Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'Albero del Termine
L'Albero del Termine
L'Albero del Termine
Ebook342 pages5 hours

L'Albero del Termine

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Perno di questo romanzo è la missione che Francesco d’Assisi condusse nel 1219 durante la V° crociata alla corte del Sultano d’Egitto al Khamil, nipote del Saladino, con l’intenzione di predicare il Vangelo. Lo scopo del romanzo è quello di mostrare come ogni contrapposizione tra Islam e Cristianesimo svanisca di fronte alla ascesi spirituale che conduce al Dio unico di Abramo. Testimoni di questo percorso sono S. Francesco e un famoso mistico mussulmano, al Hallaj, morto anch’egli sulla croce. Il romanzo vuole inoltre essere uno stimolo per una profonda riflessione spirituale e, per chi lo volesse religiosa, che per la prima volta offre, in chiave narrativa, una rivoluzionaria interpretazione della cristofania della Verna e delle stimmate di Francesco, in linea a quanto esposto da Giulio Basetti in “Per un dialogo cristiano mussulmano”.

STILE E CONTENUTO
Lo stile è veloce e, pur dando importanza alla spiritualità di Francesco, il racconto non rinuncia ad essere talora ironico, beffardo o brutale secondo il tipo degli eventi narrati. Il racconto segue una traccia storica, nella cui quotidianità convivono personaggi, usanze e fatti d’arme fortemente descrittivi della realtà dell’epoca. L’aspetto trascendentale che accompagna Francesco nelle sue esperienze meditative e di vita religiosa viene narrato ricorrendo alle visioni, che servono sia per anticipare che per spiegare o collegare fatti il cui compimento si rivelerà nel finale: la cristofania della Verna.

STRUTTURA DEL ROMANZO
Il romanzo consta di 7 capitoli + l’introduzione e il quadro storico politico centrato sull’idea di Islam nell’immaginario occidentale dei tempi. Ogni capitolo è preceduto da un passo preso dal Corano, dalla Bibbia o altro (autori sufi o documenti dell’epoca) che funge un po’ da anima del capitolo stesso.
Di ogni capitolo è inoltre presente, sotto il titolo, un brevissimo riassunto.


PERSONAGGI PRINCIPALI
-Frate Francesco e il suo compagno e interprete frate Illuminato
-Il sultano al Khamil e il suo direttore spirituale Fakhr al Din ( un sufi seguace di al Hallaj)
-Al Hallaj: mistico sufi condannato per eresia e morto crocefisso (morto nell’anno 309 dell’egira/ 922 d.C.)

PERSONAGGI SECONDARI
-Ali Yussuf : capo degli ulema alla corte del sultano
-Il cardinale Pelagio (legato papale a Damiata) e il Re Giovanni di Brienne
-Il cardinale Ugolino, protettore di Francesco
-Papa Innocenzo III e Onorio III

PERSONAGGI MINORI
-Quinto: un cerusico ambulante prestasoldi
-Crociati bolognesi
-Tre donne cavalieri franche
-Alcuni confratelli di Quaresima

LUOGHI
Eremo della Verna, Assisi, Perugia, Roma, Damiata, Acri
LanguageItaliano
Release dateApr 15, 2014
ISBN9786050300918
L'Albero del Termine

Related to L'Albero del Termine

Related ebooks

Religious Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for L'Albero del Termine

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'Albero del Termine - Livio Brizzolara

    mussulmani.

    I

    QUARESIMA DI SAN MICHELE

    Di quando Francesco giunge all’eremo della Verna con alcuni dei suoi compagni più diletti per compiere la Quaresima di S. Michele. Qui ha una visione misteriosa nella quale il martire mussulmano al-Hallaj gli rivela l’esistenza di un compito divino a lui destinato. Tale visione gli offre lo spunto per ricordare insieme a frate Illuminato la missione apostolica da loro condotta alla corte del sultano d’Egitto.

