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C'eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano
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Ebook348 pages13 hours

C'eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano

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About this ebook

Un emozionante viaggio nel grande cinema italiano attraverso i film che hanno fatto epoca, i volti più amati e indimenticabili e gli autori che hanno firmato i leggendari capolavori e hanno conquistato il cuore di milioni di spettatori in tutto il mondo. Un omaggio alla più entusiasmante avventura culturale prodotta nel nostro Paese nel Novecento. Per conoscere, scoprire e amare il grande cinema italiano.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2014
ISBN9786050327731
C'eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano

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    C'eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano - Alessandro Chiello

    Hitchcock

    Introduzione

    Serata al cinema. Sono andato a vedere insieme alle mie figlie Spider Man 3. Carino. Effetti speciali a iosa, vorticosi inseguimenti, ritmo serrato, attori simpatici e bellocci. Tutto qua! Per un paio d’ore ci siamo divertiti e non abbiamo pensato a niente aggrediti da quelle sequenze travolgenti e rumorose. Un gelato e poi siamo tornati a casa…

    Ma non sono soddisfatto e accendo la televisione. Mille canali e niente di interessante… No, anzi: un film sta per cominciare, riconosco subito tra i protagonisti i volti familiari di Vittorio Gassman e Nino Manfredi. Ma sì un quarto d’ora e poi a nanna!

    Impossibile… Letteralmente rapito da una storia bellissima raccontata ed interpretata da sublimi artisti. Il film che mi ha riconciliato con questa forma d’arte scaturita dal sogno più affascinante dell’uomo, un sogno che ha percorso e narrato la storia del secolo passato come nessun’ altra manifestazione del genio umano ha saputo fare. La vera forma d’arte del Novecento, come affermava perentoriamente Federico Zeri, che d’ arte, e di arti, se ne intendeva. Quante emozioni, che tumulto di sentimenti, di pensiero, di azione, di commozione, di orrore, di vita insomma, ha saputo narrare questo sogno chiamato cinema!

    Dicono che oggi il cinema sia in crisi… Forse… Boh? Non sono un critico cinematografico e quindi non me ne occupo, la mia unica competenza in questo campo è quella di sapere emozionarmi davanti a un capolavoro impresso su una pellicola. Eccomi dunque qui con voi, a vagare con la mente tra le pellicole che mi hanno indotto a sognare, a piangere, a riflettere, e prendendomi per mano mi hanno guidato a spasso per il più sensazionale parco dei divertimenti mai concepito da fantasia umana, rendendomi felice. Che è poi la vera ragione d’essere del cinema. In particolare voglio soffermarmi sul cinema italiano della seconda metà del Novecento e sui suoi protagonisti: attori, attrici, registi, che hanno realizzato questo sogno.

    Mi sono reso conto che è stato proprio il cinema il campo in cui  l’ Italia, ferita e umiliata dalla seconda Guerra mondiale, ha miracolosamente raggiunto l’eccellenza grazie ai volti degli attori e delle attrici, insieme alle personalità dei più grandi registi e degli ispirati sceneggiatori, in un mix di genialità ed estro che ha glorificato la nostra povera nazione, che in questo periodo appariva ben più modesta negli altri ambiti sociali del periodo che abbiamo preso in considerazione. Il Made in Italy è nato con il cinema del dopoguerra.

    Noi italiani ne siamo consapevoli? Non posso dimenticarmi di una serata parigina di qualche anno fa: camminavo affascinato per le stradine del Quartiere Latino, quando notai con stupore una consistente fila di persone all’ingresso di un cinema. Una prima visione mi dico oppure l’ultimo grande successo americano. Invece era la proiezione con sottotitoli de I Soliti ignoti, capolavoro di Monicelli datato 1958! Beh, credetemi, mi sono sentito fiero della mia patria!

    Ecco quindi un personale, modestissimo, omaggio ai capolavori assoluti del cinema del Secondo Novecento e ai loro autori, i migliori non secondo la critica specialistica, che a volte non ci ha azzeccato granché, ma secondo il punto di vista di un semplice e profano amante del buon cinema. E del nostro paese.

