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Il Best Seller
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Il Best Seller

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Il libro

Uccidereste pur di scrivere un best seller? Ebbene, Adrian Slater si ritiene pronto a farlo… e lo annuncia durante un corso di scrittura creativa. Il docente, Dudley Grose, è convinto che Slater sia uno psicopatico che fa sul serio. Ma la preside dell’università non gli crede e neanche la polizia. Quando, però, una studentessa del corso scompare lasciando il bagno inondato di sangue, la polizia si chiede se per caso Slater non abbia davvero messo in atto la minaccia e se il libro che sta scrivendo non contenga le prove per incastrarlo.

Il Best seller parla di omicidio, ma è anche un’introspezione nel processo della scrittura creativa e nel modo in cui l’autopubblicazione ha cambiato per sempre le regole, creando un mondo in cui l’omicidio per gioco potrebbe pagare davvero. 

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateJan 26, 2015
ISBN9781507102077
Il Best Seller
Author

Stephen Leather

Stephen Leather is one of the UK’s most successful thriller writers, an eBook and Sunday Times bestseller and author of the critically acclaimed Dan “Spider’ Shepherd series and the Jack Nightingale supernatural detective novels. Before becoming a novelist he was a journalist for more than ten years on newspapers such as The Times, the Daily Mirror, the Glasgow Herald, the Daily Mail and the South China Morning Post in Hong Kong. He is one of the country’s most successful eBook authors and his eBooks have topped the Amazon Kindle charts in the UK and the US. He has sold more than a million eBooks and was voted by The Bookseller magazine as one of the 100 most influential people in the UK publishing world. His bestsellers have been translated into fifteen languages. He has also written for television shows such as London’s Burning, The Knock and the BBC’s Murder in Mind series and two of his books, The Stretch and The Bombmaker, were filmed for TV. You can find out more from his website www.stephenleather.com

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    Il Best Seller - Stephen Leather

    1

    ––––––––

    Marina del Rey, California. Un anno prima.

    ––––––––

    Un lampo squarciò il cielo, Kirsty trasalì e subito dopo fece un salto quando un tuono alla sua sinistra esplose nella notte californiana. Era iniziato a piovere nell’istante in cui aveva imboccato la marina, dapprima soltanto gocce, ma appena messo piede sul pontile in legno che portava agli yacht l’acqua si era fatta scrosciante e ormai Kirsty era inzuppata fino al midollo. Si asciugò il viso con la mano. Una parte di lei, quella sensata, sapeva che doveva tornarsene subito a casa. Ma l’altra, la parte che la teneva sveglia di notte, la obbligava a proseguire. Doveva sapere con certezza. Voleva la verità.

    Il pontile principale si protendeva dal centro della marina diramandosi in pontili secondari, a sinistra e a destra. Le assi di legno scricchiolavano mentre Kirsty si dirigeva verso lo yacht di Wilson. C’era stata altre tre volte: la prima per uscire in barca con lui, la seconda a pranzo e la terza... Rabbrividì. Non voleva pensare a quanto era accaduto la terza volta.

    Un qualcosa di piccolo e peloso le attraversò di corsa la strada e lei soffocò un urlo. Si fermò e respirò a fondo, piano, cercando di calmare il cuore impazzito. Mai come allora avrebbe voluto trovarsi a casa nel proprio letto, addormentata, a guardare la TV o a leggere un libro, ma doveva restare lì. Non si sarebbe tirata indietro, doveva sapere se stava impazzendo o se Eddie Wilson voleva davvero ucciderla.

    Un altro lampo balenò nel cielo e questa volta Kirsty non si lasciò sorprendere dal rombo del tuono che lo accompagnò. Lo yacht di Wilson si chiamava OCCHIO ALLA PENNA; lungo poco più di nove metri, era dotato di un solo albero con la vela arrotolata e avvolta in un sacco di nylon blu. Era immerso nell’oscurità. Wilson era l’unico proprietario a vivere a bordo, le altre imbarcazioni erano balocchi per velisti del fine settimana. Circa la metà era costituita da yacht e catamarani ma per il resto si trattava di motobarche, chiassosi bar galleggianti che raramente si allontanavano dalla marina per più di pochi metri.

