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Cesare
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Ebook440 pages6 hours

Cesare

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About this ebook

Nascosto nel mio sgabuzzino bunker, con un mitra di plastica e una lucidatrice per amica. Io e Topo Gigio a farci coraggio.
Fuori l'inferno: liti, botte, insulti, devastazioni tra i miei genitori.
Forse io ero la colpa di tutto, dato che spesso mio padre, dopo avermi picchiato, diceva: "Sei il risultato di una Mezzascopata andata male".
Non so cosa avrei potuto fare, ma sapevo che se non avessi lottatoquei due mi avrebbero obbligato a morire per tutta la vita.
Io volevo vivere.
Desideravo con tutte le mie forze che la mia Speranza vincesse sul loro Destino.
Fu così che Lorenzo Malberti detto Mezzascopata andò alla guerra, contro tutto e contro tutti, per conquistare la propria identità.
LanguageItaliano
PublisherVodani
Release dateJul 21, 2014
ISBN9786050311624
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    Cesare - Vodani

    stata.

    PRIMA PARTE

    CHIUSO NEL BUNKER

    Fuori è l’inferno.

    La devastazione.

    Mobili, oggetti, piatti, bicchieri, tutto quello che si può rompere ora giace in mille pezzi a terra.

    Sono rinchiuso nel mio sgabuzzino bunker. A proteggermi come sempre: il mitra di plastica e la mia amica lucidatrice.

    A tenermi compagnia Topo Gigio.

    Ci guardiamo e ci facciamo coraggio l’uno con l’altro.

    Ogni volta che entro nel bunker non so mai per quanto tempo ci dovrò stare, dipende dagli eventi che hanno scatenato la guerra.

    A volte pochi minuti, a volte ore.

    Botte, insulti, parolacce, urla, pianti.

    Quasi tutti i giorni è così ma ancora non riesco a abituarmi.

    Quando tutto tace aspetto ancora un po’ e poi apro la porta, tra le macerie ogni tanto trovo anche i miei quaderni di scuola e qualche giocattolo.

    In un angolo della casa mia madre con il sangue che cola da qualche parte della faccia e gli occhi pesti, mentre mio papà o esce o si butta nel letto finché uno dei due non si riavvicina poi si stringono, si baciano e vengono a cercarmi in camera.

    Parlano, parlano, parlano, fiumi di parole che non capisco e che finiscono sempre con Ti vogliamo bene.

    Io sorrido, perché se non lo faccio magari si arrabbiano un’altra volta, poi appena escono dalla camera inizio a tremare, l’aria non esce più dai polmoni tanto che mi sento soffocare e mi do i pugni sulla pancia fino al primo refolo d’ossigeno che torno a catturare.

    Mi chiamo Lorenzo Malberti, ho otto anni, adesso è il 1976 e il Toro forse vince il campionato, mentre per me la guerra è ancora lunghissima. Con i soldatini sono bravo. Con papà Lino e mamma Maria invece no.

    Ma non ho scelta: o lotto o morirò per sempre.

    Ma andiamo con ordine. Non sarà facile quindi vi chiedo un po’ di pazienza.

    VENTI DI GUERRA

    Capita che un ragazzo appena diplomato e una ragazza poco più che bambina si innamorino, litighino da subito, non diano nessun tempo al tempo, facciano una sorta di petting in cantina e dopo un anno si ritrovino con tutto ancora da scoprire, la giovinezza fottuta e un pargolo frignante nella culla.

    Una Mezzascopata così avrebbero detto negli anni a venire.

    Era il 1967. Per l’esattezza il 14 gennaio del 1967 alle ore 18.07.

    Ospedale Sant’Anna di Torino.

    Pianto per schiudere i polmoni, taglio del cordone ombelicale, controllo del peso e via che si parte.

    Quella Mezzascopata ero io.

    IL MATRIMONIO

    Il matrimonio organizzato in fretta e furia avvenne qualche mese prima della mia nascita.

    Sulla scalinata della chiesa poche persone e molte lacrime.

    Qualcuna per il matrimonio il resto per l’orazione funebre appena terminata.

    Già, perché la gente oltre a nascere e sposarsi nel frattempo muore anche e cosi la cerimonia del Sì, fin che morte non ci separi avvenne mezz’ora dopo quella dell’eterno riposo di un vecchietto che lasciava la terra per andare sotto terra.

    Le parole del parroco, le promesse di matrimonio e lo scambio degli anelli. Nessun coro a cantare l’Ave Maria, nessuna marcia nuziale.