    A proposito il film che quella sera dopo il cinema davano in tv, e che mi ha così tanto emozionato da riempire il vuoto intellettivo ed emotivo lasciatomi da Spider Man 3 era C’eravamo tanto amati di Ettore Scola: un’opera eccelsa, che mi ha stimolato ad andare alla ricerca di tutti gli altri film del suo genere che erano sepolti nella mia memoria. Li ho riveduti con rinnovato interesse, e inalterate si sono manifestate le intense emozioni che solo un film che sia anche un’opera d’arte può regalare. E a questo bellissimo film rubiamo con gratitudine e umiltà il titolo per questa vera e propria hit parade di capolavori e dei loro straordinari protagonisti.

    Un’operazione di pura nostalgia, che mi piace condividere insieme a voi, coraggiosi lettori, sperando di facilitare a chi ne fosse digiuno l’approccio al mondo del cinema di qualità, solitamente oscurato da una miriade di produzioni di livello mediocre (eufemismo…), unicamente dettato da interessi commerciali.

    Il volume si articola sulle recensioni dei miei film più amati, corredati da una piccola antologia critica e da una sezione dedicata ai premi vinti e alle location. Ulteriori approfondimenti sono riservati agli attori, alle attrici e ai registi che mi hanno emozionato maggiormente. La scelta è chiaramente personale e quindi parziale e incompleta, ma vi assicuro sincera ed appassionata.

    a.c.

    C’eravamo tanto amati. Ettore Scola - 1974

    Gianni, Antonio e Nicola sono tre amici uniti dal pericolo e dalla fame di libertà che ha accomunato tanti italiani durante quell’eterogeneo movimento della storia del nostro paese chiamato Resistenza. Tre partigiani impegnati a preparare un ordigno contro i mezzi cingolati dell’esercito tedesco durante la sua dolorosa quanto crudele ritirata.

    Tre amici, tre combattenti legati dal pericolo e dagli ideali: "Quando si rischia la vita con qualcuno ci rimani sempre attaccato come se il pericolo non fosse passato mai", queste parole possono riassumere il senso della loro amicizia, che sembra intramontabile come gli ideali per i quali rischia la vita la loro generazione. Arrivano i giorni gloriosi della vittoria… C’è un paese da ricostruire, ovviamente in nome degli ideali per cui si è rischiata la vita.

    Un paese nuovo che non conosca più la vergogna della dittatura; un paese costruito sulla pace e sul diritto al lavoro per tutti, magari rischiarato da quel sol dell’avvenire tanto atteso per riscaldare la generazione di Gianni, Antonio e Nicola. Si scende dalle montagne, si ritorna alla vita di ogni giorno, c’è una nuova vita da ricomporre tra le macerie che ha lasciato la guerra.

    Gianni torna a Milano per concludere i suoi studi per diventare avvocato; Nicola al suo paese del sud per insegnare in veste di professore alle nuove leve gli ideali su cui fare affidamento per un paese migliore. Antonio torna al lavoro che aveva prima della guerra: il portantino in un ospedale. Antonio si innamora di Luciana, un’attricetta sbarcata nella grande capitale da un paesino di provincia in cerca di fortuna… Ne nasce una storia d’amore lunga, travagliata, osteggiata e, a dir poco, logorante.

    Gianni, tornato nella capitale per farsi una posizione, ritrova Antonio nella mitica osteria della Mezzaporzione, proprio alla vigilia delle drammatiche e decisive elezioni del 1948. L’ingenuo e onesto Antonio presenta con orgoglio Luciana a Gianni ma ecco subito il colpo di fulmine. "Saremo onesti o felici?", si chiede il neo avvocato Gianni quando si scopre innamorato della ragazza del suo migliore amico.

    Naturalmente sceglieranno la felicità, destinata però ad essere sacrificata in nome della carriera, che renderà Gianni ricchissimo ma profondamente solo ed infelice. Il buon Nicola da Nocera Inferiore invece sacrifica la tranquilla carriera di professore di provincia e la famiglia, in nome dei suoi ideali da frustrato intellettuale anarcoide che lo spingeranno a Roma, dove lo attenderà un futuro povero e in fondo inconcludente.

