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Arcobaleno Nero
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Arcobaleno Nero

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About this ebook

Arcobaleno Nero è un romanzo scritto in prima persona e raccontato al presente che narra la storia di Cristina, una ragazza nel pieno dell'età adolescenziale, alle prese con avvenimenti, sensazioni, sfumature, dividendosi tra scuola, amori, amicizie e famiglia.
Nata dall'errore dei suoi giovanissimi genitori, si ritrova a sedici anni ad affrontare la bocciatura scolastica costringendosi a guardare Milena, la sua amica del cuore, proseguire i suoi anni liceali senza interruzioni. L'estate che si preannunciava punitiva e noiosa si rivelerà, in realtà, il via ad una sequenza di emozioni, di sconfitte, di vittorie e di scelte da prendere, a volte più difficili di quello che una normale adolescenza mette di fronte a una ragazza.
L'amore che ha sempre creduto di poter gestire e tenere sotto controllo, risulta essere il perno di tutte le sue decisioni. Riuscirà col passare degli anni ad attribuire all'amore il vero significato senza farsi offuscare dal luccichio della tentazione? Viaggiare attraverso gli anni di maturazione e crescita di Cristina, farà assaporare al lettore quell'atmosfera sbarazzina, tipica dell'età, per poi evolversi in una fase più saggia e matura crescendo insieme alla protagonista che ci accompagnerà per l'intero percorso della sua vita.
LanguageItaliano
Release dateMay 11, 2014
ISBN9786050303797
Arcobaleno Nero

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    Arcobaleno Nero - Valeria Zagaria

    Zagaria Valeria

    Arcobaleno Nero

    UUID: efca9734-dc7e-11e5-91d0-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    IL LIBRO

    L'AUTRICE

    PROLOGO

    LA DOLCE PUNIZIONE

    LORIS

    FESTE NATALIZIE

    INCONTRO INATTESO

    I CAMBIAMENTI

    SETTIMANA BIANCA

    MASSIMO

    REGALO DI COMPLEANNO

    GELOSIA

    VACANZE ESTIVE

    LA COPPIA A SORPRESA

    RITORNO A SCUOLA

    IL PROFESSORE

    GITA

    L'ASTINENZA

    VITE PARALLELE

    DECISIONI

    IL VERO AMORE

    IL TEST

    LA PROGRAMMAZIONE

    FUSIO

    L'INSOFFERENZA

    LA CONCLUSIONE

    NICOLA

    NATALE A FUSIO

    SIMONE

    LA CONFESSIONE

    LE PRIME INCOMPRENSIONI

    CAMOGLI

    ESTATE AGITATA

    PRIMO COMPLEANNO

    LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL

    LA NUOVA FAMIGLIA

    L'ATTESA E L'INCONTRO

    IL TRADIMENTO

    AMARA RIMPATRIATA

    BRUTTA NOTIZIA

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    COPYRIGHT

    IL LIBRO

    Arcobaleno Nero è un romanzo scritto in prima persona, raccontato al presente che narra la storia di Cristina: una ragazza nel pieno dell'età adolescenziale, alle prese con avvenimenti, sensazioni, sfumature, dividendosi tra scuola, amori, amicizie e famiglia.

    Nata dall'errore dei suoi giovanissimi genitori, si ritrova a sedici anni ad affrontare la bocciatura scolastica costringendosi a guardare Milena, la sua amica del cuore, proseguire i suoi anni liceali senza interruzioni. L'estate che si preannunciava punitiva e noiosa si rivelerà, in realtà, il via a una sequenza di emozioni, di sconfitte, di vittorie e di scelte da prendere, a volte più difficili di quello che una normale adolescenza mette di fronte a una ragazza.

    L'amore che ha sempre creduto di poter gestire e tenere sotto controllo, risulta essere il perno di tutte le sue decisioni. Riuscirà col passare degli anni ad attribuire all'amore il vero significato senza farsi offuscare dal luccichio della tentazione? Viaggiare attraverso gli anni di maturazione e crescita di Cristina, farà assaporare al lettore quell'atmosfera sbarazzina, tipica dell'età, per poi evolversi in una fase più saggia e matura crescendo insieme alla protagonista che ci accompagnerà per l'intero percorso della sua vita.

    L'AUTRICE

    Valeria Zagaria nasce a Genova l'11 maggio 1980 e continua a vivere nella stessa città. Esercita la libera professione di geometra, ma coltiva, già da ragazzina, la voglia di raccontare storie di vita vissuta. Scrive e autopubblica Arcobaleno Nero, il primo romanzo che percorre la vita di Cristina, un'adolescente messa alla prova da scelte difficili e dall'amore per Loris.

    PROLOGO

    (Maggio 1980)

    La ragazza, stesa sul letto dell'ospedale, non credeva fosse così doloroso.

    Quando lo aveva programmato non aveva dato troppo peso a questo aspetto, e di sicuro i suoi sedici anni non erano stati sufficienti a farle prendere con coscienza questa decisione, mentre il tempo le avrebbe insegnato quanto invece fossero stati poco maturi. L'unica cosa che riusciva a fare era quella d'inveire contro chiunque fosse al suo fianco andando contro le regole dell'autocontrollo. Suo marito, appoggiato allo stipite della finestra della stanza dell'ospedale, guardava fuori il sole che irradiava la giornata tiepida di maggio con la consapevolezza che quel senso di benessere e pace non gli apparteneva ormai da tempo. Un senso di soffocamento lo accolse e, girandosi a guardarla, notò come sua moglie sembrasse fragile, bisognosa di affetto e calore, ma non riuscì a fare altro che guardarla con disprezzo. Indurendo la mascella prese la direzione del corridoio. Loredana l'osservò andar via senza batter ciglio, né proferir parola, ma si augurò che al momento opportuno lui tornasse in tempo per sostenerla nel dolore e per gioire del lieto evento.

    Con rabbia e tristezza osservò la donna che occupava il letto vicino e alcune lacrime le rigarono il viso contratto dai dolori. Le altre non vedevano l’ora che nascesse il piccolino e sognavano ad occhi aperti, con il proprio partner, da chi dei due avrebbe preso il colore dei capelli, quello degli occhi, le mani e l’altezza. Sognare fa bene allo spirito, le aveva sempre detto sua madre, e allontana le normali preoccupazioni di dover diventare genitori per la prima volta.

    Per loro era diverso.

    Il suo Roberto non si era mai sopraffatto dalle classiche domande che la paura di diventare genitore ti fa chiedere. Lui era certo solo di una cosa: quando questo bambino sarebbe nato, la sua vita sarebbe migliorata rispetto agli ultimi nove mesi. Lei, invece, cominciava a domandarsi, se la sua sarebbe mai stata come l'aveva sognata e programmata nove mesi prima.

    Le contrazioni arrivarono la stessa notte e quando, dopo due ore, le dissero che era una bambina cominciò a piangere. Lacrime  di gioia o dolore? Non aveva importanza il sesso del bambino, ma finalmente la figlia di Roberto era nata.