    Al termine della funzione solo una fotografia di gruppo sulla scalinata della chiesa: al centro Nicola e Maria, gli occhi spaventati di chi l’ha combinata grossa, mentre tutto intorno facce serie e un impasto di frasi in siciliano e piemontese per evitare di essere capiti dal nemico in posa a meno di dieci centimetri.

    Trattoria, antipasto, primo, secondo e torta della casa.

    Arrivederci. Si spera il più tardi possibile. Meglio sarebbe mai.

    STATO DI FAMIGLIA

    Nicola: padre operaio Fiat mezzo alcolizzato, impotente da anni e madre segretaria Fiat dedita al culto del figlio e al disprezzo del marito.

    Cacciato da un collegio salesiano dopo tre anni per comportamenti ritenuti non consoni alle gesta di Don Bosco, violenza, fughe, sigarette e poker con i compagni di camerata.

    Totale mancanza di rapporto con il padre e un legame che nel quartiere in molti sottovoce ritenevano ben più che morboso con la madre.

    Maria: il padre ebanista obbligato a andare via dalla Tunisia con l’avvento dell’indipendenza, malato di sesso e donne più vecchie; la madre un forte esaurimento nervoso alle spalle, casalinga dedita al culto delle pulizie e all’odio per qualsiasi cosa riguardasse il marito obbligata a sposare nonostante fosse innamorata di un altro.

    Per Maria nessun genere d’affetto paterno e materno, solo la più grande di tre figli che naturalmente avevano nel maschio l’unico degno di attenzioni.

    Lui Nicola di anni 21. Piemontese di merda e figlio di falliti per i genitori di lei.

    Lei Maria di anni 17. Terrona di merda per i genitori di lui.

    Un labirinto di rovi, cocci di vetro e tanto rancore nei confronti della vita. Della speranza.

    ECCOMI

    Mi chiamarono Lorenzo in memoria del bisnonno paterno. Per le due famiglie ero ancora da etichettare ma nonostante avessi solo un mese di vita, ero già ispiratore di neologismi dispregiativi che da lì a poco sarebbero diventati quotidiani da parte di genitori, nonni e parenti stretti.

    Il primo fu Sei una mezzascopata. A pronunciare quelle parole fu mio padre in un momento d’ira. Era arrabbiato perché gli avevo toccato la macchina da scrivere. Non sapevo neppure cosa significasse quel concetto.

    E’ uno dei primissimi ricordi. Sul momento non capii il senso di quella frase, mi sarebbe stato chiaro in seguito.

    Della prima casa dove andammo a abitare conservo solo pochissime immagini sfocate: mattoni marroni, balconi verdi, il treno che ci passava vicinissimo e faceva tremare i vetri delle finestre, la tovaglia di linoleum a fiori che copriva il tavolo della cucina. Fine. Delle prime litigate tra i miei l’eco di voci che si accendevano come fuochi lasciandosi poi dietro infiniti silenzi mentre tutto era diventato cenere e pianto.

    Troia

    Bastardo

    Sei una merda come i tuoi

    Sei un fallito come tuo padre

    Solo eco di voci e senso di panico.

    Ho una fotografia dove sono incastrato in un seggiolone mentre spargo minestra ovunque, di fianco a mia madre e mio padre. Nessuno dei tre ride. Chissà chi ce la scattò.

    Non ho idea di quanto tempo sia passato dalla mia venuta al mondo. Non molto vedendo il testone che ho.

    Nicola ingrassato di una decina di chili rispetto al matrimonio, Maria con un vestitino marrone a rombi fucsia e arancioni e pancia gonfia.

    Guardano oltre la macchina fotografica, sembra cerchino disperatamente una via d’uscita dalla gabbia nella quale si sono infilati.

    Troppo tardi… ormai Mezzascopata era lì a spargere minestra nelle loro vite. Chissà se prima di quella foto mio padre mi aveva già chiamato così….

    CURRICULUM VITAE

    Nicola aspirante giornalista non volendo omettere il suo credo comunista viene rifiutato dall’Illustrato Fiat, mensile della Real casa automobilistica torinese. Mio nonno che per anni tra un bianchino e la catena di montaggio aveva giocato a bocce per la squadra dell’azienda era riuscito tramite conoscenze a fargli avere un colloquio. Nelle bocce era un’autorità, capitano della squadra e diversi campionati italiani vinti, attività che gli aveva procurato un discreto gruzzoletto in medaglie d’oro e qualche contatto che un semplice operaio non si sarebbe neppure sognato d’avere.

