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Un posto lontano: e altri racconti
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Un posto lontano: e altri racconti
Ebook198 pages2 hours

Un posto lontano: e altri racconti

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About this ebook

Due racconti lunghi e otto brevi o brevissimi, a passeggio tra mondi seri, improbabili, futuribili e faceti.
Titoli: Direzione sbagliata – Ladro di vita – L'ira degli dei – Collo di bottiglia – Solone III – Un posto lontano – Se non per caso – Leone o cavallo – Diffidate delle imitazioni – Retrodatato.
Versione 1.2.2

LanguageItaliano
Release dateSep 23, 2015
ISBN9781310835186
Un posto lontano: e altri racconti
Author

Giovanni Perini

Da grande farò dei miei hobby un lavoro, e dei miei lavori un hobby.Nel frattempo giustifico la mia esistenza scrivendo di questo e di quello, qui e là.Mi trovate su Reddit: u/SciScribbler

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    Un posto lontano - Giovanni Perini

    Copyright 2015 Giovanni Perini

    Questo ebook è concesso solo per uso personale, non può essere rivenduto né ceduto ad altri. Se state leggendo questo libro, ma non l’avete comprato, Vi prego di acquistare quanto prima la vostra copia. Grazie per il rispetto che mostrate nei confronti del duro lavoro degli Autori.

    Copyright 2015 Giovanni Perini

    This ebook is licensed only for your personal use, it may not be resold or given away to other people. If you are reading this book, but did not purchase it, please purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of Authors.

    Copyright

    1. Direzione sbagliata

    2. Ladro di vita

    3. L’ira degli dei

    4. Collo di bottiglia

    5. Solone III

    6. Un posto lontano

    7. Se non per caso

    8. Leone o cavallo?

    9. Diffidate delle imitazioni

    10. Retrodatato

    Bio

    In una repubblica, le istituzioni dovrebbero essere lo strumento attraverso il quale i cittadini concretizzano tutto ciò che è necessario per governare la nazione.

    Talvolta, invece, ho l'impressione che le istituzioni e le regole che le governano, siano vissute non come uno strumento per governare una nazione, ma come il fine ultimo dell'esistenza della nazione stessa. In questo caso le istituzioni smettono di essere strumento di gestione e governo, e diventano entità fini a loro stesse; i cittadini smettono quindi di essere elemento centrale della repubblica, e diventano veri e propri sudditi delle istituzioni.

    Il risultato di questo ribaltamento concettuale potrebbe essere esilarante o forse kafkiano, se non fosse che le conseguenze nefaste di questa aberrazione ricadono inevitabilmente su tutti i cittadini.

    §

    DIREZIONE SBAGLIATA

    Quando sentì l’elicottero, il senatore Repinti alzò gli occhi alla parete. Il grande orologio a lancette segnava le tre esatte.

    Puntuali come il rendiconto di bilancio.

    Mentre il pesante velivolo militare scendeva lento nel campo da golf, Alfredo Maria Repinti si alzò dalla poltrona di pelle nera, posò sulla scrivania il voluminoso fascicolo che aveva studiato fino a quel momento e si avvicinò all’ampio specchio dalla sontuosa cornice barocca appeso alla parete. Suonarono alla porta mentre stava ancora rimirando compiaciuto la sua figura. Con i suoi quarantadue anni non ancora compiuti era il senatore più giovane della legislatura. La sua abilità dialettica, di cui andava fiero, gli aveva fruttato l’elezione e l’ammirazione di alcuni colleghi di partito più anziani. Gli aveva fruttato anche molte invidie, ma Repinti era orgoglioso anche di quelle.

    Bussarono discretamente alla porta. Un’ultima sistemata al nodo della cravatta, poi, senza fretta, rispose al segretario che sarebbe sceso immediatamente.

    Controllò ancora una volta la giacca, con poca convinzione. Non gli piaceva viaggiare in elicottero, per via del rumore ovviamente, ma soprattutto per la mancanza di aria condizionata. In quella tarda mattina d’estate inoltrata ne avrebbe sentita la mancanza.