    Sullo sfondo delle vicende dei tre vecchi partigiani si agita la storia d’Italia, quella della ricostruzione, in cui si arricchiscono solo gli speculatori, i palazzinari, quella in cui un semplice portantino ausiliario come Antonio resta ausiliario tutta la vita, ma trovandovi comunque l’indispensabile per vivere con dignità secondo i suoi principi.

    La struttura narrativa non è lineare, disseminata com’è di flash-back, di citazioni colte e ironiche, di cambi espressivi ben sottolineati da una regia illuminata e ingegnosa. Il bianco e nero si alterna al colore per un capolavoro commovente, bellissimo, "più oltre", per fare il verso a fallito professore di Nocera Infe-riore, firmato da uno dei migliori registi del nostro cinema, sensibilissimo nel tracciare i ritratti di personaggi sconfitti dalla storia e dalle loro stesse scelte. Splendido l’omaggio al cinema italiano del dopoguerra compiuto da Scola con l’inserimento di sequenze tratte da Ladri di biciclette, della ricostruzione del set della Dolce Vita, con la divertita e compiaciuta comparsata di Fellini e Mastroianni nella parte di loro stessi, e infine le immagini di Vittorio De Sica (a cui il film è dedicato) a pochi mesi dalla scomparsa. Memorabile è anche la piacevole ricostruzione di Lascia o raddoppia con un Mike Bongiorno ringiovanito di vent’anni.

    La storia d’Italia non può essere evocata senza almeno qualche rimando al nostro cinema, forse uno dei pochi motivi di orgoglio nazionale che ci ha consegnato il secolo scorso. Il neorealismo, De Sica, Rossellini, Fellini, Totò, Sordi e gli altri giganti della commedia all’italiana sono le nostre medaglie al petto, sono i nostri cimeli, le nostre glorie nazionali. Un tempo avevamo Garibaldi e Mazzini, adesso abbiamo il nostro cinema. E lo stiamo anche dimenticando.

    Per un capolavoro non basta un grande regista, non bastano gli sceneggiatori più grandi - Age e Scarpelli con Suso Cecchi d’Amico per la cronaca -, non basta l’incantevole colonna sonora di Armando Trovajoli, che seguirà Scola in tutta la sua carriera. Ci vogliono soprattutto grandi attori e il regista va sul sicuro: Gassman, perfetto nell’incarnare la figura cinica, sofferente e solitaria di Gianni nella sua parabola da colto avvocato idealista a truffaldino magnate della finanza, tra un matrimonio d’interesse con la figlia del palazzinaro Fabrizi e una felicità sacrificata nel nome del potere e del denaro. Il suo tuffo solitario in piscina, con cui si apre e chiude il film, è simbolo della sua parabola da sconfitto.

    L’intellettuale patetico e inconcludente è messo in scena da un Stefano Satta Flores in gran forma, che ha dato la migliore interpretazione della sua carriera, stroncata troppo presto da una grave malattia a soli 48 anni. Significativo anche in questo caso, il personaggio di Nicola, critico cinematografico entusiasta dell’epopea neorealista e professore frustrato nelle sue ambizioni che incarna alla perfezione il ruolo di esponente della cosiddetta intellighenzia di sinistra, che ha dominato la cultura del nostro dopoguerra e si è arroccata in se stessa, difendendo le sue prerogative e allontanandosi di fatto da quel popolo che voleva redimere. La battuta più bella del film, e una delle più efficaci dell’intero panorama cinematografico italiano, è quella pronunciata da Nicola mentre osserva dal vivo il mito della sua vita, quel Vittorio De Sica regista di Ladri di biciclette, film che aveva cambiato la sua vita ispirando gli ideali che alla fine decreteranno la sua sconfitta: "Volevamo cambiare il mondo e alla fine il mondo ha cambiato noi!".

