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Un uomo mi ha chiamata Tesoro
Un uomo mi ha chiamata Tesoro
Un uomo mi ha chiamata Tesoro
Ebook124 pages1 hour

Un uomo mi ha chiamata Tesoro

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About this ebook

Esistono tanti motivi per cui un uomo chiama “tesoro” una donna, e spesso questi motivi non hanno niente a che vedere con il significato della parola. Usiamo le parole come se non avessero un senso e, così facendo, le sviliamo di significato.

Cosa significa quando un uomo ti chiama ‘tesoro’? A volte non vuol dire nulla, e altre volte la parola nasconde una richiesta o rappresenta un’azione che è il contrario di ciò che dovrebbe essere.

In questo concept book sulle voci femminili, l’autrice, Morena Fanti, ci mostra il mondo che ci circonda e che spesso non notiamo. “L’autrice ricorda a ciascuno di noi che dietro le apparenze, i fatti, le convenzioni, esiste una cifra indefinibile, incontrollabile, che cambia le carte in tavola. Il mistero dell’essere umano abita questi racconti, ed è raro trovarlo in altre, analoghe scritture.

E come nella migliore narrativa, questa è una realtà che disturba. Spesso, prende alla gola, come nel racconto “Non è successo niente” dove il male si palesa sotto le forme di un amico di famiglia. E nel racconto “La famiglia perbene” è proprio questa cellula educativa (come dicono gli esperti) a uscire a pezzi: quando una figlia ha bisogno di aiuto, è sempre possibile non sentire, rincorrere il sogno del “va tutto bene”.”

(Dalla prefazione di Marco Freccero)
LanguageItaliano
PublisherMorena Fanti
Release dateJul 17, 2014
ISBN9786050313413
Un uomo mi ha chiamata Tesoro

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    Un uomo mi ha chiamata Tesoro - Morena Fanti

    Morena Fanti

    Un uomo mi ha chiamata Tesoro

    Un uomo mi ha chiamata tesoro © Morena Fanti 2014 

    ISBN:

    Foto di copertina: Ibisco © Arthur

    Grafica di copertina: graphic designer Arthur

    UUID: 507c4216-0dc4-11e4-b7c5-27651bb94b2f

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo (http://backtypo.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Le donne di Morena Fanti - prefazione di Marco Freccero

    Chissà se Claudia ha le rughe intorno agli occhi

    Non è successo niente

    La famiglia perbene

    Da bambina

    Mutande

    Di pancia

    Oggi un uomo mi ha chiamata tesoro

    Va tutto bene

    La finestra grigia

    La prima volta

    A tempo indeterminato

    Il viaggio

    Ieri un uomo mi ha chiamata tesoro

    Mi fido di te

    Addio

    Preferisco Matteo

    Legame d’amore

    Raya andò sola

    Alle donne perché si ricordino chi sono. Agli uomini perché ricordino che le donne a volte non sanno di essere ciò che sono.

    Le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste. Raymond Carver 

    Le donne di Morena Fanti - prefazione di Marco Freccero

    Conoscete le donne di Morena Fanti? No? Adesso avete l’occasione per farlo. I racconti che si trovano in Un uomo mi ha chiamata tesoro hanno come protagoniste le donne. Vere. Potrebbe sembrare un’ovvietà, me ne rendo conto, ma dopo tanti anni di caricature, fare un bagno di realtà non può che fare bene. 

    La narrativa di Morena Fanti estrapola queste protagoniste in un preciso momento: può essere una svolta, un ricordo, una confessione. Le segue e ce le mostra con una narrazione in prima persona che è precisa e convincente. Si tratta di un espediente rischioso. Scivolare nella confessione prolissa e inutile, nella descrizione pignola, oppure nell’elenco dei mali è quasi all’ordine del giorno. Qui non accade perché l’Autrice ha un occhio lucido e fermo, e una mano con le medesime qualità. Niente fronzoli, fatti. Morena Fanti, complice le sue robuste letture, ha imparato la lezione e la applica senza scopiazzature; l’ha fatta sua ma senza ricorre a effetti, o effettacci. Eppure nelle ultime righe c’è sempre qualcosa che spiazza, sorprende. Che ci lascia sospesi.

