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India del nord: trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo
India del nord: trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo
India del nord: trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo
Ebook643 pages7 hours

India del nord: trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo

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About this ebook

Avventurosi esploratori del deserto del Sahara, leggendari viaggiatori in cerca di popoli mitici nell'Africa nera, Piccoli Principi a caccia di amici, da sempre ci raccontano il mal d'africa. Ma esiste un altro male, un male buono, buonissimo. Un male buono che entra nell'anima e nel corpo e che non abbandona mai. Un male buono che illumina e riappacifica. Un male buono che diventa parte di chi si avvicina all'India. Come raccontare il Mal d'India? Questa guida offre dettagliati itinerari di viaggio costellati di episodi, racconti e incontri; parla della musica e del cinema indiano, del teatro e della religione, vi porta alla scoperta dei tesori dei Maharaja del Rajasthan, sulle rive del Gange nella città sacra di Benares, negli sperduti monasteri del Ladakh nella valle dell'Indo, si inerpica nelle valli del Sikkim ai piedi dell'Himalaya, si perde nelle strade affollate di Calcutta e di Delhi, e tra le tribù remote dell'Arunachal Pradesh.
LanguageItaliano
PublisherPOLARIS
Release dateJun 14, 2015
ISBN9788860591609
India del nord: trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo

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    India del nord - Pierpaolo Di Nardo

    INDIA del NORD

    trecentotrenta milioni di dèi e un popolo solo

    Di

    Pierpaolo Di Nardo

    Foto

    CC/Dennis Jarvis (DJ)

    CC/Fabolous Fab (FF)

    CC/Arian Zwegers (AZ)

    CC/Dimitry B (DB)

    CC/Steve Hickst (SH)

    CC/Ryan (RY)

    CC/op John (OJ)

    CC/Diganta Talukdar (DT)

    CC: licenza Creative Commons Attribution_ShareAlike 4.0

    http://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/legalcode

    Prima edizione ebook: 2014

    Copyright ©2014 Polaris

    ISBN 9788860591609

    La guida è disponibile anche in formato cartaceo

    Casa Editrice Polaris

    www.polariseditore.it

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, o registrata in database, senza il permesso scritto dell’editore.

    Benché sia stata prestata la massima attenzione nella raccolta delle informazioni contenute nella guida, nessuna responsabilità per eventuali danni o inconvenienti occorsi a cagione del suo utilizzo potrà essere imputata all’autore, all’editore o a chi, sotto qualsiasi forma, la distribuisce.

    Sommario

    Perché un viaggio in India

    Storia dell’India

    Le religioni, i rituali e le feste dell’India

    ... Le sacre scritture indù

    ... Induismo

    ... Buddismo, Jainismo e Sikhismo

    ... I Parsi

    ... Islam

    ... Le feste religiose in India

    Arti dell’India: la danza, il teatro, la musica, il cinema e l’architettura

    ... Teatro e danza: sacre rappresentazioni del divino

    ... Danze classiche indiane

    ... La musica classica indiana

    ... La musica contemporanea

    ... La musica dei film

    ... Il cinema cantato

    ... Architettura dell’India del nord

    Itinerari

    Delhi: l’eterna capitale dell’India

    ... La visita della città

    ... Nei dintorni di Delhi

    Rajasthan: nella terra dei Maharaja

    ... Il viaggio in Rajasthan

    ... Samode

    ... Jaipur

    ... Il Forte Amber

    ... Ajmer

    ... Pushkar

    ... Udaipur

    ... Chittor

    ... Mount Abu

    ... Il tempio jainista di Ranakpur

    ... Jodhpur

    ... I villaggi nei dintorni

    ... Jaisalmer, la città d’oro

    ... Bikaner

    ... Escursioni a Deshnoke e Nagaur

    ... Mandawa la regina dello Shekhawati

    ... Bundi e Kota: il medioevo del Rajasthan meridionale.

    ... Parchi nazionali del Rajasthan

    Gujarat: terra di Jainisti e di pastori Rabari

    ... Viaggiare in Gujarat

    ... Ahmedabad

    ... Palitana

    Uttar Pradesh: divinità e miti sul Gange

    ... Il viaggio in Uttar Pradesh

    ... Mathura

    ... Agra

    ... Fatehpur Sikri, la città ideale

    ... Gwalior

    ... Khajuraho

    ... Varanasi

    ... Sarnath

    ... Bodhgaya, antica città buddista

    ... Parco Nazionale di Corbett

    Ladakh: la terra degli alti passi himalayani

    ... L’Himalaya

    ... Arte e religioni dell’Himalaya

    ... Il viaggio in Ladakh

    ... Leh: il capoluogo del Ladakh

    ... L’alta valle dell’Indo

    ... Il monastero di Alchi

    ... La valle di Nubra

    ... Il monastero di Insa

    ... La valle dello Zanskar

    ... Feste invernali in Ladakh

    ... Il Jammu e Kashmir

    ... Il viaggio in Kashmir

    ... Srinagar

    ... Località montane del Kashmir

    West Bengala e Sikkim: dal delta del Gange al Kanchenjunga

    ... West Bengala

    ... Sikkim

    ... Il viaggio in West Bengala e Sikkim

    ... Calcutta e il West Bengala

    ... Haora

    ... Darjeeling

    ... Sikkim

    ... Gangtok

    ... Trekking in West Bengala e Sikkim

    Punjab e Himachal Pradesh

    ... Punjab: la terra dei cinque fiumi

    ... Himachal Pradesh

    ... Il viaggio in Punjab e Himachal Pradesh

    ... Amritsar

    ... Dharamsala

    ... Palampur

    ... Mandi

    ... Valle di Kullu

    ... Escursioni nelle valli di Lahaul e di Spiti

    ... Trekking nella valle di Lahaul

    ... Shimla: un angolo d’Inghilterra sull’Himalaya!