    Il colloquio durò meno di un sorso di caffè.

    Prima di tutto ci terrei a dirle che sono comunista Ah… Vorrei scrivere di calcio e se ne avete bisogno anche di politica estera Certo. Per ora la ringrazio.

    Per ora e per sempre.

    La Fiat non era proprio sulla stessa linea politica di Marx, Fidel e Mao Tze Tong.

    Per la settimana seguente liti su liti con padre, suocero, madre, suocera e moglie.

    La Motta con un’inserzione su La Stampa cercava rappresentanti. Panettoni, gelati, merendine. C’era da pagare un affitto e mantenere moglie e figlio, al colloquio omise di saper a memoria Bandiera Rossa e fu assunto. Perché non fece la stessa cosa con il direttore de L’Illustrato Fiat? Perché non si comportò nello stesso modo con il direttore di Tuttosport dove ebbe un colloquio per diventare collaboratore dai campi di calcio regionali? Leggo da sempre il vostro giornale Bene molto bene Certo con la Juve siete sempre più morbidi… Dice? Eh la squadra di Agnelli non si tocca ah ah ah…se no da agnelli diventano lupi…ah ah ah Ah ah ah ah….buona questa…le faremo sapere. Per ora grazie.

    Per ora e per sempre.

    Cosa gli abbaiava nell’anima fino al punto di murare vivo il suo sogno? Da quel momento, aveva venticinque anni, la scrittura diventò un hobby e soprattutto una frustrazione da far pagare a me e a mia madre. Vestito grigio, cravatta, furgoncino, occhiali quadrati enormi e via verso panetterie, alimentari, latterie… sul sedile di fianco ordini, bolle e fatture e in tasca sempre un quaderno dove appuntare pensieri, trame di possibili romanzi che da temi sportivi passarono a sentimentali e storici.

    Nel frattempo si festeggiava il 1971, io stavo per compiere 4 anni.

    AMICO SGABUZZINO, ZIA LUCIDATRICE

    In famiglia i bambini sono i primi a capire ciò che accade nel bene e nel male, pur non comprendendone i motivi.

    Un istinto inconsapevole che si basa esclusivamente sull’affetto visto, sentito e ricevuto.

    Un piccolo radar fatto di mani protese verso chi in quel momento pensa a altro.

    Le urla, le botte, gli insulti arrivano come una valanga che travolge tutto. In quei casi l’unica cosa possibile è cercare un rifugio.

    Il mio l’avevo trovato, mi ci chiudevo dentro, fin quando passava la tempesta. In quello sgabuzzino-bunker il cervello cercava e cercava e cercava ciò che ancora non poteva avere risposta: perché mamma e papà non si danno gli abbracci e i baci? Perché si fanno male? Lo faranno anche a me?

    PERCHE’???

    Lucidatrice tu hai paura? Doveva essere molto coraggiosa perché non mi rispondeva mai. Magari aveva più paura di me. Chissà.

    Anche se mi vergogno ammetto che ogni tanto mi sono fatto anche la pipì addosso.

    Scoprirono il mio nascondiglio molto in fretta e tolsero la chiave, così ogni volta che mi ci nascondevo e loro ci passavano davanti tremavo nell’attesa che aprissero la porta.

    Rimase l’unico posto dove mi sentivo al sicuro, perché quando litigavano si dimenticavano di me. Quasi sempre. In quel quasi c’era la mia quotidianità.

    Una parola, un gesto, uno sguardo, tutto poteva portare a sberle, pugni, parole brutte e devastazione.

    La cosa più brutta era quando invece partivano dalle risate, io mi rilassavo e poi di colpo: devastazione.

    ORE 20.00 LA CHIAVE NELLA TOPPA

    Ai dieci chili sovrappeso di Nicola detto Lino se ne aggiunsero altri, mentre i capelli iniziavano a farsi più radi. Mia madre fu lasciata a casa dalla boutique dopo una litigata con mio padre all’ingresso del negozio. Io iniziavo a non spargere più minestra in giro e a avere paura che arrivasse la sera, non per il buio o per il famigerato Babau, ma per il momento che avrebbe visto i miei insieme. Verso le 20.00 la chiave girava nella toppa della porta di casa, mio padre entrava e dopo una manciata di minuti il silenzio si faceva parola, poi discussione, poi lite. Con il passare del tempo la lite lasciò il passo alle botte e al rumore di piatti rotti e soprammobili tirati contro i muri.

