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Sudafrica: il mondo in un solo paese
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Ebook467 pages5 hours

Sudafrica: il mondo in un solo paese

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About this ebook

Quando i sudafricani parlano della loro nazione, orgogliosamente la definiscono il mondo in un solo paese e questo perché s'incontrano ambienti morfologicamente e culturalmente molto diversi tra loro. Ai parchi nazionali, ricchi di animali, si sommano i villaggi rimasti sospesi nel tempo, abitati da popoli legati ad antiche tradizioni e le città, caratterizzate dai contrasti tra i grattacieli e le abitazioni nello stile olandese del XVII secolo. E ancora, come non ricordare la regione delle vigne dove, nelle grandi fattorie in stile coloniale, vengono prodotti vini di eccezionale qualità. I percorsi illustrati dall'autrice sono arricchiti da interviste e approfondimenti che spaziano dall'arte alla protezione della natura, con particolare attenzione alle comunità locali. Tra città, parchi, percorsi legati alla storia e all'artigianato in zone ancora molto selvagge, ogni interesse può trovare riscontro nello straordinario mosaico di questo paese: a tratti moderno e a tratti incontaminato. Questa guida racconta tutti questi aspetti attraverso una serie di itinerari tematici: un modo nuovo di impostare una guida turistica. Ormai trascorso il decennale della sua felice transizione alla democrazia e del suo rientro sulla scena internazionale, il Sud Africa è più che mai una destinazione tra le più attraenti e affascinanti del continente da cui trae il nome.
LanguageItaliano
PublisherPOLARIS
Release dateJun 16, 2014
ISBN9788860591142
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    Sudafrica - Silvana Olivo

    SUD AFRICA

    il mondo in un solo paese

    Di

    Silvana Olivo

    Foto

    Massimo Cufino

    Gianni Maitan

    Bruno Zanzottera

    CC/Clanchief (CF)

    CC/Christian Wortz (CW)

    CC/EC Sequeira (ES)

    CC/Elmer van Zyl (EZ)

    CC/Hein Waschefort (HW)

    CC/Janek Szymanowski (JS)

    CC/Jason (JN)

    CC/Lugerda (LG)

    CC/Nico Roets (NR)

    CC/Ossewa (OW)

    CC/Paula Gruben (PG)

    CC/PhilippN (PN)

    CC/SJL Patterson (SP)

    CC/Suzy K (SK)

    CC/Tjeerd Wiersma (TW)

    CC/freestock.ca (FC)

    Mappe CC/Nick Roux e Mart Bouter

    CC: licenza Creative Commons Attribution_ShareAlike 4.0

    http://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/legalcode

    Prima edizione ebook: 2014

    Copyright ©2014 Polaris

    ISBN 9788860591142

    La guida è disponibile anche in formato cartaceo

    Casa Editrice Polaris

    www.polariseditore.it

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, o registrata in database, senza il permesso scritto dell’editore.

    Benché sia stata prestata la massima attenzione nella raccolta delle informazioni contenute nella guida, nessuna responsabilità per eventuali danni o inconvenienti occorsi a cagione del suo utilizzo potrà essere imputata all’autore, all’editore o a chi, sotto qualsiasi forma, la distribuisce.