    ... Chandigarh

    Gli stati del Nord Est: tribù Adivasi lungo il Brahmaputra

    ... Assam

    ... Arunachal Pradesh

    ... Meghalaya

    ... Nagaland

    ... La Storia del Nord-Est

    ... Il viaggio negli stati del Nord-Est indiano

    ... Le tribù dell’India nord orientale

    ... Villaggi Khasi

    ... Villaggi Monpa

    ... Villaggi Nishi e Aka Hrusso

    ... Villaggi Apatani

    ... Villaggi Tagin e Hill Miri

    ... Villaggi Adi

    ... Il Parco Nazionale di Namdapha

    Shopping

    Cosa mangiare e bere

    Notizie utili

    ... Organizzazione del viaggio

    ... Informazioni generali

    Letture

    ... L’appartenenza

    ... Il tempio Sikh di Delhi

    ... Saraswati e Lajpat matrimonio, unione, alleanza

    ... Il rito del Cinematografo

    ... Palika Bazar: Just have a look sir

    ... Octopussy, operazione piovra

    ... Arte, forma e religione

    ... A passeggio nel blu di Jodhpur

    ... Lord Krishna

    ... Taj Mahal: luogo d’incontro tra Dio e l’uomo

    ... Il tantrismo e l’arte erotica

    ... Il Gange e il rito della cremazione

    ... Il Festival di Hemis

    ... Madre Teresa di Calcutta

    ... Lobsang Tenzin Gyatzo: il XIV Dalai Lama

    Perché un viaggio in India

    Il primo principio dell’azione non violenta

    è la non collaborazione con tutto ciò che è umiliante.

    Mahatma Gandhi

    Allora sei stato in India? E che ti è accaduto in India?

    Ho fatto un’esperienza.

    Quale esperienza?

    L’esperienza dell’India.

    E in cosa consiste l’esperienza dell’India?

    Consiste nel fare l’esperienza di ciò che è l’India.

    E che cos’è l’India!

    Come faccio a dirtelo? L’India è l’India.

    Ma poniamo che io non sappia affatto che cos’è l’India. Dimmi tu che cos’è.

    Neppure io so veramente che cosa sia l’India. La sento, ecco tutto. Anche tu dovresti sentirla.

    Cosa vuoi dire?

    Voglio dire che dovresti sentire l’India come si sente, al buio, la presenza di qualcuno che non si vede, che tace, eppure c’è.

    Non ti capisco.

    Dovresti sentirla, laggiù, a oriente, al di là del Mediterraneo, dell’Asia minore, dell’Arabia, della Persia, dell’Afghanistan, laggiù tra il Mare Arabico e l’Oceano Indiano, che c’è e ti aspetta.

    Mi aspetta per che fare?

    Per non fare nulla.

    Ancora una volta non ti capisco.

    O meglio, per non fare, assolutamente.

    Va bene. Ma tu non mi hai ancora detto che cos’è l’India.

    L’India è l’India.

    Da Una certa idea dell’India

    Alberto Moravia

    Con quale modesto alfabeto posso tentare di spiegare che cos’è questa esperienza chiamata India? Come posso dare voce a questa sorta di vortice che ci attrae e ci inghiotte senza scampo?

    Avventurosi esploratori del deserto del Sahara, leggendari viaggiatori in cerca di popoli mitici nell’Africa nera, Piccoli Principi a caccia di amici, da sempre ci raccontano il mal d’Africa. Ma esiste un altro male, un male buono, buonissimo. Un male buono che entra nell’anima e nel corpo e che non abbandona mai. Un male buono che illumina e riappacifica. Un male buono che diventa parte di chi si avvicina all’India. Ma come posso dire? Come posso spiegare qualcosa che si sente solo con lo stomaco, con i polmoni, con gli occhi?

    Ho parole troppo piccole per reggere lo sguardo di una donna indiana. Parole troppo fragili per raccontare la nebbia che scende come un velo sulla campagna mentre la notte morde il crepuscolo. Come raccontare il Mal d’India? Il Mal d’India è lì, all’aeroporto, appena arrivi. Non lo vedi ma c’è. Il Mal d’India si annida fin dal primo giorno in cui ci metti piede in India, tra le case di Delhi o di Mumbai.

    Il Mal d’India è nell’aria pesante... monsonica... solida. È nel profumo inebriante di terra spezie uomini. Nelle luci, nei colori, nelle ombre che nascondono e schiudono... Nei bisbigli della gente, nei mercati o nei templi. Il Mal d’India c’è ... e ti cammina dentro. Ferdinand de Lanoye disse: Vi sono mille porte per entrare in India ma nemmeno una per uscirne.

    È proprio così, fortemente così. L’India è una porta sempre aperta. L’India entra una sola volta nella vita per non uscirne più. Una volta venuti a contatto con l’India non se ne può più fare a meno. Ma allora cos’è che ci attrae di questa India? Cos’è questo Mal d’India che la rende irrinunciabile? Indispensabile. Cos’è che ci attrae a tal punto da non volerne mai venire via quando siamo li e ci spinge a volerci ritornare appena arriviamo a casa? L’India è una porta sempre aperta. Ma la cosa che fra tutte ci attrae è l’incontro con un mondo altro, un mondo assai distante dalla nostra concezione del tempo e della vita, ma vicino all’umano sentire, un mondo in grado di costruire ponti tra noi e noi. Mondo altro significa incontro con l’altro, altro inteso come diverso, come mondo nuovo da scoprire, come mondo che non ha tratti riconoscibili.

    Per il viaggiatore che per la prima volta scopre l’India tutto è conoscere: il grande gioco della conoscenza. In qualsiasi luogo ci troviamo a qualsiasi ora del giorno o della notte l’India ci offre una possibilità per conoscere, per confrontarci e per guardare le cose da un altro punto di vista.

