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Schiavo
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Schiavo

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Un romanzo crudo e sfrenato sulla schiavitù nel Profondo Sud americano.

In preda alle forze rivoluzionarie e agli sconvolgimenti che precedono la guerra civile, la piantagione della famiglia Ackerly è coinvolta in un frenetico clima di violenza, crudeltà e odio.

È in questa cornice che viene messa in mostra la brutale realtà della schiavitù; uomini e donne venduti all'asta, giovani ragazze costrette a soddisfare i più perversi desideri del loro padrone, schiavi torturati fino a far rimanere loro un unico istinto: quello di vendicarsi…e per farlo saranno costretti a uccidere.

E le passioni palpitanti che legano il padrone allo schiavo e lo schiavo al padrone con la stessa intensità.

Delia: moglie e madre devota, senza alcun diritto se non quelli di uno schiavo, sarà separata dal figlio per un incidente crudele e costretta a scappare dal marito per sfuggire alle voglie perverse del padrone.

Jud: il marito di Delia. La ama con tutta la pienezza del suo essere e per lei rischierà la vita. Ma dovrà fare i conti con le voglie di una nobile benestante della piantagione, cui non potrà dire di no per paura di essere ucciso.

Samuel Ackerly: è il padrone della piantagione, un uomo solo e pieno di dolore, che sorveglia i suoi possedimenti vagando attraverso i quartieri degli schiavi, di notte, alla ricerca di qualcuno con cui parlare… Mentre Amanda, sua moglie, regna nella Casa Grande, e tenta di rovesciarlo in favore di suo figlio Richard. Richard, allo stesso tempo vittima e mietitore di vittime, che seminerà panico e orrore ovunque vada.

E molti altri…

In questo incisivo volume della sua epica e travolgente “Saga della vergogna e della gloria”, Jerrold Mundis rivela con un realismo selvaggio la depravazione e la degenerazione degli ultimi giorni della schiavitù nel Profondo Sud, in un romanzo sconvolgente e indimenticabile.

~~
 
Apprezzamenti per i romanzi della saga:
 
"Superbo…Ma non per animi deboli. L'azione è veloce e cruenta e le storie verosimilmente collegate. "
- Publishers Weekly
 
"Le azioni drammatiche alternano mirabilmente battaglie navali, ribellioni di schiavi e conflitti morali, il tutto completato da personaggi completamente credibili e dalla costruzione di un climax sconvolgente."
- Library Journal 
 
“Un antidoto duro e violento alle storie d’amore del Sud. Una rabbia storica raramente raccontata prima d’ora.”
- Book World

I LIBRI DI JERROLD MUNDIS HANNO VENDUTO PIÙ DI QUATTRO MILIONI DI COPIE STAMPATE!

LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2015
ISBN9781507100073
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    Schiavo - Jerrold Mundis

    LIBRO I

    JUD ERA DISTESO SUL pavimento sudicio e non muoveva un muscolo. Osservava attentamente l’ampio soffitto, senza sbattere le palpebre anche per minuti interi. Sentiva un vociare indistinto, fatto d’imprecazioni proferite sottovoce, lamenti, grida rauche che andavano e venivano; il tutto unito al suono dei martelli che piantavano chiodi sui binari per le riparazioni dell’ultimo minuto, l’occasionale nitrire e scalpitare dei cavalli e il martello di un fabbro che risuonava contro un’incudine. Il mercato si stava stiracchiando, pronto per tornare in vita.

    Jud flesse i muscoli del braccio destro, li rilassò, poi li tirò ancora. Si era addormentato di nuovo e ora non smetteva di formicolare. Attorno al polso portava una manetta di ferro, collegata da una catena di otto anelli al braccio sinistro dello schiavo a fianco a lui. Strofinò la pelle irritata contro il bordo metallico, ormai il suo vicino era sveglio e non lo avrebbe disturbato. Nessuno dei due parlò. Nessuno in realtà parlava. Si udivano solo lamenti sommessi e qualche colpo di tosse.

