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I Nostri in guerra
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I Nostri in guerra

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Il volume raccoglie le storie autentiche, documentate da corrispondenza originale, di tre I.M.I. (internati militari italiani) nei lager tedeschi, di tre militari italiani sul fronte del Don e della storia di un prigioniero italiano che dal nord Africa finisce deportato a Boston.
Il libro è dotato di un apparato di note molto esaustivo di tutti i temi anche appena accennati nel libro e di una amplissima biografia per lo studio del periodo bellico della seconda guerra mondiale.
LanguageItaliano
Release dateSep 4, 2014
ISBN9786050320268
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    I Nostri in guerra - Roberto Tufariello

    Frontespizio

    Roberto Tufariello

    I NOSTRI IN GUERRA

    Tre I.M.I. nei lager tedeschi

    Tre militari italiani sul fronte del Don

    Michele dal Nord Africa a Boston.

    Note e bibliografia di Adriana Errico

    Dedicato a

    Michele Tufariello

    Nicola Errico

    Alberto Montefiore

    Edoardo Ramoscelli

    Giuseppe Marzocchi

    Pietro Villa

    Sac. Enelio Franzoni

    protagonisti delle vicende narrate in queste pagine

    INTRODUZIONE

    La mia famiglia era appena nata, quando la seconda guerra mondiale venne a sconvolgere l’esistenza di tutti, singoli e collettività.

    Cos’è capitato a mio padre? Cosa a zii e parenti partiti per il fronte? Come sono sopravvissuti nei lager, nei campi di prigionia?

    Un certo numero di documenti ufficiali (come i fogli matricolari), la corrispondenza di quel periodo, pagine di diario e fotografie giunte fino a noi, hanno consentito di rispondere, almeno parzialmente, a questi interrogativi.

    Ho ricostruito, quindi, qualche pagina di vita di mio padre Michele, di zio Nicola e di Alberto (rispettivamente fratello e cugino della mamma), dei parenti Edoardo, Giuseppe, Pietro. Ho voluto ricordare infine la prigionia di don Enelio Franzoni, medaglia d’oro al valor militare, nostro parroco a Santa Maria delle Grazie, a Bologna.

    Adriana Errico, figlia di Nicola, ha corredato il testo delle Note e della Bibliografia.

    Speriamo di aver dato così un piccolo contributo alla conoscenza storica di quegli anni tremendi e insieme di aver reso onore ai nostri cari che li hanno vissuti soffrendo e resistendo con dignità.

    PARTE PRIMA: STORIA DI TRE I.M.I. (Militari Italiani Internati)

    1. NICOLA ERRICO: DAL MONTENEGRO AL LAGER DI WIETZENDORF

    Nicola è nato il 18 aprile 1913. Nel 1918 è rimasto orfano del padre, Luigi Errico, vittima della spagnola, quella terribile forma influenzale che causò circa cinquanta milioni di decessi in tutto il mondo nel corso della prima guerra mondiale¹.

    Conseguì il diploma magistrale. Assolse al dovere della ferma nel 1935 ma per soli tre mesi; poi, nell’agosto del ’37, fu dispensato definitivamente dagli obblighi di leva, presumibilmente per il suo stato di unico figlio maschio di madre vedova².

    Conosciuta Rosaria, si fidanzò con lei e la sposò nel febbraio del 1939 a Roma nella chiesa di Sant’Eusebio all’Esquilino. Poco più di un anno dopo ebbe inizio per l’Italia la seconda guerra mondiale³.

    Grecia e Montenegro

    Attaccata la Grecia, le truppe italiane si vennero a trovare letteralmente impantanate nelle piogge e nel fango dell’autunno del 1940⁴. La resistenza dell’esercito greco era stata superiore alle previsioni; i nostri soldati dovettero ripiegare verso l’Albania⁵ e, per evitare un totale insuccesso militare, si rese necessario l’intervento degli alleati tedeschi.

    Successivamente Hitler decise di impadronirsi di tutta la penisola balcanica. Il 6 aprile 1941 le truppe dell’Asse invasero la Jugoslavia; alcune divisioni italiane, partendo dalla Venezia Giulia, occuparono parte della Slovenia, la Dalmazia e il Montenegro, ricongiungendosi con le truppe presenti in Albania. Compiuta rapidamente l’occupazione, i vincitori si divisero i territori⁶. Gli italiani ebbero, tra l’altro, il protettorato del Montenegro⁷. Proprio qui arrivò, più tardi, zio Nicola e vi rimase con le nostre truppe.

