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Un nome inventato - Sul filo dei ricordi
Un nome inventato - Sul filo dei ricordi
Un nome inventato - Sul filo dei ricordi
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Un nome inventato - Sul filo dei ricordi

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Pubblicato qualche anno fa a puntate in formato ridotto col titolo “SUL FILO DEI RICORDI” da un noto settimanale femminile, e successivamente in volume nella stesura completa dall'Editore Miremi, il romanzo viene ora riproposto dall'autrice in formato ebook col titolo originale e corredato, in appendice, con alcune foto tratte dall'album di famiglia che ritraggono i veri personaggi della storia. E' una piccola saga familiare che va dai primi anni del ‘900 fino ai nostri giorni e che narra le vicende di una famiglia di agricoltori. La storia è in gran parte autobiografica, Pinin e Giuseppe, quel Giuseppe preso all'orfanotrofio col “cognome inventato”, erano i nonni dell'autrice, e quasi tutti gli episodi narrati sono realmente accaduti. Ma, al di là degli avvenimenti, tra i quali trova spazio una grande e intensa storia d'amore, l'aspetto interessante del romanzo è da ricercare nella descrizione di una vita contadina ormai quasi scomparsa, nella quale molti lettori potrebbero trovare un'eco del proprio vissuto e un riscontro ai loro personali ricordi. La scrittura è volutamente “semplice e domestica”, come ama definirla l'autrice, mentre le vicende storiche del secolo scorso, prime tra tutte le due guerre, fanno da sfondo alla narrazione. Ecco il commento di una lettrice: “Un delizioso “Albero degli zoccoli” ambientato nelle campagne del basso Piemonte che si legge con grande piacere e che tocca le corde dell'anima. Un racconto semplice, tenero e coinvolgente nel quale il lettore riscopre quei sentimenti universali quali l'amore, la dignità, la fatica, la passione per il proprio lavoro che sono gli stessi in ogni tempo e in ogni luogo”.
LanguageItaliano
PublisherSilvana Sanna
Release dateJun 3, 2014
ISBN9786050306552
Un nome inventato - Sul filo dei ricordi

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    Un nome inventato - Sul filo dei ricordi - Silvana Sanna

    APPENDICE

    PRIMA PARTE

    Battista non poteva trattenere un moto d'orgoglio quando, la domenica mattina, passava in rassegna le sue cinque figlie vestite coll'abito della festa e pronte per andare a messa, schierate nella grande cucina accanto alla Teresa..

    Erano tutte belle le sue bambine, proprio come la loro madre che ai suoi tempi era stata la ragazza più bella del paese. Ora, a trentasette anni, Teresa era ancora alta e dritta ma le numerose maternità e il pesante lavoro dei campi avevano irrimediabilmente appannato la sua bellezza e parecchi fili bianchi striavano d'argento i folti capelli neri legati a crocchia dietro la nuca.

    Dopo tanti anni Battista la osservava ancora compiaciuto, la gonna di lana scura alla caviglia, la camicetta di percalle fresca di bucato, la lunga fila di bottoncini a chiudere il corsetto alto fin sotto la gola, ed era riconoscente a Dio per quella donna forte e generosa che tra tanti pretendenti più ricchi di lui, aveva avuto il coraggio di imporsi al padre e di far valere la scelta del suo cuore. Avrebbe potuto andare a far la signora, la sua Teresa, se avesse accettato di sposare Alfonso della Gremiasca, invece aveva voluto proprio lui che aveva da offrirle solo il bene che le voleva e le braccia per lavorare.

    Battista se la ricordava ancora come fosse ieri quella mattina di fine inverno all'uscita dalla chiesa, col vento freddo che si insinuava nelle ossa e lei che si stringeva nello scialle tenendoselo bene accostato al collo. Dallo scialle che le copriva anche il capo usciva qualche ciocca di capelli scuri e ricciuti che il vento faceva volare leggeri e le sue guance un poco arrossate erano lisce e morbide come due petali di rosa…

    A Battista era parsa bellissima, più ancora della Madonna del Carmelo il cui quadro, venerato da tutto il paese, stava su uno degli altari laterali circondato da piccoli cuori in filigrana d'argento pegni di grazie ricevute.

