I gloriosi Caffè storici d’Italia
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Il libro rivisita, come in un viaggio, gli storici Caffè che hanno caratterizzato la vita delle più grandi città italiane: dalla prima bottega sorta a Venezia, in piazza S. Marco, nel 1683, al Fiorio di Torino, dal Florian di Venezia al Campari di Milano, dal Pedrocchi di Padova alle Giubbe Rosse di Firenze, dal Greco di Roma al Gambrinus di Napoli e allo Stoppani di Bari. Lungo l’arco di tre secoli i Caffè sono divenuti una caratteristica delle città italiane e alcuni sono rimasti famosi come singolari ‘salotti di strada’. Luogo di ritrovo per gente comune, il Caffè ha espresso il meglio di sé quando ha visto sedere ai propri tavoli scrittori, artisti e politici italiani e stranieri che hanno fatto epoca: celebri dispute letterarie, grandi realizzazioni poetiche e ardenti sentimenti patriottici hanno fatto del Caffè un autentico crocevia della cultura, punto d’incontro e scontro per appassionanti fermenti di tradizioni e di avanguardie.
Mario Scaffidi Abbate
Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia nel 1926. Docente di letteratura italiana e accade-mico tiberino, ha collaborato a diversi programmi RAI, in particolare sceneggiati di carattere storico e linguistico di grande successo. Ha ricevuto in Campidoglio il Premio Nazionale Excelsior e il Premio Nazionale Roma Alma Mater e nel 1994 è stato chiamato a far parte del “Comitato Ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana”. Ha diretto il periodico Cultura - organo ufficiale dell'Istituto Europeo per le Politiche Culturali e Ambientali, di cui è stato Vicepresidente - e attualmente è direttore responsabile de Il Conciliatore nuovo. Accanto a molte opere originali - fra cui La Virtù, Caos, La scuola di Babele, Il mitico numero 7, Il mondo dello yoga, L'Italia dei Caffè (da cui è stato tratto un breve sceneggiato andato in onda su Rai 1) e il recente Avanti marsch! - ha pubblicato, con la Newton Compton, numerose e apprezzate traduzioni di testi latini e greci. Sue traduzioni sono state utilizzate in collane di altri editori (Bompiani, Rizzoli e Mondolibri).
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I gloriosi Caffè storici d’Italia - Mario Scaffidi Abbate
I gloriosi Caffè storici d’Italia
Fra storia, politica, arte, letteratura, costume, patriottismo e libertà
saggio
Mario Scaffidi Abbate
Published by Meligrana Editore and Priamo on Smashwords
–
Copyright Meligrana Editore, 2014
Copyright Priamo, 2014
Copyright Mario Scaffidi Abbate, 2014
Tutti i diritti riservati – All rights reserved
ISBN: 9788868150969
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
www.meligranaeditore.com
info@meligranaeditore.com
Priamo
www.priamoedit.it
info@priamoedit.it
INDICE
Frontespizio
Colophon
Licenza d’uso
Mario Scaffidi Abbate
Copertina
Prefazione
I gloriosi Caffè storici d’Italia
Il caffè
Dalle botteghe ai Caffè
I Caffè tra storia e letteratura
Torino
Genova
Milano
Venezia
Trieste
Padova
Bologna
Firenze
Roma
Napoli
Bari
Reggio Calabria
Palermo
Dove vanno i Caffè
Appendice - Interviste immaginarie
Con Cavour al Fiorio di Torino
Con Mazzini, Garibaldi e Mameli al Caffè dell’Unione di Genova
Con Stendhal al Caffè del Teatro alla Scala di Milano
Con Foscolo al Florian di Venezia
Con Italo Svevo al Garibaldi di Trieste
Con i goliardi al Pedrocchi di Padova
Con Carducci al Caffè del Pavaglione di Bologna
Con Marinetti alle Giubbe Rosse di Firenze
Con Goethe al Greco di Roma
Con d’Annunzio al Gambrinus di Napoli
Con Marconi allo Stoppani di Bari
Con Oreste Lionello al Puntorieri di Reggio Calabria
Con Tomasi di Lampedusa al Mazzara di Palermo
Con Papini all’Aragno di Roma
Con la Duse al Centrale di Asolo
Bibliografia
Priamo
Meligrana
Note
Licenza d’uso
Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale e non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non è stato acquisito per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la vostra copia. Grazie per il rispetto all’impegnativo lavoro di questo autore.