    Nel solido capanno dalle mura spesse serpeggiava la paura: bocche contorte, catene che strisciavano sul pavimento. Jud la percepiva chiaramente, la paura, tanto da sentirne l’odore. Quando ti vendono a Memphis, significa che sei diretto nel Profondo Sud. E se sei diretto nel Profondo Sud…

    Jud si chiese come ci si dovesse sentire ad avere paura. L’aveva provato una volta, o almeno così pensava. Tentò di rievocarne il ricordo, ma si rese conto di non esserne in grado. Poteva vedere alcuni frammenti, sì, ma quelle scene evocavano solamente un doloroso e vago senso di perdita. Pensò a sua madre, Tui, e si chiese se si chiamasse veramente così. Era così piccolo quando era stato separato da lei e venduto a Tiligman… Quel nome risuonava come estraneo alle sue orecchie, Tui… ma era l’unica cosa che gli fosse rimasta. La ricordava con un turbante di un giallo brillante, ed era molto, molto nera, come l’oscurità quando la luna è nascosta dietro alle nuvole. Invece non aveva mai visto suo padre, così come suo padre non aveva mai visto lui. La madre gli aveva raccontato che era stato un guerriero, capo di molti uomini, ma che poi erano stati portati via dalla loro terra, dove una volta non c’erano uomini bianchi né schiavi. Era così difficile da credere che sua madre e suo padre si fossero persi proprio per questo. Jud non sapeva distinguere se i suoi ricordi fossero autentici oppure no. E non sapeva nemmeno se qualcosa di tutto ciò fosse vero. D’altronde c’erano così tanti neri che, senza sapere chi fossero i loro padri, raccontavano storie stravaganti di re, principi e presidenti… Adoko. Osai Adoko. Quello era il nome di sua madre, chiamata Tui. Ma era solo una supposizione, perché purtroppo era soltanto uno dei suoi ricordi.

    Decise di smettere di provare a ricordare qualcosa di cui rimaneva così poco. In ogni caso non significava nulla.

    Quando la sbarra fu sollevata dall’altra parte della spessa porta di quercia si sentì un rumore stridente. Poi la porta si spalancò ed entrò un uomo in maniche corte con una frusta arrotolata e stivali neri di pelle al ginocchio. Dalla luce che circondava la sagoma dell’uomo, Jud capì che l’alba doveva essere passata da un pezzo. Potevano essere le otto, le otto e mezza forse. I compratori sarebbero arrivati presto.

    «Forza negri» urlò l’uomo, «Sveglia! Mi avete sentito? Lord Almighty, c’è un odore tremendo qui dentro! Sveglia! E ora ascoltatemi bene, o ve ne pentirete fino alla fine dei vostri giorni. E non parlo solo delle frustate che prenderete oggi pomeriggio, ma di tutti i giorni da quando il padrone vi butta giù dal letto a quando riportate il culo a dormire. Ma se tutti ascoltate, nessuno si farà male. Al contrario, avrete lavori leggeri ogni giorno e soddisfazioni per il resto della vostra vita. Vi saranno dati vestiti caldi in inverno e carne in brodo tre volte a settimana, o anche di più, e il vostro padrone non vi farà lavorare la domenica e non vi sfiorerà nemmeno con un dito.

    «Bene, qualcuno mi sa dire come potete ottenere tutto questo?»

    Un gran dondolio di teste e catene faceva intuire una risposta positiva.

    «Sì padrone!» si fece avanti qualcuno, e fu come se un’ondata improvvisa avesse distrutto un argine pericolante.