    Lui attese in corridoio, ma, quando l'infermiera lo raggiunse e posò lo sguardo su quella bambina dai capelli rossi e dagli occhi grandi e vivaci non ebbe alcun dubbio: sua figlia si sarebbe chiamata Cristina.

    LA DOLCE PUNIZIONE

    (Giugno 1996)

    Ultimo giorno di scuola e non saranno delle belle vacanze. Mi bocceranno e prevedo le tre settimane al mare, programmate già da tempo, saltare.

    Perchè non ho studiato un po' di più? Perchè non sono come Milena?

    Lei sì che ha sempre dato soddisfazione ai suoi genitori.

    Il primo giorno di asilo le nostre mamme si sono incontrate nell'atrio scambiando qualche parola mentre noi giocavamo insieme con la mia bambola preferita che avevo chiamato Giulia. A soli diciannove anni mia madre era agitata a lasciarmi per la prima volta con estranei, ma acquisì la forza di superarla parlando con Valeria, la mamma di Milena, che a quarantrè anni e con altre due figlie, riuscì a placare le sue ansie.

    Fino all'età di tre anni mi hanno fatto vivere sotto una campana di vetro, coccolata e viziata dai miei genitori e accudita dai nonni materni, non ho quasi mai frequentato altri bambini e la mia voglia di stare con altri coetanei era irrefrenabile. Mi hanno sempre raccontato di quanto fossi agitata e solare. Quasi ingestibile. Il giorno del mio secondo compleanno mi portarono al parco di Nervi a giocare sui prati prima del pranzo a casa dei nonni, rigorosamente in pompa magna. Mio padre riuscì a perdermi di vista solo un minuto e io scappai lasciandoli nel terrore. Presi dalla disperazione cominciarono ad accusarsi a vicenda facendo credere ai passanti che fosse una banale litigata fra ragazzi, perchè a diciotto e vent'anni lontano da me, erano solo la classica fotografia di due innamorati in lite. Quando la mamma del bambino, col quale stavo giocando felice e spensierata, mi riportò da loro si calmarono e ricevetti il primo schiaffo senza versare nemmeno una lacrima. Si resero conto che avevo bisogno di stare coi bambini e di ricevere un po' di rigore, così, l'anno dopo, mi mandarono all'asilo nonostante potessi stare a casa coi nonni fino alla prima elementare.

    Milena ha la mia stessa età, io sono nata a maggio mentre lei a settembre e sono tredici anni che stiamo sempre insieme come due sorelle. In realtà nessuna di noi è figlia unica; lei è arrivata dopo quindici anni da Arianna e dieci da Carlotta mentre dopo di me è arrivato Lorenzo con sei anni di differenza, ma l'unione che abbiamo costruito in tutti questi anni è molto più di quello che si ha visceralmente con un fratello di sangue.

    Ora mi guarda con quell'aria da professoressa autoritaria pensando alla mia bocciatura mentre io sorvolo come sempre. Siamo completamente diverse: fisicamente, nel modo di pensare, di gestire la scuola, gli amori, la famiglia, ma ci vogliamo molto bene e sopportiamo i difetti dell'altra.

    Vicino al mio motorino confabulo con la mia amica.

    «Che punizione ti daranno i tuoi? Ne avete già parlato?», mi chiede con lo zaino in spalla.

    «Sì, mi hanno detto che le tre settimane in Sardegna me le scordo e che, se mia nonna è d'accordo, mi lasciano andare con lei a Fusio. Sai che palle?!», le rispondo sistemandomi i capelli rosso fuoco e il rossetto color mogano davanti allo specchietto.

    «Come che palle?», si guarda in giro, «Ritieniti fortunata, pensa che a Massimo lo fanno stare tutta l'estate a casa senza mare».

    «Già, i suoi sono un po' troppo severi. Beh in fondo su in montagna un po' di movimento ci sarà, o per lo meno, lo spero».

    «Già, la solita fortunata. Invece noi andiamo in Abruzzo a casa dei nonni», è scocciata.

    In effetti sono proprio fortunata. Abitiamo a Genova, in Albaro una delle zone più aristocratiche e prestigiose della città, in un appartamento di centocinquanta metri quadrati quasi totalmente rivolti fronte mare e inoltre abbiamo una baita a Fusio in Trentino e una casetta a Camogli, perla della Riviera Ligure di Levante. La mia famiglia è molto benestante, ma io non sono viziata e questo lo devo soprattutto a mia madre e i miei nonni materni che mi hanno insegnato il valore dei soldi, visto che come dice mio padre, loro sono solo degli arricchiti mentre lui nell'oro c'è nato.

    Se penso alla mia famiglia mi si accapiglia la pelle, non c'è nulla che vada bene e che renda la vita in casa serena e felice. Voglio che la mia vita sia totalmente diversa da quella dei miei genitori che a sedici e diciott'anni si sono ingabbiati con una gravidanza inaspettata, voglio divertirmi il più a lungo possibile. Anche in montagna so che mi divertirò, qualcuno c'è sempre con cui passare le giornate e poi magari rivedrò Loris. Lui è il ragazzo perfetto: biondo, alto, muscoloso, occhi azzurri e notoriamente sfuggente, mi è sempre piaciuto fin da bambina, ma non mi ha mai notata nonostante sia quasi impossibile non farlo. Sfugge agli sguardi, alle parole e questo suo modo di fare, ogni anno che passa, mi attrae sempre più. Lui è più grande, ha già vent'anni è nato e abita lì tutto l'anno. È un ragazzo di montagna con tutti i suoi limiti, ma è davvero irresistibile.

    «Come sei messa con Pierre?», mi chiede Milena sogghignando sapendo quanto l'argomento mi infastidisca.

    Pierre è il mio ragazzo, se così si può definire un diciannovenne nato da padre italiano e madre francese talmente ricco da potersi permettere di organizzare una festa, per la sottoscritta, in barca. Dopo solo un paio di mesi che ci frequentiamo mi ha già dichiarato amore eterno e, se all'inizio ero lusingata e felice di questo suo interessamento, nonostante lui sia già all'ultimo anno e io solo una ragazzina di sedici anni alle prese con la prima bocciatura (non escludendo che possa essercene un'altra), ben presto mi ha stufata.

    Sono fatta così.

    Milena lo sa e si diverte a vedermi alle prese con l'imbarazzo dell'ultimo addio.

    «Male, molto male. Ieri sera mi ha chiamata proponendomi una settimana con lui e i suoi in barca al largo della Corsica, si ostinava a voler far parlare suo padre col mio», alzo gli occhi al cielo, «Non so come fargli capire che è finita».

    «Digli la verità», sorride, «Affronta l'argomento con il tuo solito tono da cagna in calore e digli semplicemente che ti ha scocciato tutto questo suo modo di fare mieloso e stucchevole».