    Sommario

    La storia e il Sud Africa odierno

    ... Precolonizzazione

    ... Colonizzazione e definizione delle frontiere

    ... Dall’Unione ad oggi

    Letteratura e arti

    ... La letteratura

    ... Il teatro

    ... La musica

    ... L’arte

    Territorio e natura

    ... Il territorio

    ... Fauna: dove vedere le specie più rappresentative

    ... Un ruolo d’avanguardia nello sviluppo sostenibile

    Itinerari occidentali: da Cape Town sulle tracce dei pionieri

    ... Città del Capo o Cape Town: la città madre

    ... Itinerari: sulle tracce dei pionieri

    ...... Cape Town - Breede River Valley - Klein Karoo

    ...... Cape Town - Cederberg - Great Karoo

    ...... Namaqualand - costa Atlantica - parco Ricthersveld - Kalahari meridionale

    ... Informazioni pratiche

    Escursioni da Cape Town: sulla rotta dei vini e dei fiori

    ... Sulla Rotta dei Vini

    ... Sulla Rotta dei Fiori - la Penisola

    ... Sulla Rotta dei Fiori - la regione del Capo

    ... Informazioni pratiche

    Itinerari meridionali: le coste sudafricane

    ... La Breede River Valley e l’Overberg

    ... L’Overberg e la Costa delle Balene

    ... Il Klein Karoo e la Garden Route

    ... La Wild Coast

    Itinerari orientali: i Big Five, lo Zululand, i Monti Drakensberg

    ... Durban

    ... Itinerario tra i Big Five

    ... Itinerario: sulle tracce della storia

    ... Itinerario: monti, colline e arte

    Itinerari orientali: Mpumalanga

    ... Itinerario: Magico ‘Mpumalanga

    ... Il Parco Nazionale Kruger: padre dei parchi africani

    ... Informazioni pratiche

    Itinerari settentrionali: le città e il selvaggio nord

    ... Johannesburg, cuore africano e cosmopolita

    ... Pretoria, la Vecchia Signora

    ... Il North-West

    ... Il Waterberg

    ... Informazioni pratiche

    Tabella riassuntiva parchi/animali

    Letture

    ... Lo stato dell’Unione

    ... Nelson Mandela, ‘Madiba’

    ... Verità e riconciliazione per ricominciare insieme

    ... Un patrimonio naturale d’eccezione

    ... La vita nel Karoo: pecore e mulini a vento

    ... Cosa resta del Primo Popolo? I discendenti dei Khoi e dei San in Sud Africa

    ... I Parchi transnazionali Richtersveld e Kgalagadi: progetto Peace Parks

    ... La saga degli artisti boscimani di Schmidtsdrift

    ... Sud Africa: paradiso del birdwatching

    ... Gli squali e un’interprete d’eccezione

    ... Un’oasi per le tartarughe marine

    ... Guardaparchi e imprenditori dell’ecoturismo: due volti dello stesso impegno

    ... Terra di guerre coloniali

    ... Una vetrina del patrimonio tradizionale zulu

    ... Divinatori, guerrieri e intramontabili danzatori

    ... Lawrence dello Zululand

    ... L’arte rupestre è la più importante eredità culturale del Sud Africa

    ... Le diverse etnie dello ‘Mpumalanga, terra di passaggio

    ... Gli elefanti giganti del Kruger

    ... La musica di Jo’burg

    ... Lettera a Paul Kruger

    Notizie utili

    ... Organizzazione del viaggio

    ... Informazioni generali

    Bibliografia consigliata

    Perché un viaggio in Sud Africa?

    "La mentalità africana consiste non nell'essere e nel produrre,

    ma nell'apparire e nel distribuire"

    Joseph Ki-Zerbo

    E’ impossibile fotografare in modo completo e capillare il Sud Africa nell’ambito di un volume: si finirebbe per dare alle stampe un libro di migliaia di pagine. I sudafricani stessi si stanno ancora conoscendo tra loro, dopo aver vissuto ‘separati in casa’ per anni – pur avendo acquisito per osmosi le rispettive influenze -, e molti luoghi prima inaccessibili si sono aperti da poco al turismo, anche locale. Spero, quindi, che questo libro aiuti almeno a scegliere tra tante prospettive di viaggio possibili (i parchi di questa nazione, come i dialetti, sono così numerosi che un viaggio basterà solo a conoscerne una piccola parte); o, cosa anche di maggior soddisfazione, che induca a sognare il Sud Africa a tal punto da trasformare la curiosità in programma concreto di viaggio.

    Per visitare un paese vasto e vario come il Sud Africa, bando anzitutto agli stereotipi: partire con aspettative precise o con preconcetti rischia di compromettere la spontaneità della scoperta, che durante il viaggio dovrebbe coincidere con il piacere stesso di viaggiare. In Sud Africa gli stereotipi cadranno: perché oggi il paese sta rivelando una propria rigenerazione profonda che si esprime in creatività, comunicazione e inventiva. È uno stereotipo che tutte le strade di Johannesburg pullulino di ladri efferati, e che le strade del parco Kruger siano frequentate come autostrade; cercherò di mostrare come Johannesburg possa essere scoperta in modo interessante e sicuro, e come basti inoltrarsi un po’ oltre le piste più battute per scoprire fauna e flora incontaminate e selvagge, anche nell'immenso Kruger. Superato anche lo stereotipo dei Big Five, le specie di grandi mammiferi più significative da vedere nei parchi: i sudafricani sono fieri di avere i Big Six, grazie alla possibilità di avvicinare la balena come in pochi altri luoghi al mondo!