    Un ufficiale dall’aria seriosa lo esplorò minuziosamente con un metal-detector ancor prima di uscire di casa; le regole erano molto severe in proposito. L’apparecchio, una specie di grossa racchetta da ping-pong di plastica nera, mandò un sibilo quando passò sul suo orologio da polso, l’unica cosa che gli era consentito portare con sé. Anche il suo segretario, il buon vecchio Giorgio, sembrava essere stato contagiato dall’atmosfera seria e formale che i militari parevano essersi portati dalla caserma; era ancora meno incline del solito alle chiacchiere e pareva invecchiato nella sua espressione silenziosa.

    Il pilota non aveva spento il motore e Repinti credette per un attimo che il vento sollevato dalle pale gli avrebbe strappato la giacca di dosso. Lo aiutarono a salire senza troppe cerimonie e qualcuno gli allungò le cuffie antirumore, che indossò da solo.

    Questa totale mancanza di delicatezza era anche peggio dell’assenza dell’aria condizionata, ma il Senatore immaginò che per dei militari di professione, abituati ad eseguire gli ordini senza discussioni, fosse normale così.

    L’elicottero stava ancora salendo verticalmente quando uno dei due militari che sedevano di fianco a lui gli infilò un cappuccio di spessa stoffa nera. Si aspettava qualcosa del genere. Aveva passato gli ultimi giorni a studiare tutte le norme riguardanti la Clausola di Cooperazione e ne aveva assimilato ogni dettaglio. Impedirgli di vedere dove erano diretti faceva parte della Procedura Esecutiva (articolo 27, comma due). Com’era ovvio, la direzione di volo doveva restargli nascosta. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto di avviare una conversazione con i suoi accompagnatori, si rassegnò ad affrontare il viaggio in questa strana affollata solitudine. Anche il silenzio faceva parte della procedura (articolo 37, comma uno) ma Repinti aveva sperato che almeno in questo i suoi zelanti accompagnatori si sarebbero dimostrati meno ligi ai dettagli, dopotutto lui non era un cittadino qualunque, era un Senatore della Repubblica. Immaginò che la puntualità estrema e questa scrupolosa attenzione, quasi fanatica, per i dettagli fosse normale fra i militari.

    È come essere seduti al congresso del partito sbagliato.

    Così, nel silenzio relativo delle cuffie antirumore, si sistemò più comodamente che poté sullo scomodo sedile del velivolo e cominciò a ripassare mentalmente tutta la procedura, come se dovesse sostenere un esame.

    In fondo le cose stavano proprio così. La Clausola di Cooperazione non era altro che l’ennesimo esame, al quale bisognava arrivare preparati, e Repinti si era impegnato a fondo nello studio della Clausola e della Procedura Esecutiva, con tutta la scrupolosità e l’attenzione ai dettagli che metteva in ogni battaglia politica. Attenzione, quest’ultima, che era stata il secondo pilastro portante – dopo la ben nota abilità retorica, ovviamente – di una carriera politica fulminante di cui andava particolarmente orgoglioso. Certo, era imbarazzante che la Clausola fosse scattata proprio nella sua prima legislatura, ma nessuno poteva fagliene una colpa. Lui non era certo più responsabile di chiunque altro per le decisioni votate dalla maggioranza. Meno ancora era responsabile di una congiuntura economica durata più del previsto, né di una previsione di crescita che si era rivelata un po’ troppo ottimistica. Per questo disoccupazione e debito pubblico erano lentamente scivolati al di sopra della soglia massima, facendo scattare la Clausola.

    Ognuno ha il dovere di difendere le proprie idee col massimo impegno, ma le decisioni spettano alla maggioranza, e noi tutti abbiamo rispettato il volere della maggioranza. La responsabilità non è certo nostra.

    Però la Clausola era scattata, così si era trovato, assieme a tutti i colleghi parlamentari, in questa situazione imbarazzante: la destituzione temporanea da ogni incarico, fino all’esaurimento naturale della Clausola di Cooperazione stessa. Nonostante ciò, il Senatore Repinti non era preoccupato. Grazie al suo zelo e alla sua naturale inclinazione a capire l’importanza di ogni dettaglio, era certo di aver individuato il fulcro per uscire a testa alta da questa situazione imbarazzante.