    «Stucchevole!», la imito nel suo tono saggio, «Me lo dovrò ricordare».

    «Non avrai mica intenzione di evitarlo fino alla partenza?», spalanca la bocca quando capisce che è esattamente quello che pensavo di fare e mi sto già preparando al solito predicozzo, «Ma Cri!», mi ammonisce mezza isterica, «Come fai a pensare di non dirgli nulla? Non si merita un comportamento così...», sta andando avanti nel suo discorso lagnoso, ma terribilmente realista.

    Pierre non si merita una ragazza come me. Come fa a non capirlo? Cosa ci vuole a rendersi conto che non adoro nulla di tutto quello che mi ha offerto fino ad adesso? A parte il suo fisico da pallavolista e il suo viso somigliante a un francesino ai bordi della metrò di Parigi, indossando un basco, la tavolozza di colori in una mano, il pennello nell'altra di fronte a una tela mezza finita. Non amo gli sfarzi, gli eccessi, gli acclami, avrei preferito stare io e lui, da soli, buttati su una spiaggia al chiarore della luna, dentro una barca arenata sulla sabbia che aspetta le prime luci del mattino per tornare di nuovo in mare, su una panchina accoccolati l'uno all'altra. Non è semplice? Invece ha dovuto dichiarare a tutta la scuola il nostro amore con una festa da alta moda, non capendo che mi sono sentita soffocare per tutta la serata, tranne quando ha avuto la decenza di portarmi in coperta per una notte che doveva essere la più speciale, andata pure a finire male!

    «Hai ragione, mi sa che lo devo affrontare», la interrompo bruscamente, «Eccolo lì! Mi ha vista, sta arrivando», sono tesa.

    «Allora vado. Ti chiamo dopo», mi strizza l'occhiolino per farmi l'imbocca al lupo e si avvia alla fermata dell'autobus.

    Con passo svelto Pierre si avvicina e il suo sorriso non mi aiuta a formulare precisamente il discorso che devo fargli. Alcuni suoi compagni di classe lo fermano per dirgli non so cosa, ma lui taglia corto non vedendo l'ora di arrivare da me. Cosa gli dico?

    Fermo immobile, con solo il motorino a separarci, mi fissa. Avrà capito? Gli sorrido e si avvicina per darmi un bacino sulle labbra che contraccambio.

    «Allora, hai parlato coi tuoi?», mi chiede intrecciando la sua mano alla mia.

    «No», tentenno codardamente.

    «Perchè? Vuoi che gli parli io?».

    «No!», il mio tono risulta troppo ostile e contrae le sopracciglia incredulo, «Non è il caso...io...non penso di voler venire», riesco a dirgli non so con che coraggio. Stacca la mano dalla mia di scatto.

    «Mi stai mollando?», è serio e ostile. Metto le mani nella tasca dei jeans e non rispondo così lui continua, «Io ti propongo una vacanza con la mia famiglia e tu mi stai lasciando? Mi sono perso qualcosa?», è sarcastico.

    «No...è che… forse è meglio se rallentiamo un po'», dico.

    «Rallentiamo?», mi fa il verso, «Ma Cri, sono tre mesi che stiamo insieme. Cosa c'è che non va?».

    «Non lo so, ma non sono più sicura di noi», si ammutolisce e mi fissa.

    «Stai scherzando?!», è arrabbiato.

    «No», lo fisso negli occhi e capisce che è finita.

    «Oh, bene! Sono proprio contento di non aver capito niente di come stava andando tra di noi. Sono proprio contento!», mi urla in faccia e mi prende talmente di soprassalto che indietreggio bruscamente.

    «Non esagerare, non te la prendere, non è colpa tua».

    «Certo che no!», borbotta, «Sei tu che hai qualcosa che non va. Questo è certo!», strabuzzo gli occhi e mi innervosisco, «Chiunque sarebbe stata alle stelle per tutto quello che ti ho dato tu invece no! Che cosa vuoi Cri, che ti compri una casa?».

    «No! Non voglio e non ho mai voluto nulla di tutto il lusso che mi hai dato o di quello che i tuoi soldi mi avrebbero potuto comprare. Non voglio un ragazzo formato portafoglio, voglio cose semplici, ma come dici tu chiunque avrebbe pagato oro per essere me in questi mesi. Quindi accomodati pure, la scuola è piena di ragazze che ti muoiono dietro o forse corrono dietro solo ai tuoi soldi!», i nostri visi sono così vicini che per un soffio non ci sfioriamo.

    «Perchè non mi hai mai detto nulla?», si allontana un po'.

    «Te lo sto dicendo ora».

    «Ora non è sufficiente, credevo stessimo vivendo una bella storia, credevo in noi e pensavo ci credessi pure tu».

    «Ho sbagliato», allargo le braccia, «Dovevo farti capire cosa non mi andava, ma non me la sono sentita. Eri partito in quinta, eri così felice e mi sentivo una stupida. Ho sbagliato, ma possiamo sempre rimanere amici».

    «Non so se sarà facile, ma possiamo provare».

    «Ok, bene», gli sorrido.

    «Domani andiamo al mare?», propone.

    «No! Amici non vuol dire vedersi sempre».

    «Gli amici vanno al mare insieme!», protesta.

    «Pierre!», lo fermo, «Hai un esame di maturità da affrontare. Mettiti a studiare, vai in vacanza a festeggiare e magari ci sentiamo a settembre quando riprende la scuola. Ok?».

    «Ok, guarda che ci conto», annuisco con la testa contrariata e lo saluto.

    Storia finita.

    È andata meglio di come immaginavo, meglio di tante altre volte.

    Nonna, Santa nonna!

    Ho impiegato quasi una settimana per convincerla, ma alla fine ce l'ho fatta. Prossima settimana partiamo per Fusio e ci rimarremo fino all'inizio della scuola. I miei hanno deciso di farmi saltare completamente il mare e oltretutto, stare quasi tre mesi senza di loro, sarà una pacchia pazzesca.

    Il giorno dell'esposizione dei quadri scolastici non volevo presentarmi, sapevo che vicino al mio nome ci sarebbe stato scritto non promossa. Che senso ha farsi compatire dai compagni? Massimo però mi ha talmente tormentata in questi ultimi giorni che mi sono sentita obbligata. Noi due siamo stati gli unici della nostra classe ad essere bocciati e, solo dopo aver assistito ai salti di gioia degli altri, ci siamo resi veramente conto di quanto sarà difficile, l'anno prossimo, affrontare la scuola in una classe con nuovi compagni.

    Finalmente è arrivato il giorno della partenza, io e papà, dopo aver caricato in macchina quasi tutto il contenuto della mia camera, passiamo a prendere la nonna qualche palazzo più avanti al nostro. Il viaggio sarà lungo e pesante, dovendo sopportare l'insofferenza di entrambi alla compagnia dell'altro, ma lo fanno per me e questo mi basta per cercare di affrontare il viaggio in totale serenità.