Mario Scaffidi Abbate
Mario Scaffidi Abbate ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni, fra cui numerose e apprezzate traduzioni di testi latini e greci per Newton Compton Editori. Ha collaborato ai programmi culturali della Rai con sceneggiati radiofonici, articoli e conversazioni. Accademico tiberino e membro della Norman Academy, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, fra cui il Premio Internazionale Excelsior, il Premio Nazionale Roma Alma Mater, il Premio Capitolino Excellence Arward e il Premio Internazionale Tropea: Onde Mediterranee. Ha fatto parte del Comitato Ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana
, ha diretto il periodico CULTURA e attualmente è direttore responsabile del Conciliatore nuovo e caporedattore del mensile bilingue TopTime con sue rubriche originali.
Contatto autore:
mario.scaffidi@alice.it
Seguilo su:
http://www.marioscaffidiabbate.it/
Prefazione
Questa pubblicazione ha dietro di sé una lunga storia che merita di essere raccontata. Essa ebbe inizio parecchi anni or sono, quando l’Autore − che collaborava ai programmi culturali della RAI con sceneggiati originali di carattere linguistico e storico (fra cui La parola alla parola!, Parole alla sbarra, Le svolte della Storia, I grandi antagonisti, Al tempo di...) − presentò a Giovanni Gigliozzi, regista radiofonico della RAI, un progetto sui Caffè storici italiani, che fu bene accolto e messo in programmazione. Sennonché di lì a qualche tempo Giovanni Gigliozzi, attingendo a quel progetto, realizzò un suo sceneggiato radiofonico dal titolo "In diretta dal Caffè Greco: incontri con personaggi del nostro tempo", che andò in onda fra il 1980 e il 1981.
L’Autore, allora, risentito per quello ‘sgarbo’ (un altro glielo fece Luciano Rispoli, attingendo da La parola alla parola! la sua trasmissione televisiva Parola mia), trasformò quel suo progetto sui Caffè storici in un libro intitolato L’Italia dei Caffè, che venne pubblicato da Rendina Editori nel 1995, e che riscosse un grande successo, con recensioni e interviste all’Autore su due reti della RAI e su Teletevere, e da cui, nel 2007, la RAI trasse un breve sceneggiato televisivo, girato proprio al Caffè Greco, per la regia di Lena Stamati e con la partecipazione dell’Autore, di Oreste Lionello e dei Pandemonium.
Ebbene, il presente libro è una riedizione (riveduta ed ampliata) de L’Italia dei Caffè, che viene riproposta ai lettori, con un altro titolo, quale testimonianza di un’epoca d’oro, visto che i grandi Caffè storici hanno ormai esaurito la loro funzione nella storia del nostro Paese, e i pochi Caffè letterari esistenti in Italia sono un’altra cosa.
In appendice al libro sono state inserite alcune recenti interviste immaginarie a illustri frequentatori dei Caffè storici italiani (già previste dall’Autore nel suo antico progetto), realizzate per la rivista TopTime.
L’Editore
Caffè di plebe, dove un dì celavo
la mia faccia, con gioia oggi ti guardo.
