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Beth e Araar, e il cammello parlante
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Beth e Araar, e il cammello parlante
Ebook139 pages1 hour

Beth e Araar, e il cammello parlante

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About this ebook

È un ebook FANTASY Junior e nasce come lettura per le scuole medie.
Una ragazzina e un ragazzino affrontano il deserto alla ricerca del mitico Paese della Felicità. Incontrano un cammello che si rivela parlante e, tra un'avventura e l'altra, si imbattono in carovane, chiromanti, mercanti, archeologi, predoni, persone buone e cattive, città antiche e grattacieli finché un misterioso vecchio...

LanguageItaliano
Release dateMar 2, 2014
ISBN9781310843631
Beth e Araar, e il cammello parlante
Author

Guido Sperandio

Guido Sperandio was born and lives in Milan. A freelance writer for some thirty national newspapers and magazines, he later became a creative-copywriter in advertising.A writer for adults, he has also published for children and young people with major national publishers and in the USA.He has also written comics, including the legendary Topo Gigio and Tiramolla.After a life spent practising the most unbelievable genres of writing, he has recently replaced the cult of the Word with a passion for the Image. He has been seduced by Pop Art, starting with Andy Warhol & Co and is now working on and publishing a whole series of albums under the 'Guisp Collages' label.Any special notes?He has no mobile phone, no car or microwave oven, but he does have a very affectionate and intelligent cat called Tatablu.Guido Sperandio è nato e vive a Milano. Free-lance per una trentina di giornali e periodici nazionali, diventa in seguito creativo-copywriter in pubblicità.Scrittore per adulti, ha pubblicato anche per bambini e ragazzi con le principali case editrici nazionali e negli USA.Ha scritto anche fumetti, tra cui i mitici Topo Gigio e Tiramolla.Dopo una vita trascorsa a praticare i generi più improbabili di scrittura, ha recentemente sostituito il culto della Parola con la passione per l'Immagine. A sedurlo, la Pop Art, a cominciare da Andy Warhol & Co e così ora ha in corso l'elaborazione e la pubblicazione di tutta una serie di album con l'etichetta "Guisp Collages".Note particolari?Non ha cellulare, nè automobile o forno a microonde, ma ha una affettuosissima e intelligentissima gatta di nome Tatablu.

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    Book preview

    Beth e Araar, e il cammello parlante - Guido Sperandio

    Araar, il ragazzo sognatore

    Arrivò una carovana.

    Ed era sera.

    Il sole scendeva lentamente, dolce, dentro la linea lontana dell’orizzonte. La sabbia dorata del deserto adesso era arrossata. Si confondeva col cielo pure infuocato, e il sole si delineava enorme.

    Il buio sarebbe calato di colpo. Un attimo ancora. Solamente.

    «Araar!» una voce di donna lacerò la coltre di piccoli rumori che aleggiava sul villaggio: ogni abitante infatti era intento ad accudire agli ultimi compiti della giornata prima di un’altra notte, e l’aria era intrisa dei fumi e degli odori del cibo cucinato fuori dalle case in grandi pentole di rame.

    «Araar! Che il cielo ti fulmini. Figlio sconsiderato! Dove ti sei cacciato? Araaaaar!...Fatti vedere: vieni fuori!»

    Il verso stridulo di un uccello rispose beffardo al grido della donna.

    Seguì il belato di una capra.

    L’uccello sfrecciò con un frullo d’ali.

    *

    La donna teneva i lunghi capelli corvini racchiusi dentro un ampio panno scuro che le avvolgeva il capo, incorniciandole il viso.

    Erano capelli ribelli. Incontenibili come la rabbia che traspariva nei lineamenti contratti del suo viso. Ciocche e ricci le fuoriuscivano dal panno scuro, sul collo, sulla fronte, alle tempie. E la donna, rapida, attraversò il villaggio guardandosi in giro. Frugava con gli occhi. Lo sguardo lampeggiante.

    «Araar! Disgrazia dei miei giorni!»

    La donna raggiunse l’ultima casa del villaggio: abbandonata da tempo immemorabile, e diroccata, ne restava solo il contorno della base: descritto dagli avanzi di pietre e argilla. Un albero vi si era insediato e aveva eletto le rovine a propria reggia. Lui, unico inquilino. E sovrano.

