse la porta.

    Allora era vero. Giulia aveva ragione. Arrossì al pensiero di quello che stava accadendo nello stanzino, ma era anche eccitante, pericoloso, folle. Qualcosa che lei non aveva mai fatto. E comunque non aveva mai incontrato nessuno che l’avrebbe portata in uno spogliatoio e lei non era il tipo di donna che avrebbe seguito chiunque.

    O meglio… c’era stato solo un uomo nella sua vita, Marco, che avrebbe seguito in capo al mondo, ma a quel tempo, giovane e inesperta, non aveva capito che per lui, lei non significava nulla, era solo un giocattolo del momento. Lo aveva capito troppo tardi. Delusa da quella breve e intensa relazione, si era, poi, tenuta alla larga dagli uomini. Diceva a se stessa che stava bene anche da sola.

    Guardò ancora lo spogliatoio, immersa nei propri pensieri.

    Congratulazioni Camille.

    Camille sobbalzò, come fosse stata colta in flagrante. Poi si tranquillizzò, sicura che nessuno potesse indovinare cosa le passava per la testa.

    Credo che il consiglio abbia approvato la tua nomina. Un uccellino me lo ha cinguettato.

    Camille sorrise a Maria, la direttrice di uno degli orfanotrofi di cui si occupava l’Onlus. Il suo costume da Bianca Neve le dava un aspetto diverso dal solito tailleur anonimo.

    Ne sei sicura? Io ancora non so nulla. Stavo aspettando quella ridicola lotteria e mi sono defilata. Non voglio ballare con uno sconosciuto appiccicoso.

    Sicurissima, sai che conosco bene i consiglieri. Le sorrise congratulandosi ancora. La festa sta riuscendo bene, mi sembra. La gente è allegra e partecipa. Gli organizzatori hanno avuto una buona idea a far coincidere la raccolta fondi con la nomina del nuovo direttore. Sono sicura tu saprai fare alla perfezione il tuo lavoro… Ma, a quando un uomo al tuo fianco?

    Camille le lanciò un’occhiataccia che fece cambiare subito espressione alla donna. Ne approfittò per congedarsi. Mi scusi, mi stanno chiamando. Invece si diresse verso la toilette, passando davanti allo spogliatoio. Udì una voce femminile, piena di desiderio. Ebbe una sorta d’invidia per quella donna che riusciva ad abbandonarsi al piacere con tanta facilità.

    Eh, no. Devo far qualcosa… pensò E se anche io beccassi uno sconosciuto e me lo portassi da parte per sentirmi di nuovo donna? Sarebbe solo uno sconosciuto, che male c’è?

    Quando tornò nella sala, si trovò a scrutare gli invitati e si rese conto che Giulia aveva pienamente ragione. L’aria era intrisa di sensualità. Le persone si toccavano, si sfioravano e non solo per caso. Poco più in là, Tarzan e Jane si stavano baciando, alla sua destra Batman e Catwoman, si strusciavano in un ballo sensualissimo. Intenta a guardarsi in giro, scorse un uomo vestito da Arlecchino, molto alto, una maschera in viso che copriva anche il naso, sulla bocca un rosso accesso di un rossetto usato ad arte su labbra perfette, la mascella con una leggera barba incolta.

    Camille si soffermò a guardarlo e i loro sguardi si incrociarono per un istante che le sembrò un’infinità. Gli occhi scuri che intravide avevano un luccichio ammaliante. Lui le sorrise, poi con un cenno della mano la invitò a seguirlo. Non se lo era sognato. Si diede più volte dell’idiota e dopo svariati rimbrotti contro se stessa, lo seguì al di fuori della pista dove gli ospiti ballavano.

    Più si avvicinava e più diventava nervosa. Il respiro accelerò e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Alcuni invitati la fermarono per congratularsi, ma niente e nessuno l’avrebbe trattenuta. Tutti sapevano della sua nuova posizione, probabilmente, meno lei. Ma non le interessava in quel momento, voleva conoscere quell’uomo, chi si celava lì sotto? Una flebile voce le suggeriva di fermarsi prima che fosse troppo tardi. Divisa tra la paura e la situazione intrigante, continuò a camminare, seguendolo a debita distanza. Poteva sempre fare un passo indietro. E poi che paura doveva avere nello scambiare quattro chiacchiere?

    L’uomo non doveva avere le stesse intenzioni di Camille, visto che uscì dalla sala e si incamminò verso il corridoio che portava alle scale. Non si guardò indietro per vedere se lo seguisse e Camille si chiese il perché di tanta sicurezza.