    Nino Manfredi è infine Antonio, il coerente e testardo proletario che rimane fedele a se stesso e alle idee per cui aveva combattuto durante la Resistenza. Rimane fedele, anche perché non avrà altre alternative, a una vita di lotte, a una vita di lavoro come portantino d’ospedale, a un grande amore che alla fine trionferà. Forse egli è l’unico personaggio positivo del film, quello al quale il regista affida il suo messaggio di speranza in un contesto storico confuso e pericoloso come quei grigi anni settanta che incendieranno l’Italia di odi e di bombe.

    E poi ci sono due attrici bravissime: Stefania Sandrelli, incantevole come sempre, è matura e perfetta nel dare vita all’ingenuo e disordinato oggetto del desiderio dei tre amici, di Antonio soprattutto che alla fine la spunterà. Scoperta da grandi registi come Luciano Salce e Pietro Germi, splendida interprete per il miglior film di Antonio Pietrangeli, Io la conoscevo bene (1965), trova in Scola l’autore che forse meglio la valorizzerà come attrice di spessore, come dimostrano le successive prove de La Terrazza (1980) e La Famiglia (1987). Anche la Ralli ci offre la migliore interpretazione in una carriera lunga e altalenante, impersonando Elide, la sfortunata Elide, sposata per interesse dal cinico Gassman. Nel film la troviamo prima imbruttita e ingrassata, ignorante e ingenua, che trova la lettura di Dumas "un pochino tosta che offre al futuro fidanzato una coppa di schiumante", e poi bella e sofisticata, moglie di un uomo che la evita e che registra su cassette le sue elucubrate alienazioni: una trasformazione che solo un’attrice di rango poteva rendere al meglio.

    Infine una citazione la merita la splendida presenza del veterano Aldo Fabrizi nella sua ultima interpretazione importante: l’indigesto corruttore Romolo Catenacci che riassume in sé tutti i mali degli ignobili speculatori che si arricchirono vergognosamente nell’Italia del dopoguerra, foraggiando politici e magistrati in barba a legge e morale in nome del dio-denaro.

    La critica e le parole dei protagonisti

    Il film possiede un’amarezza di fondo e una forza evocativa ancora oggi di grande effetto. E’ come se la commedia all’italiana, al canto del cigno, si piegasse a riguardare trent’anni di storia attraverso i suoi disillusi rappresentanti.

    Roy Menarini

    Questo film dolce amaro, più sentimentale che intellettuale, (…) questa pel-licola sull’amore e sull’amicizia, sulla decadenza dell’amore e dell’amicizia… ciascuno dei tre protagonisti è un po’ Scola e un po’ tutti noi: infatti, essi rappresentano tre aspetti di un personaggio unico, quello di un italiano con le sue contraddizioni interne, le stesse che oggi ci perseguitano.

    De Santi e Vittori

    Scola riannoda il senso della storia collettiva, ridefinendo le tappe del viaggio dei suoi personaggi attraverso momenti obbligati per la storia degli italiani. Speranze, utopie, fame, benessere, battaglie culturali vissute con grande partecipazione e perdute regolarmente, rinunce, grandi e piccole passioni, vigliaccherie, compromessi, ma anche piccole riserve di capacità di pensare ancora ai mondi possibili, costituiscono il bilancio che l’autore traccia, facendo pesare la propria presenza, il proprio coinvolgimento, firmando il suo primo patto autobiografico con la storia di una generazione.

    Gian Piero Brunetta

    "Dopo C’eravamo tanto amati, per il cinema e per la società italiana si apre solo il tempo della confusione, della rabbia, del rimorso. E contemporanea-mente, nasce la spiacevole sensazione di sentirsi sospesi sul vuoto: politico, estetico, culturale.

    Aldo Viganò

    Premi e location

    Considerato unanimemente come il vero capolavoro di Ettore Scola, ha vinto molti premi prestigiosi, tra i quali spiccano tre Nastri d’argento, la Grolla d’oro del premio di Saint Vincent, il Premio d’oro al Festival internazionale di Mosca.