    Circondato da una corte ossequiente di arbusti, ai propri piedi, l’albero prosperava rigoglioso. A dispetto del clima ostile.

    «Ah!... Sei qui, piccolo demonio» disse la donna.

    Si era arrestata davanti a un ragazzino dai capelli folti e ricci, neri come la pece. Intricati. Una boscaglia.

    *

    Quando sua madre era apparsa, Araar stava appollaiato in cima all’albero. A cavallo di un ramo. Appena l’aveva vista, ne era sceso.

    Era scivolato lungo il tronco, lesto come un gatto. Agile uguale. E, come un gatto, aveva toccato terra. Leggero. Sfiorandola appena con i piedi.

    Adesso, fissava sua madre con due occhi grandi e intensi. Che tradivano un caratterino mica male.

    «Si può sapere cosa stavi combinando? Perché non rispondevi? Parla…» lo assalì sua madre.

    «Sta arrivando una carovana…» lui disse eccitato indicando in lontananza.

    Non ne passavano di frequente. E ogni volta per Araar era una novità. Le carovane venivano da chissà dove, e andavano in posti dai nomi di leggenda. Qualche volta, qualcuno dei carovanieri si degnava di parlare al ragazzino, e allora uscivano racconti di avventure e storie favolose. Ad Araar si accendeva la fantasia, e fremeva.

    Avrebbe lasciato il villaggio volentieri e seguito quei misteriosi esseri del deserto in capo alla luna.

    Perché il villaggio sembrava non appartenere al mondo.

    Non accadeva talmente niente che nascere e morire erano gli unici eventi.

    *

    «Ma che carovana e carovana!(la madre strattonò il ragazzo). Te la do io la carovana. Datti una mossa. Su, sbrigati, cammina!»

    Si erano appena avviati. Araar davanti, la madre dietro che lo sospingeva. Uno scalpiccio, dapprima accennato poi mano a mano sempre più assordante, li riscosse. Si avvicinava rapido alle loro spalle. Si voltarono.

    La donna fu la prima a girarsi, e nella luce incerta del sole prossimo a sparire, si profilò il primo di una lunga fila di cammelli. Cavalli e muli trottavano al loro fianco. Li accompagnava e avvolgeva una nuvola di sabbia.

    La donna afferrò la mano di Araar e affrettò il passo. Raggiunta la loro casa, ne infilò rapida la porta.

    L'incontro con Alkabir, il capo-carovana

    Comandava la carovana un certo Alkabir che attestò uomini e animali ai bordi del villaggio, nei pressi dell’antica casa diroccata.

    Lo stesso Alkabir, poi, si inoltrò tra le casupole.

    Esibiva nella mano destra, bene in vista, un sacchetto di monete. Lo agitava e faceva tintinnare. Mentre nel palmo della mano sinistra gli brillava una soldo d’oro che l’uomo lanciava in aria e riacchiappava al volo.

    «Gente, uscite! Siamo amici!... Amici! (gridava Alkabir). Abbiamo bisogno di tanta buona acqua fresca e di buon cibo. Ve li paghiamo profumatamente… Uscite, gente! Siamo amici!»

    Era una nenia.

    La cantilena ebbe il suo effetto: le porte si dischiusero. Una a una, lentamente. E ne fuoriuscirono dapprima gli uomini del villaggio, quindi le donne.

    Si raccolsero intorno alla gigantesca sagoma di Alkabir che non smetteva di lanciare il soldo d’oro e di far tintinnare il sacchetto di monete.

    Il padre di Araar si unì al capannello che si era formato intorno al capo-carovana.

    A distanza, il ragazzino lo seguiva tutt’occhi e orecchi.

    *

    La carovana era di trenta e passa uomini e di un numero doppio-triplo di animali.

    Trasportava incenso e spezie, cristalli di roccia rossi, azzurri e gialli dalle luminescenze (si diceva) in grado di guarire da ogni male. Dell’anima compresa. Come la malinconia.

    La carovana trasportava anche scimitarre dall’impugnatura finemente cesellata, preziosi tappeti di Bukhara e broccati del Catai con perle e rubini incastonati.