    I condomini sulle scale, i carabinieri in casa a tentare di far da pacieri, i rispettivi genitori impegnati a insultarsi nel parcheggio davanti al palazzo. Io? Chiuso nello sgabuzzino con due macchinine e il fucile con il tappo di sughero a aspettare che passasse la tempesta. Lo sgabuzzino era il mio bunker, ci stavo bene, tra profumo di prodotti per lavare la casa e odore di scarpe usate.

    Avrei potuto andare dai nonni, l’unico problema era che non mi volevano perché o piemontese di merda come tuo padre o terrone di merda come tua madre. Rimanevo ancora senza una collocazione precisa nell’immaginario collettivo della famiglia. Quindi lo sgabuzzino bunker mi andava benissimo. Quante paure raccontate sottovoce alla lucidatrice. Solitamente i periodi di liti furibonde erano poi seguiti da piccole parentesi di serenità, i due si riavvicinavano, i genitori si allontanavano, i condomini riuscivano a sentire Canzonissima. In teoria questo sarebbe stato un elemento positivo se non fosse che portava Nicola e Maria verso le cazzate come il ferro verso una calamita. Sparirono gli amici del PCI che regolarmente si riunivano da noi, un paio ho poi saputo tanti e tanti anni dopo che entrarono nelle BR e poi in galera.

    Gli extraparlamentari furono sostituiti da amici di vario genere, sempre più grandi dei miei: Renato, Tiziana, Gianni, Patrizia, Giacomo, Roberto, Lino Rosso, Nadia, Gaetano, Lucia, Riccardo, Beppe, Mario, Grazia. Una lunghissima lista che portò i miei in montagna a scalare, al mare in tenda, a frequentare le Comuni, un paio di gruppi autonomisti legati a Piemont Liber, una sorta di precursore dell’attuale movimento leghista fino all’incontro con La Polla, il capo squadra dei posatori ai quali mio padre faceva posare le lastre sui capannoni, un valtellinese di Sondrio del quale non ho mai saputo il nome. Per tutti era La Polla.

    A5 USCITA SAINT VINCENT-RIEN NE VA PLUS

    Era sopraggiunto il 1973 mio padre si rivelò un rappresentante molto capace, di merendine vendute a scatoloni non ne poteva più e così forte del diploma da geometra fu assunto da un’azienda di prodotti edili in fibrocemento per vendere lastre; l’Italia stava entrando in uno dei momenti più bui della sua storia, ma continuava a costruire, in pochissimo tempo ci ritrovammo a avere in banca un conto importante e in casa mobili nuovi e tanti oggetti di valore.

    Quello che mi piaceva di più era una bellissima dama in Capodimonte, forse fu il primo amore della mia vita, con quei capelli che scendevano su un bellissimo vestito ottocentesco. Il viso dolcissimo, gli occhi che guardavano un albero di limoni che stava di fianco alla panchina sulla quale sedeva, un cane da caccia a tenerle compagnia.

    Il resto dei condomini, oltre a poter sentire la tv, iniziava anche a viverci in modo vagamente normale. Nicola e Maria sembravano più sereni, i rispettivi genitori seppur in contrasto tra di loro e con l’altra famiglia avevano mollato un pochino la presa, meno screzi, poche intrusioni nel rapporto tra i miei, addirittura qualche Domenica mi passavano a prendere per portarmi ai giardini, in modo che i miei potessero starsene un po’ da soli. Avrei preferito restare nel mio sgabuzzino ma non potevo, quello era riservato solo ai momenti nei quali si dimenticavano di me. Non ero amato o almeno non sentivo nessun genere d’affetto, però non mi insultavano come al solito e questo per me era già un regalo bellissimo. Ero comunque meno impegnativo del cane della dama in Capodimonte.

    Maria un giorno comprò una bottiglia di vino a Nicola, lui era totalmente astemio, perché da bambino rubò una pintone a suo padre e tracannandolo tutto d’un fiato finì all’ospedale, da quel momento il solo odore di quel liquido rosso violaceo lo faceva star male. Prova dai ormai è passata una vita E se sto male? Non bevi più come fai già Un bicchiere, due, tre…una bottiglia, due, tre…mio padre smise di essere astemio superando alla grande il trauma infantile. Al nettare di Bacco aggiunse qualche amaro, la grappa… e qualche ubriacatura che lo portava a essere particolarmente triste e aggressivo. Puttana Bastardo Terrona di merda Ubriacone.