    A qualcuno la sospensione potrebbe apparire come l’espediente di chi non sa come chiudere una storia: che se la sbrighi il lettore.

    Non nei racconti di Morena Fanti: sono la prova che è possibile fare della buona letteratura, e che questa ha la forza di condurci sino ai limiti del mistero, per lasciarci lì. E questo è un altro punto a favore dell’autrice. Non solo ci consegna delle donne reali, di carne e ossa. Non solo ci regala dei racconti ottimi sotto il punto di vista della qualità grammaticale e della sintassi. E già per questo dovremmo ringraziare Morena Fanti.

    L’autrice ricorda a ciascuno di noi che dietro le apparenze, i fatti, le convenzioni, esiste una cifra indefinibile, incontrollabile che cambia le carte in tavola. Il mistero dell’essere umano abita questi racconti, ed è raro trovarlo in altre, analoghe scritture.

    E come nella migliore narrativa, questa è una realtà che disturba. Spesso, prende alla gola, come nel racconto Non è successo niente dove il male si palesa sotto le forme di un amico di famiglia. E nel racconto La famiglia perbene è proprio questa cellula educativa (come dicono gli esperti) a uscire a pezzi: quando una figlia ha bisogno di aiuto, è sempre possibile non sentire, rincorrere il sogno del va tutto bene.

    E gli uomini? Ci sono. L’Autrice non li ha relegati sullo sfondo, o ridotti al ruolo di comparse. In realtà, costoro spesso sono folli burattinai capaci di potere (sarebbe meglio scrivere: sopraffazione), di indifferenza o menefreghismo. E le protagoniste reagiscono: spesso con astuzia (vedi il racconto: Mi fido di te). A volte con la disperazione (Chissà se Claudia ha le rughe intorno agli occhi).

    In ogni caso, la loro umanità è lì, viva, in piedi, anche se ammaccata.

    Marco Freccero

    Ottobre 2013 

    Chissà se Claudia ha le rughe intorno agli occhi

    Sta per venire finalmente. Luciano mi spinge la mano sulla schiena e con l’altra mi prende un seno: quando strizza forte so che ci siamo. Ci ha messo parecchio, so che non lo attraggo più come prima. Stava lì e spingeva senza voglia. Credevo che avrebbe mollato ma alla fine ha ripreso a muoversi con più vigore; allora ho capito che aveva pensato a Claudia e che s’immaginava di scopare con lei. 

    Non la vede da sei mesi e ancora la desidera e la sogna; se vuole arrivare all’orgasmo, deve immaginare di farlo con lei. Hanno fatto male i miei suoceri a imporgli di lasciarla e di tornare a casa. Se l’amore non c’è, non si può prescrivere come fosse una medicina sulla ricetta del medico.

    Eppure una volta mi amava. Quando ci siamo conosciuti mi è piaciuto subito: il tipo di ragazzo serio che ti ispira sicurezza. Il tipo di cui ti puoi fidare. E io quello volevo: potermi fidare.

    Siamo stati insieme e abbiamo condiviso ogni cosa; siamo sposati da cinque anni ed eravamo felici. Io credevo che lo fossimo.

    Se penso a questi anni, vedo immagini belle, noi due sorridenti che facciamo insieme delle cose, che andiamo al lago, al ristorante, che guardiamo un film noleggiato - io sulla spalla di Luciano che piango sul finale -, che facciamo la spesa o cuciniamo insieme.

    E dov’è finito ora tutto questo?

    Mi giro e mi metto sulla schiena. Luciano sta fermo, ha gli occhi chiusi e le braccia lungo il corpo: se non vedessi il sudore sul suo petto, direi che non è successo niente. Mi avvicino e lo tocco sul braccio, lui finge di non sentire ma io lo sfioro di nuovo. Allora apre gli occhi e si gira: Stanco? gli chiedo.