    A Roma, aveva trovato lavoro al Ministero della Guerra come impiegato presso l’Ufficio Lavori Genio Militare. Il 29 gennaio 1941 era arrivata per lui la chiamata alle armi: fu assegnato all’81° Reggimento di Fanteria.

    Nel settembre del ’42 risulta militarizzato ed equiparato a Sottotenente.

    Nel mese di ottobre si trova presso il Comando Deposito Truppe Coloniali di Napoli. Ce lo confermano alcune fotografie, con la data sul retro, scattate sul lungomare di quella città. Era in attesa di essere imbarcato per il fronte nordafricano. Giunse invece un contrordine: la partenza per l’Africa non ebbe luogo e Nicola fu destinato al Montenegro, alla Direzione Lavori Genio Militare.

    Come mai tale cambio? La più probabile risposta ci viene suggerita dalla data di questi avvenimenti: siamo alla fine di ottobre o ai primi di novembre del 1942; sono i giorni in cui ha avuto luogo sul fronte africano la seconda e decisiva battaglia di El Alamein⁸. A questo punto, con le truppe italo-tedesche in rapida ritirata, sarebbe stato assurdo inviare altri militari, almeno finché non si fosse costituita una linea difensiva.

    Passano altri mesi. Nicola deve presentarsi al Comando Base Militare di Bari per raggiungere il Montenegro. Si imbarca sul piroscafo Corfù il 15 aprile 1943. La nave, carica di soldati, giunge nelle Bocche di Cattaro⁹, cioè in quelle insenature della costa dalmata, in cui già i veneziani, poi gli austro-ungarici avevano tenuto basi navali fortificate. Le foto hanno fissato quel momento del viaggio e le brevi annotazioni (riportate sul retro) sembrano esprimere l’emozione da lui vissuta. Il giorno 16 sbarca a Cattaro e il 17 si trova alla Direzione Lavori del Genio che faceva probabilmente parte dei servizi del XIV Corpo d’armata¹⁰, con Quartier Generale a Podgorica¹¹.

     Il Libretto personale degli assegni e delle ritenute risulta aperto il 19 aprile 1943. Quanto alle attività da lui svolte, le figlie ricordano che egli raccontava della costruzione di una strada, opera di cui teneva la contabilità. Alcune immagini, con didascalie dello stesso Nicola, ci mostrano camion e operai addetti ai lavori nella piana di Tuzi, a pochi km dalla città montenegrina. L’arteria in costruzione avrebbe dovuto collegare tale area geografica, e in particolare la zona dell’aeroporto, con il territorio albanese.

    Di questo periodo abbiamo una cartolina postale di Nicola, spedita per via aerea alla moglie Rosaria, che si trovava a Jesolo con i due figli (luglio ’43). Sono preoccupatissimo per il tuo silenzio − scrive − e stamattina avrei ancora telegrafato. Comprendiamo così che per i contatti tra i territori di guerra e le famiglie in patria ci si poteva avvalere ancora, fino a quel momento, del servizio telegrafico, di raccomandate e perfino della posta aerea. Nicola afferma addirittura in questa missiva che, se Rosaria volesse raggiungerlo per un breve periodo in Montenegro, egli avrebbe il modo di farvela pervenire. Intanto, le invia la delega con la quale ella potrà ritirare gli assegni mensili per il mantenimento della famiglia.

    Internato n. 45809

    L’8 settembre¹² venne a sconvolgere i progetti e la vita tutta dei nostri soldati e delle famiglie.

    Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, le truppe italiane dislocate nei Balcani non si consegnarono ai tedeschi, anzi alcune divisioni combatterono contro i nazisti riscattandosi così dal precedente ruolo di occupanti. Il fulcro della lotta ai tedeschi fu la Divisione Alpina Venezia, forte di 15.000 uomini, favorita dal fatto di trovarsi accampata in posizione relativamente isolata, a Berane, nel nord-est del Montenegro. Dalla Divisione Alpina Taurinense, invece, si formarono due Brigate di 800 uomini l’una, in base a una libera scelta personale. Ecco la descrizione fatta da un testimone diretto:

    Il maggiore adunò la mattina del 2 ottobre (1943) il battaglione e mise ancora una volta ognuno di noi di fronte alla situazione nella quale ci eravamo venuti a trovare dopo gli sviluppi degli ultimi giorni … (E disse:) D’ora innanzi noi siamo dei volontari, non voglio esercitare la mia autorità nel comandarvi in questa nuova lotta che ognuno deve liberamente scegliere. Nulla vi offro all’infuori della libertà, ma solo sacrifici per raggiungerla e conservarla. Decise poi che solo i capisquadra raccogliessero i nomi di coloro che volevano restare e di coloro che preferivano arrendersi, evitando così qualunque imposizione e dando a ciascuno la possibilità di agire liberamente… (Irnerio Forni, Alpini garibaldini. Ricordi di un medico del Montenegro dopo l’8 settembre, 1992).