    Mi dissi che non avrei mai bevuto quel liquido violaceo che faceva diventare così cattivi. Lo diventava anche chi lo versava. Doveva essere davvero un veleno potentissimo, proprio come quello delle streghe delle favole.

    Da astemio a ubriacone, in casa mia le sfumature non erano previste. Urla, casino, condomini, carabinieri… genitori… pace o meglio tregua. In una di quelle tregue Nicola decise che oltre a vendere poteva anche far posare le lastre, in quel modo avrebbe guadagnato di più, effettivamente fu così, nel giro di pochi mesi mise su una squadra di posatori e iniziarono a fioccare lavori da mezzo Piemonte. Tanti, tantissimi soldi.

    In casa mobili nuovi, moquette, altri oggetti bellissimi, libri antichi e qualche quadro pregiato, così diceva Papà Lino.

    Capannoni su capannoni, ogni tanto mi ci portava.

    Per tutti ero il Figlio del Geometra Malberti, mi piaceva sentirmi così, voleva dire che mio papà era importante.

    Tutti lo trattavano come un generale dei soldati. Tutti tranne La Polla che era l’unico a scherzarci.

    La Polla era un uomo sui quarantacinque anni, tozzo e con una faccia che sembrava fosse stata scolpita nella pietra. Viveva in una casa nella periferia estrema di Torino con moglie e cinque figli, tra di loro parlavano in dialetto, quando ci andavo mi sembrava di essere su un altro pianeta. Non capivo una parola. La Polla era un gran lavoratore, il migliore nel suo ruolo, ma con un vizio enorme e devastante: il gioco d’azzardo. Frequentatore assiduo dei Casino di Saint Vincent, Montecarlo e Sanremo. Chemin de fer, Black Jack, Poker e Roulette. Un uomo di quarantacinque anni malato di gioco batte un ragazzo di ventisette irrequieto e così prova oggi e prova domani alla fine riesce a portare i miei a svagarsi al Casinò Nicola, con quello che guadagni, centomila lire per togliersi lo sfizio di provare una volta non sono niente. Ti diverti una sera e fine.

    Ma sì dai.

    Fine.

    Si vestirono di tutto punto e partirono felici, quella notte a guardarmi ci pensò Michela la nostra vicina di casa. Gli volevo un gran bene. Anche a Biagio, suo marito. Non litigavano mai e in casa c’era sempre un buon profumo di sugo al pomodoro.

    Purtroppo quella sera Nicola e Maria centrarono quattro pieni, più cavalli e cotillon per un totale di otto milioni di lire. Un capitale. Fu l’inizio della fine di tutto.

    Nicola cosa ti avevo detto?. La Polla fu premiato con un milione.

    Fine.

    La seconda volta persero due milioni. La terza ne persero sette, alla decima mio padre dovette chiedere un anticipo all’azienda sulle percentuali, nel frattempo La Polla venne pestato a sangue dagli sgherri dei cravattai e trovato in fin di vita in un’area di servizio della Torino/Aosta. Se la cavò seppur rimanendo zoppo e con una mano spappolata a colpi di mazzetta presa dal suo bagagliaio, appena uscito dall’ospedale prese moglie e figli e sparì nel nulla. Addio coperture.

    Una pallina che viaggiava a velocità siderale sulla roulette. Ecco cosa era diventata la nostra vita.

    I debiti aumentavano, il Casinò ormai era l’unico pensiero. Nessuna gita, zero cinema o giostre. Io da Michela e loro a Saint Vincent.

    Nicola, con quello che guadagni, centomila lire per togliersi lo sfizio di provare una volta non sono niente. Già. Purtroppo diventarono una montagna di soldi bruciati e da restituire.

    Alla terza richiesta d’anticipo mio padre fu richiamato in sede dall’allora direttore Carloni, un uomo buono, che vedeva in quel ragazzo una disperazione che andava ben oltre i debiti di gioco.

    Lo prese sotto l’ala fin dal momento che entrò all’Edilfibra, lo instradò e se ne fece sempre garante con i padroni dell’azienda Malberti sarà anche una testa accesa ma è il più bravo dei nostri venditori Mio padre lo adorava, forse in lui vedeva un padre, o semplicemente un limite oltre il quale non spingersi per paura dei suoi giudizi. Quando Carloni urlava al telefono io vedevo mio papà abbassare gli occhi e non replicare mai, poi gli chiedeva scusa e riattaccava.