    Francesco solleva dalla paura gli animi dei suoi amici di eremitaggio liberando la soffitta dell’eremo da terribili rumori attribuiti agli spiriti maligni.

    Mentre Francesco, rifuggendo come era sua abitudine dalla vista e dalla compagnia degli uomini si trovava in un eremo, un falco che aveva lì il suo nido strinse con lui un solenne patto d’amicizia. Ogni notte col canto e col rumore preannunciava l’ora in cui il santo era solito svegliarsi per le lodi divine. Cosa graditissima, perché con la grande premura che dimostrava nei suoi riguardi, riusciva a scuotere da lui ogni ritardo di pigrizia.

    Quando poi il Santo era indebolito più del solito da qualche malattia, il falco si mostrava riguardoso e non dava così presto il segnale del risveglio. Ma , come fosse istruito da Dio, solo verso il mattino faceva risuonare con tocco leggero la campana della sua voce.

    Non è meraviglia se le altre creature veneravano chi più di tutti amava il Signore.

    (Celano - Vita Seconda cap. CXXVII)

    Eremo de la Verna, 7 settembre 1224

    Erano parecchi giorni ormai che anche le poche ore di sonno, comprese tra le preghiere della compieta e quelle del mattutino, venivano rotte dal quel frenetico e continuo rumore, come se lassù, nella buia soffitta dell’eremo, qualcosa o qualcuno si stesse divertendo a correre avanti e indietro a grattare il fondo del pavimento fatto di assi di leccio. Nonostante le fatiche del giorno, molti dei frati non riuscivano a chiudere occhio e alcuni si facevano a ripetizione il segno della Croce raccomandandosi alla Vergine e a San Egidio perché scacciassero gli spiriti dal romitorio e la paura dai loro cuori. Con lo sguardo fisso nel buio tiravano al mento la povera coperta di lana grezza ed immobili stavano ad ascoltare quella sorta di frugare immondo, quel baccanale fatto, alcuni erano pronti a giurarlo, di grida di giovani fanciulle che, rompendo il silenzio della notte, rimbombavano da un capo all’altro dell’eremo. Che fosse il maligno venuto a deriderli e a provarli con l’eco dei suoi zoccoli o, forse, più semplicemente, ma non meno paurosamente, era lo spirito vendicativo di qualche genio dei boschi al quale il predicare errabondo dei frati aveva sottratto spazio ed onori? A coloro che dubitavano dell’intervento degli spiriti delle tenebre, si faceva notare che allo spuntar dell’alba, come d’incanto, quello strepitio cessava, segno questo innegabile che i rumori avevano un’origine antagonista a quella gloriosa e benevola dei raggi del sole. A luce fatta, coloro che avevano tremato soli nelle loro celle, si erano fatti coraggio promettendosi l’un l’altro che la notte successiva sarebbero andati, salmodiando ad alta voce e confortati dalla luce delle torce, ad intimare a chiunque fosse la causa di tanto clamore di lasciarli in pace. Sarebbero, beninteso, saliti tutti insieme sulla soffitta; non fosse mai che, mentre erano di sopra a stanare gli spiriti immondi, costoro, magari nelle sembianze di sensuali giovinette, scappando dal tetto e discendendo lungo il muro esterno per poi rientrare dalla finestra, testé scoperto il più pavido o inesperto di tutti loro alle furberie del diavolo, gli si potessero sedere accanto cercando per ripicca di sedurlo con mani peccaminose e vesti trasparenti.

    < Si, si, dai facciamo così! > asserivano convinti i compagni, ravvivando con tale fiducioso proposito il colore un po’ smunto delle loro carnagioni. Ma ecco che lo schiamazzo era già finito e un paio di frati, sentendosi correre i brividi per la schiena a causa di un soffio di vento che aveva accarezzato loro le guance e sussurrato qualcosa alle orecchie, abbassando gli occhi andavano recitando veloce, quasi di nascosto, un’Ave Maria.