Umberto Saba
Il caffè
La data e il luogo di nascita del caffè sono alquanto controversi. C’è chi ne attribuisce la scoperta ad alcuni pastori etiopi della regione di Caffa (da cui la pianta avrebbe preso il nome), chi ad un religioso di un convento islamico dello Yemen, e chi, come Antonio Fausto Nairone, un monaco maronita del Settecento, al priore di un monastero cristiano situato presso le rive del mar Morto. Costoro, visto che alcune capre, dopo aver mangiato dei cespugli dai frutti rossi e tondeggianti, che crescevano spontanei a 1000 1300 metri di altitudine, diventavano irrequiete e non riuscivano ad addormentarsi, fatte bollire le bacche di quella pianta, ne ricavarono un infuso che, appena bevuto, rivelò delle notevoli qualità nervine ed energetiche. Una leggenda araba, poi, attribuisce l’invenzione del caffè, come bevanda, ad Allah, il quale, tramite l’arcangelo Gabriele, l’avrebbe fatto pervenire a Maometto (non si sa se già sciolto in una tazzina) per svegliarlo da uno stato di torpore da cui non riusciva a scuotersi. E si dice che da quel momento Maometto non affrontasse i suoi pellegrinaggi e le sue predicazioni senza essersi prima ristorato e rinvigorito con quell’infuso corroborante, il quale lo rendeva addirittura capace di sbalzare di sella quaranta uomini e godere con quaranta donne
. Nera come la Kaaba, la pietra sacra della Mecca, il caffè, in questo caso, avrebbe preso da lei il nome di Kawa, divenendo anch’esso oggetto di culto: O caffè, tu dispensi i tuoi benefici, sei la bevanda degli amici di Dio, dài la salute a chi si affatica per acquisire la saggezza. Solo l’uomo caritatevole, che beve il caffè, conosce la verità. Il caffè è il nostro oro: dove lo si serve, si gode della compagnia dei migliori fra gli uomini. Voglia Dio che i calunniatori di questa bevanda non possano mai berlo
.
In ogni caso la scoperta del caffè risalirebbe ad un migliaio di anni fa, e Avicenna, il grande filosofo e medico arabo dell’XI secolo, dice infatti che il caffè, da lui chiamato bunc o buncho, era conosciuto fin dall’anno Mille. Ma già un secolo prima ne aveva dato notizia Al-Razi. Recenti ricerche hanno stabilito che la pianta del caffè è originaria dello Yemen, e così credette anche Linneo, il grande naturalista svedese, che nella sua celebre classificazione delle piante incluse il caffè, a cui diede il nome scientifico di Coffea arabica. In questo caso la parola non deriverebbe dalla regione etiopica di Caffa, ma dall’arabo qahwa (che significa, genericamente, bevanda eccitante, e con cui viene designato anche il vino), divenuto poi in turco Kahve. Il Vallisneri dice esattamente che "caffè deriva da cahuè, o cahueh, ed è il medesimo che il cahovah o Kahoveh degli Arabi. Viene da un vocabolo che significa in arabo aver poco appetito, perocché in copia bevuto lo leva. Secondo Abd-el-Kadr, uno sceicco dello Yemen, il caffè non sarebbe stato conosciuto nel suo paese prima del 1450, e così la pensa Pietro Verri, che nella sua rivista
Il Caffè c’informa che tale bevanda
era in uso in Oriente sino al tempo della presa di Costantinopoli fatta da’ Maomettani, cioè circa la metà del secolo decimo quinto".
Tuttavia la diffusione del caffè in Arabia non è verificabile prima del XVI secolo e, volendo, si può fissarne la data intorno al 1511, in base ad un episodio verificatosi alla Mecca all’epoca della dominazione turca. In quell’anno il governatore della città santa, Khair-Beg, che non conosceva ancora il caffè, vide nella moschea deserta alcuni dervisci (eremiti o santoni che praticavano tecniche particolari di esaltazione estatica), i quali sorbivano in silenzio la nera bevanda prima di dedicarsi ai loro esercizi ascetici. Dopo averli fatti scacciare, egli convocò un gruppo di teologi e di medici per verificare la dannosità o i benefici di quell’amaro infuso. I medici decretarono che il caffè produceva gli stessi effetti del vino, e poiché questo era proibito anche la nera bevanda fu considerata nociva alla salute e perciò messa al bando dalla città. Così avvenne anche a Istambul. Ma la voglia di caffè s’era fatta ormai così forte che dopo vent’anni di persecuzione il suo uso finì con l’imporsi definitivamente. Da qui la sua divinizzazione. Come altrove era avvenuto col vino, attribuito al dio Bacco, così nell’Islam, in cui il vino era vietato, il caffè ne prese il posto, diventando l’Apollo nero
, il Kaweh, l’eccitante, il quale, a differenza del vino, che addormentava o sconvolgeva la mente, rendeva lucidi e razionali. Il caffè, e non solo nell’Islam, operò un radicale cambiamento, sia sul piano economico che su quello culturale.
