Alla Ricerca Di Penelope
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Alla Ricerca Di Penelope - James Lawless
www.jameslawless.net
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Alla ricerca di Penelope
Alla ricerca di Penelope
Autore James Lawless
Copyright © 2015 James Lawless
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Babelcube, Inc.
www.babelcube.com
Traduzione di Nadine Dresing
Progetto di copertina © 2015 Vikncharlie at Fiverr.com
Babelcube Books
e Babelcube
sono marchi registrati Babelcube Inc.
"Non ho mai preteso di proporre questa letteratura come surrogato di un sigaro
o di una partita a domino a un uomo pigro."
Robert Browning.
per Marguerite e Ava
Prefazione dell’autore
Oltre a lanciare uno sguardo ironico al fenomeno della letteratura chick lit, (come viene definita la letteratura per donne single e in carriera) e parlare del ruolo del patriarcato in una famiglia, il romanzo Alla ricerca di Penelope è fondamentalmente una storia d’amore che segna una crescita nella realizzazione personale della protagonista Penelope Eames. Si addentra nella cultura della droga e della criminalità ad essa correlata in Spagna (dove viene riciclato molto denaro della Tigre Celtica), Irlanda e Regno Unito. Questo romanzo può essere letto come una sorta di parallelo moderno, ispirato a Cervantes, dell’attacco di Don Chisciotte alla proliferazione di romanzi cavallereschi dell’epoca. Dato che oggi il settanta per cento dei lettori è costituito da donne, volevo comprendere meglio la mentalità femminile. Quindi ho preso i cervelli delle donne di mia conoscenza, tra cui due figlie adulte, ho analizzato le scrittrici contemporanee e i libri come Everywoman e ho riletto con un nuovo sguardo femminile (o per lo meno androgino) le mie logore copie di libri di Simone de Beauvoir, di Anna Karenina e Ritratto di signora. Allo stesso tempo ho studiato la cultura criminale sulla Costa spagnola. Da tutto questo è nato il personaggio di Penelope Eames.
Alla ricerca di Penelope
––––––––
Sente la voce sulla sabbia, roca e autoritaria come quella di suo padre. Premi il pulsante e rimanda al mittente, questa sono io, pensa, Penelope Eames, è così che mi sento, o meglio, come lui mi ha fatta sentire negli anni. Proprio lui, lo stimato professore emerito di istologia e anatomia patologica, autore di libri di testo e articoli dotti, che non ha saputo insegnare la compassione né l’amore filiale. Il precoce sole spagnolo la culla, facendola ripensare a cose che aveva deciso di lasciare al passato, ora, a un altro paese. La parte superiore del suo seno sinistro brucia un poco, perché il suo nuovo bikini rosso è più succinto del solito costume nero (avrebbe dovuto pensarci prima), e poi in quel punto la pelle, dopo essere stata sotto i ferri, è più sensibile. È stata Sheila Flaherty, la sua agente, a consigliarle ironicamente di darsi una mossa e mettere la protesi; il suo seno era di taglia media. Farà bene alla tua immagine
le aveva detto Sheila.
All’inizio era riluttante, considerando una vanità il fatto di mettersi la mascherina dell’anestesia per sottoporsi senza necessità a un macellaio (non si era mai neppure tinta i capelli per amor di Dio). Sheila si era fatta fare il lavoro l’anno precedente, trasformandosi nella bionda formosa che era. E a che scopo?
Per gli uomini.
Sì.
È stato allora che hanno scoperto la massa nel suo seno sinistro. Piuttosto giovane per avere già questo problema, aveva detto l’infermiera e Sheila si era sforzata di scherzarci su, dicendo – io mi son fatta gonfiare e tu sgonfiare
e l’infermiera l’aveva informata su come rilevare e monitorare il carcinoma mammario.