    Agli intenti non seguirono i fatti: ad ogni vespro con il sole tramontava anche la baldanza e nessuno aveva mai il fegato di salire per primo la scala a pioli che dal refettorio portava in soffitta.

    Si decise infine di parlare con il padre di codesti fenomeni che tanto andavano agitando le menti dei frati. Fu chiesto a Frate Illuminato da Rieti di andarlo a disturbare.

    Chi meglio di Illuminato che aveva condiviso con Francesco l’incontro con il diavolo fatto persona, il feroce soldano di Babilonia [1] noto per le sue arti negromantiche, poteva essere migliore ambasciatore del loro tormento?

    Benché fosse settembre inoltrato e solo mattino presto, il sole picchiava ancora forte, ma i suoi raggi, in ossequio al moto delle sfere celesti al variare delle stagioni, filtravano nel bosco con un’inclinazione sensibilmente minore rispetto alla piena estate. Illuminato trovò Francesco avvolto in un dolce gioco di luci e ombre. Il padre ed amico, seduto su una grossa pietra spiava, nascosto tra il fogliame, il volo a tratti radente di un falco le cui evoluzioni sopra una radura confinante con il bosco lì vicino, potevano sembrare non avere altro scopo che il divertimento reciproco. In una mano teneva una scodella con dentro un po’ di latte di capra, nell’altra un tozzo di pane da cui cercava, con un gioco di pollice e indice, di staccarne piccoli pezzi per poi lanciarli in direzione dell’uccello. L’intento era quello, una volta che questi avesse becchettato i primi pezzetti, di avvicinarlo a sé fino a fargliene prendere direttamente dalle sue mani. Illuminato stette ad osservarlo amorevolmente fissando il suo sguardo e il suo cuore su quell’immagine di pace e serenità, di intima comunione con tutto il creato che solo Francesco, era capace di trasmettere. Da quando il 15 Agosto, giorno dell’Assunzione, era giunto a la Verna, accompagnato da frate Leone, Francesco passava più tempo tra le rocce e sotto le fronde degli alberi che chiuso nell’eremo. In quei momenti di solitudine e di intimo annullamento gli sembrava come di fondersi con l’anima del bosco stesso. Gli pareva di essere in un punto, ma anche in un altro; poteva sentirsi foglia fra i rami più alti e nello stesso tempo, fattosi piccolo come una lumaca che striscia per terra, guardare da quella prospettiva i tronchi degli alberi, divenuti enormi come le colonne di una cattedrale, troneggiare solennemente ed imperiosamente sopra i fili d’erba. Questo suo essere parte dell’unità della creazione, questo suo perdersi con lo spirito nel verde di quel mondo discreto gli aveva causato talora un perdersi anche reale, fisico, la qual cosa costringeva gli altri frati che lo avevano raggiunto all’eremo a mettersi sulle sue tracce. Spesso lo trovavano infreddolito, ma sempre felice ed entusiasta di quelle sue fughe spoglie di ogni esigenza, calzari compresi, ma in completa e aperta accettazione delle emozioni e rapimenti che Dio gli donava.

    Illuminato si riprese da quell’immobilismo ipnotico in cui era caduto e provò ad avvicinarsi a Francesco cercando di non rompere quell’incantesimo, ma dopo che tirò su di naso e ruppe un rametto sotto un sandalo, Francesco girò il volto nella direzione del frate che, vistosi scoperto, alzò una mano per salutarlo.

    Porgendogli la domanda e venutogli vicino Illuminato si rese ancor meglio conto dello stato estremamente malconcio in cui versava Francesco. Non che fosse mai stato una bellezza: piccolo, magro di costituzione, basso di statura e dai capelli neri e radi che facevano da contrappunto alle folte sopraciglia, Francesco negli ultimi anni aveva contratto anche una fastidiosa e perniciosa infezione agli occhi a cui trovava parziale sollievo nella penombra dei boschi. Alla vigoria di gioventù e ai miti cavallereschi accarezzati con la fantasia, tutta forza, coraggio, sguardo fiero e prestanza fisica, era subentrata, insieme alla trasformazione interiore, anche un cambio nell’aspetto che di nobile nulla aveva, anzi, per quanto possibile, ne aveva ulteriormente compromesso l’estetica.