    Dal punto di vista indiano. Ovvero da sotto in su. Esattamente agli antipodi del nostro modo di vedere. Ed è solo lasciando da parte il nostro punto di vista che possiamo godere del suo splendore.

    L’India è la possibilità di fare esperienze altre, ovvero aliene, perché tutto ciò che viviamo e facciamo in India è come un ritorno ancestrale, come una rinascita che ci rende più umani.

    Ma l’India è anche l’incontro con una natura primordiale che nella nostra vita di cittadini abbiamo rimosso. Spesso la natura è un concetto relegato al week-end quando possiamo permettercelo. In India invece è il vivere quotidiano, fatto di natura incontaminata, di spazi infiniti, di montagne e di deserti, di fiumi e di oceani, di campagne... e campagne ricchissime.

    L’India è il ritorno nella pancia, è un mondo ancestrale che resuscita il primordiale bisogno di spiritualità. Abbiamo esplorato il mondo. Abbiamo conquistato le terre più remote e impenetrabili. Abbiamo già visto e ingurgitato tutto. L’India ci offre la possibilità di esplorare dentro senza cercare più fuori, perché l’India è un viaggio interiore, è esperienza (come dice Moravia), esperienza spirituale...

    L’India è impadronirsi della possibilità di esplorare la propria anima. L’India è una porta aperta dentro di sé, bisogna intraprendere il viaggio e avere il desiderio di esplorarsi, oltre ai riti e fuori dai templi. Perché non si trova fuori di sé ciò che è nascosto dentro, nella natura dell’uomo.

    Il primo impatto non è dei più semplici, come di fronte a tutte le cose nuove. Ma quanti cliché! Quante idee precostituite abbiamo dell’India?

    Certo l’India è un Paese anche povero e tutte quelle storie li che abitano il nostro immaginario sull’India. Ma l’India è anche la culla di una cultura millenaria, di filosofie e religioni antiche, del Mahabharata e del Ramayana, di un passato glorioso fatto di Maharaja e guerrieri Rajput, di imperatori Moghul, di ricchezze indescrivibili ammassate nei forzieri e nei palazzi reali, di campagne dai molteplici raccolti all’anno... L’India è tutte queste cose e altre ancora. Ed è anche un Paese povero. Si... anche. Per lasciarsi inebriare dal Mal d’India è indispensabile spogliarsi delle proprie idee preconcette, dei punti saldi, dei canoni di valutazione e dei metri di giudizio che appartengono al nostro mondo, perché in India siamo davvero in un mondo altro. E per fare questo bisogna essere disposti a rinunciare a un pezzo della nostra presunzione civilizzatrice, quella stessa che sempre ostentiamo in giro per il mondo. L’India è una casa accogliente che cambia una volta per tutte l’esistenza. Una possibilità che bisogna concedersi almeno una volta nella vita!

    India: macchina del tempo

    Oggi l’India ci appare come un museo di storia

    nel quale tutte le età dell’umanità

    coesistono in un eterno presente

    Alain Daniélou

    In India non c’è frattura tra il mondo antico e il mondo moderno. Tutto convive: la preistoria con la storia, il medioevo con il rinascimento, l’antico e il nuovo.

    La mancanza di frattura tra il mondo antico e il mondo moderno è un’altra delle grandi sorprese dell’India, che ci assale come un pugno allo stomaco... ma un pugno buono.

    Arrivando in India, fin dal primo momento, ci rendiamo conto di essere in un Paese moderno del XXI secolo ma nello stesso istante in cui lo pensiamo avvertiamo l’enorme presenza di un sistema sociale, religioso e filosofico, profondamente antico. In India convivono una grande modernità e una grande antichità senza rottura temporale e la sensazione che se ne ricava è di totale stordimento... ma piacevole.

    È come aver inventato la macchina del tempo, l’antico sogno dell’uomo. È come vivere in un sogno in cui a piacere possiamo spostare gli anni, cambiare i giorni sul calendario, e decidere di saltare dal 2500 avanti Cristo al 2001 dopo Cristo nel breve giro di uno sguardo, nel breve arco di una manciata di chilometri... Dalle torri sconfinate dei grattacieli delle grandi città, alle torri sconfinate dei templi e delle moschee, e tutto attorno ogni epoca storica che reclama la sua esistenza.

    La voce dell’India

    Ma ciò che su tutto colpisce è il chiacchierio di sottofondo delle strade dell’India. Un vociare continuo, uniforme, ininterrotto, fatto di lingue e dialetti che si mescolano e danno vita a una lingua indescrivibile e impronunciabile: la voce dell’India.

    La voce di migliaia, di milioni, di persone, di gambe che vanno in ogni direzione, di piedi veloci, di sguardi che bucano il muro dell’indifferenza e obbligano al sorriso.

    La voce dell’India ti assale già all’aeroporto di Delhi, quando dopo il controllo passaporti un lungo e ampio corridoio recintato, ti proietta nel caldo afoso monsonico come un pugno in faccia. Ed è lì che per la prima volta la senti... La voce dell’India.

    E una volta che l’hai sentita non ti abbandona più. Una voce di sottofondo leggero, come una litania. La notte indiana se la mangiano le voci dei tassisti nottambuli in cerca di avventori da scarrozzare in qualche albergo della metropoli; altri ti scrutano e sorridono tra loro, altri commentano di fronte al tuo viso straniero, qualcuno discute animatamente anche nel cuore della notte come se tutto si svolgesse adesso, li, ora. Tutti i suoni si mescolano perché in India tutto è mescolato, lingue, dialetti, alfabeti. E poi te la ritrovi per la strada sotto casa, nei mercati brulicanti di occhi curiosi, nelle moschee, nelle città che percorri, sempre presente quasi a tenerti compagnia. La voce dell’India ti diventa familiare, quasi indispensabile, guai se non ci fosse, guai se non ti accompagnasse.