    Non basterà consultare tutte le guide sul mercato, se non si avranno occhi per accogliere l’inatteso durante il viaggio. Non ci sono solo meraviglia e bellezza, c’è motivo per riflettere su molti accadimenti dell’epoca coloniale e del momento attuale, perché l’interpretazione della storia è oggi possibile per tutti. Il Sud Africa è un museo a cielo aperto sia per la natura e i suoi territori incredibilmente vari, che per l’interazione tra culture diverse costrette a trovare equilibri sempre nuovi. E’ anche un laboratorio a cielo aperto per entrambe le cose, un processo in divenire, e chi lo visita periodicamente vedrà notevoli differenze dopo ogni assenza. Anche le comunità che abitano le zone più remote non sono più tanto ingenue e soggette a shock culturali, come poteva essere anni fa: ma occorrerà sempre molto rispetto nel visitarle, cosa che dovrebbe essere spontanea in qualunque destinazione turistica. Un giro in Sud Africa è come una visita al British Museum di Londra: muovendo da una zona all’altra, anche vicine, si abbracciano periodi molto diversi, sensazioni e parametri del tutto contrastanti...sembrerà di galleggiare nella storia del continente. Che qui è riflessa tutta nei volti diversissimi della gente. Per non parlare del fatto che gli scienziati attribuiscono al Sud Africa l’origine degli ominidi stessi.

    Nello spazio di poche ore si ricevono le effusioni dell’oceano, bagliori metropolitani, asiatiche seduzioni del gusto e dell’olfatto nei mercati delle spezie e affettazione vittoriana nei sontuosi quartieri d’epoca delle città più vecchie, come Cape Town o Durban; altrove, i suoni armoniosi della foresta si alternano ai colori pastello delle valli di campagna, l’ozio rurale, i sorrisi e i piedi nudi si alternano alla vivace indaffaratezza dei villaggi, mentre la flora cambia continuamente come i tratti somatici delle persone e le architetture di ogni origine culturale. Tutte peculiarità da assaporare viaggiando preferibilmente on the road.

    Per chi cerca conoscenza oltre a intrattenimento e relax, il Sud Africa offre molti spunti di approfondimento, su fatti piacevoli e meno piacevoli della sua realtà. Da un albero sacro a un palazzo significativo, da una tomba a uno strumento musicale, è in corso una grande presa di coscienza di tutto ciò che ha avuto e avrà un significato per ciascuna cultura qui rappresentata. In questo paese sono nati personaggi le cui parole e azioni sono già leggendarie: come Nelson Mandela, un pilastro del nostro tempo; Miriam Makeba, l’ambasciatrice musicale del Sud Africa nel mondo; Chris Barnard, il medico del primo trapianto di cuore; Clive Walker, l’uomo che ha dedicato la vita ai rinoceronti e alla protezione della savana africana; Nadine Gordimer, acclamata Nobel del ‘91 per la letteratura (dal 2003 in compagnia di un altro scrittore sudafricano premio Nobel, John Maxwell Coetzee); Dawid Kruiper, il piccolo-grande boscimano che ha ricevuto dalle mani del presidente le terre faticosamente riconquistate, per citarne solo alcuni. Perciò l’augurio è che alla fine del viaggio - letto su queste pagine o svolto con le proprie gambe - la voglia di tornare a gustare la ricchezza delle piccole e grandi cose laggiù incontrate sia già presente... anzi, incombente, latente, come quel famoso male, senz’altra cura se non il ritorno in terre africane.

    Desidero ringraziare quanti mi hanno generosamente fornito le loro immagini, integrando le mie: soprattutto Gianni Maitan (che ringrazio anche per i suoi esaurienti ed appassionati racconti integrativi su due dei parchi), Bruno Zanzottera, Gianni Bauce, Engela Rossouw; e quanti in Sud Africa mi hanno permesso di aggiornarmi sulle realtà peculiari che ho cercato di penetrare nel corso di molti viaggi, anche offrendomi appoggio logistico. In particolare Gino Lacolella, Hertha Neumann, Andrew Anderson, Severino Braccialarghe, Graham Chennells, Clive Walker, David e Yvette, ed altri: tutte persone a me care che in Sud Africa, loro terra di origine o di adozione, trovano, come me, continua ispirazione. Ringrazio anche l’Ente del Turismo Sudafricano di Milano; i miei genitori per i loro ricordi e pensieri vecchi e nuovi su questo meraviglioso paese; grazie di cuore a Rona Mackay e a Danilo.

    La storia e il Sud Africa odierno

    "Il Sud Africa di oggi è un paese straordinario,

    ricco di idee e di direzioni innovative importanti

    da un punto di vista sociale e politico"

    Nadine Gordimer

    Precolonizzazione

    In Sud Africa i primi passi degli Ominidi?