    Teresa teneva gli occhi bassi, pareva ancora più a disagio delle altre volte, quando, finita messa, come per un muto appuntamento si fermava per qualche attimo sul piazzale con lui, solo per un saluto e per scambiare due parole. Parole semplici, un commento sul tempo o sulla vendemmia o la mietitura imminenti, parole che non potevano certo comprometterla, ma che per Battista rivestivano un significato ben diverso.

    - Cos'hai Teresina? Perché non mi guardi? – le aveva chiesto – E' successo qualcosa?

    E Teresa glielo aveva detto con la voce rotta, cos'era successo, senza avere il coraggio di alzare gli occhi su di lui.

    - Ieri è venuto Alfonso della Gremisca a parlare con mio padre…

    Battista aveva capito e si era sentito morire.

    - E' venuto per chiederti…

    - Si… e mio padre sarebbe ben contento…

    - E tu?

    - Io… io non lo voglio. Anche se mio padre insiste. Dice che sono matta, che è ora che io mi sistemi e che sono una scriteriata a voltare le spalle alla fortuna.

    - Per aver ragione, ce l'ha tutta – aveva dovuto ammettere Battista e Dio solo sapeva quanto gli erano costate quelle parole – se ti sposi con Alfonso vai a far la signora.

    - Non voglio passare tutta la mia vita con uno che non mi piace e a cui non potrei mai voler bene per poter fare la signora – gli aveva risposto Teresa in un sussurro.

    - E allora che cosa vuoi Teresina?

    Lei era ammutolita. Continuava a tenere lo sguardo abbassato, ma le guance si erano fatte di brace. Se solo gli avesse risposto non lo so Battista non avrebbe osato farsi avanti. Ma quell'improvviso timido rossore, quel tremito leggero della voce mentre gli rivelava il suo rifiuto ad accettare il bel partito che il padre voleva imporle, gli avevano dato il coraggio che cercava da mesi:

    - Se te la facessi io la stessa proposta, Teresina, la penseresti allo stesso modo? - aveva mormorato.

    Teresa aveva alzato finalmente gli occhi. Erano lucidi e brillanti e lo avevano guardato in una maniera che, fosse campato cent'anni, Battista non se lo sarebbe mai scordato. Poi gli aveva sorriso facendo adagio no con la testa. E Battista si era sentito forte come un leone. Se non fosse stato sconveniente se la sarebbe abbracciata lì, la sua Teresina, in mezzo al sagrato pieno di gente ché già qualcuno si era girato a guardarli incuriosito e di certo qualche donna aveva già cominciato a pensar male e a ricamarci sopra.

    - Questa sera ci vengo io a parlare con tuo padre. Anche se non ho da offrirti tutto quello che ha l'Alfonso. Anzi non ho proprio niente, tranne il mio lavoro. E di questo ce ne sarà fin troppo anche per te.

    - La fatica non mi fa paura, sgobbo da quando ero alta come un soldo di cacio e mi va bene così.

    - Ma tuo padre? Magari mi metterà alla porta… – aveva considerato Battista con una certa preoccupazione.

    - A mio padre glil'ho detto chiaro e tendo che se non mi lascerà sposare con chi dico io, piuttosto resto zitella in casa fin che campo

    Dopo un anno erano andati all'altare e già dal giorno seguente la Teresa aveva cominciato a sfiancarsi di lavoro accanto a lui, dall'alba al tramonto colla zappa in mano, sotto il sole a legare covoni di grano, nel fango a vendemmiare, a guidare i buoi mentre lui reggeva l'aratro a fendere la terra dura e sassosa.

    E intanto la famiglia cresceva, Teresa sembrava nata per mettere al mondo dei figlioli, e anche la casa era diventata pesante da mandare avanti. Ormai erano in dieci. C'erano i vecchi che non erano più in grado di farsi nulla da soli, suo padre immobilizzato su una sedia da quando era caduto dal fienile e la madre colla testa non tanto a posto, solo l'anziano barba Giuseppe era ancora d'aiuto, testardo e resistente come un mulo a più di settant'anni. E c'erano le bambine. E tutti sulle spalle della Teresa. E lei non si lamentava mai, sgobbava e taceva, e si adattava ad ogni cosa, qualsiasi sacrificio pur di garantire alle figlie una vita diversa, perché le bambine, d'accordo con lui, in campagna a lavorare non ci sarebbero andate.