    La voce dell’India è un’orchestra jazz in un’osteria araba.

    RINGRAZIAMENTI

    Un grazie particolare a Maria Pia Pagliarecci che mi ha seguito e supportato in questo lavoro. Grazie a Isabella Pillolo, Anuj Johari, Elisabetta Ripanti, Franco Pizzi, Kristin Blancke, Laura Cantarelli, Luciano Vettorato, Lucrezia Maniscotti, Simona Sansonetti, Patrizia Corona, Rajiv Arora, Roberto Tibaldi, Sabrina Beltramo, Tsewang Gyatzo, Mr Chander e Vikas Abbott, Chandan Arya, Sunil Kumar, Dawa Dorje, Karampal Singh e a tutti i volti di indiani che mi hanno ispirato.

    Storia dell'India

    La storia dell'India è la storia del rapporto tra Dio e gli uomini

    Il nome India deriva dal nome del fiume Sindhu che i popoli Ari provenienti dall’Asia minore pronunciavano Indu e sulle cui rive fiorì una grande civiltà urbana. La civiltà di Mohenjo Dharo e di Harappa crebbe e sviluppò un sistema di pensiero con una forte identità, una raffinatezza nelle arti e una moderna urbanizzazione nelle città che ben presto attirarono l’immaginazione di popoli lontani provenienti dall’Asia centrale, i quali fecero di tutto per penetrare nel subcontinente indiano e per dominarne i suoi popoli e le sue culture.

    Nei secoli successivi conquistatori arabi e afgani furono attratti dalle sue terre fertili e dalle sue ricchezze e avanzarono oltrepassando l’Indo e scendendo verso la pianura gangetica.Ogni invasione innestò qualcosa di nuovo portando usi, tradizioni e movimenti di pensiero che arricchirono il già complesso sistema filosofico indiano. Ma l’antica civiltà indiana si è tramandata intatta nel corso dei secoli e i suoi segni sono ancora riconoscibili ai giorni nostri.

    Storia come prodotto della geografia dell’India

    La civiltà indiana si estendeva dall’Hindu Kush (nell’attuale Afghanistan) alle città di Mohenjo Dharo e Harappa lungo il corso del fiume Sindhu, attraversando il deserto del Thar e le pianure alluvionali del Gange per arrivare ad oriente fino alla Birmania; dalla grande barriera naturale dell’Himalaya a nord fino alle terre dell’estremo sud sulle rive dell’Oceano Indiano.

    L’India antica arrivò a comprendere un’area di circa 4 milioni e 500.000 chilometri quadrati, contro i 3 milioni e 268.000 dell’Unione Indiana attuale. All’interno di questo subcontinente lungo oltre 3000 chilometri e largo altrettanti, sono inglobati tutti i generi topografici, geologici e climatici. Dai ghiacciai dell’Himalaya alle spiagge sabbiose del sud, dalle foreste tropicali del sud e del nord alle terre piovose e alluvionali degli stati del Nord-Est, dalle fertili pianure del Gange e dell’Indo al deserto sabbioso e roccioso del Thar.

    Il subcontinente può essere diviso in tre aree:

    - la fascia montuosa settentrionale dove si elevano le montagne più alte del mondo;

    - le pianure indo-gangetiche alluvionali che prendono origine dall’Himalaya;

    - la penisola meridionale con l’altopiano del Deccan.

    L’India è un Paese caldo e questa caratteristica ne ha influenzato la sua cultura. Le alte montagne a nord la hanno sempre protetta dai venti artici (oltre che dagli invasori) e durante tutto l’anno il clima è decisamente tropicale. Il calore è predominante in tutta l’India e di conseguenza non stupisce che i suoi popoli abbiano sempre divinizzato il sole e il fuoco. Allo stesso modo, forse per via del calore, anche l’acqua nella vita e nel pensiero degli indiani ha un ruolo sacro.

    Le acque del fiume Indo e del suo affluente Soan accolsero la prima grande civiltà indiana; lungo le rive del Gange e della Yamuna si è sviluppata successivamente la cultura degli Ari; il Brahmaputra ospitò ed ospita ancora la culla della cultura buddista tibetana. All’alba dell’induismo i corsi d’acqua assunsero una funzione centrale nella filosofia che da questi popoli stava nascendo e i fiumi vennero divinizzati.

    Gli indiani onorano da sempre la Madre Ganga come una dea e lungo il corso di questo fiume sono dislocate numerose città sacre (Haridwar, Allahabad, Varanasi) legate proprio al culto della sacralità dell’acqua come elemento purificatorio dello spirito.

    A sud-ovest della pianura gangetica si estende la catena montuosa dei Vindhya che segna il punto di divisione tra le popolazioni del nord e quelle del sud e nel corso dei secoli ha determinato lo sviluppo di culture indipendenti.

    L’altopiano del Deccan, per lo più formato da terre aride e desertiche, si estende su gran parte della penisola indiana ad una altitudine media di 1000 metri, e degrada lentamente verso oriente, obbligando tutti i fiumi dell’India del sud a sfociare nel Golfo del Bengala.

    Mentre l’India del nord si è sviluppata anche grazie ai grandi fiumi alimentati dalle nevi perenni dell’Himalaya, l’India del sud ha sempre dovuto dipendere dalla stagionalità dei monsoni e ancora oggi i contadini delle campagne più interne accolgono con danze rituali l’arrivo del monsone di giugno.

    Nel Golfo del Bengala il monsone giunge con la potenza di un uragano e, dopo essersi scaricato nelle terre del Nord-Est e nella vicina Birmania, scende verso la penisola del Deccan e, sospinto da venti di sud-est, prosegue verso occidente abbattendosi sulle regioni del Mare Arabico e infine sulla pianura gangetica per salire a Delhi e alle pendici dell’Himalaya.