Sente la voce sulla sabbia, la raucedine del fumatore che puzza di pseudo-saggezza; lui pensa di avere un tono molto chic. Niente affatto, mie care
sta dicendo la voce (chiaramente inglese); al contrario, rosicchiarvi le unghie vi fa bene; sono ricche di proteine, sapete. Se potessi arrivare alle unghie dei piedi, io...
Uomini, stupidi vecchi uomini, ma forse c’è dell’umorismo: sui gusti non si discute. Alza gli occhi timidamente da sotto il cappello di paglia per individuare la provenienza della voce: un tipo anziano con un codino grigio, seduto su una sedia di tela a poche decine di metri da lei sotto a un enorme parasole. Sta pontificando con uno stormo di giovani e belle adulatrici, proprio come lui. Cercando, come lui, di avere un aspetto giovanile come un hippie o di qualcosa fuori moda, proprio come lui, gli occhi grigio-azzurri, la copia esatta di suo padre.
Ad eccezione, certo, del codino.
La sabbia fulva che si fa scivolare liberamente tra le dita, lasciando andare, allentando la sua vita. Sta rimandando. Il sole l’ha resa pigra. Dovrebbe tornare alla tranquillità del suo appartamento per lavorare a quel secondo, recalcitrante, romanzo, prima che il sole raggiunga il suo apice. Lo sa, e anche per evitare le scottature. Si sentono delle risate. Riesce appena a distinguere tra le crescenti ondate di calore: giovani maschi sorridenti (il tizio ben piantato e abbronzato è uno dei bagnini? Crede di averlo visto prima sul suo trespolo) e tra loro due femmine che giocano a pallavolo mentre guarda il sole da sotto l’ombra della mano (perché si è tolta il cappello che le dava noia alla fronte). Non si era accorta della rete, prima. Si sentono delle grida in spagnolo, degli ‘Anda’ e degli ‘Olé’ che inglobano le esternazioni del vecchio. I ragazzi, in un velo di luce e calore, stanno prendendo in giro una ragazza in topless che ha appena mancato una palla. La mortificazione. Ciò che proveniva sempre da suo padre. Voleva che fosse orgoglioso di lei, come lo era di Dermot, suo fratello minore, quando aveva iniziato a studiare scienze all’università. Oh, che profondersi di lodi. Uno scienziato in famiglia, che prepara sostanze chimiche e pozioni nei laboratori di Quinlan. Come aveva ragione, come era profetico. E in precedenza il suo primo romanzo, sui cui aveva lavorato senza risparmio, era sicura che sarebbe stato orgoglioso di lei; sperava che il suo primo romanzo venisse pubblicato, lui invece si chiese soltanto se si poteva rimediare in qualche modo, al fatto che lei scrivesse cioè, come se si trattasse di una delle patologie che studiava.
Il suo braccio destro si è addormentato a forza di rimanere distesa sul fianco. Si gira. Lo svengali delle unghie morsicate richiama le ragazze dentro, al riparo dal sole. Stanno farfugliando tra di loro in diverse lingue – a suo parere soprattutto russo – e in un inglese stentato e affettato con lui. Sfrigolerete, mie care, là fuori.
Lo vede bene, ora, mentre guarda da una parte e dall’altra, con il suo codino che oscilla come un pendolo. E le ragazze accorrono. Sta seduto sulla sua sedia come un re sul trono, l’harem all’ombra ai suoi piedi, pure la bionda che giocava a pallavolo senza reggiseno, quella sgualdrina svergognata. Tutt’altra faccenda è stare sdraiate a pancia in giù in modo composto in topless, si dice Penelope, con l’asciugamano a portata di mano per coprirsi quando ci si muove, ma mettersi in mostra in quel modo a maschi in caccia, e lui che parla di unghie... ma dai! Le ragazze ignorano le battute dei ragazzi della pallavolo; sono concentrate sull’uomo maturo, sbavano letteralmente per lui. Quel bellimbusto è ricco? È questo? Vogliono i suoi soldi, o forse è un regista importante la sedia, dopo tutto, così fatta di tela, potrebbe essere interpretata come una sedia da regista. Vogliono una parte; ecco, per diventare famose nel suo prossimo film. E lo sporcaccione dai capelli cromati tira il cordino degli slip del bikini della ragazza più vicina.