    Salì le scale, dietro di lui, in silenzio. Quando lui entrò in uno degli uffici al piano di sopra, Camille rimase qualche minuto sul pianerottolo, indecisa se seguirlo o meno. Poi entrò anche lei.

    Non era del tutto buio e non era un elemento negativo, anzi…

    Inciampò in una sedia, rischiando di cadere e lui fu subito pronto a sorreggerla, abituatosi prima di lei all’oscurità della stanza. L’aspettava.

    Un profondo respiro e si trovò con le labbra appoggiate a quelle dello sconosciuto. Lei emise un gemito di accettazione, ma anche di stupore. Apprezzò il sapore di vino della bocca dell’uomo che aveva approfondito il bacio infilandole la lingua in bocca. Lei aveva prontamente dischiuso la bocca, avida di lussuria. Gli accarezzò il torace e, improvvisamente audace, spinse la sua esplorazione più intimamente, al di sotto della cintura, accorgendosi che era eccitato e che lo diventava ogni minuto di più.

    Non riesco a credere quello che sto facendo… bisbigliò Camille.

    Lui la zittì attirandola a sé con decisione, finché i loro corpi aderirono, nonostante l’abito ingombrante di lei. Strana cosa poteva fare un bacio e una maschera, pensò Camille. Si abbandonò fra le sue braccia quando lui iniziò a tormentarle la zona dietro l’orecchio, per poi scendere lentamente verso l’incavo dei seni.

    Un rumore dietro la porta e lei si irrigidì, aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui la bloccò: Shhh ammonendola. La baciò ancora e tutto il mondo fuori cessò di esistere. Le mani di lui armeggiarono con l’abito di lei sulla schiena e presto divenne un mucchietto ai suoi piedi. Sotto indossava solo il corsetto e un paio di slip minuscoli. Anche il corsetto divenne presto un ricordo e i seni furono subito coperti dalle mani di lui. Giocò con i capezzoli fra le dita, li mordicchiò per un tempo indefinito, li leccò ancora fino a scendere verso il ventre, soffermandosi sull’ombelico, mordicchiando la carne esposta.

    Il cuore di Camille batteva all’impazzata, mentre lui insinuava la mano dentro l’orlo delle mutandine. Non aveva immaginato potesse essere così coinvolta con uno sconosciuto, non era nemmeno sicura volesse arrivare fino in fondo, ma così eccitata non si sarebbe fermata per nulla al mondo. Era da tempo che non si sentiva più in quel modo e aveva creduto che solo un uomo avrebbe potuto farla sentire così: le aveva tolto il fiato, le tremavano le ginocchia e un fuoco dentro di lei cresceva impetuoso.

    Quell’uomo sembrava sapesse istintivamente cosa lei desiderava, cosa voleva e quello che le piaceva. Avrebbe voluto guardarlo in viso, avrebbe voluto vederlo alla luce, invece quando sentì il suo respiro caldo sullo stomaco, dimenticò ogni suo volere.

    Da quel momento in poi si preoccupò solo del piacere che le stava procurando con quel semplice tocco, sembravano mani esperte, tentò di soffocare i gemiti quando raggiunse il suo primo orgasmo, solo con il tocco di quelle mani che si erano insinuate a toccare la pelle di velluto tra le sue cosce.

    Lui le diede il tempo di riprendersi e senza parlare, l’aiutò a distendersi sul pavimento. La baciò ancora e le lambì il corpo con la lingua, fino ad arrivare ad aprirle le cosce e intrufolarsi anche tra le pieghe delle labbra. Fu una lenta tortura che la portò di nuovo all’apice. Lui se ne accorse e smise di leccarla. Si distese sopra di lei e le spinse il cazzo fra le gambe. Si mosse contro il clitoride, continuando la dolce tortura. Di nuovo pronta per godere la penetrò e fu un amplesso furioso, entrambi avidi di arrivare alla fine. Una piacevole fine.

    Camille continuò a stuzzicargli le labbra, finché lo sentì mugolare. Solo allora si fermò, si ritrasse e respirò. Di colpo ebbe la consapevolezza del posto in cui si trovavano, un ufficio e fuori, al piano disotto, decine di persone che erano venute per una festa di beneficenza. Si alzarono da terra e si ricomposero senza parlare. Lei cercò di sistemarsi l’acconciatura e quando pensò di essere a posto, aprì la porta e uscì. Senza aspettare che lo sconosciuto facesse altrettanto, si diresse verso la toilette sullo stesso piano. Per fortuna non c’era nessuno. Lì si guardò allo specchio e tentò di capire quello che era

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1