    Eccoci arrivati a Fusio.

    Paese popolato da meno di mille abitanti, contando cani e gatti, e una notevole quantità di proprietari vacanzieri come la mia famiglia. Costruito ai piedi delle Dolomiti vanta un paesaggio montano strepitoso con la sola caratteristica di essere il posto più tranquillo che conosca, adatto a famiglie che non amano troppo la confusione e la mondanità. Se si vuole tutto questo basta fare venti chilometri e si arriva a Madonna di Campiglio, tuffandosi in atmosfere totalmente diverse. Mio padre ha insistito per comprare questa casa per poter vivere la calma e la pace che questo paese e i suoi abitanti offrono volontariamente.

    I fusiani sono come tutti gli abitanti di montagna gelosi e schivi dei loro posti, ma, conosciuti più approfonditamente, risultano simpatici e affabili. Nonostante sia popolato da poche anime, ragazzi della mia generazione ce ne sono sia abitanti che foresti. Loris è uno di loro e vanta la nomea di spaccacuore del paese, in effetti è davvero un ragazzo bellissimo.

    La nostra casa è una delle poche situate fuori paese, solo un paio di chilometri a monte, ma il panorama che si ammira dal soggiorno è meraviglioso, affacciato direttamente sulle piste da sci è il modo migliore per godersi la vera montagna e capisco come mio padre se ne sia innamorato a prima vista.

    Il centro è il massimo che ti possa offrire Fusio, con il fornaio, il giornalaio, il tabacchino, il macellaio, il fruttivendolo, un piccolo supermercato che vende di tutto, l'ufficio postale, un ufficio bancario e una serie di piccole botteghe antiche e suggestive. Loris lavora come meccanico nell'officina del paese poco distante dalla banca e abita a dieci minuti a piedi quasi al confine del centro, vicino al palazzetto del ghiaccio, in una casa indipendente su due livelli. Quasi tutti vivono in abitazioni del genere, i pochissimi condomini costruiti negli anni '50 sono stati venduti a turisti. Al centro della piazza sorge la fontana che durante il periodo natalizio si circonda di una decina di prefabbricati di legno che espongono le prelibatezze del posto come vin brulè, strudel con mele trentine, piccoli oggetti d'artigianato, cioccolata di tutti i gusti ovviamente addobbati con luci e musiche che ti trasportano nell'atmosfera di Natale come se fossi in un mondo incantato. Mi piace molto trascorrere le vacanze di Natale a Fusio, perchè è solo qui che ne riesco a percepire il vero senso percorrendo la via dei presepi, una manifestazione che ha preso vita solo tre anni fa, dove ogni casa addobba una finestra, il fienile, il garage con un presepe fatto a mano, dai più tradizionali ai più originali come quello del Sig. Mondonio che ne ha allestito uno fatto con vari tipi di pastasciutta.

    Ora che siamo arrivati è estate quindi niente paesaggio natalizio, niente luci e musiche, niente freddo, niente neve e fontana ghiacciata, ma un esplosione di colori.

    Fusio è verdeggiante e fiorita.

    Mio padre si ferma in centro a comprare il giornale da Ernesto, col quale scambia quattro chiacchiere come sempre, mentre io e la nonna facciamo un salto dalla Olga a comprare uova fresche e verdure di stagione appena colte dall'orto, salutiamo qualche fusiano e il mio sguardo cade lì.

    L'officina.

    Chissà se Loris lavora o è in ferie?

    Mi piacerebbe tanto vederlo, ma non voglio passarci davanti perchè dovrei farlo apposta risultando una stupida ragazzina. Mentre la nonna chiacchiera con la Olga e una signora con un cappello stile Rossella O'Hara, osservo la piazza con attenzione. La fontana scorre d'acqua, alcuni anziani si beano del fresco sulle panchine all'ombra di alberi secolari, i bambini corrono e giocano sul monopattino rincorsi dai loro cani. Franco, il fornaio, sta impartendo ordini al figlio Tommaso sulle consegne da effettuare oggi e Paolo sta andando ad aprire il suo locale, l'unico esistente in tutto il paese adatto a noi giovani: la sala giochi. L'insegna riporta questo nome, ma, in realtà, è anche il bar e il ritrovo di tutta la gioventù, visto che l'ultima persona adulta che ha messo piede lì dentro è stato il padre di Denis andato a recuperare il figlio durante una rissa.

    Stasera farò un salto lì, magari troverò qualche mio amico.

    Sollecito prima la nonna e poi mio padre a tagliare corto le chiacchiere, per poter arrivare a casa subito.

    Seduta sullo sgabello, accanto al flipper, osservo un ragazzino giocare e vincere un sacco di bonus che gli permettono di continuare gratuitamente.

    Stasera siamo in quattro, mi guardo intorno e faccio segno a Paolo con la testa per salutarlo, mi sorride e approva la mia noia.

    La porta del locale si spalanca ed entra.

    E’ lui!

    Mamma mia quanto è bello, si sta sedendo al bancone del bar e ordina una birra all’amico. Lo fisso e noto quanto sia muscoloso e non riesco a distrarmi perchè ne sono totalmente attratta.

    Non ci posso credere mi ha appena notata.

    Mi fissa da lontano e, dopo aver dato una sorsata al suo boccale di birra bionda, mi fa cenno con la testa di raggiungerlo.

    Cafone! Chi si crede di essere?

    Se pensa che solo con un cenno della testa, senza nemmeno rivolgermi la parola io lo raggiunga... ha proprio ragione!

    Lo voglio conoscere.

    Quando mi ricapiterà un'occasione del genere?

    Trovarlo solo non è una cosa facile, si accompagna sempre all'amico Daniele e se ci fosse stato lui, di sicuro, non mi avrebbe notata come gli ultimi dieci anni. Più mi avvicino e più mi rendo conto di quanto sia irresistibile e ripenso a Pierre e ai suoi modi da perfetto francesino al confronto di quelli di Loris. Mi piace, è ancora più bello di quello che ho sempre creduto. Non gli sono mai stata così vicina e poterlo guardare negli occhi è un'emozione esilarante. Continua a squadrarmi dalla testa ai piedi e sono proprio contenta di aver scelto questa gonnellina bianca e la camicetta che mi risalta in modo perfetto il seno già fin troppo prosperoso.

    Tra di noi ci saranno massimo dieci metri, ma il percorso che sto facendo per arrivare da lui mi sembra lontano anni luce e mi sento un po' come quelle bombe sexy delle pubblicità che falcano la strada fino ad arrivare alla meta, con tutti che al loro passaggio si girano a guardarle ammirando la loro bellezza.

    Mi basta pensare che stasera ho fatto colpo su di lui per capire che il mondo è perfetto.

    «Ciao. Cristina?», mi domanda senza distogliere lo sguardo dai miei occhi quasi ipnotizzato.