Papà chiamava sempre Dermot, mai lei, quando voleva qualcosa, fare un annuncio o una confidenza, si metteva in contatto con Dermot. Dermot, lo scienziato, il figlio fiero, il tossicodipendente – qual è la parola che non c’entra? Eh certo, Papà non lo sapeva. In un accesso di stizza e di invidia gelosa che provava quando lui lo chiamava, lei aveva pensato di dirlo a Papà, di dirgli in faccia che il re era nudo, se così si può dire, e di rivelargli cosa avesse davvero combinato il figliolo preferito in tutti quegli anni di cecità. L’assunzione di cocaina era iniziata dopo la morte della madre alle feste esclusive all’università, l’ambiente sociale dell’elite di Dublino (oggi alcuni dei meno astuti per colmo d’ironia sono ridotti come Dermot, allo sfacelo). Lei la chiamava la società dell’ammirazione reciproca, di tutto quel talento e intelligenza di avvocati e dottori e dentisti e finanzieri e scienziati neofiti, un vero vortice di genialità in un paese nuovamente dinamico.
Ma Papà chiedeva di lui, al primo segno di cedimento, chiedeva del tossico. Per lei era come un rifiuto, il rifiuto di chi si occupava da sempre delle sue necessità.
Tutte quelle necessità. Sempre. Tutte quelle pretese. Da quando era viva. I suoi migliori anni.
E l’ultima volta che è venuto Dermot Penelope l’aveva trovato con l’aiuto dell’unità per le tossicodipendenze in un posto squallido: una stradina, non riusciva a ricordarsi il nome – Crow’s Lane, ecco era quella, lastricata di bottiglie e siringhe e feci e un fetore pungente di urina intrappolato dagli edifici a strapiombo nello stretto vicolo; così che i tossici, rifletteva lei, potessero ritrovare la strada di casa come gli animali seguendo il loro proprio odore.
A volte augurava a entrambi tutto il dolore che aveva provato lei, per tutti quegli anni, non di trascuratezza materiale non aveva mai patito in quel senso ma per tutti gli anni di indifferenza. Deve essere la più crudele delle ferite da infliggere a qualcuno, pensava, fare qualcosa senza rendersi conto o curarsi del dolore che si potrebbe causare: imporre a una persona l’abitudine di considerarsi senza valore.
Ma – e guarda le unghie dei piedi che si contorcono come seguendo i suoi pensieri – lei non è senza valore. È una scrittrice. Ha scritto per cucire le ferite, per cercare di affermarsi in altri campi. Il grande mondo là fuori.
Il suo primo racconto è stato pubblicato in una rivista per adolescenti. Promette molto
aveva detto l’editore. La storia parlava di un’orfana. Su cos’altro poteva essere? si rende conto guardando indietro, indulgendo nel calore del sole mediterraneo ora allo zenit (convincendola ad attardarsi). E poi il suo primo romanzo molti anni dopo, Profumo di rose, la storia del desiderio insoddisfatto di una giovane donna fino al momento in cui incontra lo straniero dalla pelle olivastra su una spiaggia proprio come questa, che aveva alimentato quelle considerate da suo padre fantasie deliranti di donne impressionabili.