    L’elemento più significativo delle grandi culture indiane è il profondo senso dell’ospitalità e della non belligeranza, che fa del subcontinente indiano una terra di conquista, unitamente alla filosofia induista che non professa l’esportazione del proprio culto. Proprio per questo l’India è sempre stata al centro di flussi migratori che ne sconvolgevano la stabilità sociale e gettavano le basi di culture sempre nuove arricchitesi grazie all’incontro di civiltà diverse.

    L’India fu nei secoli passati un grande laboratorio umano di culture, religioni, arti, filosofie, civilizzazioni, e tutti questi elementi sono riscontrabili nelle sue antiche città-tempio come nelle città imperiali.

    Sia geograficamente che culturalmente esistono due Paesi che si sono sviluppati parallelamente ma quasi indipendentemente.

    L’India del nord è stata interessata dalle invasioni da parte degli ari e dei musulmani, i quali penetrando nelle pianure gangetiche hanno costretto i popoli che incontravano ad indietreggiare e a rifugiarsi aldilà dei Monti Vindhya e nelle terre a sud dell’altopiano del Deccan.Questo fattore geografico e storico ha fatto si che le culture dell’India del sud si mantenessero pressoché integre e rafforzassero il loro legame con le tradizioni e la filosofia induista, mentre le culture del nord si sono via via aperte a un continuo confronto con le culture provenienti dall’esterno, dando vita a culture nuove, provocando non pochi scontri fra sistemi di pensiero e generando una sorta di sincretismo culturale, artistico e architettonico. Inevitabilmente l’incontro fra due grandi culture, quella induista e quella islamica, ha dato vita a un processo di arricchimento di portata inimmaginabile e allo stesso tempo ha causato sconvolgimenti negli ordini religiosi, politici, economici e geografici.

    Le civiltà della Valle dell’Indo: Mohenjo Daro e Harappa

    La scoperta delle due grandi città dell’Indo, Mohenjo Dharo e Harappa, distanti tra loro circa 650 chilometri, e gli scavi che dal 1921 hanno riportato alla luce importantissimi siti archeologici, hanno permesso di collocare le radici della civiltà urbana in India almeno mille anni prima dell’invasione degli Ari. La cultura pre-aria di queste città si fa risalire dunque a 2500-1600 anni a.C. e mostra segni distintivi molto precisi e differenti dalle culture che invaderanno il subcontinente di li a poco.

    I dasa, o schiavi, pre-Ari la cui pelle scura costituiva il segno distintivo rispetto al colore degli Ari, si sono rivelati ben più progrediti, raffinati e tecnologicamente avanzati delle orde semibarbare degli invasori Ari, che provenivano da occidente e la cui più spiccata civiltà sembra ridursi a un migliore armamento e all’utilizzo di cavalli imbrigliati.

    Le città di Harappa e di Mohenjo Dharo presentano un piano urbanistico molto progredito, con mura di fortificazione alte fino a 15 metri, bastioni di mattoni, quartieri con case ordinate e sistema fognario, immensi granai e magazzini areati che ci danno l’idea di una civiltà molto ricca e prospera, retta probabilmente da un sacerdote divinato come incarnazione di un dio.

    La civiltà dell’Indo, nel suo massimo sviluppo, comprendeva circa settanta città e si estendeva dal Sind e dal Belucistan fino al Punjab, al Rajasthan e al Gujarat. Grazie ai recenti scavi in numerose località della Valle dell’Indo e al ritrovamento dei magazzini e dei granai, siamo oggi al corrente dei commerci che i mercanti di Mohenjo Daro intrattenevano con i Sumeri già nel 2000 a.C., che ci fanno intendere che essi, avendo risorse in abbondanza, esportavano gran parte dei loro raccolti.

    Ma attorno all’anno 1700 una serie di inondazioni e di sconvolgimenti tettonici, che fecero addirittura cambiare il corso naturale dell’Indo, misero in crisi l’equilibrio del sistema di Harappa e Mohenjo Dharo, permettendo di li a poco l’avanzata dei primi invasori.

    Il livello socio-economico delle popolazioni della Valle dell’Indo mutò, le strade delle città persero quella loro peculiarità di ordine e grandiosità, le case divennero più semplici, peggiorò la qualità del vasellame e degli oggetti dell’artigianato, e un impoverimento generale avviò una lenta decadenza: il sole che splendeva su questa grande civiltà era ormai tramontato.

    L’agonia di Mohenjo Daro e Harappa si consumò nell’arco di pochi anni quasi in modo inspiegabile se consideriamo l’elevato sviluppo di queste due culture. I conquistatori Ari, trovando una cultura allo sbando e impoverita, si addentrarono nelle terre bagnate dall’Indo e lentamente la civiltà e lo splendore di Harappa svanì. L’impero urbano con le sue meravigliose cittadelle fu trascinato via dalla furia impetuosa del fango dell’Indo e dalle prime armate di invasori che giunsero dall’Asia centrale.

    Gli Ari

    Intorno al 1500 a.C. le tribù barbare seminomadi che vivevano nelle regioni tra il Mar Caspio e il Mar Nero, vennero sospinte via dalle loro terre da un disastro naturale, da una siccità o da una epidemia.

    Queste popolazioni furono costrette a migrare verso occidente e verso oriente e alcune tribù si spinsero con il loro bestiame, pecore, capre e cavalli addomesticati, attraverso la Persia e l’Hindu Kush, fino alle sponde dell’Indo, aprendo così un nuovo capitolo nella storia indiana.

    Ma la cosa più importante, che ebbe effetti determinanti nella storia delle future popolazioni dell’Europa e dell’Asia, fu che questi popoli seminomadi portarono con se la lingua indo-iranica antenata dei nostri linguaggi moderni.