    Secondo la sua analisi, tutto partiva dal principio ideologico che aveva portato a formulare la Clausola di Cooperazione stessa: se i membri del Parlamento si dimostravano incapaci di mantenere lo Stato all’interno di determinati parametri sociali ed economici, essi erano tenuti a dimostrare ai Cittadini di essere materialmente in grado di cooperare tra loro per il Bene Comune. In altre parole, dovevano dimostrare ai Cittadini di saper fare il lavoro per cui erano pagati. Questo era il razionale della Clausola di Cooperazione, ed era anche la chiave interpretativa di tutta la normativa che la riguardava.

    Per superare l’esame che li attendeva, dovevano quindi dimostrare la loro padronanza degli strumenti democratici, mettendoli in pratica nel migliore dei modi per uscire dalla situazione critica nella quale quell’elicottero l’avrebbe lasciato, in compagnia di tutti i suoi colleghi. A confermare questa chiave interpretativa, c’era un altro importante elemento della Clausola: se lui e i suoi colleghi fossero riusciti a risolvere la situazione critica entro settantadue ore, non solo sarebbero stati reintegrati nei loro precedenti incarichi, ma la legislatura sarebbe stata prolungata di cinque anni. Praticamente era come se garantissero a tutti la rielezione. Se ci fossero riusciti, la vergogna di aver fatto scattare la Clausola si sarebbe trasformata in una vittoria politica senza precedenti. Repinti era fiducioso, sarebbe riuscito a trascinare i suoi colleghi in un rapido ed efficiente tour de force, che li avrebbe condotti alla soluzione.

    La manovra di discesa lo colse alla sprovvista, concentrato sui suoi pensieri, aveva perso la nozione del tempo. Qualcuno gli tolse il cappuccio e dopo tutto quel buio, la luce del giorno era quasi fastidiosa.

    È peggio che uscire dal Senato per la pausa caffè in un pomeriggio di luglio.

    Si trovavano già molto in basso. Sotto di loro li attendeva un grosso gommone. L’elicottero si abbassò fin quasi a toccare l’acqua. Il rumore divenne più forte quando il militare alla sua destra aprì il portello laterale per lanciare una scaletta di corda, dalla quale scese raggiungendo il gommone. L’odore di salsedine e il caldo afoso lo colpirono in modo quasi fisico. L’altro militare, alla sua sinistra, gli fece cenno di scendere.

    La discesa non fu confortevole. Sballottato dal vento delle pale, impiegò diversi minuti a percorrere i pochi gradini che lo separavano dall’imbarcazione, e la consapevolezza che, alla peggio, sarebbe caduto sul morbido fondo del gommone stesso, non contribuì a ridurre il suo disagio. Aiutato dai militari raggiunse la dondolante superficie del natante. In un turbine di spruzzi finissimi, l’elicottero riprese quota, mentre l’imbarcazione, spinta da due potenti motori fuoribordo, accelerò rapidamente, compiendo nel contempo una brusca virata. Repinti si ritrovò senza volerlo, seduto sul fondo del gommone, assieme ai suoi nuovi muti accompagnatori.

    Poco dopo scorse la sua destinazione finale. Davanti a lui apparve la sagoma della Zattera, bassa e piatta, con un piccolo castello centrale. Ogni volta che il gommone raggiungeva la sommità di un’onda la vedeva apparire per alcuni secondi. Era gremita di gente, e già da lontano il Senatore credette di riconoscere qualcuno dei suoi colleghi. In pochi minuti si affiancarono alla grande imbarcazione. Qualcuno lo aiutò ad alzarsi, mentre un altro anonimo e silenzioso militare gli mise in mano un lungo remo di plastica gialla.

    Dotazione Standard. Articolo 112, comma sette.

    Prima di farlo salire sulla Zattera, qualcuno gli allungò anche un piccolo zaino scuro, che lì per lì lo lasciò perplesso, poi ricordò.

    Dotazione Supplementare. Articolo 112, comma undici. Così sono io il prescelto per la dotazione supplementare, e quindi sono alche l’ultimo ad essere stato portato qui.

