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Oltre il confine dell'amore
Oltre il confine dell'amore
Oltre il confine dell'amore
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Oltre il confine dell'amore

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About this ebook

Eva è diversa dalle sue coetanee. Romantica, adora cucinare, sferruzzare e mentre le sue amiche sgomitano per fare carriera: lei si sposa. La casa dove si trasferiscono è molto spaziosa. Ebbra d'amore, Eva attende con trepidazione di realizzare il suo prossimo sogno: diventare madre. Ma ben presto si accorge che i suoi progetti non coincidono perfettamente con quelli del marito. Quando tutto le apparirà triste, un uomo e il suo piccolo bambino cambieranno per sempre la sua vita.
LanguageItaliano
Release dateSep 23, 2014
ISBN9786050323191
Oltre il confine dell'amore

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    Oltre il confine dell'amore - Tatyana Menduni

    TITOLO : Oltre il confine dell'amore

                                                                         di Tatyana Menduni.

    Dedico questo mio primo libro a nonna Etta, ai miei genitori che mi hanno trasmesso il vero significato della parola Amore e a Minù.

    Ringraziamenti

    Caro lettore, ti ringrazio per aver scelto proprio il mio libro. Grazie. Spero che questa storia, possa emozionarti tanto quanto ha emozionato me durante la stesura.

    Ringrazio mio marito per essersi occupato della correzione e della pubblicazione. E soprattutto per aver sopportato i miei: Dopo Amore dopo e per tutti i miei Silenzio per favore!. Lo ringrazio per aver fatto le h5 del mattino con me, perché mi era venuta l'ispirazione per scrivere ancora un pezzettino. Lo ringrazio per aver creduto in me.

    Ringrazio anche la mia mamma per avermi dato alcuni suggerimenti culinari. Le ricette sono state suggerite da Lei, la cuoca più brava che io abbia mai conosciuto.

    Ringrazio i miei primi lettori: mia sorella, con cui condivido la passione per la lettura, mia madre, mia cognata e mia suocera.

    Senza il supporto di queste persone avrei scritto questo libro, ma non avrei avuto uguale risultato.

    Capitolo 1

    Dichiarazione francese.

    Non potrò mai dimenticare il fine settimana a Parigi.

    Euforici per l'arrivo in hotel, non dormimmo molto.

    Al mattino ordinammo la colazione in camera : croissant appena sfornati e caffè caldo. E senza perdere un attimo di tempo, ci ritrovammo in metropolitana.

    Era divertente consultare la mappa e scegliere la destinazione.

    Ci trovavamo nella città più romantica ed elegante del mondo.

    Il tempo mutò, ma sapevamo che un po' di pioggerellina non avrebbe guastato il nostro buonumore. E così anche se il tempo non fu clemente, iniziammo  il nostro tour.

    Prima tappa l'Arco di Trionfo, un monumento costruito per celebrare le vittorie di Napoleone Bonaparte durante le sue guerre.

    Percorremmo uno dei viali più larghi e maestosi: Le Champs Elysées. Mentre camminavamo mano nella mano, i miei occhi si posavano su ogni singolo particolare. I lampioni settecenteschi, gli ingressi della metropolitana così datati, ma ben tenuti. Lo sfavillio dei negozi. I miei occhi brillavano e il luccichio aumentò quando arrivati nella piazza del Trocadéro, vidi la Tour Eiffel. Trecentoventiquattro metri di ferro, forgiato per erigere quello che divenne il simbolo della Francia.

    Faceva freddo, la punta del naso era rossa come un peperone. I miei occhi si fissarono sul prato ben curato. Infine su Andrea.

    Che freddo!!!. Mentre pronunciai queste parole, ricordo che estrasse una busta dalla giacca, tirò fuori un biglietto. Anche le sue dita erano congelate, me ne accorsi quando me lo porse.

    I miei occhi indugiarono dalla busta a lui, dal suo viso alla busta. La posò tra le mie mani.

    Scritto in bella grafia, lessi:

    Calmati Amore, stai tranquilla, voglio solo chiederti se ...