    Le ansie dei suoi confratelli erano giustificate: era divenuto ancora più magro da quando, tre giorni prima, frate Elia portandogli un pezzo di pane e un poco di latte e formaggio l’aveva scovato raccolto in preghiera dentro un tronco cavo.

    – rispose Francesco ad Illuminato, tornando a mirare verso la radura – < se tu sapessi quanta gioia mi da l’intrattenermi con questo falco, capiresti che queste briciole sono poca cosa di fronte al giusto premio per lo spettacolo che così disinteressatamente, per pura amicizia, egli ha deciso di offrirmi.>

    < Ma dai! Non mi dire! Ed io povero asino che pensavo stesse semplicemente cacciando > - ironizzò bonariamente Illuminato. - < Comunque sarà anche vero come tutti dicono che parli con gli animali e tra questi pure con i serpenti - che schifo! -, ma visto che ti stai asciugando nel corpo più in fretta di un ruscelletto nel deserto, fammi il piacere di mangiare quel poco che ancora è tuo >.

    Francesco gli sorrise e come a scusarsi gli spiegò

    < Sai, Illuminato, che appena arrivai qui da Assisi questo falco mi venne incontro per salutarmi e non c’è giorno che egli non mi accompagni nel mio girovagare per i boschi? Anche quando passo la notte fuori a dormire sulla terra è lui che si preoccupa di svegliarmi per l’ora delle preghiere, e tu… tu vorresti che io lasciassi a digiuno un così fedele amico? Ci sono già io che lo faccio per tutti e due, del resto a me basta così poco! >

    – fece Illuminato con una smorfia di disgusto - < e poi, ho ben visto cosa hai mangiato ieri e ieri l’altro ancora: latte si, questo è vero, anche se era poco assai, ma accompagnato con semi di senape e radici di bosco! Ma che! Dico io, si può? Mangiare quei semi di fuoco? Hai deciso forse di far visita alle anime dei dannati e ti stai esercitando con il calore dei carboni ardenti? Credo io che soffri di stomaco, anche una capra ne soffrirebbe! Da quando il soldano – e si fece il segno della croce – ti fece assaggiare quella roba sei diventato più saraceno nei gusti di quei senza Dio con il turbante!>

    Francesco, che lo stava ad ascoltare con sorniona benevolenza, a quella frase lo guardò con aria di rimprovero ribattendogli

    stette un po’ in silenzio come a riprendere con la memoria quegli eventi, aggiungendo poi

    .

    - chiese Illuminato anch’esso rifattosi, tra l’inquieto e il curioso, di colpo serio.

    Illuminato stette un attimo perplesso in silenzio e poi riattaccò

    < Va bene, va bene, non insisto, tanto so che hai la testa più dura di queste querce, ma almeno ti prego non passare più la notte fuori, comincia a far freddo e il tuo saio non basta certo a scaldarti >

    - si interruppe per dirgli piano e con voce malferma - < fermo non ti muovere!>

    chiese preoccupato Illuminato.

    fece Illuminato cacciando un urlo stridulo e, di riflesso, per liberarsi della bestia immonda, prese a saltellare forsennatamente agitando a due mani la parte inferiore del saio come fosse una sottana.

    - chiese spasmodicamente!

    Illuminato, stizzito, lasciò cadere il saio dalle mani e, girato su se stesso, senza più aprir bocca, aveva preso ad allontanarsi quando Francesco lo chiamò

    – gli rispose ad alta voce Illuminato senza voltarsi mentre a grandi passi ritrovava la strada da cui era venuto - < tanto tu non mi dai mai retta … e poi scherzi sempre… tanto vale…>.

