Angeli sono con me
By Marco Marek
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About this ebook
Jay è un ragazzo nato e cresciuto a New York, dove conduce una vita interessante pur nella sua normalità. All'improvviso viene travolto da una serie di eventi e incontri inaspettati che cambieranno completamente il suo modo di vivere. Episodi e circostanze che sembrano casuali si riveleranno parte di un piano preordinato da parte dei suoi angeli custodi.
Marco Marek
Marco Marek was born in Italy. He always had a fervid imagination and a passion for fantasy stories, medieval magicians, ancient history, and unexplained mysteries. While he was visiting a castle in Eastern Europe, he had the idea of writing Hyperearth.Apart from writing, Marco is also a painter and he likes digital artwork on Photoshop. The cover of Hyperearth is his creation. He loves traveling when he has some free time.
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Angeli sono con me - Marco Marek
Parte prima:
Il contatto
New York, 2008
Jay Tanner doveva recarsi in Canada per lavoro: una ditta di autoricambi per muscle car gli aveva commissionato la realizzazione del sito internet aziendale. Si sentiva eccitato all’idea di fare quel viaggio sia perché non era mai stato in Canada, sia perché era un grande appassionato di quel tipo di vetture.
Quel giorno splendeva un bel sole a New York, città dove Jay abitava e che non avrebbe mai cambiato per nessun motivo al mondo. Essere nato e cresciuto lì era per lui motivo di orgoglio.
Tutt’a un tratto suonò il citofono, e Jay pensò fosse il corriere con il documento importante che stava aspettando. Mentre apriva la porta, lo speaker alla radio esclamò: "Buongiorno, New York! Oggi è mercoledì sedici: siete pronti per una nuova giornata nella città più favolosa del mondo? Certo che sì!"
Jay firmò la ricevuta al fattorino, prese la busta, la aprì per controllarne il contenuto e annuì soddisfatto: dentro c’era il contratto di affitto per la nuova casa in cui si era appena trasferito, a Herald Square.
Dopodiché si mise a preparare la valigia, scegliendo un trolley non troppo grande visto che il soggiorno in Canada sarebbe durato solo due giorni.
Dove avrò messo il mio computer?
si chiese. Ah, eccolo! Speriamo di non aver perso il biglietto dell’aereo...
In realtà Jay non era sbadato fino a quel punto. Piuttosto, era un ragazzo molto auto-ironico che non perdeva occasione per prendere un po’ in giro se stesso. Più di un amico e anche qualche conoscente gli avevano suggerito di fare di più il serio, considerando che ormai aveva compiuto trent’anni, ma lui non faceva troppo caso a quello che dicevano gli altri.
Chiamò una limousine che lo portasse all’aeroporto e finì di prepararsi. Non appena mise piede fuori casa, trovò la macchina ad attenderlo. Disse all’autista di dirigersi all’aeroporto di Newark, in New Jersey, anziché al John Fitzgerald Kennedy, perché lì aveva trovato un’offerta per il volo più conveniente.
Ecco, Montreal 14:25: è il mio!
esclamò Jay scorrendo il tabellone delle partenze.
Nell’attesa, girò un’oretta per il duty free shop, finché non fu il momento di imbarcarsi, come avvisava la scritta lampeggiante che segnalava di presentarsi al gate 7.
Salito sull’aereo, l’hostess lo accolse con un sorriso e lo fece accomodare subito al posto a lui riservato.
È stata gentile e anche molto carina. Il Canada comincia già a piacermi!, pensò Jay tra sé.
Quando doveva prendere un aereo per lavoro, sperava sempre che al posto accanto al suo si sedesse una bella ragazza con cui poter conversare amabilmente e passare il tempo in maniera piacevole. Qualche volta aveva avuto fortuna, altre volte meno.
A Jay piaceva viaggiare, gli permetteva di incontrare e conoscere diverse persone, con una delle quali, magari, sarebbe potuto anche scattare il classico colpo di fulmine. Fino a quel momento non era ancora successo, ma lui non aveva perso la speranza che un giorno potesse accadere.
L’hostess, nel frattempo, accompagnò un paio di persone, un muscoloso uomo di colore e una ragazza, alla stessa fila dov’era seduto Jay.
Oddio no, speriamo non mi capiti lui. Fare il volo assieme a Mr. T dell’A-Team non mi entusiasma affatto!, pensò Jay tra sé, passandosi una mano sulla fronte.
Con quella battuta non voleva assolutamente suonare razzista o discriminare quell’uomo, anzi, lui stesso aveva molti amici di colore. Era una questione puramente estetica: qualunque maschio, o quasi, avrebbe preferito avere accanto una donna anziché una persona del suo stesso sesso, anche se fosse stata di razza bianca.
La sorte per quella volta arrise a Jay: l’uomo muscoloso si sedette nella fila di destra e l’hostess indicò alla ragazza il sedile alla sinistra di Jay.
Ben presto, però, il giovane si rese conto che non è tutto oro quello che luccica. Osservando meglio la sua vicina di posto, notò che aveva i capelli color castano chiaro e indossava un top bianco e dei pantaloncini blu con delle ciabattine nere ‒ le flip flop, com’erano chiamate in America ‒ le unghie dei piedi erano smaltate di un vistoso color arancione, come le dita delle mani. Non era esattamente il tipo di Jay, coi suoi diciotto anni era troppo giovane per lui, che avrebbe invece preferito una