Dall’Arabia (dove secondo alcuni sarebbe stato introdotto dagli Etiopi fra il XIII e il XIV secolo, in seguito alle loro invasioni, e coltivato soprattutto nello Yemen), il caffè giunse in Egitto e da qui nel Sudan e in Turchia. Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento lo troviamo nell’Europa orientale, mentre la sua importazione nell’Europa occidentale risalirebbe alla prima metà del Seicento e la città non sarebbe Venezia (come sostengono alcuni, per il fatto che i mercanti veneziani erano in più diretti contatti con l’Oriente), ma Marsiglia. Pietro Verri scrive che la più antica memoria che sen abbia è del 1644, anno in cui ne fu portato a Marsiglia
, e così dice anche il Cantù nella sua Storia Universale (IV, 589): Il primo che arrivò a Marsiglia fu nel 1644
. E aggiunge: Da principio a Parigi vendeasi due soldi e mezzo... nelle farmacie e nei conventi
.
Anche in Europa il caffè inizialmente non incontrò molto favore: c’era chi sosteneva che provocasse l’apoplessia o addirittura che accorciasse la vita. Francesco Redi, nel Bacco in Toscana, scrive: Beverei prima il veleno, / che un bicchier che fosse pieno / dell’amaro e reo caffè
(poi, però, nelle Esperienze intorno a diverse cose naturali, dice: Bisogna che io sia diventato caffeista perfetto, perché quando bevo il caffè non mi piace di mettervi il zucchero, in quella guisa che ai perfetti bevitori del vino non piace mettervi l’acqua
). C’era chi diceva che il caffè rende l’uomo sterile come il deserto donde proviene questo seme del malaugurio
, chi lo considerava un nemico dell’attività
, un flagello che spinge... a restare tutto il giorno al caffè solo per chiacchierare di politica, mentre a casa i bambini piangono chiedendo pane!
. Un barbiere, addirittura, fu condannato perché aveva disturbato i vicini col cattivo odore del caffè. E c’è stato invece chi lo ha esaltato quale fonte di felicità: Walter Rumsey sul punto di morire, indicando un chicco di caffè, sembra che abbia detto: Da lì provengono la felicità e lo spirito!
. Michelet attribuiva al caffè le sue capacità creative, e Jonathan Swift (l’autore di Gulliver) in una lettera all’amante Vanessa così scriveva il 13 luglio 1722: La miglior massima ch’io conosca è questa: bevi il tuo caffè, se puoi farlo, e se non puoi, sii contento lo stesso
. E ancora: Non sono sempre abbastanza sereno per scrivere: per esserlo bisogna prendere il caffè una volta la settimana
.
Ma l’avversione iniziale non impedì al caffè di affermarsi, entrando nell’uso quotidiano agl’inizi del Seicento, quando nei salotti inglesi e francesi, accanto alla birra e al tè (anteriori di qualche decennio) fece la sua apparizione appunto la nera bevanda, tanto nera e tanto amara che, come disse Thomas Herbert, pare provenire dallo Stige
. A dispetto di Voltaire, il caffè non è passato, come passa la moda. Questo liquore sobrio, potentemente cerebrale, che, diversamente dagli alcolici, aumenta la precisione e la lucidità
, scrive Jules Michelet, sopprime la vaga e pesante poesia dei fiumi dell’immaginazione
e dalla realtà ben osservata fa scoccare la scintilla della verità
. Pietro Verri, sempre nella succitata rivista, dice che il caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto, e che coltivano le scienze
.