    Francesco che lo seguiva con la coda dell’occhio gli fece compiere ancora cinquanta passi e poi con voce salda, ma volutamente non troppo alta, gli buttò li

    Dal basso Illuminato si bloccò e voltandosi con le mani poste vicino alla bocca gli urlò

    chiese Illuminato.

    rispose Francesco sorridendo.

    < Così sia >.

    Illuminato, devoto alla causa francescana per il cui capo nutriva un sincero e fraterno affetto, era un tipo sveglio ed attento, ma poco incline sia agli scherzi che alle vertiginose esperienze spirituali di Francesco delle quali, non amando questi parlarne apertamente, solo gli intimi sapevano. Illuminato, assai più giovane di Francesco che andava all’epoca per la quarantina, era alto, largo di spalle con gli occhi verdi come forse avrebbe voluto essere Francesco da ragazzo, ma aveva anche una discreta panza che era divenuta oggetto di ludibrio continuo da parte degli altri frati. Si diceva malignamente che sotto il saio Illuminato fosse solito nascondere delle salamelle sottratte con cupidigia ai poverelli e che nottetempo ne mordicchiasse un po’, quel tanto che basta per non scordarsi il sapore. I lunghi periodi di digiuno e le privazioni non avevano fatto perdere misura e peso al frate, né tanto meno egli sembrava preoccuparsene. Di nobili origini, cieco dalla nascita, fra Illuminato, di cui non conosciamo il nome vero, venne da ragazzino miracolato da Francesco in persona il quale, non pago dell’effetto già di per sé strabiliante, conferì involontariamente a quegli occhi, prima spenti, un bel colore verde smeraldo. Fu tuttavia solo molto tempo dopo, allorché divenne seguace di Francesco, che gli fu conferito il nome di Illuminato a ricordo perenne della luce di cui i suoi occhi poterono tornare a godere. Prima di allora Illuminato oltre alla vista imparò ad usare bene anche la lingua, tant’è che si impadronì in fretta delle tre arti liberali: grammatica, dialettica e retorica senza ritenere, pur avendone le qualità e i mezzi, di spingersi oltre nello studio delle altre quattro: aritmetica, geometria, musica e astronomia. Dopo aver dapprima lavorato come scrivano per conto di un notaio di Bologna e essersi poi messo nei guai col marito geloso di una bella castellana per via di certi favori da lei concessigli e a lei con zelo restituiti, aveva girovagato a lungo e in largo per il Montefeltro finché un giorno si imbatté in un gruppo di frati che chiedevano l’elemosina. Da li il passo fu breve: entrato dapprima tra i frati minori per convenienza, per sfuggire così celato alla animosità del tal marito che ancora non aveva perso la speranza di acchiapparlo e fargli passare la passione per le mogli altrui, piano piano si fece sempre più coinvolgere dalle parole di Francesco. Fu per Illuminato, di famiglia agiata, libertino e mondano al pari del Francesco spensierato e festaiolo di un tempo, una rivelazione oltre che una liberazione. Illuminato si liberò infatti da uno stato di eccitazione perenne che regnava nel suo animo e che egli, scambiandola per sangue che scorre nelle vene, riteneva che Dio avesse così comandato dovesse essere un vero uomo. Imparò a riconoscere nel vangelo il messaggio universale di esortazione alla fratellanza e alla carità e nei miracoli di Francesco, di cui egli aveva nell’infanzia beneficiato, la prova dell’amore di Dio per il creato. Ma tutto ciò non gli permise tuttavia di riconoscere in anteprima, Dio volendo, le bischerate che di tanto in tanto Francesco propinava ai suoi, per poi dire loro < giusto per tenervi belli pimpanti e non farvi addormentare con la faccia nella scodella >. Fu per questo che, quando Francesco assicurò il suo aiuto ai confratelli impauriti, Illuminato non mancò di cogliere una strana luce nei suoi occhi.

