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Il mutevole senso della vita
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Il mutevole senso della vita

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About this ebook

Questa è la storia di Stefano, liberamente tratta da fatti veramente accaduti. Marito fedele e innamorato, padre affettuoso, persona onesta, viene preso di mira da alcuni malavitosi. Duramente colpito negli affetti più cari scopre che il senso della vita, come dice il titolo di questo romanzo, è sorprendentemente mutevole! Messi alle strette anche le persone meno violente trovano giusto ribellarsi: e allora...
LanguageItaliano
Release dateJul 25, 2014
ISBN9786050314724
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    Il mutevole senso della vita - Silvio Santini

    inaccettabile. 

    Personaggi principali

    Stefano    :  E’ il perno dell’intera vicenda. Marito e padre affettuoso ama profondamente la moglie Matilda, bella donna forte e madre generosa .

    Mario : Detto Pilusu (Peloso). Malvivente proveniente dal nord. Un essere duro e spregevole. Molto fedele al suo capo per il quale è disposto a tutto… ma solo fino ad un certo punto!

    Alfio            :  Detto U Tignusu (L’Arrabbiato). Persona terribile, grezza, ignorante e violenta. Il classico manovale della malavita, avvezzo a qualsiasi nefandezza.. Non ha rispetto di niente e di nessuno, nemmeno della propria incolumità. Solo una cosa, al mondo sembra gli interessi veramente: la propria famiglia.

    Ispettore    :  E’ l’Ispettore della Polizia locale. Il suo nome di battesimo non appare mai. Persona molto intelligente tiene la legge in grande considerazione, ma capisce bene quando è il momento di interpretarla in base alle necessità del momento.   

    Angelo        :  E’ una delle tante vittime della malavita. Sa essere riconoscente verso chi lo aiuta e non ha paura di esporsi in prima persona.

    Altri personaggi minori gravitano attorno a questi. Sarebbe inutile e tedioso elencarli tutti, quindi li conosceremo man mano che appariranno sulla scena.

    °°°   

          Il mutevole senso della vita

    La persona sbagliata

    Capitolo I

    Serenamente

    Già da quasi un anno Stefano e Matilda stavano programmando quella vacanza. Finalmente, dopo diversi rimandi dovuti a piccoli e seccanti contrattempi che il normale corso della vita mai non risparmia, tutto si aggiustò e, con grande entusiasmo, riuscirono a partire a bordo del loro camper assieme ai tre figli: Alberto di sette anni e le bellissime gemelline Elisa e Alice di tre anni.

    Il lungo viaggio di trasferimento dal nord, dove abitavano, al sud, dove avevano deciso di trascorrere il loro periodo di riposo, non aveva prodotto nessun fatto di rilievo e, tranquillamente, con grandi risate e allegre chiacchiere, raggiunsero la zona prescelta per turisteggiare: la Sicilia.

    Il primo obiettivo prevedeva il raggiungimento di un’elevata quota in montagna.

    Arrancando sulla strada in salita, il camper impegnava tutti i cavalli che il motore riusciva a mettere a disposizione; cosa comprensibile, giacché doveva trascinarsi dietro una casa viaggiante a pieno carico, sia per l’acqua di scorta (trecento litri), sia per la ‘carne’ (cinque persone), sia per tutto il resto necessario alla vita nel nostro mondo ricco di comodità. Comunque, nitrendo con allegria, i cavalli-vapore facevano il loro lavoro e il grosso mezzo guadagnava quota a ogni tornante, salendo sempre più in alto sul fianco del grande vulcano: l’Etna.

    L’asfalto si snodava attorcigliandosi lungo la salita, a tratti immersa nella folta vegetazione oppure incassata fra rocce laviche. Ogni tanto, dal lato del mare, l’assenza momentanea di alberi alti e la presenza di rocce più basse delle altre, lasciavano intravedere un largo panorama.

    In quei tratti aperti il giorno radioso permetteva allo sguardo di spaziare lontano, galoppando in discesa sulla fiancata del vulcano tormentata dalle rocce di lava raffreddata e poteva spingersi fino all’orizzonte, posandosi infine sull’immenso blu profondo del mare… laggiù… lontano… dove i piedi del monte affondano nell’acqua salata.

    Decisamente un ambiente naturale piacevole. Certo il confronto fra la tortuosa stradina che stavano percorrendo e la comoda autostrada appena lasciata faceva soffrire Stefano che, già tormentato dal caldo, temeva che il motore, pur così generoso, si surriscaldasse nel superare quella gravosa prova di forza. Per questo teneva nervosamente d’occhio l’indicatore della temperatura del radiatore; ma tutto sembrava funzionare senza alcun problema.

    Avevano lasciato il nastro autostradale all’uscita di Piedimonte Etneo inoltrandosi lungo la bella stradina che porta al Piano Provenzana, loro destinazione ultima prevista per quel giorno. 