    Man mano che Kirsty si avvicinava allo yacht, la pioggia si infittiva. Arrivata accanto alla poppa si fermò e si guardò intorno. La marina era deserta così com’era apparsa la guardiola all’ingresso. Il cancello in rete metallica da cui si accedeva alle imbarcazioni non era mai chiuso a chiave. Prese il cellulare dalla borsa e lo coprì con la mano sinistra, per proteggerlo dalla pioggia mentre controllava il display. Niente chiamate perse o messaggi. Aveva dato appuntamento a Wilson per cena in un ristorante messicano che a detta di lui era tra i suoi preferiti; con un pizzico di fortuna sarebbe rimasto seduto al bar a sorseggiare un Margarita mentre lei faceva quel che doveva. Spense il cellulare e lo mise in tasca.

    Lo yacht era ormeggiato al pontile con una cima su ciascuna estremità e una terza al centro, e da una cassetta a poppa si snodavano fin dentro la cabina posteriore un cavo elettrico e una manichetta per l’acqua. Dal pontile Kirsty scesa cauta in coperta, reggendosi al tetto della cabina per mantenere l’equilibrio quando la barca si spostò sotto il suo peso. Il cuore batteva furioso e lei fece respiri lenti e profondi, per calmarsi. «Va tutto bene», mormorò. «Entriamo, diamo uno sguardo al portatile e usciamo. Un gioco da ragazzi.»

    Mise una mano nella borsa e tirò fuori una tronchese a doppia leva. L'aveva comprata quella mattina da un ferramenta, insieme a due lucchetti, per potersi esercitare a tranciare le catene. Impiegò soltanto pochi secondi a rimuovere l’ostacolo, lo gettò in mare e aprì il boccaporto con una spinta. Il legno cigolò e la pioggia schizzò all’interno. Kirsty si abbassò verso l’ingresso proprio mentre un altro lampo guizzava sul mare. Chiudere il boccaporto si rivelò più difficile che aprirlo e lei dovette fare forza con tutto il corpo per bloccarlo.

    In piedi nell’oscurità, ascoltò il suono del proprio respiro. La barca ondeggiava nel vento e i cavi di metallo tintinnavano contro l’albero. Deglutì, ma aveva la gola così secca che quasi soffocò. Affondò la mano nella borsa ed estrasse una torcia elettrica. Aveva coperto il vetro con dello scotch e fatto un foro al centro così che la luce fosse tutta concentrata in un fascio sottile, compatto. Era un trucco di cui aveva letto in un thriller tempo prima e sorrise tra sé quando, accesa la torcia, si accorse che funzionava. Il filo di luce illuminava un pezzo di parete poco più grande di un piatto piano e neanche eventuali passanti l’avrebbero notato.

    Una porta all’estremità della cabina principale conduceva alla zona notte. Lì c’era un letto matrimoniale, Kirsty lo sapeva bene. Con lenzuola di seta rossa, color del sangue secco. C’era stata la sua terza volta a bordo. Rabbrividì. I capelli bagnati stillavano acqua sul pavimento, si asciugò il viso con una manica e puntò la luce sulla parete, fino alla scrivania incassata; quella parte dello yacht si trovava nella direzione opposta al pontile ma lei fu comunque attenta a evitare l’oblò di ottone. Il MacBook Pro di Wilson era lì, aperto ma spento. Davanti alla scrivania c’era una sedia di legno, Kirsty si sedette e premette il pulsante di accensione del computer. Quando lo schermo s’illuminò, spense la torcia elettrica e la posò sulla scrivania. In attesa che il Mac si avviasse aprì il primo dei tre cassetti sul lato destro, conteneva un album per schizzi.

    Sollevò la copertina e sgranò gli occhi alla vista del disegno sulla prima pagina. Era una caricatura: una bionda con occhi grandi e coda di cavallo seduta davanti a una macchina da scrivere vecchio stile e sulla testa una nuvoletta piena di peluche. Il seno prorompente della bionda tendeva il tessuto della maglietta troppo stretta e Kirsty si mise imbarazzata una mano sul petto. A lezione aveva spesso visto Wilson con l’album ma aveva sempre immaginato che prendesse appunti. «Stronzo», sussurrò.

    Il portatile si avviò e lei si piegò in avanti a controllare le icone sul desktop. C’era un solo documento Word, intitolato Il best seller. Scosse la testa disgustata. Dava sempre per scontato che lui scherzasse quando parlava del titolo del suo libro.