    Il sole aveva già percorso un quarto del suo cammino quando Francesco, lanciato l’ultimo pezzetto di pane al falco, decise di tornare verso l’eremo. Alzandosi si accorse del sedere divenuto piatto e di un formicolio alle gamba destra che gli impediva di poggiare il piede francamente al suolo. Si stupì allora di quanto tempo fosse rimasto colà seduto.

    Giunto a vista dei suoi confratelli, questi gli si fecero incontro.

    < Francesco, Francesco! Ti ha detto Illuminato, vero?. Tutte le notti, quei rumori…>.

    Masseo si sentì in dovere di precisare con un pizzico di morbosità che non sfuggì a Francesco e Illuminato

    < …pure di donne desiderose che ci chiamano come le sirene di Ulisse, ma noi meschini non abbiamo la cera da metterci nelle orecchie e anche se l’avessimo non ci è concesso ricorrere a simili stratagemmi per combattere la furbizia del diavolo. …Quei lamenti e sospiri come se volessero…>.

    < Va bene, va bene ho capito! Non c’è bisogno di aggiungere altra carne al fuoco e tu Masseo faresti bene a far correre meno la fantasia e a dire un rosario in più per cancellare l’impudicizia dalla tua mente > – intervenne Francesco - < piuttosto ne avete parlato con qualcuno? >

    chiese, paventando che un eccesso di pubblicità potesse nuocere alla comunità per la quale, dopo il trambusto degli ultimi tempi, desiderava più che mai un ritorno al silenzio dentro e fuori i propri confini.

    rispose frate Elia.

    < Stasera dopo la compieta > - continuò Francesco - < prolungheremo di un’ora le nostre preghiere e chiederemo alla Beata Vergine di intercedere presso suo Figlio, perché ci liberi dal male, sia questo si presenti sotto sembianze, forme, suoni umani o altro ancora, sia soprattutto perché ci liberi da ogni tentazione di natura terrena >

    e dicendo questo fece cadere l’occhio su Masseo e quelli altri che ben sarebbero stati preda del tentatore se questi, entrato dalla finestra, si fosse loro presentato travestito da giovinetta languida e discinta.

    < Poi - continuò – io e frate Illuminato saliremo la scala e affronteremo chi di dovere, indi con le buone o con le cattive diremo a costui o costei o costoro di cercarsi un altro loco dove fare le capriole e inquinare l’aria con il loro berciare, che qui noi si ha da fare e di tempo per stare sdraiati con gli occhi aperti non ce n’è, ché tale postura inoperosa così poco si confà alla vita di un frate >.

    I frati furono doppiamente felici nel sentire che, non solo avrebbero potuto tornare a fare sogni casti, ma che non sarebbero stati loro a dover scacciare il maligno dalla soffitta.

    Tranquillizzati, presto i frati ripresero le loro abituali occupazioni quotidiane con in più l’indicazione, legata alla quaresima, di stare per quanto possibile in silenzio in modo che potessero meglio investigare, riconoscere e quindi scacciare i desideri nascosti che il corpo, provato dalla frugalità di quell’esistenza avrebbe fatto affiorare. Chi aveva da coltivare l’orto ci andò in modo da raccogliere un po’ di vegetali, altri si incamminarono per rifornire di acqua gli orci della dispensa, altri ancora provvidero alla riparazione del tetto dell’eremo.