Uomini, pensa, mentre le onde sbattono ritmicamente (tra poco si avventurerà nell’acqua; sta sudando; sente le gocce che scendono nel solco tra i seni). Era riuscita a lasciare il suo lavoro l’ultimo lavoro, temporaneo, di guida al museo di Dublino, dopo un precedente soggiorno disastroso in una banca e ancora prima un periodo di vendite telefoniche. Aveva frequentato con molta calma un corso di laurea in storia dell’arte ma non sapeva cosa fare dopo; non aveva nessuno che la guidasse. Qualsiasi zuccone può ottenere una laurea in storia dell’arte
, diceva suo Papà, e per lui finiva lì. Invece, si ricorda alcune delle sue amiche di università, le cui carriere erano già state pianificate da genitori che le adoravano; ammirava la freddezza di quelle donne, mentre perseguivano con determinazione impieghi nei media o in diplomazia oppure più avanti comparivano nelle rubriche sull’alta società perché avevano sposato un avvocato o un dentista pieno di soldi.
Grazie a certi risparmi, aumentati dai diritti per il primo libro e l’anticipo per quello successivo,aveva comprato un appartamento sulla Costa del Sol su consiglio di Sheila (è un paese così romantico
). Un seguito, beh non esattamente, ma dello stesso filone, ancora di più, lo dice anche il proverbio, cavallo che vince non si cambia. Un’altra storia d’amore forse un po’ più erotica questa volta, almeno era così che avevano detto. Aveva potuto permettersi di osare di più in quel secondo libro – dopotutto era il ventunesimo secolo, diceva Sheila, come se Penelope non lo sapesse. Non proprio un libro rosa un po’ spinto, non è quello che vogliamo, ma qualità della scrittura e freschezza delle espressioni, queste sono le cose che cerchiamo in un romanzo per una donna indipendente di oggi che non ha paura di continuare a rischiare eccetera eccetera. Ma questa volta c’è un problema: la mente di Penelope è in agitazione. Dopotutto, il primo romanzo è stato completato prima che sua madre morisse e prima che Dermot andasse veramente a fondo. Una mente ha bisogno, se non di stabilità, almeno della sua parvenza per scrivere. Ha trentatré anni e deve pensare al futuro. Durante tutto il periodo precedente, essendo condizionata da suo padre (lei dà la colpa a quello), non ha pensato a cosa voleva ma a che cosa chiedevano gli uomini. Ma ora non più. Meglio non legarsi per niente che soffrire terribilmente dopo, come era successo a sua madre – quanta acredine, e lei era stata testimone di tutto. Prima dei vent’anni Penelope Eames aveva vissuto l’intera gamma delle emozioni negative e senza dover mettere un piede fuori casa.
Quando il Signor Unghie richiude la sedia per andarsene sente una palpitazione. È come se le mancasse già in un modo malato, suo Papà che sta svanendo ora, deve ammetterlo, in ogni caso. Ha paura di sciogliere le catene. Desiderosa e timorosa allo stesso tempo. Come aveva fatto ad andarsene? In che modo? La sua frase sprezzante e cocciuta Se proprio devi andartene, vai seguita dall’irrazionale Dove stai andando? E si è rifiutato di andare nella bella casa di riposo di Booterstown che gli aveva trovato. Lasciando che qualcun altro si occupasse di lui, per sostituirla. Ma non ne avrebbe ricavato nulla. Vinceva sempre la battaglia morale per dare la colpa a lei.
Il Signor Unghie ha ripiegato la sedia, la sua camicia pacchiana svolazzante nel vento ha rivelato il pelo ispido sul suo petto abbronzato con le costole in evidenza. Se ne sta andando, il segno lasciato dalla sedia sulla sabbia sta già riempiendosi, mentre l’harem si disperde.