    Il 3 dicembre ’43 nacque la Divisione Partigiana Garibaldi, costituita da quattro Brigate di soldati italiani, sottrattisi alla cattura dei tedeschi; essi operarono in collaborazione con l’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo (EPLJ). Tremendi furono gli scontri con le divisioni naziste quando queste, in ritirata dalla Grecia, risalirono verso nord. Alla fine del conflitto, i sopravvissuti delle Divisioni Venezia e Taurinense furono 3.500, rispetto ai 24.000 dell’organico iniziale¹³.

    Nicola invece, insieme a tanti altri militari, fu fatto prigioniero. Non abbiamo informazioni sulle circostanze di questo avvenimento¹⁴; in una lettera dei mesi successivi egli afferma di essere stato internato dai tedeschi il 25 settembre 1943¹⁵. Viene così a far parte di quella massa di militari italiani (più di 600.000 uomini) definita dai tedeschi come I.M.I, ossia militari italiani internati: una categoria non prevista dalle convenzioni internazionali, e quindi non tutelata dalle norme relative ai prigionieri di guerra; il regime nazista aveva pertanto mano libera sulla destinazione e il trattamento di questi nostri soldati¹⁶.

    L’11 ottobre Nicola si trova nello Stalag IX¹⁷ con il numero di matricola 45809. Il termine Stalag o Stammlager significava Campo principale per prigionieri di guerra. In questo campo egli è in attesa di trasferimento.

    In effetti, il 31 ottobre si trova già nello Stalag 328, presso Leopoli¹⁸, città polacca prima del conflitto, appartenente oggi all’Ucraina. Questa data compare in calce a un suo bel ritratto, fatto a matita da un compagno di prigionia e pervenuto fino a noi.

    La prima cartolina postale¹⁹ da Leopoli è del 20 novembre:

    Rosaria cara,

    scrivo per la quinta volta mentre sono privo di notizie e sapessi con quanta ansia le attendo.

    Come stanno i bambini? E tu? …

    Solo se facile, gradirei taralli senza sale, fichi secchi e tabacco. Non più di 5 kg …

    Taralli e pane erano richiesti senza sale perché i cibi che provocavano sete erano pericolosi: non sempre i prigionieri potevano bere quando ne avevano bisogno.

    In una lettera successiva, nell’appressarsi ormai del Natale (il primo Natale in prigionia), suggerisce di non spedirgli i prodotti richiesti perché sarebbe tutto sciupato. Avrà probabilmente verificato che i pacchi destinati ai detenuti non pervenivano al campo o non venivano consegnati agli interessati. Un episodio significativo: in occasione delle feste natalizie, il vescovo di Leopoli aveva fatto confezionare 2000 pacchi-dono da distribuire agli internati. Il Comando tedesco rifiutò il dono e rispose che essi non ne avevano bisogno perché graditi ospiti del Reich (testimonianza di Gastone Petraglia).

    Com’era la vita nel lager? Non ci sono, nelle prime lettere, accenni allo svolgimento concreto della giornata, alle condizioni di vita, al lavoro, al cibo…, come non vi sono riferimenti alle modalità dei viaggi di trasferimento, che noi sappiamo essere state tremende per tutti i deportati. Non era infatti possibile scrivere informazioni di questo tipo senza incorrere nella censura e rischiare che la corrispondenza non partisse:

    Rosaria cara,

    è inutile parlarti della mia vita che scorre monotona, triste e nella esasperante attesa di notizie dei bambini, tue e dei mie… (nov.- dic. ’43).

    Dopo il compleanno dei nostri piccoli, ora faccio il tuo in questa triste Polonia. Il non sapere come vivi, il non poterti far festa mi addolora immensamente. Soltanto confidando nel Signore ed offrendo a Lui tutti questi duri sacrifici si riesce a trovare conforto…

    Ai bambini dì che il loro papà è lontano lontano e non può venire per Natale; però tornerà presto e porterà loro tanti giocattoli… (22-12-’43).