    «Ciao Loris, giusto?», lo imito e lo prendo in giro.

    Paolo alza gli occhi al cielo e, tornando alla macchinetta del caffè, ghigna sotto i baffi.

    «Giusto. Piacere», mi porge la mano libera dal boccale e si presenta.

    «Piacere», gli stringo la mano e il suo contatto è forte e deciso come immaginavo.

    «Sei sola?».

    «Sì, sono in esilio!», scherzo appoggiandomi al bancone.

    «In esilio?», ripete, «Cos'hai combinato?».

    «Sono stata bocciata a scuola e sono partita in esilio per tutta l'estate».

    Ride divertito, «In esilio a Fusio? Devono proprio volerti male!».

    «Adoro Fusio», esagero un po'.

    «Davvero? Sei forse l'unica che lo dice, come mai?», è curioso e non smette di sorridere.

    «È uno dei posti più tranquilli che abbia mai visto e in inverno è il massimo che io possa desiderare. Mi basta andare in soggiorno, infilarmi gli scarponi e buttarmi sulle piste. Ma tu lo sai già, sei nato qui».

    «Sì ma non la vedo proprio così, però è bello che ci sia qualcuno che ami venirci. Quando arrivano i tuoi amici?», beve un altro sorso di birra.

    «Non lo so, non ho chiamato nessuno. Te l'ho detto che sono in esilio».

    «Giusto. Allora niente divertimento», scherza.

    «Ovvio, altrimenti che esilio sarebbe?».

    «E stasera? Non conta?».

    «Shh!!», mi porto il dito sulle labbra, «Sono in incognito, non gridare», mi regge il gioco come se ci conoscessimo da sempre.

    «Shh!!», mi imita, «Posso riaccompagnarti? Non vorrei mai che ti trovassero prima i cattivi», mi fissa e lo scherzo è finito.

    Ci sta provando? Oh mio Dio. Loris ci sta provando con me! Non svenire...non svenire!!

    «Se dici che è meno pericoloso», rispondo.

    «Se è meno pericoloso non lo so, ma spero sia più piacevole», mi sorride mostrando un'arcata di denti bianchi perfetti e, posando il boccale sul bancone, si porta indietro i capelli biondi lisci che gli cadono spesso sugli occhi. Si avvicina un po' di più e mi sento morire, come se fosse il primo ragazzo che ci prova.

    «Prima possiamo andare a fare un giro, se ti va», inclina la testa e aspetta la mia risposta che tarda ad arrivare perchè sono imbambolata. Vorrei tastarmi ovunque per rendermi conto che in realtà non ho perso i sensi.

    «Mi va», riesco a dirgli e gli sorrido.

    «Bene, allora ti porto in un posto carino», mi fa segno di precederlo e mi incammino verso la porta d'uscita mentre lui saluta Paolo.

    Attraversiamo la piazza, uno a fianco all'altro, e provo un'emozione fortissima.

    «Quindi ti hanno bocciata, te lo aspettavi?», mi chiede tenendo le mani nelle tasche dei jeans.

    «Sì, non poteva essere più palese se vedessi i miei voti non avresti alcun dubbio».

    «Sei qui coi tuoi?».

    «No, con mia nonna. Figurati se i miei lasciano il lavoro per tre mesi! E poi mia madre senza mare è come un leone in gabbia».

    In effetti anche quando trascorre solo un paio di settimane, qui in montagna, diventa irascibile più del normale.

    «E a te il mare non piace?».

    «Scherzi!?», lo guardo, «Lo adoro, è per questo che mi hanno mandata qui. Per punirmi!».

    «Beh se come punizione ti mandano in vacanza, sola con la nonna...non mi sembra tanto male!», sorride e mi sciolgo nei suoi occhi così diversi.

    «No, hai ragione».

    Ci incamminiamo verso la statale, la stessa che porta a casa mia.

    «Dove stiamo andando?», chiedo curiosa.

    «Lo vedrai presto», taglia corto, «A Genova c'è qualcuno che ti aspetta?».

    Si sta informando se ho il ragazzo e questa è una cosa molto positiva.

    «No!!», mi affretto a rispondere, ma lui mi guarda interrogandomi, «In verità c'era, ma abbiamo rotto. L'ho lasciato», aggiungo allargando le braccia ripensando a Pierre.

    «Quindi sei sola soletta. Giusto per sapere se devo avere timore di qualche ragazzino geloso che mi possa aggredire alle spalle», ride.

    «Tranquillo, siamo soli», mi fermo in mezzo al campo che stiamo attraversando e lui mi imita. Ci guardiamo intensamente e d'improvviso mi solleva di peso da terra e, con me in spalla, comincia a correre.

    «Se continuiamo con la tua andatura da cittadina arriveremo domani mattina», scherza.

    «Eccoci», mi fa scendere, «Mai stata qui?».

    Spalanco la bocca inebetita e mi guardo intorno per vedere se è vero. Davanti a noi si presenta un lago artificiale circondato da panchine e alberi secolari, mi volto per capire da dove siamo arrivati e mi accorgo che c'è un vialetto sterrato e alberato dal quale si arriva solo a piedi. Questo è un posto incantato. L'ho percepito subito e, a meno che non l'abbiano creato stanotte, non ne ho mai sentito parlare in tutti questi anni.

    «C'è un paradiso e non lo sapevo», lo guardo.

    «Già, per fortuna lo conoscono in pochi», dice con le braccia conserte.

    «Beh, vi tenete le cose belle solo per voi».

    «E per fare colpo», sorride e non rispondo, «E mi sa che ci sono riuscito». È così sicuro di me che mi spaventa. Sembra quasi che per lui sia un libro aperto.

    «Direi di sì», si avvicina lentamente e intreccia le sue mani alle mie, mi attira a sé e rimane qualche istante a fissarmi negli occhi come ipnotizzato, poi inclina la testa, si abbassa, poggia le labbra sulle mie e mi bacia.

    Perchè sono così intontita se non è nemmeno il mio primo bacio?

    Perchè a un semplice bacio mi sento morire?

    Le gambe mi sembrano non reggermi più e mi tengo alle sue braccia muscolose quasi fossero fatte di acciaio. Mi gira la testa e mi sembra di toccare il paradiso con un dito.

    «Sei bellissima», mi sussurra ancora abbracciati, lo stringo più forte e lo bacio con una passione mai provata prima: è avvolgente, infuocata ed esplosiva.

    Parliamo per ore seduti sulla panchina, ora so tutto di lui e lui di me, sto vivendo una serata indimenticabile, romantica e focosa.

    «Non avrei mai detto che fossi così romantico, le voci su di te andrebbero corrette», gli dico seduta a cavalcioni con le braccia intorno al suo collo.

    «E cosa dicono di me?», fa finta di arrabbiarsi.

    «Lo sai cosa si dice di te. Lo spaccacuori!».

    «Ah, già. Beh detto da una rossa devastante è tutto dire», ride.