    Il cuore batté all'impazzata, sentivo le gambe tremare e i miei occhi si riempirono di lacrime di gioia. Alzai lo sguardo. Il suo indugiava nel mio.

    Lo guardai e lui mi chiese : Mi vuoi sposare?.

    Mi sciolsi come neve al sole e appena mi riuscì, risposi : Sì, Sì, Sì. Gli saltai addosso. Lo strinsi a me.

    Ci baciammo ignari degli sguardi curiosi. C'eravamo solo noi due, stretti in un abbraccio d'amore.

    Un bacio dolce e al contempo appassionato. Ricordo ancora il suo sapore.

    Sapeva di noccioline tostate e lacrime di gioia.

    E così trascorremmo tre giorni tra musei, gallerie d'arte e bistrot. Innamorati come non mai. Teneri come due adolescenti al primo amore. Ogni secondo trascorso insieme sapeva di novità.

    Non scorderò mai l'ultima sera in zona Montmatre. La folla sembrava ebbra d'amore. O forse ero io a vedere cupido scagliare le sue frecce in ogni angolo.

    C'erano coppiette sedute sui muretti intente a scambiarsi effusioni, noncuranti del mondo circostante. Gruppi di amici un po' brilli, tutti avevano qualcosa in mano. Si sentiva il tintinnio dei brindisi, il frantumarsi di qualche calice, i profumi di waffle al miele e di panini con carne e peperoni.

    Scegliemmo la data del matrimonio davanti alla basilica del Sacré Coeur. Seduti sulla scalinata mentre ci gustavamo un enorme panino al formaggio. Poco dopo una pioggia di fuochi d'artificio esplose in cielo. Colorandolo di mille sfumature.

    Fu una festa per gli occhi e per lo spirito.

    Tornati a casa, iniziarono i preparativi per il matrimonio.

    Io avrei preferito sposarmi su un'isola persa nei tropici, non che non volessi la mia famiglia vicina nel giorno più importante della mia vita. Avrei voluto solo evitare lo stress da matrimonio di cui tutti parlano. Lui teneva alla tradizione e così lo accontentai molto volentieri.

    Il 1° Luglio a Caramagna , una dolce fanciulla con il suo abito controcorrente, varcò la porta della Torre dell'Orologio e si sposò tra gli applausi e la commozione dei genitori, delle sorelle, nostre testimoni e dei parenti più intimi.

    Poche settimane prima avevo perso il lavoro, ma presa dai preparativi fu quasi un sollievo potermi dedicare interamente al matrimonio e pochi giorni dopo la grande festa in nostro onore, partimmo in luna di miele. Destinazione, la terra del riso e del sorriso: la Thailandia. Fu una vacanza all'insegna del piacere e dell'ozio.

    Al ritorno mi ritrovai a pensare a come erano trascorsi i mesi: velocemente.

    Il lavoro e i preparativi nuziali avevano colmato ogni mio momento libero.

    All'improvviso mi ritrovai senza impegni. Badare alla casa e cucinare seppur impegnativi, lasciavano un sacco di tempo a disposizione.

    Leggevo, scribacchiavo sul mio diario, mi dedicavo alla pittura e al cucito.

    Ma non ero abituata ad oziare. Avevo bisogno di un lavoro.

    Era una fredda mattina d'autunno quando decisi che il modo migliore per non sprofondare nell'apatia sarebbe stato passeggiare all'aria aperta.

    Non volevo trascorrere un'altra giornata solitaria nella nostra casa.

    Avevamo arredato il nostro nido con cura e mi piaceva crogiolarmi in un luogo così accogliente, ma non ventiquattro ore su ventiquattro. La mia famiglia d'origine abitava a Torino ed io non avevo un auto a disposizione per spostarmi con facilità. Tra pullman, metropolitana e una lunga passeggiata mi occorreva un'ora per raggiungere la casa dei miei genitori.

    Abitare a Rivoli aveva i suoi vantaggi, ma ben presto mi accorsi che ero un pò sola.