    Un po’. Che ore sono?. Solleva il braccio: Le sei. Possiamo dormire. Mi bacia sulla guancia e si gira verso il muro.

    Chiudo gli occhi anch’io. Ho paura di mettermi a piangere. Finisce che mi addormento, un sonno profondo senza sogni.

    Quando riapro gli occhi Luciano non c’è più. Sul tavolo in cucina c’è la tazzina sporca di caffè.

    Sono tornata prima del solito; la casa è quasi buia, con l’ombra dei tendoni che oscurano la sala e tengono fuori il caldo. Ho fame, apro il frigo, prendo una sottiletta, la scarto, la piego a metà e la mangio a bocconi veloci. Il sapore quasi dolce e un po’ grasso mi placa lo stomaco. Vado in camera, mi svesto mettendo i pantaloni ben piegati su una sedia. La camicia, invece, la porto in bagno, nel cesto della biancheria da lavare. Mi fermo davanti allo specchio, mi guardo e mi avvicino per scorgere le piccole rughe sotto agli occhi. Dovrei prenotare una pulizia del viso. Chissà se Claudia ha le rughe intorno agli occhi, mi chiedo mentre entro nella doccia. 

    Non so quanto tempo sono rimasta sotto l’acqua che scrosciava: quando ho chiuso il rubinetto, ho sentito Luciano che imprecava nell’altro bagno e ho capito che avevo usato tutta l’acqua calda. Mi asciugo con calma, apro la porta e vado verso la camera per vestirmi. Devo ancora preparare la cena e non ho nessuna idea. Non ho messo le ciabatte e ho camminato a piedi nudi sul parquet di rovere sbiancato.

    Quando esco dalla camera, Luciano è nello studio e sta parlando al telefono. Cammino lungo il corridoio; i miei piedi nudi non fanno nessun rumore. La voce è sempre più chiara. Cammino finché sento il tono dolce, allora mi volto prima di capire le parole e proseguo verso la cucina.

    La cena si è svolta in silenzio: fettine alla pizzaiola e insalata mista. Luciano non ha detto nulla, anche se detesta l’origano. Dopo si è ritirato nello studio per sbrigare un po’ di lavoro e io ho sistemato la cucina. Quando ho finito, sono passata per sentire se veniva a letto, ma stava terminando dei conti e ha detto che ne aveva ancora per un’ora, così mi sono addormentata e non l’ho sentito. Quando mi sono svegliata, ho trovato un biglietto sul cuscino: ci vediamo stasera.

    Al lavoro mi hanno festeggiata: il progetto per il giardino comunale è stato approvato e i miei vialetti di beole irregolari circondati da zolle di fiori di campo hanno avuto successo. Sono uscita in ritardo ma contenta. Decido di preparare una cena speciale: tagliata di manzo con salsa piccante e un dessert alle pesche. Al supermercato sotto casa hanno solo le pesche noce ma per la ricetta servono le pesche classiche, quelle con il pelo, allora esco, salgo di nuovo in auto e vado al Carrefour di Casalecchio, dove hanno più varietà di merci. Parcheggio, non prendo il carrello e vado decisa al reparto ortofrutta. Infilo il guanto di plastica, soppeso due varietà di pesche, decido per quelle gialle, peso e vado alla cassa.

    Le casse si affacciano sulla galleria interna e, mentre aspetto, guardo le persone che passano; mi piace pensare cosa fanno e di cosa discutono con chi hanno accanto. Luciano l’ho riconosciuto dai pantaloni di lino: quel punto di grigio è inconfondibile e poi li avevo stirati il giorno prima. Claudia non l’avevo mai vista ma ho avuto subito la certezza che fosse lei, l’ho capito da come lui la guardava. Camminavano lentamente, senza guardare le vetrine e senza toccarsi; di certo l’avevano fatto. Forse erano usciti per bere qualcosa. L’amore fa venire sete. Non ricordo con cosa ho pagato e se ho preso il resto; sono uscita di corsa con quelle stupide pesche nel sacchetto e ho camminato nella galleria cercandoli. Dopo due passaggi davanti alla

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