    La piccola striscia di mare che ancora separava il gommone dalla Zattera sembrava aprirsi e chiudersi come una bocca priva di denti, pronta a ingoiarlo nella sua profondità liquida e scura. Era imbarazzato dalla paura che lo aveva colto all’improvviso, ma non era qualcosa che poteva controllare. I suoi silenziosi accompagnatori in divisa non sembrarono farci caso e quasi lo sollevarono di peso, lasciandolo seduto sul pontile della Zattera, vicino al bordo. Il gommone si allontanò rapido, verso una destinazione ignota.

    Repinti stringeva ancora a sé zaino e remo quando si rese conto che il gommone che aveva seguito con lo sguardo era ormai scomparso tra le onde. Ripresosi dall’inatteso attacco di panico posò accanto a sé ciò che aveva in mano e cominciò a guardarsi intorno. La Zattera era enorme. Bassa e piatta, il suo pontile in legno non aveva parapetto ma lungo i due lati più lunghi, a intervalli regolari, erano fissate numerose basse forcelle, anch’esse in legno.

    Non dovrebbe esserci una corda a collegare quei piantoni? Così come sono, non valgono granché come protezioni.

    Qua e là, giacevano abbandonati numerosi remi uguali al suo. Su quella grande superficie piatta, i più di 300 membri del Parlamento, riuniti in gruppetti che discutevano animatamente, sembravano pochissimi. Repinti ne riconobbe diversi e cominciò a prendere mentalmente nota di chi stava parlando con chi. Alcuni si erano già tolti la giacca per il caldo e nessuno sembrava mostrare di aver notato il suo arrivo.

    Il castello centrale era formato da un grande cilindro di metallo verticale.

    Dev’essere la cisterna dell’acqua.

    Accanto ad essa c’era una baracca di legno e metallo che doveva contenere le provviste. Non sembrava molto grande. La porta era aperta e qualcuno stava già rovistando al suo interno.

    Gli altri evidentemente non se ne erano resi conto, ma l’ultimo arrivato era proprio lui, per cui era il momento di mettersi al lavoro.

    Visto che sono io ad aver ricevuto la Dotazione Supplementare, tanto vale che ci guardi dentro per primo.

    Aprì lo zaino e cominciò a frugare al suo interno. La prima cosa che gli capitò tra le mani fu un foglio accuratamente ripiegato. Era chiaramente una mappa, ma un po’ strana; riconobbe il famigliare profilo nazionale ma non vi erano né città né strade né montagne. La cartina era completamente bianca, eccetto che per i mari, dove erano invece tracciate diverse linee e indicazioni numeriche che non riusciva a decifrare.

    Una carta nautica, credo. Oh, grazie del pensiero. Non sappiamo dove siamo. Non sappiamo neppure in quale mare siamo.

    In ogni caso, sicuramente non si trovavano a più di cento miglia nautiche dalla costa (Articolo 104, comma otto). Un altro particolare importante, che non gli era sfuggito; anche in questo caso, la sua capacità di memorizzare ogni dettaglio gli era stata utile. Mise da parte la mappa, senza curarsi di ripiegarla, e continuò a frugare. Trovò una busta di plastica trasparente con all’interno un notes e alcune matite. Gettò via la busta e si infilò nella tasca della giacca il contenuto.

    Questi mi serviranno.

    Allentò un poco il nodo della cravatta: il sole si stava facendo fastidioso. Continuò nella sua ricerca, mentre un refolo di vento cominciò a trascinare la carta nautica qua e là per il pontile. Trovò un piccolo libro, poco più grande di un’agenda e pieno di strane tabelle. Le fece scorrere rapidamente, riconobbe il nome di qualche stella, ma per la maggior parte si trattava di date e orari di cui non capiva il significato. In fondo al libro c’erano diverse pagine scritte, con alcuni disegni che rappresentavano il cielo stellato e diverse formule matematiche che non credeva di avere mai visto prima.

    Se non capisci come funziona, non ti serve, giusto?

    Posò il libro accanto a sé e riprese la sua esplorazione. Sul fondo dello zaino trovò una robusta scatola di metallo, che aprì con cautela. Al suo interno c’erano tre strumenti e due di essi gli erano famigliari. Il primo era chiaramente una

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