    Nel 1783 il grande studioso inglese, Sir William Jones, iniziò un lungo lavoro di studio sul sanscrito e qualche anno dopo pubblicò un testo che metteva in evidenza i legami parentali tra il greco, il latino, il germanico e il sanscrito, e li collocava in un’unica famiglia linguistica indoeuropea. Ma come riuscirono queste popolazioni tribali e semi primitive a distruggere le grandi città fortificate dell’Indo?

    Non ci sono molti reperti archeologici del primo periodo della civiltà degli Ari, ma grazie ai libri della conoscenza della loro religione, i sacri Veda, siamo in grado di ricostruire molto della loro storia e della loro penetrazione in India. Il Rig-Veda, il Veda degli inni sacri, non parla della migrazione degli Ari e dell’invasione dell’India, ma narra delle vittorie conseguite dai guerrieri Ari sulle città dei dasa (popolazioni dalla pelle scura), prese d’assedio con centinaia di archi e frecce e asce di bronzo.

    Gli invasori, temprati dal lungo viaggio durato mesi e a volte anni, che per migliaia di chilometri li portò dall’Eurasia all’Indo, sfoderarono un’arma vincente insuperabile: contro gli eserciti delle città di Harappa e Mohenjo Daro vennero lanciati i carri trainati dai cavalli che travolgevano tutto e contro ai quali non era possibile opporre resistenza.

    La data presunta dell’invasione Aria si fa risalire al 1500 a.C. e questo sconvolgimento culturale segna un punto di non ritorno nella storia dell’India, in quanto i conquistatori portarono non solo il loro patrimonio genetico caucasico, ma anche una nuova lingua, il sanscrito, il loro pantheon di divinità, l’organizzazione patriarcale della famiglia e la struttura sociale divisa in tre classi: sacerdoti, guerrieri e schiavi. Era di fatto iniziata una nuova era per il subcontinente indiano.

    Il termine arya aveva in origine il significato di avente alta nascita o nobile; la gente comune arya veniva chiamata vìs (da cui prenderà nome la casta dei vaishya, commercianti) ed era divisa in tribù spesso in lotta tra loro per il potere territoriale.

    Una delle più importanti tribù degli Ari, la tribù dei Bharata, è protagonista del più grande poema epico dell’umanità, il Mahabharata, che narra le vicende e le lotte interminabili tra i cugini del re di questo regno. Quella stessa tribù in quanto simbolo dell’origine e della forza dell’India fu onorata nel testo della Costituzione della Repubblica indiana del 1950, che ha adottato il nome Bharat come nome dell’India.

    Attraverso il Mahabharata è possibile comprendere come era organizzata la società degli Ari. Ciascuna tribù aveva i suoi sacerdoti i quali avevano il controllo sulla società, conoscevano gli inni Vedici e si occupavano dei riti sacrificali. Il raja, i sacerdoti e i vìs risiedevano nei villaggi e custodivano le mandrie di bestiame, e le vacche avevano per gli Ari un valore talmente alto da venire utilizzate come moneta di scambio.

    Questo non vuol dire che gli Ari fossero vegetariani, anzi, mangiavano carne bovina e solo successivamente cominciarono a considerare le vacche sacre, per motivi strettamente legati a necessità locali. Presso tutte le società primitive e contadine la vacca è una indispensabile risorsa per il latte, per il formaggio e per lo yogurt, ed il toro per il duro lavoro nei campi; allo stesso modo nei paesi molto caldi la macellazione di animali di grandi dimensioni è molto complessa e comporta problemi di stoccaggio degli animali uccisi e di putrefazione delle carni. Allo stesso modo non è escluso che gli Ari si rifecero a una concezione di genti pre-arie che adoravano il toro.

    La religione dei primi Ari si incentrava sul culto di un pantheon di divinità legate alla natura, non esisteva una divinità principale ma molti inni venivano dedicati a Indra il dio della guerra sempre vittorioso associato anche al dio della pioggia); Varuna, il Re dell’Ordine Universale di tutte le cose, colui che regnava sul cielo ed era il divino signore della giustizia e il giudice dell’India degli Ari; Agni, il dio del fuoco sempre presente nella vita e nei riti; Soma, il dio dell’immortalità le cui gocce donavano libertà.

    Tra il XIV e il IV secolo a.C. si compie quel processo di cambiamento istituzionale e integrazione sociale tra le popolazioni barbare indo-europee e quelle pre-Arie. Il mutamento storico raggiunge il suo culmine con l’unificazione di gran parte dell’India nel 326 a.C. sotto la dinastia dei Maurya che governava da Pataliputra, l’attuale Patna, situata nella pianura gangetica a oltre 1.500 chilometri da Harappa e Mohenjo Daro.

    Le tribù e i bellicosi reami situati lungo il sacro fiume Ganga furono unificati sotto un unico impero, assai più grande di quello di Harappa, guidato da Chandragupta Maurya dal 324 al 301 a.C. Quando Alessandro il macedone spinse le sue truppe oltre l’Indo, affascinato dalle testimonianze giunte in occidente riguardo alle esotiche ricchezze della terra che si estendeva a oriente della Persia, non trovò tra le tribù locali eserciti in grado di opporre resistenza ma quando i suoi guerrieri incontrarono Chandragupta, il futuro fondatore del regno dei Maurya, Alessandro Magno tornò sui suoi passi.

    L’impero dei Maurya ebbe il controllo del subcontinente per centoquaranta anni e si basava su una rigida legge militare; il monarca indiano per mantenere il suo esercito di spie e soldati si faceva versare dai sudditi un quarto e a volte metà dei raccolti prodotti; requisiva le ricchezze del commercio e del bestiame e applicava una forte tassazione ai contadini. Lo stato Maurya era molto progredito nel settore agricolo, nello sfruttamento delle miniere e nell’organizzazione sociale delle città.

    Ashoka: l’imperatore illuminato

    Il più grande degli imperatori dell’India è senza dubbio il nipote di Chandragupta, Ashoka colui che è senza dolore, che regnò dal 269 al 232 a.C.