    Tra 10 e 5,2 milioni di anni fa in Africa viveva l’antenato comune a scimmie antropomorfe e ominidi: una creatura arboricola molto simile allo scimpanzé pigmeo. Quando Tethys, il grande mare di cui oggi non restano che il Mediterraneo e il mar Caspio, si ridusse e le terre si avvicinarono, le scimmie e gli ominidi del Vecchio Mondo invasero con successo anche l’Eurasia. Nello studio del passaggio dall’antenato comune agli ominidi e infine all’uomo moderno, un caposaldo fondamentale è il ritrovamento da parte di Raymond Dart nel 1924 di uno dei più importanti fossili di Australopithecus africanus a Taung, 130 km a nord di Kimberley. Nel 1935 Robert Broom trovò nella fattoria di Sterkfontein, vicino a Krugersdorp, i resti fossili di un altro australopiteco, di sesso femminile e soprannominato ‘Mrs Ples’, risalente a 2,8 milioni di anni fa. Altri importanti reperti sono stati rinvenuti in Africa orientale: nel 1959 a Olduvai Gorge in Tanzania dai coniugi Louis e Mary Leakey, e presso il lago Turkana (Kenya) e il fiume Omo in Etiopia; famoso l’ominide fossile battezzato ‘Lucy’ trovato negli anni ‘70 nella depressione dell’Afar in Etiopia, risalente a un periodo tra 3 e 4 milioni di anni fa. Quando poi nel 1964 Phillip Tobias descrisse Homo abilis studiando altri reperti trovati dai coniugi Leakey, l’Africa si confermò come teatro principale della nostra evoluzione (siamo ormai nel Paleolitico, tra 2,5 milioni e 200.000 anni fa): i più antichi reperti di questa fase, oltre a quelli della Tanzania, provengono dalla valle dell’Awash in Etiopia. Ad Homo abilis appartengono anche alcuni frammenti che nell’insieme formano un piede, appartenuti a un bipede in grado di stare eretto, trovati nei medesimi siti del Sud Africa in cui furono rinvenuti gli australopitechi. Si giunge finalmente alle forme arcaiche di Homo sapiens con la scoperta nel 1954 del primo cranio fossile a Elandsfontein, nella provincia del Capo occidentale (il ‘Saldanha man’) e di altre testimonianze risalenti a 600-300.000 anni fa in Zambia e Africa orientale. Dalle forme arcaiche di Homo sapiens discende l’uomo attuale, H. sapiens sapiens: la transizione alla forma attuale è documentata ancora una volta da reperti sudafricani. Alla foce del fiume Klasies nel Capo Orientale, è stato scoperto il fossile più antico di questo passaggio, che data 50-100.000 anni: l’ultimo scalino evolutivo fu confermato dalla scoperta lungo il fiume Vaal, da parte di cercatori di diamanti, di reperti litici bifacciali testimonianti una più avanzata tecnologia.

    Grandi concentrazioni di questi reperti emersero tra i fiumi Vaal e Orange, presso pozze d’acqua e formazioni rocciose di dolerite del Karoo (Doornlaagte, presso Kimberley e Wonderwerk Cave, a sud di Kuruman, importanti scavi sono ora musei). Nelle stesse zone il ritrovamento di petroglifi ed ematite (colorazione rossa) fa presupporre che contemporaneamente si siano sviluppati i primi simboli e riti religiosi. Con l’apparire dell’uomo anatomicamente moderno, comincia il Mesolitico (200.000 – 30.000 anni fa), l’epoca che vede la massima espansione della popolazione umana dall’Africa verso gli altri continenti. Nel passaggio evolutivo finale che ha portato all’Homo sapiens sapiens, i tre ceppi principali che si sono differenziati in Africa sarebbero i pigmei, i khoisan (oggi noti come boscimani) e i negroidi. Tra gli ultimi due si sarebbe manifestata la separazione più antica, già 150.000 anni fa. I reperti archeologici evidenziano una successiva, forte espansione delle rispettive popolazioni negli ultimi 20.000 anni. La tarda Età della Pietra in Africa australe ci ha lasciato petroglifi, pitture rupestri, sepolture formali e testimonianze dell’uso di corde, pelle, legno, arco e frecce, attrezzi in pietra più piccoli (microliti), ornamenti di gusci di uova di struzzo e conchiglie, ossa dipinte, contenitori ricavati da uova di struzzo e vasi in terracotta. L’arte comincia ad indicare l’affermarsi di complesse credenze ed una struttura sociale più articolata emerge 10.000 anni orsono (Olocene).

    La storia dei khoisan attuali, che annovera molti di questi elementi, è strettamente correlata alla tarda Età della Pietra; essi sarebbero quindi il legame vivente più diretto con la preistoria del Sud Africa.