    Il film è stato girato quasi completamente a Roma. Il mitico ristorante del "Re della mezzaporzione" in piazza della Convenzione, dietro al Campidoglio, non esiste più: al suo posto troviamo un altro ristorante, più moderno ma meno affascinante. Ancora al suo posto la fontana dove beve Gassman durante una litigata dei suoi amici. Facilmente riconoscibile la location di piazza Caprera, dove nel film s’affacciava la Pensione Friuli in cui la Sandrelli cerca di farla finita dopo la chiusura del suo rapporto con Gassman. In più, rispetto ad allora, possiamo ammirare una fontana al centro della piazza. La location della prima e ultima scena del film, la lussuosa dimora di Gianni Perego/Gassman, è ubicata lungo la Cassia, a nord della capitale, ed è nota come la villa dell’Olgiata, più volte utilizzata nella storia del cinema italiano.

    Ettore Scola

    L’ultimo regista della grande tradizione italiana ancora vivente, Ettore Scola rappresenta la memoria storica della commedia all’italiana, prima come straordinario sceneggiatore, poi come regista tra i più significativi, assai apprezzato anche all’estero.

    Nasce nel 1931 vicino ad Avellino, ma ben presto trapiantato a Roma, dove svolgerà la sua brillante carriera, fu umorista per il mitico settimanale Marco Aurelio, vera palestra per molti protagonisti del nostro cinema, come il suo amico Federico Fellini. Dai primi anni Cinquanta, insieme a prestigiosi colleghi, firma una cinquantina di sceneggiature, fra le quali spiccano capolavori come Il Sorpasso (1962), I Mostri (1963), Io la conoscevo bene (1965). Nel ’64 il debutto alla regia con Se permettete parliamo di donne con Vittorio Gassman istrionico protagonista.

    Autore intelligente e preparato, acuto osservatore della realtà sociale del nostro paese negli anni del boom economico, e ancora di più nei cupi scenari del decennio successivo, ebbe uno sguardo ironico, a volte divertito, più spesso amaro e malinconico. Era il vero erede della stagione d’oro della commedia all’italiana, con una produzione di spessore che, con fisiologiche oscillazioni, ha accompagnato gli ultimi decenni del cinema italiano. Sotto la sua direzione, autorevole ma non autoritaria, sono passati tutti i grandi del nostro cinema da Sordi a Gassman, dalla Sandrelli a Mastroianni, da Manfredi a Tognazzi.

    Ecco i film diretti da Ettore Scola che mi sono più cari e che non dovrebbero mancare nella vostra videoteca, oltre a Una giornata particolare (1977), che meriterà un capitolo a parte.

    Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa (1968) Quinto film di Scola, è un road-movie che da Roma porterà un agiato editore, un Alberto Sordi in gran vena, nel cuore dell’Angola, sulle tracce del cognato (Nino Manfredi, che comparirà verso la fine del film, negli improbabili panni di uno stregone) disperso da tempo. In questa tragicomica avventura sarà accompagnato dal suo ragioniere di fiducia, l’irresistibile Bernard Blier.

    Un film divertente, ma anche precursore del tema della fuga dalla società del benessere verso mondi lontani ed esotici, materia che sarà ripresa e celebrata da Gabriele Salvatores trent’anni dopo. Paesaggi incantevoli, dialoghi brillanti, sceneggiatura briosa firmata dal regista stesso e dall’inossidabile duo Age e Scarpelli. Il regista in alcune sequenze mostra ancora incertezze e uno stile ancora non ben definito, ma centra l’obiettivo di una gradevole commedia, che sbancò al botteghino con oltre 2 miliardi di incasso e rappresentò il suo primo grande successo commerciale.

    Il Commissario Pepe (1969)Malinconico ritratto satirico di una cittadina veneta, della sua ipocrisia, di vicende a sfondo sessuale travestite da un falso e insopportabile perbenismo. Èlo stesso scenario già indagato (e condannato) tre anni prima da Pietro Germi nel suo capolavoro Signore e signori. La grande interpretazione di Ugo Tognazzi ci regala un personaggio amaro e disilluso, alle prese con uno scandalo che coinvolge potenti notabili e che, fatalmente, dovrà essere taciuto e italianamente dimenticato. Sceneggiato dallo stesso Scola con il sodale Ruggero Maccari. Da non perdere!