    Nonostante l’ago dello strumento che misura la temperatura rimanesse serenamente fermo sulla riga verde, quando giunse alla bella costruzione in pietra rossa del Rifugio Ragabo, Stefano decise che una sosta prolungata avrebbe fatto bene sia al motore sia a tutti loro. Da consumato pilota di camper parcheggiò facilmente il grosso mezzo nell’apposito spazio, godendosi la palese ammirazione dei pochi astanti che avevano assistito alla manovra.

    Con allegro rumore e spumeggiante comportamento dei giovani, tutta la famigliola salì i gradini della breve scala che conduceva alla porta d’ingresso del bar. Poi, ognuno ordinò la propria consumazione che fu appoggiata sopra uno dei tanti tavoli liberi disponibili nella sala. Proprio su quel tavolo faceva bella mostra di sé un piccolo depliant colorato che spiegava come, in poche decine di minuti, si poteva raggiungere la vicina Grotta di Corruccio, completamente immersa nel profondo verde della boscaglia. Tutti furono immediatamente d’accordo di concedersi questa modesta escursione a piedi, in mezzo agli alberi e all’aria che sapeva di mare e di pineta, nell’attesa che il motore del camper riprendesse fiato.

    Infatti, seguendo le facili istruzioni e le indicazioni generosamente disposte sul cammino, in meno di mezz’ora arrivarono alla grotta. In realtà si trattava solo di una rientranza, profonda appena una trentina di metri che, si diceva, fosse stata abitata dai cavernicoli molte migliaia di anni prima. La cosa non destava nessun particolare interesse per cui, sempre vociando allegramente, la piccola compagnia intraprese subito la breve passeggiata di ritorno, immersi nella lussureggiante vegetazione che permeava tutto il mondo circostante.

    Appena approdarono al parcheggio risalirono subito sul camper e con un’altra agile manovra sempre seguita dallo sguardo un po’annoiato degli astanti seduti nel dehor, Stefano, dopo aver costatato con un’occhiata che la temperatura del motore fosse scesa, ripartì con decisione verso il traguardo finale: il magnifico panorama del Piano Provenzana.

    I cavalli-vapore ricominciarono a scalpitare superando i tornanti, mentre una delle gemelline raggiunse il bagno con l’intenzione di lavarsi le mani. Quando ne uscì, si diresse, con cautela per non perdere l’equilibrio a ogni curva, verso il sedile del posto di guida. Quivi giunta disse al padre, con la sua vocina infantile che tanto piaceva a Stefano: - Papà, nel bagno c’è una piccola luce rossa che lampeggia…-

    Le due gemelline erano la luce dei suoi occhi.

    - Grazie, Elisa. – Rispose Stefano, girando per un attimo la testa verso di lei. Le gemelle si distinguevano con molta difficoltà una dall’altra, ma i genitori ci riuscivano benissimo, con meraviglia di tutti i loro amici che non sapevano mai con quale delle due stessero parlando. – Hai fatto bene a dirmelo, tesoro. Quella lucina lampeggia perché vuol dire che c’è un serbatoio pieno e lo devo svuotare. Queste cose vanno fatte subito. Lo faremo appena troverò una rientranza in tutta questa vegetazione. Sai, le acque che scarichiamo fanno molto bene alle piante, poiché, proprio per questo, non aggiungiamo nessuna sostanza chimica nel serbatoio. – La spiegazione, anche se un pochino difficile per una bimba così piccola, esprimeva la volontà dell’uomo di rendere partecipe i figli al rispetto per la natura.

    La graziosa bambina annuì con convinzione e tornò a sedersi alla dinette a giocare con i fratelli. Del resto lo scarico delle acque reflue rappresentava un’azione ripetitiva, una routine che veniva eseguita molte volte durante ogni escursione col camper.

    Nemmeno un chilometro dopo Stefano notò, nel rigoglioso muro di vegetazione che affiancava la strada, una rientranza che, seppur piuttosto stretta, gli sembrò sufficiente ad accogliere il grosso mezzo. Approfittando della libertà concessa dalla completa mancanza di traffico e con la solita disinvoltura nella guida, s’inserì velocemente a marcia indietro in quello che sembrava l’inizio di un corto tunnel aperto nel muro verde del bosco. I rami della vegetazione, cresciuti incolti, grattarono contro le fiancate lucide del camper con uno scricchiolio che suscitò un mormorio di disapprovazione da parte della bella moglie. In effetti, l’uomo non era molto geloso della carrozzeria e la strisciava frequentemente, con una certa noncuranza. Lui era assai più interessato alla parte tecnica del mezzo, sempre efficiente, piuttosto che alla vernice esterna.