Deve rientrare anche lei, e rinunciare alla nuotata. Ma come fare a scrivere, a concentrarsi, senza sapere dov’è Dermot, il suo unico fratello, il suo fratellino. Pensava che sarebbe stato facile, che bastasse andare via per lasciarsi alle spalle le preoccupazioni, ma ora capisce che non è così semplice; perché anche questi pensieri viaggiano e trovano il loro ormeggio. Dermot aveva cominciato a sparire dopo la morte della madre; spariva per giorni, per settimane e settimane, poi ricompariva all’improvviso con la biancheria sporca e pretendeva che gli facesse da sguattera, mentre si rilassava, proprio come faceva per suo padre. Penelope era premurosa nei confronti di Dermot; all’inizio accettava nello stesso modo di sua madre. In fondo anche solo sapere dove si trovava, qualsiasi calvario stesse vivendo, era masochistico. Ma sarebbe stato un sollievo; le avrebbe pacificato la mente sapere che stava bene, sempre sulla retta via dove aveva cercato di sistemarlo quando era partita, perché in cuor suo non avrebbe potuto abbandonarlo spietatamente nella condizione in cui lo aveva trovato a Crow’s Lane. Lo aveva portato all’unità di recupero dei tossicodipendenti a Merchant’s Quay prima che lui capisse dove stavano andando, si ricorda che erano giunti lì nonostante la ripugnanza del tassista. Dopo alcuni giorni di sue argomentazioni persuasive (la sente ancora, la tensione) e un ciclo di metadone, era migliorato lentamente. Lo aveva messo in ordine con una cravatta e un completo, gli aveva trovato un lavoro, non una grande posizione scientifica, no, niente di tutto questo allora, ma un lavoro part-time in un negozio di alcolici della catena Supervalu. Conosceva il gestore del negozio che aveva lavorato con lei per le vendite telefoniche. Era avvenuto tutto in fretta ma almeno era qualcosa per tenerlo lontano dalle strade prima che lei partisse per la Spagna.
Il giorno della partenza, gli aveva dato il suo numero di cellulare e il suo indirizzo di recapito.
Cazzo ti stai liberando di me
aveva detto lui, cercando di farla sentire colpevole, proprio come Papà.
Se vorrai venire a trovarmi...
Già.
Il sarcasmo.
Dico davvero, Dermot...
Ma non diceva davvero, e guardando l’acqua cristallina ne è consapevole.
No, non si è ancora stabilita qui, nonostante l’apparente tranquillità dei dintorni: le dolci colline, le tranquillizzanti spiagge notturne, sufficienti ad alleviare la pena, ma non come sperava a cancellare il passato. Ma è qui da pochi giorni dopotutto; deve dare al tempo la possibilità di esercitare i suoi poteri curativi. La sua pelle quasi non ha cambiato colore; è ancora faccia smorta. Chi la chiamava così di solito? Dermot, faccia smorta, diceva sempre, e per colmo d’ironia era sempre più pallido di lei. Ha intenzione di rimanere per tre mesi, almeno, come le ha consigliato Sheila. E chi lo sa, magari di più. Chi può dirlo? Alla fine, potrebbe rimanere in pianta stabile; chi avrebbe voglia di tornare a quello che si è lasciata alle spalle? Ma un periodo di gestazione di almeno tre mesi è necessario per le prime incursioni in un romanzo, aveva detto Sheila, pensando che fosse l’unica ragione per cui si trasferiva in Spagna, perché Penelope non le aveva mai rivelato i dettagli intimi della sua famiglia. Una volta terminata l’incursione iniziale, le aveva detto Sheila, tutta la storia può essere ambientata in una vecchia Dublino uggiosa durante le sere buie d’autunno. E the bleak midwinter
(il gelido/ grigio pieno inverno di Christina Rossetti), aggiunge mentalmente Penelope, trovando una consolazione masochista nella tristezza di una canzone. E guarda ora il cielo spagnolo ed è abbagliata dalla luce. Ma – viene colta dalla paura – non ha fatto il minimo progresso, nemmeno la minima tacca sul carapace della tartaruga della sua immaginazione, e nulla per creare il lieto fine che è d’obbligo per i suoi editori. Solo Dio lo sa
diceva Sheila, "c’è già abbastanza infelicità nel mondo, senza aggiungerne alla nostra immaginazione. Scrivi prima il lieto fine idilliaco,