    Questo vizio del gioco lo fece imbestialire, addirittura venne a Torino e portò mia madre e mio padre a cena, per un po’ gli stette dietro con la minaccia di licenziarlo Adesso basta! Questa è l’ultima volta che ti anticipo delle provvigioni non ancora maturate, poi sappi che la porta del mio ufficio per te sarà chiusa per sempre, anche io ho una famiglia e non posso andarci di mezzo per le tue follie. Mi hai capito Lino??? Guardami! Hai capito??? Si

    I debiti furono saldati, ma la favola del vecchio saggio e del giovane selvatico si schiantò contro un ventricolo. Un paio di mesi dopo Carloni colto da infarto venne trovato morto in ufficio. Lasciò moglie e tre figli, uno dei quali ancora minorenne.

    Ricordo l’urlo di mio padre al telefono, le lacrime irrefrenabili, forse inconsciamente sapeva di aver perso l’ultimo ostacolo che lo separava dallo strapiombo che aveva dentro e che lo avrebbe fatto precipitare in una caduta senza fine in compagnia di mia madre. Ricordo quell’omone che mi ricordava il gigante della Ferrero, stretto in una bara, con le mani giunte, il vestito bello e la faccia bianca. Senza cravatta perché mio papà mi disse che non l’aveva mai sopportata.

    Il suo posto alla direzione fu preso da Moratelli che da sempre detestava mio padre. A salvarlo fu solo il fatturato, perché nonostante tutto rimaneva il venditore più bravo di tutto il Piemonte.

    Malberti io non sono Carloni, quindi fila dritto e non cercarmi se non per ciò che ti spetta Un odio chiaro e diretto, verso chiunque avesse avuto un buon rapporto con il suo predecessore.

    Lino per un po’ resistette, sapeva benissimo che Moratelli non scherzava, poi vinse l’astinenza da tavolo da gioco e tornò al Casinò, con madre al seguito. Si giocò l’età e il giorno della morte di Carloni. Due pieni. Carloni da lassù ci protegge Età e morte, età e morte, età, morte e funerale…. I numeri gli voltarono come sempre le spalle e a casa iniziarono a arrivare telefonate strane C’è tuo padre? mi faceva segno di dire che non c’era No Papà Lino non c’è Non ha importanza digli che tra tre giorni lo troviamo noi. Clic. Papà Lino hanno detto che ti trovano loro. Ma chi sono? Clienti

    Non erano clienti e non era Moratelli, la sua voce la conoscevo. Tre giorni dopo mia nonna di nascosto prese tutte le medaglie d’oro del marito più del denaro cash e mio padre saldò i debiti di gioco.

    Avrebbe dovuto farlo pestare o ammazzare, ma in quel modo non sarebbe stata più in grado di devastargli il cervello, il suo giocattolo in forma di figlio doveva rimanere funzionante. In casa non c’era più nulla, si erano venduti tutto ciò che non avevano sfasciato durante le liti. Ben poco.

    Anche la mia amatissima Dama in Capodimonte se ne andò.

    Beata lei.

    Mamma iniziò a fare le camere in un albergo, mia nonna a lavare lenzuola per un motel, mio padre a lavorare di continuo per saldare i debiti che accumulava, perché la roulette è eroina, il tutto mentre suo padre scopriva di avere un tumore ai polmoni, annegato nel Tocai delle piole.

    A Sanremo quell’anno vinse Iva Zanicchi con Ciao cara come stai? Era il 1974 e le note che uscivano dalle radio iniziavano a essere coperte dalle sirene di carabinieri e polizia. Erano gli anni di piombo da lì a poco esattamente il 28 maggio ci sarebbe stata la strage di Piazza della Loggia a Brescia e il 4 agosto quella dell’Italicus. Vedevo quelle immagini di morte che s’impastavano con tutto quello che vivevo in casa e non capivo niente se non che il mio sgabuzzino, anche senza chiave, rimaneva ancora il posto più sicuro dove rifugiarsi con il mitra di plastica che aveva sostituito il fucile con il tappo di sughero. I genitori di mamma Maria si rifiutarono di dare una mano, un gesto sano, se fosse scaturito da un pensiero altrettanto sano, ma dietro c’era ben altro e lo scoprii nel modo peggiore. Mio padre mi prese e andammo insieme da mio nonno nonché suo suocero che come sempre era nella sua falegnameria, un enorme garage all’interno di un cortile condominiale di palazzoni anni sessanta.