    Colonizzazione e definizione delle frontiere

    I Khoisan, l'arrivo dei Bantu e il primo impatto con gli Europei

    Nello stemma nazionale del Sud Africa sono rappresentate due figure umane simmetriche, tratte da una famosa raffigurazione rupestre Khoisan (Linton Stone), ed il motto genti diverse unite tra loro è riportato in lingua /Xam, l’ultima lingua pura boscimana del Sud Africa scomparsa agli inizi del XX secolo. Ciò dà un’idea della tardiva ma fondamentale rivalutazione di questo popolo.

    I khoisan (che oggi chiamiamo più spesso boscimani) si sono visti attribuire vari nomi: i primi pastori incontrati sulle coste vennero chiamati ottentotti, da hotnot, termine udito spesso in canti e danze nella regione del Capo; ma anche strandlopers, perché ‘vagavano sulle spiagge’ ed erano creduti una tribù a sé residente nella Table Bay (in realtà avevano deciso di frequentare occasionalmente la zona del porto, vedendo nell’arrivo delle navi europee l’opportunità di scambiare materie prime). I cacciatori-raccoglitori incontrati nell’entroterra vennero chiamati boesman, ‘uomo della macchia’, con forti connotati negativi; Jan Van Riebeeck, che stabilì il primo insediamento olandese al Capo di Buona Speranza, chiamò questi anche sonqua.

    Tipici siti archeologici del Sud Africa

    Caverne e ripari sottoroccia, ricchi di arte rupestre.

    - Accumuli di detriti (resti di ossa, conchiglie, ceramica, pietre) lasciati da popolazioni insediate nelle aree costiere; possono coprire diversi ettari di superficie.

    - Pozze artificiali usate come trappole per pesci nella zona intertidale, che sfruttavano le maree. Risalgono a 2000 anni fa e sono attribuibili ai primi pastori khoisan che giunsero sulla costa del Capo occidentale.

    - Sepolture, segnalate spesso da tumuli di pietra.

    Tutti i siti archeologici preistorici e precoloniali, i siti di arte rupestre e i relitti di navi più vecchi di 50 anni sono protetti dal National Monuments Act n.28 del 1969 e successive modifiche.

    Per la datazione il metodo più usato è quello basato sul decadimento del Carbonio C14, che analizza la quantità di isotopi del Carbonio 14 presente nel medesimo strato da cui provengono i reperti. Il principio si basa sul fatto che piante e animali vivi presentano quantità costanti di C12 e di C14, ma dopo la morte gli atomi di Carbonio 14 diminuiscono perché si trasformano. Il numero di atomi di C14 si dimezza ogni 5730 anni: ciò rende possibile - confrontando con i livelli tipici delle piante vive - calcolare il tempo trascorso dal decesso. Si è dimostrato così che la tradizione di pittura rupestre dell’Africa australe copre un arco temporale di almeno 27.000 anni (11.000 anni i petroglifi).

    Oggi si è affermato il termine ‘khoisan’, coniato nel 1928 da Leonhard Schultze, grammaticalmente scorretto ma utile a comprendere l’insieme dei due gruppi geneticamente affini, i pastori khoi (spesso chiamati con il plurale khoikhoi) e i cacciatori san. Lo studio dell’arte rupestre e la registrazione delle poche memorie tramandate dai khoisan sopravvissuti ci offrono una finestra sulla loro cultura risalente all’epoca pre-coloniale. I primi europei che doppiarono il Capo nel ‘500, incontrarono, oltre ai bantu, gruppi di khoikhoi fino a 200 individui lungo la costa orientale e molto più esigui nell’entroterra. I primi vivevano in capanne di strati sovrapposti di canniccio, che trasportavano con l’ausilio dei bovini durante le loro transumanze alla ricerca di pascoli; i san cacciatori dell’entroterra (incontrati soprattutto nel Karoo e nel Kalahari meridionale) erano di statura più piccola e si riparavano in rudimentali capanne di frasche.