    «E questo invece chi lo dice?».

    «Lo dicono i ragazzi, di qualsiasi età».

    «Davvero?».

    Le sue mani sotto la camicetta mi accarezzano la schiena e sentirle mi manda in estasi, sono eccitata, lui lo sente e mi bacia passionalmente, quasi mi divora, ma capisce che è troppo presto. Si ferma dandomi un bacino dolcissimo sulle labbra e si alza con me ancora avvinghiata alla sua vita.

    «Ti accompagno a casa, mi sa che i cattivi saranno alquanto arrabbiati», torno coi piedi per terra, in tutti i sensi, e guardando l'orologio mi accorgo che è mezzanotte passata.

    È tardi.

    Davanti alla porta della baita mi guarda.

    «Ci vediamo domani?», mi chiede avvicinandosi lentamente, poggiando la mano contro la porta e cingendomi con l’altra la vita. Sono totalmente immersa nei suoi occhi blu, colorati come il mare, ma con striature di varie sfumature.

    Sembra, quasi, di vederci l’arcobaleno.

    Non gli rispondo, ma i nostri sguardi sono come ipnotizzati, posso percepire il suo alito caldo e profumato mentre le nostre teste si avvicinano e ci avvolgiamo in un bacio.

    Ho sentito davvero un’emozione fortissima ed è, probabilmente, la stessa che ha sentito lui.

    Rimango qualche minuto inebetita davanti alla porta chiusa dando le spalle al grande soggiorno, arredato con divani di pelle, e, prima di potermi lasciare andare a festeggiamenti, tipo saltellare per tutta la casa o fischiettare per giorni interi, mi accorgo che l'orologio appeso al muro segna l'1,30. Smorzo ogni entusiasmo esagerato e salgo le scale silenziosamente, per non farmi sentire dalla nonna, ma i miei sforzi sono vani visto che, arrivata al piano di sopra, la luce della sua camera si accende.

    Merda!

    «Cristina, sei tu?», domanda con voce assonnata.

    «Sì, tutto bene, torna a dormire». E chi mai potrebbe essere? Se non fossi io le avrei di certo risposto informandola che ero il ladro di turno e che la mattina seguente si sarebbe svegliata in una casa completamente svaligiata!

    «Sei rientrata tardi?», non capisco se è una domanda o un'affermazione, ma nel dubbio mento.

    «No, sono scesa a bere dell'acqua. Sto tornando a letto, ci vediamo domani», la tranquillizzo.

    Mi spoglio lentamente sistemando i vestiti nell'armadio in perfetto ordine, come è mia abitudine fare, infilo il pigiama e vado in bagno a struccarmi e lavarmi i denti pronta per affrontare un sonno sereno e probabilmente ricco di sogni. Come potrei non sognarlo? Ho trascorso la serata più bella e romantica della mia vita, mi ha portato in un posto incantato che nulla di quello comprato da Pierre, è paragonabile a tanta bellezza naturale. Non ha avuto bisogno di conquistarmi con sfarzo, ricchezza, gioielli è stato semplicemente lui. In fondo, cosa potevo aspettarmi da un semplice meccanico di un paese tanto piccolo? È quello che desidero per essere felice e l'ho trovato qui: a Fusio.

    Forse sarebbe meglio che non mi fasciassi troppo la testa, so che lui non è certo tipo da storie serie e lunghe, magari il laghetto è il posto dove porta tutte. L'ho trovato così magico, dando per scontato che fosse solo nostro, non pensando che, invece, sarà una tappa fissa.

    Che stupida!

    Comunque non mi interessa, stasera era lì con me e non con chiunque altra e non credo si dimenticherà presto della sottoscritta. Perchè dovrebbe? Non è mai capitato con nessuno.

    Chiudo gli occhi e ripasso, per filo e per segno, tutti i movimenti della serata per non scordarmi nemmeno un particolare, ma è un esercizio inutile perchè non potrò mai scordarmi di lui, del suo viso, delle sue mani così forti e delle sue labbra.

    Domani lo rivedo, di questo sono certa.

    Oggi è sabato, sono le due del pomeriggio e non l'ho ancora visto. Cosa devo fare? Non posso andare giù in paese in motorino e raggiungerlo fuori dall'officina. O sotto casa. Ma cosa sto dicendo? È lui che deve venirmi a cercare e poi il motorino è rimasto posteggiato davanti a Paolo, visto che mi ha accompagnata a casa in macchina. Devo riprenderlo. Non gli ho lasciato nemmeno il numero di telefono e lui non me lo ha chiesto. Devo aspettarlo o con la scusa del motorino torno in paese e vedo come butta? Ci sto pensando troppo, non è da me. Sono un impulsiva di natura; spesso non penso nemmeno alle conseguenze che possono avere i miei gesti; non ho mai avuto problemi coi ragazzi, tanto meno ad aspettare che si facessero vivi, e si sono sempre fattii vivi.

    Perchè oggi mi sento così confusa e agitata?

    Perchè con lui dovrebbe essere diverso?

    Siamo usciti solo una sera e non ci siamo di certo fatti promesse inutili, quindi cosa c'è di diverso dalle altre volte?

    Devo chiamare Milena, lei saprà rispondermi.

    «Sono io, come va?», le chiedo dopo il terzo squillo a vuoto.

    «Bene e tu? L'esilio com'è?», scherza, ma so che le manco.

    «Se questo fosse davvero un esilio oggi non sarei così agitata. Non sai cosa è successo ieri sera!», mi sdraio sul letto con i piedi per aria lasciandoli volteggiare.

    «Racconta!», mi supplica e sento che anche lei si è messa comoda.

    «Ieri sera dopo cena», comincio, «Sono scesa in paese col motorino. Sai quel catorcio che mio padre mi ha comprato l'ultima volta che siamo venuti qui?», lei annuisce con un mhmh e io continuo, «Proprio quello. Sono andata in sala giochi e...sono uscita con Loris! Siamo proprio usciti insieme e mi ha portato in un posto bellissimo. È molto romantico, stupendo, meraviglioso... ».

    «Alt! Alt! Alt!», mi interrompe bruscamente, «Quel Loris lì?», chiede scandendo bene le parole.

    «Certo, conosco solo lui che si chiama così».

    «E non mi racconti nulla? Comincia da capo, non tralasciare niente, parole, sfumature, pensieri, tutto! Come siete arrivati a uscire dal locale insieme?».

    «Ok, ok,», la fermo dal suo delirio, «Ora ti dico tutto, pronta?», le racconto minuziosamente la serata e riviverla attraverso le mie parole è ancora più bello del solo ricordo.

    «E ora non sai che fare?», chiede Milena.

    «Già, lo voglio rivedere, ma come faccio? Devo aspettare che lui venga a trovarmi, visto che sa dove abito, o devo andare stasera in sala giochi?».

    «Aspettalo e se non ti chiama, vai in sala giochi facendo la superiore. A quel punto vedi come si comporta, non fargli capire che gli muori dietro».