    Il silenzio fu spezzato da un’accozzaglia di voci concitate e l’uomo bianco sollevò la sua frusta. «Basta. Adesso basta. Bene, quello che dovete fare è far pensare ai signori là fuori che vi osserveranno e faranno offerte, che siete i negri più sani, robusti e forti che hanno mai visto. Non farete casini. Starete bene dritti e farete vedere quanto siete forti. Così avrete un padrone che pagherà per voi un bel po’ di grana, e questo vuol dire che penserà che valete abbastanza e vi tratterà come si deve.

    Ma se non date una buona impressione e il padrone vi comprerà per poco, vi tratterà come qualcosa che non ha valore e vi farà ammazzare di lavoro. E vi darà una bella pettinata, così non dovrete più preoccuparvi di grattarvi per le mosche.»

    Ritirò per un attimo la frusta, per poi farla schioccare sul bordo di un pannello a dieci metri di distanza, facendo volare schegge dappertutto.

    «Ma se qualcuno di voi mi fa arrabbiare, allora non ci sarà niente da vendere. Sono stato chiaro?»

    Lo era stato. Decisamente.

    Venivano prelevati in gruppi da dieci per essere lavati, oliati e venduti all’asta. Dato che il capanno dov’era rinchiuso Jud era solo uno dei quattro contenenti schiavi maschi, non lo chiamarono fino a mezzogiorno. Il tempo passava lentamente, e l’umore dei banditori e dei loro assistenti, sempre più inquieti, confermava che si trattasse di una giornata difficile. Il nuovo ciclo del cotone stava per ricominciare e i proprietari delle piantagioni ora avevano bisogno di braccia forti. Le discussioni per i maschi migliori erano animate, ma il banditore principale si rifiutava di vendere subito i suoi esemplari forti; così facendo, infatti, si sarebbe giocato i compratori migliori, che avrebbero fatto i loro acquisti in fretta e se ne sarebbero andati lasciandolo a sudarsela per tirar fuori ogni singolo penny dai pochi spilorci rimasti. Così il battitore distribuiva accuratamente le sue vendite in fasi diverse, rifiutandosi di mostrare i suoi pezzi migliori prima di aver venduto un gruppo di vecchi o di ragazzini, gli infermi, quelli di salute cagionevole e le donne, per cui quel giorno non c’era molta richiesta. Un tale sistema pesava sui nervi e sull’umore, soprattutto perché molti compratori avevano perfino saltato il pranzo pur di non perdere un buon affare ed erano quindi nervosi. Tuttavia il guadagno era ottimo e certe volte i compratori erano spinti a effettuare acquisti di poco valore dettati semplicemente dall’impazienza.

    A mano a mano che il capanno si svuotava, i pochi rimasti divennero più loquaci. A volte Jud ascoltava i loro discorsi, senza un reale interesse, ma per la maggior parte del tempo se ne estraniava. Faceva semplici calcoli, e si teneva così occupato contando il numero degli schiavi nel capanno e sottraendo poi il numero di quelli portati via ogni volta che veniva l’uomo bianco.

    «Mi venderanno al Nord» annunciò un uomo magro dagli occhi giallognoli. «Il mio padrone mi porterà a Richmond, in Virginia, dove sono nato.» Poi alzò la voce. «Là c’è un uomo bianco molto potente che vuole vedermi, uno di quelli che parlano strano come nella Bibbia. Mi vuole portare via perché lui e il suo amico bianco mi lasceranno libero.»

    «Sei pazzo, fratello. Hai preso una bella botta.»

    «Qui nessuno ti lascia libero tranne la tomba.»

    «Zitto, fratello, se ti sentono parlare così, come un pazzo alla luna, qui ci fan fuori tutti.»

    «Ma è vero», riprese lui. «Mi sono preso un amuleto», disse con aria compiaciuta. «Ho dato un intero dollaro d’argento a una veggente per averlo.» Intorno al collo aveva una cordicina. Infilò la mano nella maglietta e ne tirò fuori un ciondolo per mostrarlo al vicino. Era un pezzo di corteccia tondo e lucido finemente intarsiato e ornato di frammenti di perle colorate.