    Cominciò duemila anni fa il contatto dei khoisan con i popoli bantu giunti da nord che lavoravano già vari metalli, tra cui anche lo stagno e l’oro, e praticavano agricoltura e allevamento. La cultura materiale dei pastori khoikhoi di quel periodo, emersa dagli scavi, riflette l’ultimo stadio dell’Età della Pietra, ma l’uso di attrezzi più sofisticati prova già una transizione all’uso dei metalli che anche senza l’arrivo dei bantu e degli europei probabilmente sarebbe avvenuta spontaneamente. L’introduzione di ovini e bovini originari dell’Africa settentrionale, dove furono addomesticati ottomila anni fa (in particolare le pecore dalla coda grassa che presto divennero simbolo di ricchezza e i bovini dalle corna rivolte verso il basso detti afrikaner, ritratti anche nell’arte rupestre), fece nascere le prime strutture gerarchiche per la gestione delle risorse. I bantu e i khoisan già convertiti alla pastorizia, spostandosi verso sud acculturarono altri khoisan, determinando simbiosi e scambi commerciali, diffondendo ulteriormente la pastorizia e introducendo i cani addomesticati e la produzione di terracotta. Anche all’epoca dell’arrivo degli olandesi i san divenivano spesso clienti o servitori dei loro ‘cugini’ khoikhoi, lavorando come loro mandriani in cambio di capi di bestiame o latte: proprio questi individui che si trovavano in uno stato economico e sociale intermedio erano i più vulnerabili allo sfruttamento degli europei. I khoisan in generale persero in poche generazioni la loro indipendenza divenendo stanziali coatti, le loro comunità si sgretolarono e l’unica prospettiva divenne la servitù o l’accattonaggio. I san che rifiutavano il nuovo stato di cose venivano eliminati grazie a speciali decreti promulgati dall’amministrazione della colonia, a cui interessava sbarazzarsi di ogni ostacolo alla rapida crescita dell’economia. Gli ultimi boscimani sudafricani puri furono gli /Xam. All’inizio dell’800 nel semidesertico Karoo la loro popolazione si era già drasticamente ridotta, eliminata dai coloni che vi insediavano le proprie attività agricole, da malattie sconosciute (come la tubercolosi) e dal conflitto con i pastori khoikhoi a loro volta in ritirata dalle regioni costiere già occupate. Gli /Xam superstiti divennero servitori e braccianti dei coloni. Alcuni /Xam senza più risorse e dediti alla razzia del bestiame degli europei, vennero tradotti alla prigione di Breakwater a Cape Town. Qui vennero scelti dai linguisti Wilhelm Bleek e Lucy Lloyd che per anni li intervistarono, studiando ciò che restava dell’ultima lingua parlata dai boscimani sudafricani. Questo lavoro ha oggi un valore inestimabile.

    I più intensi studi etnografici di quel che resta dei san si sono compiuti a partire dagli anni 1950 in Namibia e Botswana. Mentre best-seller come 'The lost world of the Kalahari' di Laurens Van der Post e il film 'The gods must be crazy' perpetuavano uno stereotipo romantico del boscimano, molti autorevoli documenti sono stati pubblicati negli ultimi anni. Ha recentemente preso forma il cosiddetto ‘dibattito del Kalahari’, che vede studiosi ‘revisionisti’ opporsi ad una visione romantica considerata nociva per il futuro dei san e contrastare l’esaltazione delle culture chiuse e della loro primitività, effettuata dai ‘tradizionalisti’.

    Oggi i san sono minoranze indigene negli stati in cui hanno sempre vissuto, discriminate dalle nuove classi governanti. Alcuni gruppi locali san si sono finalmente organizzati in un network regionale per coordinare azioni di lobby e progetti per affrancarsi economicamente, un processo difficile, che riproduce la situazione di molte altre minoranze etniche del mondo. Il grande senso di vicinanza con la natura vissuto dai san, che traspare tutt’oggi dalle loro storie tramandate oralmente, e molti altri elementi culturali di questa etnia sono descritti in ‘Kalahari – viaggio tra i Boscimani di Namibia, Botswana e Sud Africa’, Polaris 2001.

    Oggi in Sud Africa vivono circa 4500 san: le due principali comunità si trovano ad Andriesvale vicino Upington e nei pressi di Kimberley (i !Xu e Khwe di origine angolana); pochi discendenti dei ‘Bergbushmen’ (i khoisan che vissero sui monti Drakensberg fino al ‘700), che vivono da generazioni nascosti in alcune zone dell’ex-Transvaal e del KwaZulu. Nel Little Namaqualand, sulla costa occidentale, vi sono alcune migliaia di Nama, pastori e oggi anche minatori, residenti principalmente in una riserva creata nel 1820 dal reverendo William Shaw per garantire loro una terra.

    Frequentando vecchie tenute agricole del Karoo, oggi capiterà di vedere adoperate come fermaporta pesanti pietre perforate chiamate ‘ka ‘ka ‘kouwie: esse fungevano da pesi fissati ai bastoni (cibi) adoperati dalle donne san per scavare nella dura terra alla ricerca di radici e tuberi. Quanti discendenti dei coloni le avranno raccolte nei campi, nei decenni, senza riconoscervi i reperti di un antico e perduto modo di vivere ...

    Nasce la colonia

    ...il Capo è maestoso e bellissimo, il più bello che abbiamo incontrato navigando intorno a tutta la terra.

