Scelgo di vivere...
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Book preview
Scelgo di vivere... - Vincenzo Scalia
anni)
22 novembre 1980
Sono, sola triste e abbandonata dalla felicità.
Non esiste che pena in me. Vivo, sola come quando la vita è alla fine e come quando si è emarginati e la tua compagna non è nient’altro che la solitudine.
Solitudine che parola lugubre per una ragazzina di quindici anni.
Hai tutto ma a un certo punto ti accorgi di non avere niente, hai un ragazzo ma scopri che per lui sei un divertimento, hai un’amica ma scopri che per lei sei niente.
Chi è stato quell’idiota che ha detto che quindici anni sono l’età più bella?
Di quel periodo, si possono leggere tra le righe del suo diario, tanti messaggi di aiuto messi lì, forse apposta, in modo che qualcuno potesse raccoglierli e aiutarla. Sì perché, lei non lo nascondeva quel diario, lo lasciava in evidenza, sperando forse nel suo inconscio, che i genitori lo leggessero e le chiedessero il perché di tutto questo, che ne parlassero con lei anche in tono paternalistico. Almeno le avrebbero dato quella scossa emotiva, lo strattone, di cui aveva tanto bisogno.
Invece, nessuno lesse mai quel diario, nemmeno una delle sue sorelle, in nessun caso lo avrebbe letto, forse per rispetto della sua Privacy.
Certa era, la loro totale indifferenza in merito alle sciocchezze che poteva scrivere una ragazzina a quindici anni su un diario.
Allora che fare? non poteva continuare in quel modo, scappare da casa? Come fanno tanti, per poi mestamente ritornare perché privi di mezzi o sostentamenti? Poi, ci si ritrova sempre, col capo chino davanti all’uscio di casa, da buon figliol prodigo.
No! Doveva ribellarsi e troncare con Mimmo, questi pensieri e altri proponimenti, li annotava sul diario la sera addormentandovici sopra.
Noemi sogna, ma i suoi sogni sono bui, pieni d’incubi orrendi, quasi un avvertimento, una spia d’allarme che vuole dirle: «Scappa, non ti fare prendere, non lasciarti andare». Nei suoi sogni si alternano momenti di terrore che lasciano spazio ad altri verosimili, tanto che, al risveglio non distingue più quale sia la realtà.
Domani per lei, sarà un altro giorno, speriamo non uguale agli altri, vuoti e grigi, che ormai da troppo tempo si susseguono nella vita di questa splendida ragazza che sta crescendo. Forse le manca qualcosa, probabilmente l’amore vero, forse qualche input diverso, forse la vera voglia di vivere, auspicando un’esistenza felice.
Paolo
Un pennello, una grossa scala, un ragazzo, che canticchiando spennella una ripresa di pittura sui muri di un grande appartamento vuoto pronto per essere abitato. Paolo è ormai tutto preso da questa nuova casa, è molto bella, anche se da ripulire, si trova in una zona di Torino che gli piace molto, anche se non conosce ancora nessuno.
Ha lasciato tutti i rimpianti dietro le spalle come il solito, e stranamente sente dentro, la stessa allegria di quando era arrivato in quel paesello sperduto nel Pinerolese. La Città in fondo lo eccita il rumore dei Tram, con il loro scampanellio caratteristico, lo fanno sentire vivo e spregiudicato. Man mano che si completano tutte le opere di pulizia, i mobili occupano il loro posto, creando un ambiente accogliente e discreto. Tutte le discussioni con il padre, alla vigilia del trasloco, si sono dissolte, lasciando spazio a una voglia di conoscere e inserirsi nella caotica vita cittadina.
Paolo trova un lavoro da installatore impiantista, con una ditta che opera nei grandi cantieri, ma continua a studiare privatamente la sera per diventare Geometra. Conosce un sacco di gente nuova e come aveva già fatto in passato, cerca di crearsi una propria vita, dignitosa e laboriosa, consapevole di tutte le responsabilità che ne derivano.
Il padre lo lascia fare tutto orgoglioso di un figlio così a modo. I giorni passano e lui sembra ormai definitivamente inserito del tutto, nella frenetica vita cittadina, frequenta il solito bar degli amici
, gioca a Flipper e sembra che tutto fili per il verso giusto.
Quante cose nuove rispetto a quel paesello nel Pinerolese, lì si andava a dormire presto, alle dieci di sera non vi era più un’anima in giro, mentre in città ancora a mezzanotte si poteva andare in birreria o a mangiare una pizza in compagnia.
Tutto questo lo affascinava a tal punto che a volte esagerava nei rientri a casa, rincasando spesso oltre la mezzanotte.
Ogni mattina, comunque si svegliava puntuale e cosciente del lavoro che lo attendeva e che gli permetteva di guadagnare quei pochi soldi, per non pesare
sulla famiglia.
In questo periodo, purtroppo però, inizia a conoscere quel che si possono definire le cattive compagnie.
Ragazzi per lo più sbandati, un po’ più grandi
di lui, tanti a diciotto anni avevano persino lasciato la famiglia in meridione cercando fortuna al Nord.
Questi ragazzi comunque, invece di cercare un onesto lavoro, tentavano di inserirsi nella piccola malavita di borgata nella grande città. Nutrivano spesso l’aspirazione di entrare a fare parte di qualche Clan malavitoso mettendo in campo come garanzia indiscussa, la loro provenienza