    Cliccò sull’icona e il file si aprì. Lesse i primi paragrafi con un’espressione di crescente nausea sul viso. «Bastardo, bastardo, bastardo», mormorò. Si alzò, accese la torcia elettrica, attraversò la cucina di bordo e spinse la porta della camera di Wilson. Sul letto c’erano dei pensili, aprì le ante. Dentro trovò due cuscini di riserva che tirò fuori e gettò sul letto. C’era poi un grosso libro appoggiato contro la parete del mobiletto e accanto a quello un ingombrante rotolo di pelle. Prese il libro e lo aprì. Era un testo di medicina. Anatomia. Post-it gialli marcavano parecchie pagine, tutte sulle articolazioni. Ginocchia, gomiti, anche, collo. Lasciò cadere il libro ed estrasse il rotolo di pelle. Dal peso intuì subito il contenuto. Con il cuore che palpitava forte sedette sul letto e se lo mise in grembo, tenendo la torcia tra i denti usò entrambe le mani per sciogliere le due strisce che lo legavano. Lo spiegò e scoprì una dozzina di scintillanti coltelli in acciaio con manici di legno nero.

    «Che perfida carogna», mormorò fissando le lame. Adesso sapeva per certo che tutto quanto Wilson aveva scritto nel libro era vero. Stava progettando sul serio di ucciderla e smembrarla, per poi nascondere i pezzi chissà dove. Udì un fragore di tuono, più vicino questa volta.

    Riallacciò il rotolo e si alzò. I coltelli non costituivano alcuna prova, ma il file sul computer sì, eccome. Era al pari di una confessione. Doveva prendere una copia e portarla alla polizia. Loro lo avrebbero fermato. Si toccò la tasca posteriore dei jeans per assicurarsi che la chiavetta dati fosse lì, quindi aprì la porta e tornò nella cabina principale. La luce della torcia danzava sul pavimento e quando il fascio luminoso si posò su un paio di stivali da cowboy neri Kirsty urlò.

    «Sorpresa!» La voce di Wilson arrivò come un lieve sussurro, appena percepibile tra il rumore del vento e il ticchettio della pioggia sullo scafo. 

    La torcia le cadde dalle mani, finì sul pavimento e rotolò verso la parete. Kirsty si piegò, con il cuore in tumulto, e l’afferrò, ringraziando silenziosamente il cielo che la lampadina non si fosse rotta. S’infilò il rotolo sotto il braccio destro e tenne la torcia con tutt’e due le mani, puntando la lama di luce tutt’intorno.

    Wilson non c’era più. Per un istante si chiese se lo avesse immaginato, ma il guizzo di un lampo lo scoprì appoggiato al muro accanto alla scrivania. Aveva i capelli corvini bagnati di pioggia e un accenno di barba. L’acqua gli colava sul viso sogghignante. La cabina ripiombò nell’oscurità e Kirsty lo cercò con la torcia, mentre il fragore di un tuono le faceva vibrare lo stomaco.

    Era in piedi davanti al portatile, con la mano sulla tastiera. «Hai sbirciato», disse. Lei gli puntò il fascio di luce in faccia. Aveva gli abiti inzuppati ma continuava a sorridere beffardo, una smorfia crudele, quasi selvaggia. Era alto e snello, tutto vestito di nero: camicia, jeans, stivali da cowboy e un cappotto lungo grondante d’acqua.

    Kirsty provò a parlare ma le parole le morirono in gola. «Io, io, io...»

    «Sì, ti capisco», disse Wilson. Si avvicinò di un passo, ancora sorridente.

    Lei sollevò il rotolo con i coltelli. «So che cosa stavi progettando di fare.»

    «Cosa credi che stessi progettando di fare, esattamente?»

    «Lo sai.»

    «Dimmelo. Magari si tratta di un terribile equivoco.»

    Ci fu un altro lampo subito seguito dal rombo del tuono. La tempesta imperversava proprio sulle loro teste. La barca ondeggiava da una parte all’altra e Kirsty faticava a mantenere l’equilibrio. «Sei un furioso», disse reggendo il rotolo di pelle.

    Lui sorrise calmo. «Sono un po’ infuriato per come sei entrata qui dentro, ma non direi che sono furioso.»

    «Sai bene cosa intendo», disse lei. «Folle. Pazzo.»

    «Oh, andiamo, Kirsty. Hai bisogno di rilassarti. Forza. Un bel respiro.»

    Lei indicò il portatile con il rotolo. «Volevi farlo davvero, è così? Volevi uccidermi e poi metterlo per iscritto.»

    «È un romanzo, Kirsty.»

    «Volevi farlo! Sul serio!»

    «È un’opera di fantasia.»

    «L’ho letto», insistette Kirsty. «Ho letto ciò che hai scritto. Volevi uccidermi. E poi squartarmi.» Sollevò il rotolo e glielo sventolò in viso. «Con questi! Avevi programmato tutto, brutto stronzo che non sei altro. Volermi uccidermi e scrivere un nauseante libro sull’argomento.»