    In quest’ultima missiva suggerisce a Rosaria di farsi aiutare anche da Michele, suo cognato, perché è convinto che egli si trovi a Cerignola²⁰. Non sapeva che mio padre era stato fatto prigioniero ben prima di lui e che si trovava a Boston. E’ evidente che si viveva allora, per mesi e mesi, se non per anni, privi di informazioni sul destino dei propri cari. Nicola afferma in una cartolina del marzo ’44 che, dopo la posta ricevuta a Podgorica, non gli erano pervenuti altri scritti dai suoi; e trascorreranno altri mesi, come vedremo, prima che avvenga uno scambio epistolare.

    Possiamo intuire solo lontanamente lo stato d’animo di sofferenza e di angoscia di quanti erano in attesa di notizie preziose, che non giungevano mai.

    Da Leopoli a Wietzendorf

    Il 7 gennaio 1944, Nicola comunica a Rosaria di essere in attesa di trasferimento: per scrivermi - le dice - aspetta nuovo indirizzo. I comandi tedeschi, infatti, in considerazione dell’avanzata dell’Armata Rossa sul fronte orientale²¹, avevano disposto che i lager collocati ad est fossero evacuati e i prigionieri trasferiti in zone più interne. Il viaggio dai lager della Polonia a quelli della Germania nord-occidentale durava 8-10 giorni: 70-80 persone per carro bestiame, senza cibo o quasi, senza alcuna forma di riscaldamento in temperature gelide, spesso senza nemmeno le soste per le necessità corporali.

    Il primo febbraio il sottotenente Nicola Errico si trova nello Stalag 329, a Wietzendorf²² (distretto di Soltau, tra Hannover e Brema, venti km più a nord del noto campo di Bergen Belsen). Dal successivo mese di marzo questo lager viene riservato agli ufficiali e viene chiamato Oflag 83²³; il termine significa Offizierlager, cioè lager per ufficiali. Lo scopo di campi per soli graduati era quello di interrompere la relazione tra i soldati e i loro superiori e impedire a costoro di esercitare qualsiasi influenza sui subordinati.

    Le condizioni del Campo 83 (le baracche, i servizi igienici, le prigioni, i mezzi di riscaldamento …)

    erano pessime, disastrose: perfino due commissioni sanitarie tedesche avevano giudicato il sito inabitabile. In confronto però ai lager più tristemente famosi, questo era nel complesso meno terribile; c’erano anche una biblioteca, la sala conferenze ove si svolgevano lezioni su vari argomenti, una sala-teatro con attività di gruppo, una cappella.

    Il 9 febbraio ’44 era stato nominato comandante-rappresentante degli italiani qui internati (per il comando tedesco era l’anziano del campo) il col. Pietro Testa, di 38 anni, originario di Zara e arrestato dai tedeschi a Ragusa l’8 settembre. L’opera svolta da questo colonnello per più di un anno e mezzo, in condizioni veramente impossibili, ha dello straordinario: sotto la sua guida coraggiosa, la maggior parte dei prigionieri è riuscita a difendere la propria dignità, a resistere al trattamento degradante e alle tremende condizioni di vita. Si può leggere la sua testimonianza, precisa, documentata, a tratti emozionante, nel libro Wietzendorf (Roma 1998, terza edizione).

    Per quasi due mesi Nicola non ha potuto scrivere ai suoi a causa del trasferimento e di altri ostacoli. Può farlo il 25 febbraio:

    Cara, dopo due mesi torno a scriverti e questa volta con la certezza che (le lettere) ti vengono recapitate perché la Croce Rossa si interessa. Io sono ancora privo di tue e vivo in un’ansia angosciosa …

    Io, come puoi immaginare, sto benissimo ed in una continua vigilia…

    Spero di tornare presto a riabbracciarti. Tu non ti preoccupare dell’avvenire, hai capito? Quando il Signore ci farà riunire, ti darò una vita più comoda …

    Baciami tutti. Tu con i piccoli e mammà prenditi i bacioni più cari.

    L’intervento della Croce Rossa sembra poter garantire almeno l’esercizio di alcuni diritti elementari, quale quello della corrispondenza con le famiglie; in realtà, la stessa Croce Rossa Italiana poté fare ben poco, perché condizionata dagli scopi propagandistici della Repubblica di Salò. Non venivano consegnati, ad esempio, nei campi degli I.M.I. viveri e medicinali che portavano stampigliata l’origine americana (aiuti UNRRA²⁴).