    Entrammo senza suonare.

    Mio nonno ci fissò poi tornò a spargere Bostik su un pannello di compensato Che ci fai qui? Piglia il bambino e vattene Va bene, ma prima di tornare a casa vado da tua moglie e gli racconto di Angela e della pelliccia che gli hai regalato a Natale Chi era Angela? Perché mio nonno che non mi comperava neppure una caramella regalava una pelliccia a una sconosciuta? Chi era Angela? I miei si erano conosciuti dai rispettivi balconi, lui abitava al quarto piano lei al secondo, i due palazzi erano divisi da una lunga fila di garage, Angela era la tabaccaia del quartiere una donna sui 65 anni robusta e con una montagna di capelli tinti biondo oro che troneggiavano su uno sguardo che gli adulti dicevano ammiccante. Vedova da anni e ex bella donna non rassegnata a essere ex. I miei nonni ci andavano a comperare le sigarette, uno dei due oltre alle sigarette si comperò qualche ora di relazione clandestina che pare durasse da anni. La madre di Nicola aveva intercettato mezze notizie, qualche confidenza, che in un attimo con gran piacere riportò al figlio. Ed eccoci in falegnameria, io a giocare con la segatura e loro due con questa spazzatura mista di gioco, debiti e ricatti. Mio nonno posò la colla e prese uno scalpello, rimase immobile impietrito, come se stesse caricando l’energia necessaria per fare un macello irreparabile, Nicola aggiunse Li tieni qui i giornali porno che ti passo? O li fai mettere in ordine da tua moglie?" Che caspita è un giornale Porno? Cos’è il Porno? Di cosa parla? Perché in casa ho sempre visto La Stampa, Stop, Grand Hotel e mai questo giornale?

    Che giornali gli regalava mio papà? Ma se non si vedevano quasi mai e se succedeva poi litigavano dicendosi parolacce.

    I porno?

    Papà cos’è il porno? Gioca e stai zitto Scusa Ogni volta che mi rispondeva male non so perché mi tornava alla mente Mezzascopata, che mi faceva sentire un cretino, uno che non poteva chiedere. Se me l’aveva detto mio papà un motivo c’era, i grandi sanno sempre il significato delle cose. Mio nonno chinò la testa sibilò qualcosa in siciliano o arabo, mio padre mi chiamò e tornammo a casa.

    Avete litigato? Fai il bambino Scusa Scusa un cazzo

    Arrivò sera e il citofono annunciava nonno Nino, aprii la porta, mi porse una busta di carta gialla da raccomandate e senza dire una parola riprese l’ascensore. Da quel momento in avanti, quando mio padre perdeva, lui arrivava con una busta gialla e tre o quattro sacchetti ricolmi di spesa.


    I porno dovevano essere una cosa preziosa che aveva solo il mio papà!

    TI HANNO PORTATO GLI ZINGARI E ALTRI SIMPATICI SCHERZI

    Nell’immaginario collettivo sono gli zingari a rubare ignari marmocchi dalle carrozzine di genitori distratti, nel mio caso invece apportarono una novità: lasciare bambini sullo zerbino di qualche alloggio. Uno scarto.

    I miei mi tennero lo stesso, ma ogni tanto probabilmente si pentivano di aver fatto quella scelta Non sei figlio nostro, ti hanno portato gli zingari dentro a una cesta, noi ti abbiamo trovato davanti alla porta di casa.

    Per loro uno scherzo, lo capii tempo dopo, per me ore e ore davanti a uno specchio per cercare similitudini con le fattezze dei miei.

    Papà, mamma ma è vero? Sì eri dentro a una cesta vestito con un sacchetto della spazzatura. Papà e mamma secondo te dicono bugie? Purtroppo lo specchio non era come quello della Matrigna di Biancaneve. Nessuna risposta. Forse perché io ero un maschio.

    Altre ore a cercare somiglianze con i miei.

    Mi sembrava di assomigliargli: occhi, capelli, sguardo.

    Ogni certezza si frantumava con Te lo giuriamo, ti hanno portato gli zingari, perché non ti volevano.

    Iniziai a denudarmi stando davanti allo specchio del mobile della camera dei miei, due volte andò bene, la terza mi vide mio padre e urlandomi Schifoso cosa fai? Mi massacrò di botte.