    Grazie agli editti che Ashoka faceva scolpire sulle colonne poste ai confini del suo infinito impero, abbiamo una immagine molto chiara della figura dell’imperatore, del suo governo e dell’India di allora.

    Questi importanti editti, scolpiti in lingua brami (antecedente al sanscrito) su rupi e pilastri, ci offrono la testimonianza del grande potere e della tolleranza del più illuminato fra gli imperatori indiani.

    Durante i primi anni del suo regno Ashoka si comportò come i suoi predecessori e scatenò sanguinose battaglie per allargare i confini del suo impero; invase il regno confinante di Kalinga (Orissa) uccidendo migliaia e migliaia di soldati e perseguitando gli abitanti della terra conquistata ma - gli editti raccontano - provò rimorso per aver conquistato Kalinga e per aver trucidato il suo popolo.

    Di li a poco Ashoka si convertì al Buddismo e abbracciò la filosofia della non-violenza; inizia così per il regno Maurya una fase storica senza precedenti in cui la pace e la politica non offensiva nei confronti di altri popoli regnava sovrana.

    I nuovi editti dell’imperatore parlavano ora di tolleranza, di perdono senza ricorrere a pene dolorose, di amore e benevolenza per tutti i sudditi del regno; ma Ashoka non era solo compassionevole come la sua nuova religione insegnava, era anche potente e determinato ad assicurare al suo regno serenità, sicurezza e controllo.

    Attorno al 258 a.C. il regno di Ashoka andava dalla Valle dell’Indo alla regione di Mysore (attuale Karnataka), e dall’Afganisthan al Bangladesh e l’imperatore fu salutato come il primo chakravatin, sovrano le ruote del cui carro girano senza incontrare ostacoli, imperatore universale dell’India.

    La compassione e la tolleranza verso tutte le persone, verso tutte le culture, le lingue e le religioni, l’amore per tutti i suoi sudditi, il rispetto delle leggi dello stato e l’essere sempre a disposizione per il bene della comunità, erano regole di base della filosofia di Ashoka che assicurarono per oltre un secolo il pluralismo regionale del subcontinente indiano.

    Pataliputra divenne il centro della diffusione della filosofia e dell’arte buddista in tutta l’India e il subcontinente, e grazie all’esempio di Ashoka, visse un periodo di conversioni di massa dall’induismo al buddismo. Alla sommità delle colonne di Ashoka venivano posti capitelli ornati di sculture di animali; il più famoso tra i capitelli è quello detto il capitello di Ashoka che si trova a Sarnath e raffigura quattro leoni che sorreggono la ruota della legge, il dharmachakra.

    Dopo la morte di Ashoka avvenuta del 232 a.C. il dominio Maurya perse sempre più vigore precipitando in un declino economico e spirituale. La dissoluzione del regno arrivò nell’arco di pochi anni quando gli scontri fratricidi tra i figli che avrebbero dovuto succedergli e le guerre territoriali tra tribù locali, non avendo più alcun riferimento spirituale, esplosero senza tregua.

    Dopo centoquaranta anni svaniva il più grande impero dell’India antica che aveva saputo gettare le basi della pacifica convivenza tra i popoli del subcontinente.

    L’impero Gupta

    Tra il II secolo a.C. e il IV d.C. l’India rimase politicamente frammentata. Le ondate di invasori provenienti dall’Asia centrale e dall’Iran avevano sottratto alle popolazioni indigene il controllo dell’India nord occidentale e il risultato del crollo dell’impero Maurya fu anche di frammentare le regioni nord orientali, centrali e meridionali del subcontinente.

    Inoltre, a sud, forti degli scambi commerciali con gli imperi romano e cinese, nascevano nuovi regni, ricchi e ben amministrati e organizzati. La quantità di monete romane trovate nei porti dell’India meridionale attesta la vivacità e il notevole volume di scambi commerciali tra culture distanti migliaia di chilometri.

    Fu solo nel 320 d.C. che una nuova dinastia rivendicò un ruolo politico di controllo su tutti i territori del nord: la dinastia Gupta, che riunificò l’India settentrionale fino alla fine del V secolo d.C. Questo periodo, nel quale vennero gettate le basi dello stato indù, viene considerato l’età classica indiana.

    Si imposero nuove forme di induismo popolare, vennero edificati i capolavori dell’arte dei templi e composte importanti opere letterarie in lingua sanscrito.

    Anche i Gupta governarono dalla città di Pataliputra nel Magadha, e il primo imperatore della dinastia si auto proclamò maharajadhiraja, re dei re. L’impero crebbe fino ad inglobare nuovamente gran parte del nord dell’India, dal Kashmir al Golfo del Bengala, dall’Himalaya all’altopiano del Deccan.

    Negli anni 375 - 415 d.C. l’impero Gupta, sotto il sovrano Chandragupta II, raggiunse il suo massimo splendore culturale e politico e questo imperatore fu paragonato ad Ashoka per la sua capacità di far vivere i suoi sudditi in libertà, nella tolleranza e senza rancori verso la dinastia.

    Le due grandi filosofie indiane, buddismo e induismo, attraversano un periodo di grande maturità filosofica e artistica e le strade e le città del subcontinente si riempiono di monaci e di brahmini. L’imperatore non parteggia per una o per l’altra religione ma offre il suo appoggio regale generosamente per la costruzione di templi indù o jainisti e di monasteri buddisti. E’ proprio in questo periodo che appare il tempio induista nella sua forma architettonica classica; l’epoca Gupta segna anche l’apice dell’architettura delle grotte buddiste (Maharashtra) e dell’arte degli affreschi murali che raffigurando con minuziosa perizia immagini di Budda decorati con drappi e oggetti preziosi.