    Il pranzo fu parco come al solito e, per via della Quaresima, l’indomani e il giorno dopo ancora, il digiuno sarebbe stato totale. Francesco sembrava non fosse mai soddisfatto delle privazioni che soleva imporre a sé e proporre agli altri frati; tutto ciò che veniva loro offerto e che poteva conferire un po’ di comodità a quella di per sé già magra esistenza, veniva regalato ai poveri, sia che si trattasse di una bestia da cavalcare piuttosto che di un giaciglio di paglia sul quale riposare, cosa quest’ultima che li avrebbe risparmiati dal dormire sul pavimento di pietra dell’eremo con un sasso al posto del cuscino. Dritto come un fuso Francesco avanzava nei suoi propositi e, approfittando di quello che ancora poteva strappare alle limitazioni della regola impostagli dall’alto, persisteva nel volere che tutti mangiassero dalla stessa scodella e con lo stesso cucchiaio. Ciò che di materiale non era strettamente e assolutamente indispensabile alla pura sopravvivenza, diveniva automaticamente superfluo e inviso ai suoi occhi. Lui cavalcare un cavallo quando Cristo entrò a Gerusalemme in groppa di un asinello? Ma casomai, se le forze glielo avessero permesso, avrebbe lui portato la sacra bestia in groppa mentre andava predicando in giro per le piazze! Tuttavia, nonostante il suo costante desiderio di perseguire uno stile di vita segnato dalla povertà e semplicità assoluta, era stato costretto, con la morte nel cuore, a riformulare alcuni aspetti della originaria forma di vitain vista del suo riconoscimento formale da parte del papa. Il motivo stava nelle preoccupazioni della curia romana: troppe erano le società religiose con velleità rinnovatrici etico spirituali imperniate sulla riscoperta della povertà, ma poco disposte a permanere nei dettami della Chiesa. Queste deviazioni dall’ordine costituito avevano reso sospetto qualsiasi movimento che si richiamasse all’austerità evangelica e alla libera predicazione nelle piazze. Mai più si sarebbe consentito a costoro di muoversi autonomamente e fuori controllo sul territorio. Di sette eretiche ce n’erano già abbastanza e, se non fosse stato per l’assoluta e pubblicamente acritica obbedienza dimostrata fin dall’inizio da Francesco verso la Chiesa, pure i frati minori avrebbero corso il rischio, al pari dei catari e dei valdesi, di essere tacciati di eresia. D’altro canto l’originaria fraternitas era cresciuta a dismisura e la sola risposta del Vangelo su come condurre l’esistenza terrena non bastava più. Affinché l’ordine potesse sopravvivere a se stesso e alla sua crescita tumultuosa, senza che però la Chiesa potesse perderne il controllo, bisognava irreggimentare i frati, inquadrarli in una struttura che desse loro delle regole scritte. Fu così che Francesco, benché aspirasse semplicemente ad una legittimazione scritta della sua formula di vita e non fosse nelle sue originarie intenzioni la costituzione formale di un ordine, dovette invece inchinarsi ai dettami della bolla Solet Annuere con la quale nel 1223 venne ufficialmente approvata la Regola dell’Ordine dei Frati Minori, più attenta nell’aspetto giuridico rispetto a quella del 21 e mutilata di molti dei passi evangelici prima presenti.

    Alcune decisioni in particolare lo afflissero facendolo sentire defraudato degli stessi capisaldi della primitiva formula di vita come, ad esempio, accadde quando venne data la possibilità ai ministri dell’ordine e ai padri guardiani di gestire piccole somme di denaro, seppur per lo stretto necessario a curare i malati e vestire i frati. E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri in paradiso soleva dire e, a chi gli controbatteva che potersi permettere un giaciglio e un tetto sulla testa non equivaleva a definirsi ricco, rispondeva

    < Sarà, ma a me pare che Cristo non avesse di suo neanche la verga con cui fece scempio delle mercanzie nel tempio >

    Ed ancora a chi, un po’ tonto o pedante, insisteva rimarcando

    < Ma non si parla nei vangeli di bastoni o altro! >

    Francesco rispondeva

    < Appunto, non se ne parla!>.