    «Fammi vedere.» Nell’aria si percepirono il sibilo di una mano veloce e una voce avida.

    L’uomo magro ricacciò velocemente l’amuleto sotto alla maglietta. «Nossignore. Questo è il mio biglietto per la libertà. Non si tocca.»

    «E sentiamo, che farai quando sarai libero?»

    «Che farò?»

    «Esatto. Che significa essere liberi veramente?»

    L’uomo magro si grattò la testa. «Beh significa…significa che nessuno te le dà per niente.»

    «E vuol dire che se vuoi dormire tutto il giorno, cazzo, lo puoi fare», aggiunse un altro.

    «E sentiamo, com’è che mangiate, senza lavorare?»

    «Ma sì, ti prendi dei negri tuoi, e ti fanno loro tutto il lavoro.»

    «Ti prendi un pezzetto di terra», disse il compagno di Jud «e fai andare un po’ di cotone, di verdure. Lavori sodo quando serve e fai tutto quel che vuoi il resto del tempo.» Tirò leggermente la catena che lo legava a Jud. «Non ho ragione?»

    «Non lo so», disse Jud. «Non sono libero. Non lo so cosa vuol dire.» Poi chiuse gli occhi, appoggiò la testa sul braccio sinistro, e non pensò più a niente.

    L’uomo magro e Jud erano stati portati fuori nello stesso gruppo. Dieci di loro furono portati in fila dal fabbro. Un vecchio uomo nero brizzolato stava lavorando ai suoi comandi. Jud pensò alla piantagione di cotone che era stata per lui come una casa per sedici stagioni. Non gli mancava, e nemmeno era contento di essere andato via. A mancargli era Diggs, non la piantagione. Diggs, il vecchio stalliere curvo, la cui pelle nera spuntava a tratti dai peli ormai bianchi. Gli aveva insegnato a leggere, e un po’ anche a scrivere, ma ora era troppo vecchio per continuare a fare lo stalliere. Tiligman lo vendette a un uomo che non rivelò mai a quale proposito lo avesse comprato. Jud era molto triste quando Diggs fu venduto; era una sensazione di inquietudine, di svuotamento, lo stesso sentimento del giorno in cui era stato venduto e separato da sua madre.

    Ma fu solo un attimo.

    Il fabbro era senza maglia e tutto sudato, con una pancia enorme coperta da spessi ciuffi di peli scuri. Rimuovere i ferri non era un processo complicato. Bastava mettere la punta affilata dello scalpello proprio sotto alla testa della vite che teneva le manette chiuse, e poi dargli un colpo secco di martello. Così fece. La vite saltò e la catena si allentò.

    «Laggiù» disse il supervisore indicando con il dito. «Ungetevi per bene.»

    Nello spiazzo appena indicatogli c’era un gran movimento: c’erano schiavi che si preparavano per il palco, guardie dei proprietari di terreno pronte a portare a casa i nuovi acquisti, ufficiali del mercato che contrassegnavano gli schiavi con il nome dei padroni e cambiavano i soldi, per non parlare dei compratori che stavano corrompendo qualcuno per guadagnarsi un’occhiata preliminare alla merce. Tutto ciò era tenuto sapientemente separato dal podio del banditore e dagli offerenti ricorrendo a un’alta palizzata di legno. Nell’angolo dov’era stato mandato Jud c’erano una mezza dozzina di barili. Intorno a loro, gruppi di schiavi seminudi composti indistintamente da maschi, femmine, adulti e bambini erano intenti a spalmarsi olio l’un con l’altro.

    «Spogliati là.» disse un uomo bianco a Jud, «E fai in modo di fare un bel lavoro. Voglio vederti brillare da capo a piedi.»

    Jud si tolse maglia e pantaloni e rimase in piedi, nudo. Intinse le mani nel barile e ne estrasse due manciate piene di grasso, che iniziò a spalmare su tutto il corpo. Era freddo, e anche se splendeva il sole, la temperatura era piuttosto bassa. Fu percosso da un brivido, ma non era una sensazione spiacevole. Si riempì di nuovo le mani e ripassò bene gambe, fianchi e braccia.

