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Ebook134 pages1 hour

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About this ebook

Tra gli uliveti e la terra rossa del salento, Grazia vive la tragedia della morte della madre.
Attratta dalla fotografia sin da piccola, dopo un matrimonio fallito da Lecce si trasferisce a Roma dove inizia a lavorare come fotografa nel manicomio di Santa Maria della Pietà.
Siamo nel 1932 e il cinema vive un periodo di evoluzione storica che Grazia coglie entrando a lavorare alla Cines, tra tante traversie legate ai rapporti sentimentali e parentali.
Donna passionale , attratta da persone misteriose e problematiche, si porterà dentro il ricordo della madre e lo spirito inquieto che le ha trasmesso.
LanguageItaliano
PublisherSylvia Noir.
Release dateSep 18, 2014
ISBN9786050322347
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    reflex - Sylvia Noir.

    XXXIII

    capitolo I

    Non riesco a pensare come sarebbe la mia vita se fossi cieca.

    La vista, gli occhi, non c'è nulla che sia più importante per chi, dietro una macchina fotografica sente il bisogno assoluto di rendere immortali momenti indimenticabili.

    Eppure il mio occhio nudo si intimidisce se non è protetto dalla macchina, distoglie lo sguardo teme di essere colto sul fatto, come un testimone scomodo.

    Grazia, tu hai sempre avuto un dono! Riesci a leggere nell'animo delle persone guardandole negli occhi. Sin da piccola sei sempre stata una bimba riservata, silenziosa. Ti appartavi per osservare le persone e ti avvicinavi per guardarle negli occhi ricordo le parole di mia madre quando mi raccontava di tutte le volte che coglievo il buono e il cattivo di coloro che attiravano la mia attenzione e col passare degli anni l'inibizione ha preso il posto della sfrontatezza infantile, portando il mio sguardo altrove ogni volta che l'altro sentiva la propria anima illuminata dal mio intuito, come la lampada che illumina l'immagine da fotografare.

    All'età di 18 anni mia madre mi regalò una macchina fotografica, bellissima, ultimo modello per l'epoca e da allora i miei occhi scrutano, di nuovo liberi, nell'animo altrui, come se osservassero dietro uno specchio.

    E mi sento un'intrusa in casa d'altri, piacevolmente intrusa.

    Un' intrusa in villa Baldassarri!

    Punto l'obiettivo sulla parte frontale della sontuosa e altera masseria della quale varcai l'uscio 4 anni or sono, quando Antonio mi introdusse nella casa della sua famiglia, prima di sposarci.

    E attraverso la macchina fotografica noto i particolari che non avevo mai notato in tutti questi anni.

    Anche dietro la macchina sento quel calore che la casa intera emanava anche quel primo giorno che me la ritrovai di fronte, calore umano, e come una farfalla notturna che si avvicina a una fonte di calore così mi sentii io quando mi avvicinai alla porta di villa Baldassarri. E come ora, anche allora strinsi la mia immancabile macchina tra le mani e scattai la prima foto a quella che sarebbe diventata la mia casa da lì a pochi anni.

    E provo a scattare immagini in sequenza, apro la porta, inquadro l'atrio accogliente e spazioso, scatto una foto al soggiorno e lei è lì, seduta al suo scrittoio antico intenta a far di conto, di tutti i raccolti del frantoio che ormai amministra da quando ha ereditato tutto il patrimonio agricolo della sua nobile famiglia..Angela Baldassarri.

    Signora, si volti la prego le dissi sorridendo.

    Lei mi sorride, si fa immortalare e continuo a imprimere immagini in sequenza che spero diano un senso di movimento alle mie fotografie.

    Grazia, tesoro mio, invece di fotografare una donna così priva di spirito teatrale mi domando come tu non possa notare un vero divo del momento!

    Eccolo, pensai, è lui che mi prende l'anima più di qualsiasi altro uomo!

    Vincenzo De Biase, mio suocero. Uomo bellissimo, eccentrico esageratamente affascinante, ha ragione a dirmi che cattura talmente la mia curiosità da portarmi a fotografarlo spesso.

    E mentre lo ritraggo, scruto nei suoi occhi attraverso l'obiettivo e so che mi sente attraverso di esso, ci guardiamo fissi per alcuni interminabili minuti, è il suo sguardo che cattura il mio e non lo lascia andare. Finchè Angela rompe il silenzio voi due vi capite talmente bene che non vi occorre parlare. Quanto avremmo desiderato avere un'altra figlia, proprio come te! Sai, Grazia, in questa casa convivono persone dall'animo antico e persone dall'animo che corre sempre troppo avanti. Si volta a guardare suo marito, e so che sta parlando di lui e capisco quanto lo ama.

    Angela, una donna bellissima quanto altera e testarda, forse è lei il vero uomo di questa famiglia, ha sposato Vincenzo che è il suo esatto opposto, uomo mutevole, accondiscendente ma determinato, che vive in un mondo tutto suo senza alcun senso pratico, che ha trovato in sua moglie, la sua ancora.

    Ci sono giorni in cui mi ritrovo a osservarlo senza che lui se ne accorga, e mi domando in quale mondo si trovi in quel momento. Mi piace guardarlo, spesso noto sul suo volto un'aria triste, assente, come se soffrisse per un amore chiuso in qualche botola da anni, e avrei voglia di avvicinarmi di più per poter leggere meglio quello che ha dentro, ma mi trattengo e provo a lasciarmi andare per poter sentire il tumulto della sua anima.