    Wilson scosse tristemente la testa e Kirsty si accorse che si era mosso per impedirle di vedere la mano destra. Spostò il fascio di luce, ma nel frattempo lui balzò in avanti. Reggeva una padella e tentò di colpirla, con violenza. Lei fece un salto indietro ma lui fu troppo veloce e la padella si abbatté sul rotolo di pelle facendoglielo saltare di mano. Finito contro la parete alle sue spalle il rotolo si aprì e i coltelli fuoriuscirono spargendosi con un gran fracasso sul pavimento.

    Wilson agitava la padella a destra e a sinistra. Lampeggiò di nuovo e Kirsty si preparò al rombo del tuono che però non arrivò.

    Indietreggiò, sotto la scarpa lo scricchiolio di uno dei coltelli. «Andrà tutto bene, Kirsty», disse Wilson spostandosi di lato, fuori dal fascio luminoso. Con il cuore che martellava, lei si sforzò di tenergli la luce addosso.

    «Non hai paura del buio, vero?»

    Kirsty si abbassò, afferrò uno dei coltelli con la mano sinistra e si rialzò, tenendo l’arma davanti a sé. «Non ti avvicinare», disse.

    «Mm, è proprio strano a vedersi. Non sei mancina. Sarebbe molto più naturale impugnare il coltello con la destra.»

    «Smettila di parlarmi», disse Kirsty brandendo l’arma da una parte all’altra. Wilson aveva ragione. Non si sentiva a suo agio con la sinistra.

    Lui avanzò di un altro passo e lei arretrò tentennante; il tacco sinistro urtò un altro coltello.

    «Dovresti invertire le posizioni: coltello nella mano destra, torcia nella sinistra. Fidati, sarà molto peggio se ci provo io.» Si lanciò in avanti, cercando di afferrarle la mano sinistra, ma lei si scansò e tentò a sua volta di colpirlo. Lui balzò indietro, con un largo sorriso. «Vedi? Se avessi impugnato il coltello con la destra mi avresti beccato.»

    «Voglio soltanto tornarmene a casa», disse Kirsty con voce tremante.

    «Ma se sei appena arrivata», obiettò Wilson. «Che ne dici di una sveltina in nome dei vecchi tempi?» aggiunse puntando un pollice verso la camera da letto. 

    «Ti prego, lasciami andare a casa.»

    «Non essere ridicola, dolcezza. Sei tu quella con il coltello. Tu quella che si è introdotta di nascosto. Chi di noi due è sotto minaccia qui?» Si mosse a sinistra, sfuggendo ancora alla luce, e Kirsty spostò subito la torcia per non perderlo di vista.

    Agitando la padella alla cieca Wilson colpì il coltello che finì dall’altra parte della cabina. Lei urlò per il dolore e nel bagliore di un lampo lo vide sollevare di nuovo l’utensile.

    La cabina ripiombò nel buio e la padella si abbatté sulla torcia. L’impatto su Kirsty fu tale da lussarle quasi una spalla, il vetro si ruppe e la luce si spense, tuttavia lei riuscì a mantenere la presa. Scagliò la torcia verso il punto in cui credeva si trovasse Wilson ma quando la sentì colpire la parete della cabina ebbe la certezza di averlo mancato.

    Si abbassò su mani e ginocchia e brancolò nel buio, alla ricerca di un altro coltello.

    L’ennesimo lampo illuminò la cabina e Kirsty si trovò Wilson di fronte, con una risata folle sul viso. La padella era sparita e al suo posto c’era un enorme coltello a sega. Kirsty urlò e in quell’istante il buio tornò ad avvolgerli. Indietreggiò carponi, il respiro era affannoso e irregolare.

    «Tranquilla, Kirsty», sussurrò Wilson. «Lasciati trasportare dagli eventi. Presto sarà tutto finito.»

    Lei sedette sui talloni e sollevò le mani. Tremava in maniera incontrollata. Qualcosa le sferzò il palmo destro, provò dolore e capì che era stata la lama del coltello a ferirla. Strisciò indietro, respirando in modo frenetico.

    «Non ti opporre, dolcezza. Sarà tutto più facile se ti limiti ad accettarlo.»

    Sentiva il sangue colare giù per il palmo e la ferita doleva tanto da farle venire le lacrime agli occhi.

    Nella luce viva di un altro lampo vide Wilson accovacciato davanti a sé, con un sorriso perfido sulla faccia. Vibrò il coltello e lei alzò le mani proprio mentre nella cabina scendeva di nuovo il buio. La lama colpì impietosa le dita della mano sinistra. Ancora una volta la sensazione di

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