Certo, l’uso eccessivo fa male: Balzac, per esempio, che ne beveva a fiumi, e quando scriveva teneva sempre a portata di mano, sulla scrivania, una caffettiera di porcellana, poteva ben dire che il caffè dà una specie di vivacità nervosa simile a quella della collera: la voce si alza, i gesti esprimono un’impazienza morbosa, si desidera che tutto vada alla velocità del pensiero, si è tesi, irritati per dei nonnulla, si acquisisce quel carattere volubile tipico dei poeti, tanto criticato dai droghieri
; ma fu proprio l’uso esagerato del caffè che probabilmente accorciò la vita all’autore della Comédie humaine. D’altra parte il suo caso, se non dallo stesso Voltaire, che, pur bevendo molto caffè, morì a ottantaquattro anni, può essere smentito, per esempio, da Fontenelle, il quale, ormai centenario, a chi gli ricordava che il caffè è un lento veleno
rispondeva: Che sia un veleno molto lento posso testimoniarlo io stesso
. Ma Balzac non era forse il più gran caffeista
(il termine fu coniato da Francesco Redi per indicare gli accaniti bevitori di caffè): basti pensare a Marinetti, che era soprannominato la caffeina d’Europa
, o a d’Annunzio, il quale, in una conversazione con l’umorista Jarro, racconta che quando abitava alla Capponcina e restava segregato per mesi e mesi a lavorare, prendeva da dieci a quindici tazze di tè o altrettante di caffè
. Al giorno. Ma faceva uso anche di altri eccitanti: In un periodo di alacre lavoro
, prosegue, "scrissi in una sola notte l’Allegoria dell’autunno, sostenendomi a forza di etere trasfuso in pezzetti di zucchero". E durante i suoi voli, come scrive nel Notturno, si portava sempre dietro un tubo
pieno di caffè caldo. Anche Papini trovava nel caffè uno stimolante per la sua ispirazione, e però si ribellava all’idea di dover essere debitore di molte sue pagine a quella benefica bevanda. In quel bellissimo capitolo di Un uomo finito, intitolato perlappunto I miei debiti
, dopo aver detto che la sua vita non gli appartiene inquantoché è il risultato di centomila altre, aggiunge: Eppoi c’è di peggio: ho perfin paura, certe volte, di dover quello che chiamo ingegno a cose assolutamente estranee al mio essere, e fisiche per giunta. S’io divento più acuto dopo due tazze di caffè... allora una sciocca vergogna mi riempie l’anima ed ho il crudele sospetto ch’io non sia altro che una macchina cerebrale, che rende quel che ci si mette...
.
Per Kesten il caffè rappresentava un’anti-camera della poesia
. Per Rimbaud (il poeta francese, sostenitore della teoria del veggente che attinge all’assoluto attraverso lo sregolamento di tutti i sensi
) il caffè fu anche una fonte di guadagno, quando nel 1880 lavorava per un’azienda che ne faceva commercio. Sia dunque lode al caffè.
Caro caffè, tanto amato e lodato
da poeti, scrittori e musicisti,
non so come farei senza di te.
Tu sei il filtro benefico che accende
la mia torpida mente, e più discendi
nei miei precordi, più mi tiri su.
Tu mi sei necessario più del pane,
più di qualunque farmaco, o caffè.
Non è tanto il sapore, è il tuo profumo
inebriante, che mi fa godere
più del tenero amplesso d’una donna.
Cos’altro dirti? Tu sei proprio un dio,
se veramente t’ha creato Allah.
Dalle botteghe ai Caffè
Non si sa esattamente quando e dove sia nato il primo Caffè, anche perché all’inizio, specialmente in Oriente, molti lo vendevano su carrettini ambulanti o nelle tende. Le prime mescite sorsero nel Cinquecento: ce n’erano a Medina, alla Mecca, ad Aden, a Istambul (già nel 1511), al Cairo, ad Aleppo, a Damasco e a Costantinopoli, che a detta di alcuni vanterebbe la prima bottega di caffè, aperta nel 1554 da due mercanti, Hakim e Schemz (rispettivamente di Aleppo e di Damasco), la quale portava i loro nomi ed era frequentata da poeti famosi, quali Kadis e Veziere: sarebbe dunque stata anche il primo Caffè letterario. E difatti, poiché nello stesso periodo della nascita dei