    - Non preoccuparti Matilda. – la tranquillizzò Stefano con la sua voce profonda. – Non resterà nessun segno sulla carrozzeria. Questi rami sono giovani e morbidi! – E sorrise con bonarietà all’espressione burbera di lei, allungandosi sul sedile per stamparle un bel bacio sull’angolo della bocca. Poi fermò il motore e scese, facendosi strada a forza nell’invadente vegetazione per raggiungere la zona posteriore del mezzo, dov’era situato il rubinetto di scarico delle acque grigie.

    Annaspando fra i rami e gli alti cespugli emerse dietro al camper, nella zona libera dal verde. Girando lo sguardo osservò che la stretta apertura nella vegetazione nella quale si era incuneato, non era una rientranza, bensì sembrava uno stretto sentiero che continuava tanto lungamente da perdendosi alla vista, profondamente inserito nel folto del bosco retrostante. Saltava agli occhi in maniera evidente che da molto tempo nessuno aveva percorso quello strano camminamento e le erbe, alte e cespugliose, avevano invaso la pur ridotta larghezza del sentiero che, chiaramente, in passato era stato percorso molte volte.

    Pensando a tutto ciò, si chinò, allungò una mano sotto il camper, trovò il rubinetto e lo aprì. L’acqua cominciò a scolare, formando una pozza sullo stretto sentiero e disperdendosi in mille rivoli fra le piante.

    - Matilda! – Gridò per farsi sentire. – Mi addentro un attimo in questo sentiero…sono curioso di vedere dove va a finire!-

    - Va bene… – Rispose la voce squillante di lei. – Ma non star via molto…non mi piace essere così stretta in mezzo agli alberi. Non possiamo neanche scendere…!-

    - Ok!...Ok!...Torno subito! – E s’incamminò, addentrandosi nel folto.

    Il sentiero, pur così stretto, proseguiva a lungo nel fitto bosco. Riparandosi gli occhi con le mani per evitare che i sottili rami onnipresenti gli balzassero dolorosamente sul viso, Stefano percorse almeno mezzo chilometro, prima di scoprire che terminava improvvisamente contro il muro formato dalla densa vegetazione, senza nessuna ragione visibile.

    Con un’espressione dubbiosa sul viso, l’uomo pensò che non ci fosse motivo di aprire un sentiero così lungo, in una vegetazione tanto folta, per poi terminarlo improvvisamente senza una ragione apparente in modo assolutamente anonimo. Le cose potevano essere solo due: o chi lo aveva fatto aveva tempo da perdere scioccamente, oppure doveva esserci qualcosa di nascosto nelle vicinanze. 

    Incuriosito osservò il suolo con grande attenzione e, dopo poco, vide che la vegetazione posta a sinistra del sentiero sembrava cresciuta in modo diverso. Deciso come un pompiere, a forza di braccia, aprì i cespugli in quella direzione e penetrò nel folto, abbandonando il sentiero, mentre i vestiti s’impigliavano continuamente nei mordaci e insistenti rametti.

    Non percorse molta strada.

    Nemmeno dieci metri dopo una piccola radura si aprì davanti ai suoi occhi, anche questa invasa da cespugli cresciuti incontrollatamente. Nel mezzo di questo piccolo spiazzo, giaceva, evidentemente abbandonato da molto tempo, un vecchio e ammaccato container.

    Aperto e completamente vuoto, aveva appariscenti macchie di ruggine ma, con un po’ di ottimismo, si poteva dire che era quasi nuovo. Domandandosi cosa mai avesse spinto qualcuno a portare una cosa tanto ingombrante in un posto così isolato e scomodo, Stefano si fece largo ancora fra la vegetazione per aggirare la grande scatola d’acciaio e poterla osservare sul retro. Scoprì allora che, completamente nascosto in mezzo al verde, a pochi metri di distanza, si trovava un altro container, in pratica uguale al primo. Incuriosito al massimo, l’uomo si spinse anche dietro di questo e ne scoprì un terzo.

    Esattamente uguali fra loro, nel bel mezzo di un bosco densissimo di piante e cespugli, in un posto assolutamente isolato, Stefano aveva scovato ben tre containers in evidente stato di abbandono. Completamente vuoti, macchiati dalla ruggine e ammaccati qua e là, ma ancora utilizzabili.

    Il cellulare che aveva in tasca cominciò a cantare e lui rispose volentieri a Matilda che voleva sapere dove mai fosse finto. La tranquillizzò facilmente con una frase spiritosa e chiuse la comunicazione.

    Pensieroso, restò qualche minuto a osservare ciò che aveva scoperto, domandandosi come caspita avessero fatto gli autori di questa iniziativa, per riuscire a sistemare tre pesi massimi così ingombranti, tanto lontano dall’asfalto e in mezzo a quel putiferio di alberi. Poi, dopo aver scosso alcune volte la testa con una smorfia d’incomprensione sul viso, s’incamminò sui propri passi per tornare al camper.