    Sono cose da fare? Chi hai visto fare queste cose? Tu sei malato nel cervello, Maria ma hai visto cosa fa quel porco di tuo figlio?

    Cinghiate, botte, tante, era furibondo.

    Per far andare via i segni ci misi un mese. Perché si infuriò così tanto? Cosa avevo fatto di male?

    Quando dovevo farmi il bagno mi spogliavo sempre in camera e poi nudo andavo in bagno, eppure non si arrabbiava mai, anzi se era di buon umore mi faceva il solletico.

    Perché???

    Forse ero davvero un Rom abbandonato davanti alla porta di un alloggio della periferia di Moncalieri.

    Forse ero davvero uno scarto?

    La passata di pomodoro gli fece venire un altro guizzo creativo: Lorenzo, Lorenzo corri, papà sta male!

    Soldatini a terra, corsa verso la camera da letto dei miei, papà con la testa piena di passata Lorenzo papà sta morendo, mia madre che si finge disperata, io che scoppio a piangere e lui che con un dito si toglie la passata dalla testa e me la mette in bocca iniziando a ridere Cretino è uno scherzo…. Lorenzo, ma sei scemo? Non vedi che è passata di pomodoro?

    Ridevano divertiti, Mezzascopata no, non poteva comprendere quell’ironia, lui che probabilmente arrivava da un campo Rom.

    Mezzascopata, quel soprannome tornava a galla ogni volta senza sapere il perché, senza conoscerne il significato. Succedeva qualcosa e immediatamente ci pensavo.

    Uno scherzo, era uno scherzo, che lo fossero anche tutte le liti precedenti? Che stessero cercando di trasmettermi qualcosa che non capivo? Tutto quello che accadeva era colpa mia?

    Mezzascopata o scarto di zingari?

    Cos’era peggio?

    Ma soprattutto chi erano precisamente gli zingari?

    Nessuno fino a allora me li aveva fatti vedere, erano solo protagonisti dei racconti dei miei.

    Com’erano vestiti? Che facce avevano? Dove stavano?

    Se mi avevano abbandonato avrebbero anche potuto decidere di riprendermi: come li avrei riconosciuti?

    Il terrore che mi assaliva ogni volta che uscivamo era immenso.

    Tutti potevano esserlo e io non avevo gli strumenti per capirlo.

    Avevo paura di tutti, anche dei vicini.

    Anche alle giostre la gioia si trasformava in paura.

    PAURA PAURA PAURA.

    Finalmente un giorno mi indicarono degli zingari Ecco i tuoi parenti. Risero, poi mi ribadirono che era solo uno scherzo che io tonto non avevo capito. Da lì in poi ci sono voluti quasi trent’anni per non odiare questi cristi che nulla hanno a che fare con me e neppure ci tengono se non per ottenere una moneta. Eppure ancora oggi se vedo un loro bimbo ne osservo i tratti somatici per vedere se assomiglia ai suoi genitori.

    IL GATTO E IL POSTINO

    Saint Vincent non bastava più, casa era diventata una specie di bisca, mio padre e il postino assurto a socio di gioco invitavano sempre persone diverse. Poker. Il postino si chiamava Leone, anche lui malato di gioco. Anche lui disperato in cerca di denaro per saldare i debiti. Al Gatto e alla Volpe per un po’ andò bene, vincevano sempre. In casa rispuntò qualche soprammobile e un televisore nuovo. Pensavano di essere diventati maestri del gioco, ma una sera uno dei partecipanti iniziò a urlare, io lo sentivo dalla mia camera chiusa per via del puzzo delle sigarette che però in un modo o nell’altro entrava lo stesso e m’impregnava i vestiti. Bari, siete due bari io vi faccio sparare Che cazzo dici? Come ti permetti??? Urla, sedie che cadevano a terra, i pianti di mia madre incinta di sei mesi. Io me ne stavo in camera mia sotto le coperte con il mio mitra, una torcia e uno di quei fumetti strani. La paura ormai era consuetudine, non sapevo più distinguerne la fonte.

    Urla, insulti, botte. Si nutriva di questi elementi sperando di non farne parte. I Perché? erano vietati.

    Facevo la prima elementare e quando succedevano queste cose il giorno dopo non andavo a scuola perché i miei non mi svegliavano. Dormivano anche loro. Una di quelle sere all’improvviso arrivarono i carabinieri, non so cosa successe, mio padre, il postino e altri tre signori uscirono con loro. Rividi mio padre due giorni dopo. Aveva un

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