    Proveniva dall’India ed era diretta oltre alle dune ultime dell’orizzonte, dove il sole era ormai tramontato. E dove, dopo avere cavalcato giorni e notti, si raccontava ci fosse il mare.

    *

    Il mare!

    Araar ne aveva sentito parlare fin da piccolo. E, ogni volta, ne era rimasto impressionato.

    Si narrava infatti che il mare fosse una superficie grande quanto il deserto ma dove al posto della sabbia c’era solo acqua. Acqua che si muoveva giorno e notte, avanti e indietro, sempre, all’infinito. E ad Araar sembrava impossibile.

    Non riusciva a crederlo.

    Più di una volta era salito in cima all’albero dell’antica casa diroccata. E si era divertito a immaginare che la distesa di sabbia vista da lassù fosse liquida e azzurra. Con le dune che facevano da onde. Con le dune che si muovevano. Avanti e indietro. Anche loro. Sempre. All’infinito.

    Socchiudeva gli occhi, Araar. Provava a immaginare.

    Ma… Niente!

    Non si convinceva.

    Non ci può essere al mondo tanta acqua così, e tutta in una sola volta si diceva. Mi prendono in giro.

    Si diceva: È senz’altro uno di quegli sciocchi scherzi che i grandi amano fare ai ragazzi.

    *

    Ad Araar non sembrò vero di cacciarsi nell’andirivieni di persone che facevano la spola: tra le casupole e i magazzini e il campo apprestato dai carovanieri per la notte.

    C’era chi riempiva le otri di acqua. E chi portava grandi pani e vasi colmi di miele. E grappoli di datteri. E melograni freschi di ramo, appena colti.

    Al campo accesero i fuochi, e il ragazzino non stava nella pelle.

    Era una festa.

    Un movimento simile non capitava tutti i giorni.

    Araar non staccava gli occhi da Alkabir. Il gigante si erigeva imponente sul formicaio di persone indaffarate. Dirigeva il traffico. Impartiva ordini.

    La sua voce risuonava potente.

    Tanto potente che, a ogni parola, gli vibravano i peli della barbaccia folta e scura, e incolta, che gli scendeva fino a sommergergli il petto.

    Dal lobo dell’orecchio sinistro di Alkabir pendeva un vistoso anello d’oro. Spiccava sotto il turbante. Brillava nella penombra della notte.

    Ma ad attrarre Araar era la pesante e potente scimitarra che il gigante portava al proprio fianco.

    Chissà quante teste ha mozzato si ripeteva il ragazzino con un brivido. Eppure ammirato. Nel contempo.

    Subito dopo fantasticava: si vedeva al centro di scontri e di duelli dove lui, Araar, mulinava la potente spada.

    La sua eccitazione toccò il colmo quando Alkabir, improvvisamente, abbassò gli occhi. Incrociò lo sguardo del ragazzino e tuonò: «Ehi, tu! Di chi sei figlio? Ce l’hai un padre?».

    *

    «Sei dunque il padre del moccioso?» disse Alkabir all’uomo.

    «Già. Così ha voluto il Nostro Grande Signore Creatore di ogni cosa» l’altro rispose.

    «Tuo figlio è sveglio... È un grillo.»

    Il padre di Araar contraccambiò con un leggero inchino, compiaciuto.

    Seguì un lungo silenzio.

    I due stavano seduti di fronte, dentro la casupola.

    La madre di Araar, accovacciata in un angolo, ascoltava avvolta nel suo manto nero: le scendeva dal capo ai piedi, nascondendole il viso, mentre il ragazzino le si premeva contro.

    Emozionato.

    Parlavano di lui.

    *

    Il padre aveva onorato l’ospite: si era affrettato ad offrirgli dell’arak: dell’acquavite di succo di canne da lui stesso distillata e aromatizzata. E adesso i due uomini la attingevano dalle loro ciotole di coccio.

    Se la portavano alle labbra. Lentamente. Assaporavano. Soppesavano ogni sorso. In silenzio.

    Passò tempo prima che Alkabir riprendesse la parola.

    «Mi serve un tipo lesto» disse.

    Face seguire una lunga

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