    Il col. Testa fece in modo che un suo collaboratore, il cap. Adami, fosse inviato all’infermeria del campo di Nienburg²⁵ con lo scopo segreto di contattare la Croce Rossa e allertarla sulla disperata situazione di Wietzendorf. Adami attese invano per tre mesi: non ci fu nessun sopralluogo da parte di responsabili di questa organizzazione.

    In varie lettere Nicola dice che sta benissimo, come Rosaria sa o può immaginare: evidente metafora per asserire il contrario e alludere alla dura vita che fa, come tutti i prigionieri dei lager nazisti. Si trova a praticare una continua vigilia perché l’alimentazione è al limite della sopravvivenza. Egli chiede via via, oltre ai fichi secchi e ai taralli, anche pane e fave sbucciate o secche, dadi per brodo, mandorle e molto tabacco o sigarette; in un secondo momento aggiunge alla lista l’olio, il formaggio, il semolino. E’ proprio una lista dei desideri; infatti, nonostante tutte le richieste, non ha mai ricevuto pacchi dai familiari²⁶: con la divisione dell’Italia in due e con il centro-sud ormai nelle mani degli Alleati, non era possibile inviare viveri o altri prodotti a detenuti nei territori controllati dai tedeschi.

    Quando un pacco giungeva finalmente a destinazione, superati tutti gli ostacoli e i controlli, come avveniva la consegna? A Wietzendorf anche questa era un’operazione dolorosa e umiliante: l’interessato si doveva presentare con un recipiente e una coperta; nel recipiente venivano versati tutti insieme farina, zucchero, latte in polvere, il contenuto delle scatolette (che venivano trattenute), tabacco…; nella coperta, tutto il resto (abiti, sapone, oggetti…). Avere tanta fame e vedere quei pochi ma preziosi cibi rovinati in quel modo! Oppure si potevano lasciare i prodotti in deposito; ma che fine avrebbero fatto?

    Ancora a febbraio Nicola dice a Rosaria:

    Ti scrivo per la quindicesima volta, mentre non ho letto ancora nessuna notizia tua e dei piccoli… Mandami viveri e tabacco per lunghe vigilie.

    A fine marzo ha quasi perso la speranza di poter corrispondere con la famiglia:

    Cara, affido anche questa alla sottilissima speranza rimasta che ti venga recapitata. Ti ripeto qui quello che già dissi in una ventina di precedenti ed in parte da altri campi. Mi duole molto il non avere notizie dei bambini e tue e dei nostri tutti. L’ultima tua l’ebbi a Podgorica l’1-9-43 mentre io ti scrissi sino al 15…

    Immagino che ti sia stata accordata una parte dei miei assegni e cioè circa duemila lire. Inoltre, il Municipio dovrebbe darti gli assegni da sfollata. Per me, stai tranquilla, come immaginerai sto benissimo …

    In aprile può affermare che, finalmente, comincia ad arrivare posta dall’Italia meridionale²⁷ e che egli aspetta con ansia. E’ ormai Pasqua e fa gli auguri a tutti, soffermandosi però sui suoi bambini:

    I miei piccoli cari cosa dicono del loro papà che ancora non torna? Anche questa S. Pasqua faranno soli, miei poveri piccoli figlioli, ma tu dì loro che tornerò molto presto e per non lasciarli mai più…

    Se puoi fare foto ai piccoli – dice in altra cartolina – mandamele attaccate bene in fondo a uno di questi moduli. Intanto dì loro che li penso sempre sempre sempre…

    Nel giorno del suo onomastico si sente particolarmente unito alla famiglia, pensa continuamente ai piccoli e alla sposa, dialoga a lungo con loro. Negli appunti scritti in quella occasione esprime tutto il suo amore per loro, l’ammirazione e la riconoscenza per Rosaria, che spera, al ritorno, di poter ripagare di tutti i sacrifici attuali.

    Continuo a chiedermi da stamattina che mi sono svegliato: e Rosaria e i piccoli? Non li ho lasciati un solo istante, sono stato sempre e ininterrottamente con loro… Ho detto loro quanto amore sento, quanto soffro nell’averli lontani e non sapendo come essi stanno e dove. Ma coraggio, miei cari piccoli, coraggio mia buona e brava Rosaria. La tua abnegazione, i tuoi sacrifici, il tuo altissimo senso di dovere verso me e i piccoli meritano il compenso più alto che io possa darti. E da questa somma riconoscenza cercherò con tutte le mie forze di non distogliermi…

    Scrive anche ad altri conoscenti e amici, ma non gli perviene alcuna risposta. Ad un certo punto deve verificare che di tutta la Puglia solo la provincia di Foggia è ancora

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