    «Mi sa che è troppo tardi. Ieri è stato così diverso che probabilmente avrà pensato che fosse il mio primo ragazzo. Che imbranata!», mi mordo il labbro inferiore a ripensarci.

    «Wow! Cri! Non ti ho mai sentita così presa».

    «Lo so, lui mi piace davvero tanto. Ci penserò. Domani ti chiamerò e ti racconterò. Tu che fai invece?».

    «Per ora sono a casa, ma oggi vado a fare un giro con Massi in centro», tentenna.

    «In centro?», mi alzo e mi siedo sul letto, «Ma ci saranno 30°, perchè non vai al mare?».

    «Lo sai che lui non può, i suoi non si sono ancora ammorbiditi e mi spiace lasciarlo solo».

    «Milena!», la rimprovero, «Quando riuscirai a fare quello che ti va? Non sei la sua crocerossina, se non è in grado di imporsi coi suoi o di andare al mare di nascosto è solo colpa sua. Non sei in punizione e se ci fossi io, oggi non andresti in centro a morire di caldo!», sono arrabbiata.

    «Perchè sei sempre così severa con Massi?».

    «Perchè non ha polso e tu gli vai troppo dietro. Se non ti conoscessi bene penserei che ti piace».

    Silenzio.

    Silenzio.

    Silenzio.

    Spalanco la bocca inebetita e gli occhi allibita, «Non ti piace vero?», attendo una sua risposta affermativa.

    «Mi sa di sì», sussurra, «Ma lui pensa solo a te!», aggiunge delusa.

    Mi rituffo sul letto, come una bambola di pezza, e mi tocco le tempie cercando le parole giuste. Che parole posso trovare per Milena? Lo sa tutta la scuola che Massi mi muore dietro da due anni, non fa altro che starmi vicino, essere mio amico solo perchè sa che è l'unico modo per stare con me ed è frustante sapere che lui vuole me e lei vuole lui, perchè? Con tutti i ragazzi che ci sono perchè proprio lui? Massi non si arrenderà mai, l'ho capito perfettamente, se non avrà la soddisfazione di poter diventare il mio ragazzo non guarderà nessun'altra e non voglio che Milena soffra per colpa sua e in parte anche mia. È sempre stato così, chiunque piace a lei vuole uscire con me ed è straziante questa situazione. Che amica sono? Quella che esce con i ragazzi che le piacciono? Perchè non c'è uno che vede solo lei e non me?

    «Da quanto tempo ti piace?», cerco di mantenere la calma.

    «Da un po'».

    «E perchè non me ne hai parlato?».

    «Perchè sapevo che avresti reagito così».

    «Così come?», grido.

    «Proprio così come stai facendo adesso. Ti saresti arrabbiata e avresti cominciato a dirmi di provare a guardare qualcun altro. Come se fosse facile decidere di chi innamorarsi. Non è una cosa che si fa a comando, cosa ti devo dire?».

    «Perchè ti piacciono tutti quelli a cui piaccio io? Sembra che lo fai apposta!».

    «Tu piaci a tutti. Sarebbe impossibile trovare qualcuno che non voglia uscire con te, ma non ti preoccupare ci sono abituata e so che non è colpa tua. Magari adesso che sei via per un po', lui mi guarderà come fa con te», come fa con me lo dubito, ma con un po' di interesse lo spero.

    «Questo è vero», mento, «Vuoi che gli parli io?».

    «No!», si affretta a rispondere, «Che figura ci farei? Se sarà, sarà».

    «Certo, hai ragione. Scusa. Allora...in bocca al lupo e se ti può servire a lui piace molto andare nei negozi di elettronica, ne è praticamente patito, pensa che una volta, dopo scuola, mi ha talmente tormentata che mi ha portata per tutto il pomeriggio in giro per trovare uno stereo particolare...», mi blocco capendo che sta soffrendo di tutta la confidenza che ho con Massi. Devo smetterla, «Va beh, domani ci sentiamo così ci raccontiamo. Buon giro in centro».

    «Grazie e a te buona fortuna con Loris. A domani», butta giù.

    Pensare a Massi e Milena insieme mi fa sorridere perchè sono così simili. Timidi, impacciati, saggi e posati, in effetti sarebbero davvero una bella coppia. Massimo non è un brutto ragazzo, anzi è davvero carino, alto 1,80 m, capelli neri tagliati corti, viso regolare, simpatico, ma è troppo preso da me per riuscire a vederlo con interesse. Non ha ancora capito che l'unico modo per allontanarmi è proprio farmi sentire stretta in una morsa di acciaio, però stare con lui mi piace, è divertente e se quest'anno ci hanno bocciato lo dobbiamo soprattutto al fatto che abbiamo passato tante di quelle mattinate al parco di Nervi invece che a scuola fra i banchi. Siamo molto amici, gli racconto sempre dei miei ragazzi sperando che si stufi di stare dietro a me, ma lui sembra proprio ostinato a prendermi per stanchezza, consapevole che le mie storie durano sempre da Natale a S. Stefano.

    «Cristina!», mi chiama la nonna in giardino dal piano di sotto.

    «Sì», mi alzo scocciata e mi affaccio alla finestra.

    «C'è qualcuno per te», sorride e lui è al suo fianco seduto sul il mio motorino.

    Mi sento morire! Stavo pensando a Massimo e lui è sotto casa. È venuto a cercarmi. Rientro di scatto dalla finestra e, guardandomi velocemente allo specchio, noto che non sono poi tanto un mostro. Loris è qui e io non sono ancora scesa. Cosa aspetto? Corro come un fulmine giù per le scale per arrestarmi, subito prima, di spalancare la porta e trovarmelo di fronte che mi sorride.

    «Ho interrotto qualcosa di importante? Stavi, per caso, facendo i compiti?», mi prende in giro Loris.

    «No, niente compiti. L'unica cosa bella dell'essere bocciati a scuola è proprio questa», è ancora seduto sul motorino e lei ci sta fissando divertita. La guardo e capisce che deve andarsene.

    «Ok, vi lascio soli», dice la nonna allontanandosi.

    «Allora, cosa facevi di bello?», insiste lui.

    «Niente, avevo appena finito di stare al telefono con la mia amica che mi aggiornava sugli eventi di città».

    «Giusto, bisogna tenersi aggiornati», ride, «Io ti ho riportato il motorino. Ho fatto bene?».

    «Sì, ma come hai fatto ad accenderlo?», sono stupita.

    «Cri! Sono un meccanico e se non lo sai questo motorino era il mio. Tuo padre l'ha comprato in officina quindi non ha segreti per me», scende, lo mette sul cavalletto, si avvicina e mi bacia sulle labbra prendendomi il mento con una mano.

    Non sto sognando, è tornato e mi sta baciando, non è stata solo una serata buttata lì, mi vuole rivedere. Sto morendo.