    Un forte vento aveva trasportato un carico di nuvole di colore grigio scuro che, a mo’ di fiere, incombevano sopra l’eremo mostrando di volerlo inghiottire. Le nuvole si inseguivano veloci cercando di sorpassarsi e sormontarsi a vicenda, ma al pari di leoni litigiosi troppo impegnati a contendersi la preda per accorgersi che qualcuno più piccolo di loro già ne sta approfittando, macchie di azzurro intenso spuntavano qua e là riappropriandosi di una parte di cielo. Il caldo opprimente delle settimane precedenti aveva lasciato spazio ad una piacevole frescura che pizzicottava i frati e ne aveva rinvigorito gli animi e ringiovanito i propositi di penitenza e preghiera. Nell’atmosfera chiara, libera dalla foschia, tutto sembrava più evidente, più preciso nei contorni. La luce del meriggio delineando le ripide geometrie dell’eremo esaltava la tensione che da esso scaturiva facendolo apparire nel suo determinato isolamento come uno sdegnoso nido d’aquila abbarbicato sopra una roccia.

    Dalla lunghezza delle ombre e dal colore della luce, Francesco capì che mancavano ancora un paio d’ore prima del vespro, al che, come faceva di solito verso quell’ora, decise di appartarsi nel bosco per sprofondare nella meditazione. Si allontanò quindi dai suoi compagni con i quali aveva trascorso la giornata alternando le preghiere dell’ufficio al ripristino dei coppi del tetto che giorni prima un temporale aveva divelto. Discretamente, senza dire nulla, si avviò di nuovo verso il grosso sasso dove Illuminato quella mattina lo aveva sorpreso a tirare la mollica di pane al falco suo amico. Amava profondamente quel luogo vicino al limitare del bosco. Da esso, pur rimanendo celati all’ombra delle piante, si poteva godere una magnifica vista verso la pianura e i corsi dei piccoli fiumi appena intuibili nel verde mare delle colline. Non vi era reggia che avrebbe voluto barattare con quella balconata naturale sul casentino e non mancava mai, una volta giuntovi, di ringraziare Dio che gliene concedeva gratuitamente l’utilizzo. Fu così che anche quella volta, dopo essersi accovacciato per terra e appoggiato con la schiena alla pietra, iniziò a pregare.

    Aveva da poco iniziato a recitare un pater noster quando si sentì pervadere da un che di strano che non lo lasciava concentrare, poi infine capì: stava troppo comodo. Senza indugi stabilì pertanto di mettersi nella posizione consona e abituale della preghiera e, dopo che ebbe preparato un soffice cuscino di felci e muschio, vi si inginocchiò sopra. Nel mentre però, l’occhio gli cadde su delle piccole formiche che egli, rovistando per terra, aveva disturbato e alle quali chiese subito scusa. A titolo di indennizzo per lo scompiglio causato loro, Francesco ne mise alcune sopra una foglia e storcendosi e stirandosi a dismisura, giacché non voleva abbandonare la posizione nella quale si era preparato per pregare, le depose di molto in avanti nella direzione nella quale esse muovevano. Queste, riconoscenti e avendo già dimenticato lo spavento, lo ricompensarono solleticandogli la mente con un pensiero.

    Guardando quei piccoli esseri trasportare carichi enormi subito la sua mente corse al Cristo sul Golgota con in spalla la Croce.

    < Quale fatica immane deve essere stato portare quel peso, molto di più di quanto costi a quelle formiche trasportare carichi più pesanti di loro, ma > - si soffermò a meditare - < niente dovette essere il peso fisico del legno paragonato a quello mistico che esso rappresentava. Tutti i peccati del mondo…, ma quanto dovevano pesare? Sicuramente più di tutto il mondo e le stelle appiccicate lassù in alto, e la luna e il mare! …Ecco, l’agnello di Dio che viene a togliere i peccati del mondo, aveva detto Giovanni, ma per portarli tutti sulla propria gobba bisogna essere immensi, di una immensità pari solo a quella di Dio. Eppure se guardo bene, e qui devo ringraziare le mie amiche formiche che me lo hanno fatto capire, > - continuò Francesco a rimuginare - < sono gli esseri più piccoli che portano i carichi più grandi e quindi per poter portare tutto il mondo su di sé bisogna essere infinitamente piccoli. Cristo, infinitamente grande che è però in grado di farsi infinitamente piccolo, fino a diventare uomo, un uomo povero di tutto e

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1