    - Sir Francis Drake, 1580 -

    Per stabilire nuove rotte commerciali verso l’Asia, il portoghese Bartholomeu Diaz per primo circumnavigò l’Africa doppiando il Capo di Buona Speranza nel 1488, e Vasco da Gama nel 1497 vi sbarcò. Ma nessuno, per lungo tempo, ebbe interesse a stabilirvisi. Nel corso del ‘500 furono soprattutto i portoghesi ad importare merci di pregio da India, Golfo Arabico e isole dell’oceano Indiano; per fare questo stabilivano avamposti nell’attuale Mozambico. Intanto nel 1600 l’Inghilterra aveva fondato l’East India Company (detta John Company), la quale si riforniva soprattutto in India; nel 1602 l’Olanda aveva fondato l’omologa Compagnia delle Indie Orientali (detta Jan Compagnie), con importanti basi a Giava. Dunque Inghilterra, Olanda e Portogallo, per raggiungere i loro interessi in Oriente, navigavano per settimane intorno all’Africa facendo base alle isole di Capo Verde e all’isola di Mozambico. Solo di rado scendevano nella baia del Capo. Le tre potenze navali si osteggiavano continuamente; interessante l’analisi di James Michener:

    L’Inghilterra, nel fondare l’East India Company, la voleva libera da interferenze governative ma [...] continuava ad ondeggiare tra libertà di commercio e controllo morale. Gli olandesi non avevano simili scrupoli. La loro concessione fu data a uomini d’affari [...] e nè governo nè chiesa avevano il diritto di sindacare la loro condotta. Nel 1657 il ‘Consiglio dei Diciassette’ che comandava la Jan Compagnie decise di permettere a un gruppo di dipendenti di stabilirsi presso la base di approvvigionamento allestita cinque anni prima da alcuni olandesi approdati con Jan van Riebeeck al capo di Buona Speranza. Là essi avrebbero coltivato grano e altri prodotti.

    Ma era più facile ottenere capi di bestiame dagli indigeni, barattandoli con brandy e tabacco, che coltivare la terra in quell’area. L’attrattiva dell’allevamento indusse l’iniziale nucleo di coloni - calvinisti della chiesa riformata olandese - a superare la cerchia delle montagne che circondavano la baia ed a spingersi nel retrostante Karoo. Cominciava così l’avventura nell’ignoto e sconfinato interior e nasceva la figura dei trekboers: i contadini migranti. Pur essendo semidesertico, il Karoo presentava vegetazione sufficiente a far riprodurre il bestiame. Poi con l’aiuto di servi portati dal Mozambico, dall’Indonesia e dal Madagascar, alcuni coloni costruirono le prime fattorie per fornire alla Compagnia una selezione di prodotti coltivati, a prezzi fissi. La popolazione aumentò e giunsero anche alcuni tedeschi, seguiti nel 1688 da duecento Ugonotti, calvinisti francesi fuggiti dalle persecuzioni di Re Sole. Ci vollero in tutto sessant’anni per colonizzare il Karoo. Ma le fattorie non erano sempre permanenti; il colono si spostava alla ricerca di altri appezzamenti una volta esaurite le risorse ed il pascolo. Di questo passo i trekboers (che si definivano ormai ‘afrikaners’) oltrepassarono a nord il fiume Olifants nel secondo ‘700. La loro vita solitaria e dura, alla conquista di un territorio ostile, li tenne all’oscuro delle vicende europee, delle rivoluzioni intellettuali ed economiche, radicando in essi un forte individualismo e la convinzione di essere un popolo eletto impegnato a conquistare la propria Terra Promessa. Gli indigeni incontrati nel loro cammino erano soprattutto i khoikhoi e, più all’interno, i san (boscimani). Nella loro avanzata i trekboers prendevano il loro posto catturandone il bestiame quando era impossibile trattare. Nella loro vita seminomadica, sempre più a nord e ad est, subivano crescenti razzie da parte dei boscimani, che venivano per questo sterminati. Per far fiorire la colonia, la Compagnia delle Indie Orientali intanto importava migliaia di schiavi sia asiatici che africani: a inizio ‘800 il Capo era abitato da 40.000 europei e 15.000 schiavi.