    - Loro no – sussurrava al marito la sera quando, spenta la candela di sego, si coricavano e la stanchezza le impediva a volte di prender sonno – loro no, loro devono andare a scuola e farsi un'istruzione, non come me che so a malapena mettere la mia firma…

    - E così potranno sposarsi bene e andare a fare le signore – finiva per lei Battista sorridendo nel buio – ma potevi farla anche tu, se solo ti prendevi l'Alfonso della Gremisca, invece di un poveretto…

    - Ancora? Non sei un poveretto, lavoriamo terra nostra – ribatteva Teresa con orgoglio – il necessario non ci è mai mancato e io se tornassi indietro rifarei tutto da capo. Ma per le bambine… che male c'è a sognare per le nostre figlie un futuro migliore?

    - Hai ragione, Teresina. E se appena potremo, continueremo a tenercele a casa invece di metterle sui campi con la zappa in mano. Ma adesso dormi che la mattina è qui presto, in un momento c'è da star su, e domani c'è da andare nelle vigne a dar lo zolfo.

    Alla gente del paese pareva dar fastidio che le figlie di Battista e Teresa non andassero a lavorare in campagna come quasi tutte le loro coetanee:

    - Quei due poveri cristiani si ammazzano di lavoro per tirar su le figlie come principesse - dicevano le malelingue del paese - sarebbe meglio che invece di andare a scuola imparassero a governare le bestie e a potare le viti, così quella povera donna potrebbe tirare un po' il fiato.

    Certo a far parlare la gente in questo modo era l'invidia perché Battista e sua moglie, a forza di lavoro e di rinunce, erano riusciti a comprarsi delle belle pertiche di terra.

    La modesta fortuna della famiglia era iniziata con la morte del padrone.

    Il notaio di Castello, che di per sé era un padrone né meglio né peggio di tanti altri, aveva però una moglie che era una santa donna, buona e caritatevole come raramente era dato di trovare nelle persone del suo rango. Non aveva saputo dare al marito dei figlioli, ma lungo gli anni di matrimonio aveva avuto su di lui una benefica influenza tanto che egli aveva stabilito per testamento che, alla sua morte, tutti i suoi mezzadri divenissero proprietari della casa dove avevano sempre abitato e avessero la possibilità di acquistare ad un prezzo equo i terreni limitrofi sui quali avevano buttato sudore da generazioni.

    I genitori di Battista erano riusciti, a costo di enormi sacrifici, a comprarne alcuni appezzamenti, certo non tutti quelli che avrebbero desiderato, e, in un secondo tempo, anche a sistemare la casa e ad ampliarla. E Battista che era il loro unico figlio, ché di tre che il Signore aveva loro mandato, due se li era ripresi entro l'anno di età, lavorando senza risparmiarsi con la sua Teresa, aveva potuto ingrandire la proprietà.

    Non erano certo ricchi Battista e Teresa, la vita era dura e grama anche per loro, tuttavia riuscivano a vivere relativamente meglio della maggior parte delle altre famiglie del paese costituite per lo più da mezzadri o braccianti, e che facevano spesso la fame.

    Così le bambine più grandi sapevano leggere e far di conto e altrettanto avrebbero fatto le sorelle più piccole. Ma sapevano anche cucire e ricamare, tessere col telaio e far da cucina e, giunte in età da marito, non avrebbero avuto difficoltà, proprio come sognavano i loro genitori, a trovarsi un buon partito che facesse far loro una vita agiata.

    Erano davvero tutte belle e sempre ben sistemate perché la Teresa non voleva che se ne andassero in giro malmesse e, d'estate, scalze come gli altri bambini.

    E ci teneva particolarmente a che fossero ben vestite per andare alla messa, forse per rifarsi delle umiliazioni che aveva subito da bambina quando, figlia di mezzadri che facevano fatica a mettere insieme il pranzo con le cena, le toccava sempre di portare i vestiti smessi dalle sorelle maggiori che non erano mai della sua misura e già talmente lisi e malandati che a momenti non reggevano più il rammendo.