    Un uomo bianco diede un colpetto di frusta sulle natiche della ragazza vicino a lui. Si poteva dire robusta, ma non grassa, aveva un seno grande, i capezzoli violacei e le gambe carnose. La sua pelle lucida risplendeva al sole.

    «Vieni, puttanella» disse l’uomo bianco. «Mi raccomando, lo dico a tutti voi negri ancora una volta, spalmatevi per bene, i gentiluomini là fuori vogliono vedervi brillare, capito?»

    La ragazza rimase in piedi davanti a lui con la testa china.

    «Bene, e tu questo lo chiami ungerti per bene? Sei asciutta come la polvere. Ma cosa credi di fare?»

    «Certo, Sir. Ha ragione Sir. Ma non sono cattiva, Sir, solo sbadata credo, Signore.»

    «Bene. Facciamo che ti credo, puttanella. Certo che ti credo. Non sei una negra che crea problemi qui, penso…non ti faccio del male. Ma dobbiamo fare qualcosa per metterti a posto. Dammi un po’ di quel grasso, forza.»

    La ragazza andò fino al barile più vicino, prese del grasso e tornò indietro. L’uomo bianco glielo prese dalle mani e iniziò a spalmarglielo sotto le spalle, proprio dove il petto iniziava a gonfiarsi. Strofinava vigorosamente, scaldando e sciogliendo il grasso. Poi le spinse le mani sui seni, con le dita ben aperte e i palmi a coppa e iniziò a massaggiarli lentamente.

    «Ma che tettine deliziose ha questa puttanella, e che bei capezzoli. Perfetta per scaldare il letto di uno di quei signori là fuori.»

    «Sissignore…» Rispose immobile, senza cambiare espressione.

    «Alza le braccia.»

    Le fece scivolare le mani lungo i fianchi, e le riportò poi davanti, fino alla pancia. La accarezzò a lungo.

    «Allarga un po’ le gambe»

    La giovane spostò un piede poco più in là. Lui le si inginocchiò di fronte e avvolse le braccia intorno alle sue gambe, le afferrò le natiche e le strinse con decisione. Poi mosse le mani fino un po’ più su, verso l’interno delle gambe, scivolando compiaciuto sulla pelle morbida.

    «Oh, sì» sospirò. «Mmm…»

    Con una mano si mosse fino a dove le gambe di lei si univano, e iniziò a strofinare avanti e indietro là dov’era morbida e umida. Aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi semichiusi, e dondolava sulle ginocchia.

    Jud aveva finito di ungersi. Lanciò un’occhiata incurante all’uomo e alla ragazza, poi raccolse i pantaloni da terra e infilò una gamba. All’improvviso arrivò un uomo basso e tarchiato, con i denti gialli per il tabacco, e lo colpì alle costole.

    «Non quella roba trasandata, negro. Mettiti questi. Almeno finché non ti vendiamo.» Prese un paio di pantaloni puliti dalla pila che portava sul braccio e li porse a Jud. Poi si voltò verso l’uomo e la ragazza. «Alworth, è meglio che finisci questa sceneggiata e fai muovere i negri. Il signor Mason li sta aspettando sul podio da un pezzo.»

    «Sì, sì…» rispose Alworth. Si fermò un attimo a guardare la pancia scura della ragazza e sospirò. La fece girare e le diede un ultimo colpetto sulle natiche. «Forza, negra. Andiamo. Non si può perdere tempo tutto il giorno.»

    Un altro uomo bianco raggiunse il primo, e insieme fecero formare agli schiavi due file approssimative una a fianco all’altra. Gli uomini indossavano solamente i pantaloni, le donne avevano il petto scoperto, le camicette aperte e legate dietro alla

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