    Quivi giunto dovette sopportare le giuste rimostranze di Matilda che, diceva, si era impensierita per la lunga assenza del marito. Lui raccontò brevemente ciò che aveva trovato e, discutendo sulle possibili ragioni che avevano mosso gli autori di quella strana sistemazione, conclusero che si trattava di una specie di deposito, organizzato da qualcuno che voleva tenere nascosto qualche cosa e che, poi, era stato abbandonato per finita necessità. Magari non è andata proprio così, pensarono, ma questa ipotesi metteva fine all’incidente e non ne parlarono più.

    Non avevano sentore che quella scoperta sarebbe stata, per loro, molto significativa nei prossimi giorni.

    Ritornato il buonumore, la magnificenza del panorama continuò a essere la principale attrazione del momento e così, di tornante in tornante, ogni svolta della strada produceva una nuova emozione dovuta alla visuale dello scorcio, sempre diverso, proposto dalla natura. I colori enfatizzati dal sole, l’aria salubre e frizzantina, la piacevole mancanza di traffico e l’amore che li coinvolgeva fin dai primi momenti di vita assieme, resero quell’escursione sul vulcano un piacevolissimo episodio del viaggio.

              Così, quel giorno, sulle pendici dell’Etna, pensavano che si sarebbero proprio goduta la tanto sospirata vacanza. 

    Ma il caso, alle volte, fa in modo che il prevedibile non accada e l’inimmaginabile diventi il vero scopo della tua vita.

    Capitolo II

    La tragedia

    Nel volgere di un’ora, apparsa molto breve ai nostri impegnati com’erano a gustarsi le meraviglie del vulcano più grande d’Europa, giunsero senza problemi al Piano Provenzana. Da quel sito, comodo e tranquillo, lo sguardo abbraccia uno dei panorami più belli in assoluto al mondo.

    Lo spazio per il parcheggio non mancava di sicuro in quella piana, perfettamente asfaltata e comoda sotto ogni punto di vista e in quel momento così poco frequentata. Il progettista di quella località aveva tenuto bene in conto le esigenze di chi, turisteggiando spensieratamente, avrebbe raggiunto quel posto ameno. Infatti, era presente un confortevole rifugio dotato di bar, ristorante, alcune camere e piazzole di pernottamento per i camper, che rendeva maggiormente gradevole la sosta. Inoltre la seggiovia per il Monte Conca e il grande cratere funzionava regolarmente, anche se, in quell’inizio stagione, i turisti scarseggiavano ancora.

    Approfittando di questo, la famigliola partì immediatamente per la cima prendendo posto sulla seggiovia. Giunti al rifugio, dopo una breve passeggiata nell’aspro paesaggio, si godettero il panorama del grande cratere Centrale, sempre fumante e ribollente di rossa lava. Spettacolo impressionante e gratificante. Poi risalirono sulla seggiovia e tornarono al Piano. Affamati da tutto quel moto e dall’aria fresca e odorosa di verde, fecero onore alla cena, come sempre ottima, che Matilda sapeva confezionare con abilità, utilizzando pentole e padelle nella cucinetta del camper.

    Dopo un paio d’ore di chiacchiere e molte serene risate, tutti s’infilarono nel proprio comodo letto. La notte trascorse tranquilla, sepolta nel totale silenzio del luogo rotto soltanto e piacevolmente dal verso di qualche uccello notturno.

    Il mattino dopo la sveglia suonò all’ora giusta e, come previsto, tutti rimasero abbagliati dallo spettacolo che la natura stava mettendo in scena con abbondanza di grandiosi particolari.

    Il lettore, ora, dovrebbe concentrarsi su quello che leggerà e provare a immaginare di essere là: all’alba, nel silenzio profondo sottolineato dal trillo degli uccelletti in volo, il sole spunta, maestoso e rutilante, dalle acque del mare, illuminando sia l’intero orizzonte di rosso e di giallo e, con splendide tonalità di rosa scuro, sia lo spettacolare Stretto di Messina con la Calabria visibile per intero da quella quota. Poi, dopo essersi riempiti gli occhi di questa solenne maestosità, finalmente l’attonito spettatore riesce a distogliere lo sguardo dalla magnetica visione e si gira per guardare alle proprie spalle. E’ così costretto ad alzare notevolmente il viso, con la bocca aperta dallo stupore, per osservare l’imponente vetta del vulcano che lo sovrasta, alta nel cielo e perennemente fumante, sempre coperta di neve, anch’essa dipinta dal sole con una diversa e tenue sfumatura di rosa.

    Spostando, poi, lo sguardo verso destra, gli occhi si riempiono con la vasta distesa della Vallata del Bove.  Quando l’Etna erutta con rabbia, innervosita da cose che solo lei può capire, la lava si sfoga colando abbondante

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