    «Tutto bene?», mi domanda, «Sembri un morto», sorride.

    «Sì, sì tutto bene. Che fai ora? Devi lavorare?», sono un po' impacciata, ma riesco a riprendere possesso delle azioni.

    «No, oggi è sabato e il sabato non lavoro mai. Andiamo a farci un giro?».

    «Ok, bene. Aspetta che mi cambio», m'incammino verso casa, ma mi trattiene per la mano.

    «Resta così», fa una pausa, «Sei bellissima ugualmente», mi sorride e mi ipnotizza con quello sguardo provocante.

    «Nonna!», urlo senza staccare gli occhi dai suoi, «Vado a fare un giro, ci vediamo per cena», non aspetto la risposta e salgo in motorino dietro a Loris, lo stringo alla vita e lui mette in moto portandomi lontano da casa in un posto che qualsiasi sia, sarà comunque magico.

    «Dimmi un po' una cosa», mi chiede mentre mi stringe fra le sue braccia forti, all'ombra di un albero, davanti a uno dei panorami più belli che abbia mai visto. Con lui sembra tutto più bello ed emozionante, non ricordo quasi di essermi mai sentita così fra le braccia di qualcuno, «Da quanto tempo ti piaccio?», mi chiede sapendo che sono anni che lo guardo di sfuggita e si sta pavoneggiando un po' troppo, ma è dolcissimo.

    «Da qualche anno, non te ne eri accorto?», lo prendo in giro voltando il viso dall'altra parte facendo finta di essere impettita.

    «Mah, fammi pensare un po'... non so, non ricordo», sfoggia uno di quei sorrisi ipnotizzanti capace di stringermi lo stomaco in una morsa, «Sì che me ne sono accorto, a voglia!», ride.

    «Ma non ti eri mai accorto di me», puntualizzo stavolta davvero un po' impettita.

    «Certo che mi ero accorto di te, solo che non mi piacevi», mi stacco dall'abbraccio e mi giro a guardarlo furiosa.

    «Che c...o...s...a...?», scandisco le lettere mentre lui ride fragorosamente, «Lo trovi divertente?».

    «Da morire. Lo sai che arrabbiata sei ancora più bella?», non mi devo sciogliere ogni volta che mi fa un complimento, devo mantenere il mio disappunto, ma è tremendamente affascinante e totalmente capace di manovrare i miei sentimenti.

    «Beh, mi sa che te ne accorgi solo ora visto che prima non ti piacevo», sono permalosa e questa volta lo capisce, mi attira a sé di nuovo fra il suo abbraccio e mi bacia sulla punta del naso.

    «Non mi piacevi come persona, non fisicamente. Credevo fossi una ragazzina viziata, ricca, consapevole di essere splendida e un po' troppo oca!», mi stringe più forte capendo subito che mi rivoglio alzare offesa, «Non scappare, mi sono sbagliato».

    «Meno male!».

    «È che ora sei diversa, non so come mai, ma sei diversa».

    «Ma se non mi avevi mai rivolto la parola, come facevi a dire che ero così?».

    «Era l'impressione che mi davi da lontano e poi eri troppo accerchiata da tutti i ragazzi e se ci sono troppi galli nel pollaio mi defilo, mi sembra quasi di partecipare a una gara, non mi piace».

    «Anche perchè sai che la gara la vinceresti», sorrido.

    «Forse sì, non c'è divertimento».

    «E invece adesso?».

    «Beh, l'altra sera eravamo da soli e infatti credo sia andata piuttosto bene. No?!».

    «Benissimo!», mi giro a guardarlo e ci baciamo.

    Cosa sto vivendo? Una semplice e banale storiella estiva o una vera storia d'amore? Non lo so perchè non ho mai avuto una vera storia d'amore, ma Loris è diverso, non sono io a essere diversa, è lui. Non è un tappetino ai miei piedi, un ebete con gli occhi a forma di cuoricini appena mi vede, lui è un uomo. Certo ha solo vent'anni, ma lavora, è grande e mi fa sentire una rara meraviglia mantenendo il suo autocontrollo e la sua dignità. Non mi agevolerà mai se pensasse che stia sbagliando, questo lo so. Amore vero o ragazzo vero? Per il momento mi piace pensare che sia il ragazzo giusto, poi il tempo mi dirà se ho ragione.

    I miei genitori non sono venuti a trovarci nemmeno la settimana di ferragosto, avevano promesso a mio fratello di portarlo in Sardegna e così hanno fatto. Sono partiti i primi giorni di agosto e sono tornati quasi a fine mese trascorrendo le vacanze nel residence nel Golfo degli Aranci in Costa Smeralda. Lorenzo avrà perfezionato il suo stile di nuoto insieme alla maestra Alessandra, la stessa che l'anno scorso gli aveva suggerito che sarebbe stato molto bravo in quello sport mentre lui ha preferito continuare a praticare il calcio, di cui ne è quasi ossessionato, come del resto nostro padre. Io invece sono qui a Fusio e chiunque altro si sentirebbe in esilio: dover stare quasi tre mesi con la nonna, in un paesino di montagna con pochissime giornate di sole e calde e soprattutto senza il mio adorato mare, e invece sono la ragazza più felice della terra. Sono con Loris e sto vivendo con lui la storia più bella e intensa della mia vita, non che la mia vita sia così lunga e ricca, ma non riesco a immaginare qualcosa di più bello. È diverso tutto quello che facciamo, quello che provo e quello che prova lui, tutte sensazioni nuove e straordinariamente travolgenti.

    La mia tipica giornata la vivo così: mi sveglio di solito intorno alle dieci e mezza, scendo in cucina dove la nonna mi lascia sul tavolo la colazione: tre fette biscottate, un vasetto di marmellata di arance o ciliege, una tazzona di latte e caffè da scaldare, un bicchiere di succo d'arancio e una barretta di cioccolata, rigorosamente coperta da un tovagliolo in pendant con la tovaglia. Divoro la colazione come se fosse l'ultimo pasto della vita, sparecchio mettendo tutto in ammollo nell'acqua calda nell'acquaio e corro al piano di sopra a lavarmi i denti, a fare una doccia e a decidere cosa indossare. Il momento della vestizione è quello più lungo della giornata, sono sempre indecisa su cosa mettere e ho un armadio talmente ampio che la scelta è sempre più difficile. Di solito per la mattinata preferisco qualcosa di comodo e sportivo. Rassetto velocemente e grossolanamente il letto, spalanco la finestra della camera e sono pronta per affrontare la giornata, così quando raggiungo la nonna in giardino sono già di ottimo umore. Il giardino è grande quasi cento metri quadrati e sul retro c'è tutto lo spazio necessario per poter prendere il sole o riposare sotto il patio e, visto che quest'anno sarò ripetente e non ho nemmeno un compito per le vacanze, ho tutto il tempo per fare ciò che voglio. Così fino all'ora di pranzo di solito mi

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