    Guardai la mia macchina e pensai con quanta naturalezza la maneggiavo, ormai mi era diventato familiare scattare e mettere in atto tutte le tecniche che Salvatore mi aveva insegnato.

    Salvatore Paladini, fotografo affermato di Lecce che mi permise di entrare nel suo laboratorio come assistente. Ricordo ancora il giorno in cui il medico di mia madre ci fece visita ad Acaya, e fu colpito dalla mia ossessione per la macchina fotografica che stringevo tra le mani.

    Cesare Paladini lavorava nell'ospedale psichiatrico di Lecce. La sua famiglia era legata da sempre alla famiglia di mia madre. I due capifamiglia erano cresciuti insieme ad Acaya ed erano come fratelli. Cesare ormai era di casa per noi, anche se spesso lo sentivo accalorarsi quando, chiuso nello studio con mio padre, sentivo che discutevano sulle sorti di mia madre. Intuivo che papà non stava tranquillo a lasciarmi con mia madre, lui avrebbe voluto farla curare dentro una struttura, ma Cesare si era sempre opposto ma non capivo il perchè.

    Non ho mai visto una fanciulla di 19 anni , usare con tanta naturalezza una macchina fotografica il medico disse a mia madre che avrebbe potuto parlare con suo fratello, Salvatore, per prendermi con sé, visto che il suo aiutante era dovuto partire d'urgenza per l'America.

    Mentre il dottore parlava con mia madre io la guardavo implorante, sperando desse il suo consenso.

    Grazia, lo sai che tuo padre non accetterà mai! il dottore si offrì di parlare con mio padre per provare a convincerlo, e forse saranno stati i miei occhi tristi o la speranza che covava mia madre di veder realizzato un mio sogno, tant'è che iniziai a lavorare da Salvatore dopo pochi giorni.

    capitolo II

    Da quando è morto mio padre mi sono sentita in dovere di prendermi cura dei possedimenti della mia famiglia. Ho da sempre vissuto tra i braccianti, sin da piccola mio padre mi portava con sé sul calesse in giro per le campagne.

    Avevo capito che ruoli avevano tutti coloro che lavoravano per noi, imparai a sentirmi la padrona di tutto ciò che apparteneva alla nostra famiglia, e mio padre incoraggiava il mio carattere altero e deciso, invitandomi a dare ordini sotto la sua guida.

    Sin da bambina mi sentivo come una ladra che rubava pezzi di vita degli altri, amavo osservare di nascosto le persone che vivevano con me, in particolare mia madre e alcuni braccianti.

    Osservavo, imprimevo negli occhi e nella memoria, e provavo a disegnare l'immagine della persona che mi aveva incuriosito. Spesso chiedevo ai miei genitori di mostrarmi l'album delle foto. Mi incantavo a guardare i ritratti, imparai a confrontare le luci diverse delle fotografie. Passavo intere giornate a osservare le espressioni degli occhi e dei volti di foto antiche, e mi divertivo a indovinare la personalità dei soggetti.

    Questo signore era un uomo buono, severo ma buono, vero mamma? e spesso indovinavo, prima di farmi raccontare la storia di colui o colei che era stato ritratto.

    Mia madre si stupiva di come riuscivo a ricordare i dettagli di ciò che vedevo nelle foto e di quello che mi raccontava.

    Come la prima volta che Antonio mi portò a villa Baldassarri, ho tutto impresso nella mente.

    Mi si presentò davanti agli occhi una masseria fortificata, circondata da uliveti e vigneti, la cui estensione si perdeva all'orizzonte.

    Aspetta, ho bisogno di fotografare tutto questo nei miei occhi dissi ad Antonio che impaziente mi tirava verso l'uscio della famiglia De Biase.

    Il cortile con il portico e al centro un pozzo antico. Mi avvicinai, non so il motivo ma sono sempre stata attratta dai pozzi, come se i miei occhi potessero vedere nel fondo buio, come a voler scrutare l'animo di una persona. E tirando su il catino riuscissi a portare alla luce il vero tesoro nascosto tra gli inferi oscuri.

    Dai, amore, entriamo, ci stanno aspettando!

    Il giorno in cui conobbi la famiglia De Biase non era un giorno come un altro. Entrammo in casa, sentii tante voci concitate. E' successo qualcosa disse Antonio preoccupato, prima di fare il suo ingresso nella sala grande. Era piena di gente, uomini e donne che discutevano tra loro ma non riuscivo a distinguere le parole.

    Signori! Per favore! udii una voce tonante di donna che mi fece voltare verso di lei. Il silenzio piombò nella sala, tutti rivolsero lo sguardo verso di noi.

    Sei la benvenuta in questa casa. Io sono Angela, madre di Antonio i suoi occhi mi colpirono più del resto, erano profondi, sinceri, come se non si potesse nascondere nulla a quello sguardo così potente.

    Ci siamo piaciute all'istante, e ripensando a quel momento lo sento rivivere dentro di me come se stessi guardando una fotografia, uno dei momenti della mia vita che ho scolpito nella mente e nel cuore.

    Mentre Angela mi presentava gli altri componenti della famiglia, mi accorsi che Antonio si era allontanato da me, si era appartato con un signore che mi dava le spalle. Capii che stavano parlando di qualcosa d'importante, ma non mi sentii abbandonata, mi sentivo protetta da lei che mi stava accanto, come se la conoscessi da sempre.

    Fu la zia Maria, suor Maria, una delle sorelle paterne, che mi si avvicinò

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