    Lei di vestiti suoi ne aveva avuto solamente uno e le bambine si divertivano un mondo ad ascoltare la storia di quell'abito e le chiedevano spesso di raccontargliela, quando nelle precoci sere invernali si ritrovavano sedute intorno al camino, le più grandi a cucire o a sferruzzare alla luce e al calduccio del fuoco scoppiettante.

    - Dai, mamma, dicci di quando ti hanno fatto il vestito nuovo.

    E Teresa riandava con la mente indietro nel tempo sorridendo tra sé e sé e raccontava di quell'unico abito fatto apposta per lei. Glielo aveva confezionato la madrina utilizzando una veste ancora quasi nuova di una prozia passata a miglior vita il mese precedente. Questo vestito, Teresa se lo ricordava ancora benissimo anche se allora aveva solo otto anni, era di lana marrone, con un colletto bianco lavorato a crochet che strabordava fin sulle spalle, e a lei sembrava l'abito di una baronessa. Avrebbe dovuto rinnovarlo per andare in chiesa la domenica delle Palme, che era il giorno in cui le mamme, pur nella generale povertà, cercavano di agghindare le figlie meglio che potevano, perché quella del Pascio era da sempre per tradizione la messa dei bambini.

    Teresa si era alzata presto quella mattina, era andata al pozzo ad attingere l'acqua pulita, si era lavata e col pettine bagnato si era ravviata bene i capelli, poi, quando si era fatta l'ora per andare in chiesa, aveva indossato il vestito nuovo.

    Ma proprio mentre stava per incamminarsi, erano entrati nella corte, coll'elegante calesse, i padroni che dalla città venivano a rifornirsi periodicamente di vino, di patate e di pollame.

    A Teresa erano sempre piaciute quelle visite, si incantava a guardare il calesse nero la cui lucentezza era appena appannata dalla polvere della stradetta sterrata, il cavallo marrone dai grandi occhi dolci, il cocchiere con la sua divisa e la lunga frusta in mano, il padrone con la grossa pancia e la catena d'oro dell'orologio che pendeva dal taschino del gilè, e soprattutto la padrona coi guanti di pizzo, le scarpette col tacco chiuse da una lunga fila di bottoncini, e il cappello guarnito di nastri e di piume… La padrona scendeva dal calesse aiutata da suo padre che accorreva sollecito e ossequioso, si lisciava con la mano la lunga sottana, poi faceva ai piccoli del cortile una carezza sulla testa e regalava a ciascuno di loro una caramella di rabarbaro. Ma quella volta Teresa non ne aveva ricavato alcun piacere perché, prima ancora che il vetturino arrestasse il cavallo, la madre le aveva frettolosamente ingiunto di rientrare in casa:

    - Cambiati e mettiti l'altro vestito - le aveva detto - ché la padrona poi pensa che ti faccio fare troppi lussi e magari si convince che rubiamo sulle quote..

    L'umiliazione era stata tanto grande per Teresa, che già da tempo aveva annunciato l'avvenimento alle altre bimbette del cortile, che il giorno di Pasqua, quando finalmente aveva potuto rinnovare, non ci aveva provato nessuna soddisfazione. E quella del vestito bello per andare alla messa, era rimasta la sua mania ed era capace, stanca morta dal lavoro dei campi e della casa, di far nottata a cucire e a far ricami, consumandosi gli occhi alla luce del lume a petrolio, perché le sue bambine fossero sempre vestite meglio delle altre.

    Eh, sì, Battista era proprio orgoglioso delle sue figlie e anche quella domenica, dal primo banco del transetto di destra dove stava ad ogni festa comandata tra gli altri uomini per seguire la messa, allungava il collo, tra un amen e un oremus, per rimirarsele compiaciuto. Se le rimirava sistemate a scaletta nei banchi della navata centrale accanto alla mamma, tra le altre ragazze del paese e gli pareva che le sue figlie brillassero come gioielli, pur nella loro semplicità, confronto alla rozzezza dei tratti e delle vesti delle loro coetanee.

    Ma poi gli venne fatto di girarsi indietro, e dovette subito chiedere perdono a Dio per il suo peccato di irriconoscenza e di invidia: perché proprio dietro di lui, lì nel secondo banco, stava Severino coi suoi

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