    Mfecane: trent'anni di terrore

    Dopo i khoisan, i colonizzatori si scontrarono con i bantu: i principali gruppi di lingua bantu erano di ceppo Nguni (swazi, zulu e xhosa, che avevano acquisito molti suoni schioccanti tipici delle lingue dei khoisan) e Sotho (sotho e tswana). Conoscevano bene ed estraevano i metalli; intrattenevano rapporti commerciali in tutta l’Africa meridionale scambiando oro, rame e ferro. All’inizio dell’800 nasceva la potenza militare zulu e tutta la regione subì gravi contraccolpi: alcune tribù nguni dell’attuale KwaZulu-Natal orientale si erano organizzate in stato militare, tra cui quella degli zulu, che assurse a gruppo dominante sotto Dingiswayo. Quando Shaka che gli succedette potenziò il suo esercito, prese a decimare le altre tribù spostandosi verso nord con le sue terrificanti divisioni (impi) di 40.000 uomini, fino all’attuale Zimbabwe (la tattica ‘a corna di bufalo’ basata sull’affiancamento e accerchiamento dei nemici era imbattibile). Ciò innescò una dispersione forzata dei popoli, detta in zulu mfecane. Al seguito di Mzilikazi, un capo locale, alcuni zulu si erano ribellati a Shaka ed erano fuggiti a nord. Ma all’arrivo dei boeri nella zona, intorno al 1830, ripiegarono nel sud-ovest dello Zimbabwe dando vita al regno dei Matabele. Contemporaneamente cresceva il regno degli swazi (l’attuale Swaziland) e il regno del Lesotho (pacifico e privo di esercito, si avvaleva di relazioni commerciali). A Shaka succedette Dingane, uno dei fratellastri che lo uccisero.

    L'arrivo degli inglesi e l'epopea del Great trek

    Intanto gli inglesi, preoccupati dall’espansione francese, volevano assicurarsi un maggiore controllo delle rotte navali verso oriente e nel 1795 decisero di stabilirsi anch’essi al Capo. Dal 1814 la loro amministrazione fu imposta efficacemente sull’esistente colonia olandese. Gli avamposti dell’infiltrazione inglese nell’entroterra furono le missioni: anche grazie a queste, si mossero sempre più all’interno stabilendo dapprima rapporti amichevoli e commerciali e poi di assoggettamento delle varie tribù fino alla fondazione delle Rhodesie, a nord del Limpopo e dello Zambesi.

    Nei primi duecento anni dal loro arrivo gli europei avevano dunque spinto la frontiera a nord del fiume Orange, e ad est in corrispondenza di Grahamstown (fondata nel 1812 dal colonnello Graham). I pochi inglesi che si spinsero oltre, ad oriente, trovarono i boeri già intenti ad affrontare le tribù xhosa per il controllo del territorio. L’affermazione della chiesa anglicana al Capo e l’abolizione della schiavitù nel 1833, con conseguenze penali pesanti per i coloni boeri che avevano molta servitù, provocarono l’inizio di un’epica migrazione verso nord dei boeri.

    Nel 1835, decisi a cercare quella terra promessa che evidentemente non era stata ancora raggiunta, 15.000 boeri con migliaia di carri trainati da buoi si incamminarono verso l’interno inesplorato. Per almeno cinquant’anni la vita dei boeri sarebbe stata scandita da scontri con i basutho e gli zulu. Fondarono subito una repubblica, che più tardi divenne l’Orange Free State. Poi oltrepassarono nel 1837 il fiume Vaal, dove fondarono il Transvaal. Mille carri si diressero anche ad est verso il Natal, alla notizia che Dingane, il successore di Shaka, avrebbe concesso loro di insediarvisi. Nel 1838, dopo l’estenuante traversata dei monti Drakensberg, il loro leader Piet Retief si apprestò ad incontrare Dingane. Qui gli zulu avevano da poco disperso gli ultimi san, alcuni dei quali erano sopravvissuti nei monti. Quando venne il momento di firmare gli accordi, Dingane invitò la delegazione di settanta boeri presso la sua residenza reale (l’attuale Ulundi); Retief aveva già consegnato il bestiame, i cavalli e le armi promesse in cambio di una porzione dell’attuale KwaZulu-Natal. Ma i boeri furono ingannati e la spedizione fu massacrata durante le danze del ricevimento. Il leader boero Pretorius organizzò subito la vendetta, che si materializzò nella violenta battaglia di Blood River, dove morirono 3.000 zulu.

    Dopo svariati conflitti con le tribù indigene, i britannici annessero il Natal nel 1843. I boeri si ritirarono sempre più nel Transvaal e nell’Orange Free State. Gli inglesi incalzavano, annettendo nel 1848 tutte le terre tra il Vaal e l’Orange. Nel 1853 i xhosa, l’altra principale etnia bantu, erano già stati quasi annientati, salvo alcuni allevatori con cui i coloni, ed in particolare i missionari inglesi, erano riusciti ad accordarsi. Nel Natal intanto gli inglesi allestirono riserve per i braccianti che importavano dall’India per garantire manodopera già esperta alle loro crescenti piantagioni di canna da zucchero. Mentre

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