    Brutti sporchi e cattivi (1976) film pesante, addirittura sgradevole, racconta la vita di una baraccopoli romana anni ’70, precisamente le vicende della famiglia (famiglia?) di Giacinto, un emigrante pugliese che vive coi suoi tanti figli in una baracca, nella quale tra squallore, sporcizia e promiscuità convivono anche le mogli e nipoti vari. E perché no?, anche la sua amante-prostituta. Una grottesca e spesso eccessiva commedia sulla miseria e sui suoi effetti, devastanti anche moralmente, in grado di uccidere l’umanità e la dignità delle persone mentre ne altera i comportamenti.

    Nino Manfredi dà una magistrale prova d’attore nel ruolo più difficile della sua lunga carriera, ben spalleggiato da una folta schiera di caratteristi. Il coraggio di Ettore Scola nel mettere in scena questa "terrificante farsa tragicomica e antipopulista" (Menarini) sarà riconosciuto dal Premio per la miglior regia al Festival di Cannes. La celebre location con le baracche fu assemblata per l’occasione sul Monte Ciocci, a poche centinaia di metri da San Pietro, e presto smantellata dopo la fine delle riprese del film.

    La Famiglia (1987) narra un secolo di storia familiare, dagli inizi del Novecento agli anni Ottanta. Lo scenario è un appartamento della media borghesia romana, dove si avvicendano le alterne fasi di un nucleo familiare numeroso ed eterogeneo. Vittorio Gassman impersona con sobria misura un professore di lettere, che vede mutare il mondo intorno a sé dagli anni turbolenti del Fascismo al complicato dopoguerra: i rapporti familiari e gli umori delle varie epoche si succedono mediate dalle pareti dell’appartamento, vero trait d’union della trama e dei personaggi.

    Due foto di gruppo circoscrivono il film, nel quale l’evoluzione delle dinamiche interne della famiglia sono condizionate tanto dalla storia familiare quanto da quella reale. Èun film sulla memoria, sul tempo che passa, sulle ferite che si sanano e su quelle che non si cicatrizzano; un foltissimo gruppo di bravi attori spesso impiegati per pochi ma incisivi ciak; un’opera corale diretta con ispirazione ed eleganza per la migliore prova della maturità di Ettore Scola.

    Per una volta pubblico e critica sono d’accordo nel decretare il successo di questa operazione, con la piccola delusione di un mancato premio a Cannes, ampiamente ricompensata dal premio, non così aleatorio, di vincitore morale.

    Concorrenza sleale (2001)Ancora la grande storia è l’ideale scenografia di un film di Scola. Dopo C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare, ecco la vita quotidiana al tempo delle orribili e infami leggi razziali del 1938. Una strada della Roma degli anni Trenta, meravigliosamente ricostruita a Cinecittà, rende al meglio la quotidianità di un quartiere romano del tempo, abitato da due commercianti dirimpettai che, tra dispute e dispetti, si contendono clienti e affari. Ma la stima profonda che li lega emergerà quando il dramma razziale si mostrerà in tutta la sua crudele vergogna.

    Bravissimi i due protagonisti Sergio Castellitto, il commerciante ebreo, e Diego Abatantuono, e ottimo l’intero cast con una menzione particolare per Gérard Depardieu, Sabrina Impacciatore e Claudio Bigagli nelle vesti dell’ottuso funzionario fascista. Non benevola è stata in genere la critica con qualche eccezione (Morandini: "La capacità di illustrare una legge infame quasi articolo per articolo, calandola in personaggi, casi, aneddoti, in altalena fra commedia e dramma, tenerezza e dolore, sarcasmo e indignazione"). Una pellicola da rivalutare.

    Roma città aperta. Roberto Rossellini - 1945

    Più che una semplice opera cinematografica, questa pellicola rappresenta un simbolo, un’icona, una linea di confine tra un prima e un dopo. Non a caso il grande regista Otto Preminger affermava: "La storia del cinema si divide in due ere, una prima e una dopo Roma città aperta. E un altro addetto ai lavori del calibro di Godard confermava, parafrasando l’adagio: Tutte le strade portano a Roma città aperta". Per dare l’idea della portata rivoluzionaria di questa pellicola nella storia di questa specifica attività artistica che chiamiamo cinema, si può

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