    Alla morte di Chandragupta II, nel 415 d.C., il regno fu amministrato dal figlio Kumaragupta che dovette fronteggiare nuove invasioni provenienti da occidente. Alla fine del V secolo d.C. il regno iniziò un lento declino e gli invasori arabi lo indebolirono sensibilmente con numerosi attacchi.

    La dinastia imperiale Gupta volse al tramonto nel 515 d.C., anno in cui l’avanzata araba oltrepassò definitivamente il Khyber Pass e penetrò nel Kashmir e nel Punjab.

    I nuovi invasori portarono con se un nuovo sistema religioso, nuove idee e nuove concezioni spesso distanti dalla struttura sociale e culturale induista. Una nuova epoca stava per aprirsi su tutto il subcontinente indiano.

    L’avvento dell’Islam

    La nascita dell’Islam per opera del profeta Muhammad nell’anno 622 d.C., avrà effetti inaspettati e determinanti sulla storia indiana, come mai nessuna religione e cultura aveva avuto se non all’epoca dell’invasione degli Ari oltre duemila anni prima. L’eredità storica dell’incontro tra buddismo, induismo e islamismo ha avuto ed ha ancora ripercussioni sulla storia dell’India moderna e sui milioni di indiani musulmani che abitano nel subcontinente. Induismo e islamismo per concezione filosofica sono religioni diametralmente opposte, basti pensare che la prima contempla l’esistenza di milioni di divinità ognuna con proprie manifestazioni, scuole di pensiero, rituali e pratiche religiose, mentre la seconda si basa sull’esistenza di un Dio unico, Allah, alla cui volontà ogni credente deve abbandonarsi e sottomettersi. Nel corso dei secoli, a partire dall’VIII d.C., le due religioni si sono spesso incontrate, confrontate, scontrate e come spesso accade sono state interpretate e usate ingiustamente come vessillo di crociate ingiustificabili. Dall’incontro-scontro fra induismo e islamismo sono via via nate forme sincretiche riscontrabili soprattutto nell’architettura e nelle costruzioni delle città imperiali in stile indo-saraceno; non si può negare che oltre allo scontro tra sistemi filosofici, l’incontro tra stili e forme d’arte diverse ha dato vita a periodi di grande splendore artistico come l’esplosione creativa dell’arte Moghul dai molteplici tratti induisti.

    Nel 711, in seguito al saccheggio piratesco di una nave araba alla foce dell’Indo, il governatore ommayade dell’Iraq scagliò il suo esercito di cavalli e cammelli oltre l’Indo e prese possesso della regione. Ma la porta d’ingresso dell’Islam in India non fu la costa del Mare Arabico quanto piuttosto il passaggio del Kyber Pass a ovest della catena del Karakorum a partire dal X secolo.

    Mahmud di Ghazni nel 997 fu il primo sultano a scendere nelle pianure del Punjab, a distruggere idoli e templi indù, saccheggiare città, depredare gioielli, ori e argenti e portarli con se ritornando verso l’Afghanistan. Di fronte alla terrificante avanzata degli eserciti arabi le popolazioni locali indiane rimanevano impassibili a osservare la ferocia distruttrice dei soldati, confidando che Shiva sarebbe venuto in loro soccorso scacciando il pericolo. Già nell’XI secolo Mahmud di Ghazni annesse il Punjab come provincia orientale del suo regno.

    L’avanzata islamica in India fu lenta e alternò momenti di sanguinose battaglie ad altri in cui le città induiste non venivano minacciate e riconquistavano potere. L’autonomia dell’India settentrionale fu però seriamente danneggiata quando il sultano Muhamad al Ghur e il suo schiavo luogotenente Qtub-ad-Din Aibak compirono la loro prima offensiva in India nel 1175, conquistando dopo qualche anno Lahore e nel 1193 Delhi; giunti a Delhi era definitivamente iniziata la colonizzazione del subcontinente indiano. Nel 1206 Muhamad al Ghur venne assassinato e Qtub-ad-Din si proclamò sultano di Delhi, dando vita alla prima dinastia islamica in Asia meridionale. Il sultanato di Delhi trasformò l’India settentrionale che fino ad allora era stata terra di sottomissione e crebbe per oltre tre secoli sotto il governo di cinque dinastie turco-afghane. Nel corso del XIII secolo Delhi fu risparmiata dalle armate di Gengis Khan e il sultanato di Delhi fu in grado di garantire alle sue popolazioni un periodo di pace sociale e di sviluppo economico. Alla fine del XIII° secolo lo stato di Delhi era il più potente di tutta l’India e si spingeva fino al Bengala.

    Il 1296 segna il passaggio dalla dinastia degli schiavi discendenti di Qtub-ad-Din alla nuova dinastia dei Khalji, con il nuovo sultano Ala-ad-Din Khalji, che in meno di venti anni fece di Delhi il centro del potere e della ricchezza del subcontinente indiano. Ma nel 1398 la furia distruttrice di Tamerlano si impadronì di Delhi la saccheggiò e la rase al suolo. Solo un anno più tardi Tamerlano abbandonò Delhi che ancora giaceva nella pestilenza e nella carestia: nei primi decenni del XV secolo la città visse una delle pagine più dolorose della sua storia.

    La luce dell’impero Moghul

    Il sole era all’altezza della punta delle lance

    quando lo scontro cominciò

    e la battaglia durò fino a mezzogiorno,

    quando il nemico venne sbaragliato e messo in fuga.

    Con la grazia e la pietà di Dio...quel potente esercito

    venne prostrato nella polvere nel volgere di mezza giornata.

    Babur

    Discendente di Gengis Khan da parte di madre, soprannominato la tigre, Babur il re di Kabul, scese in India per sconfiggere le truppe di Ibrahim a Panipat, pochi chilometri a nord-ovest di Delhi.

    L’impero Moghul vide l’alba il 21 aprile del 1526 allorché l’imperatore e condottiero Babur si impadronì dei tesori della città di Delhi e li distribuì alle

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