    La solitudine aveva un che di affascinante, potevo fare ciò che volevo senza rendere conto a nessuno. Io mi ero sempre considerata una solitaria, non c'era nulla di più entusiasmante di fare tutto ciò che volevo, quando più lo desideravo.

    Al mattino preparavo una colazione abbondante e guardavo sorgere il sole in attesa che Andrea si svegliasse per andare a lavoro.

    Lo scenario era suggestivo, il castello di Rivoli sembrava incantato avvolto com'era dalle nuvole mattutine. Il viale che conduceva al museo d'arte contemporanea, si stava tingendo di arancione, giallo, rosso e marrone. Sorseggiavo il mio te verde e salutavo Andrea che andava via sulla sua moto. Il suo bolide nero lucido.

    Ultimamente c'erano state diverse discussioni, avevamo abitudini diverse e ben presto mi accorsi che anche i progetti per un futuro immediato, per certi versi non coincidevano come mi ero immaginata. Ecco, questo forse era stato un mio errore. L'errore più comune : fare previsioni e dare per scontato l'altro.

    La sera precedente avevamo avuto un diverbio.

    Tutto ebbe inizio con una domanda piuttosto innocente.

    Come ti vedi tra un paio di anni?.

    Era sdraiato sul sofà, con il viso rivolto verso la porta che conduceva in cucina, dove stavo asciugando le stoviglie della cena.

    Con dei figli, un paio. Questa casa è così grande, credo che sarebbe perfetta se avessimo dei bambini.

    Il vaso di pandora si frantumò e ne uscì di tutto.

    Mi accusò di non aver senso del dovere, che con il solo suo stipendio non avremmo potuto far nulla. Tanto meno un bambino.

    Non era la prima volta che inserivo questo dolce argomento. Sentivo un gran bisogno di diventare madre. Per me ventisette anni e mezzo erano l'età giusta, anzi avessi potuto qualche anno prima, sarei stata comunque pronta per pannolini e notti insonne. Andrea voleva dei figli, ma non adesso. E non c'era verso per fargli cambiare idea.

    Io invece ero del pensiero contrario per tanti motivi. Uno di questi era che troppe persone accanto a me se ne erano andate senza essere felici, senza realizzare i propri sogni.

    Poche settimane prima avevo perso la nonna paterna. Una donna in gamba, una mamma perfetta e una moglie sfortunata.

    L'amore che non aveva ricevuto, lo riversava sugli altri. Anch'io mi sentivo colma d'amore e a differenza della mia cara nonna, orfana sia di madre che di padre, d'amore e di esempi ne avevo ricevuti parecchi. Desideravo costruire una famiglia, come quella dei miei genitori. Desideravo dei figli. E poi avevo una gran paura delle malattie e il terrore di andarmene, senza aver realizzato il mio più grande sogno. Diventare madre. Allevare dei bimbi e occuparmi di mio marito.

    Dalla morte della nonna, questo pensiero mi tormentava. Negli anni passati, amiche e vecchie conoscenze si erano ammalate di cancro e in poco tempo erano passate a miglior vita. E non solo persone adulte o anziane.

    In quel momento, sposata e con una bella casa, mi veniva naturale pensare a dei pargoletti.

    Andrea voleva che lavorassi e poi ne avremmo discusso, ma il lavoro non arrivava e non si può dire che non lo cercassi. Stavo ore a rispondere agli annunci su siti internet competenti e preparavo con cura curriculum sempre migliori. Al telegiornale non facevano altro che trasmettere notizie sulle conseguenze della situazione politica. Secondo me tutti pensavano ad impinguarsi le tasche e nessuno a risolvere i problemi più importanti. L'alto tasso di disoccupazione stava continuando a mietere vittime. I giovani faticavano a trovare un'occupazione ed io facevo parte di quella triste maggioranza senza futuro. Un'idea che si rivelò fruttuosa, venne in mente ad Andrea. Creò dei volantini da distribuire in tutto il quartiere. Avevo già fatto la bambinaia ed ero una maestra d'asilo, quindi non potei che accogliere piacevolmente questa iniziativa.

    Così , come dicevo, quella mattina passeggiai in solitaria per Viale dei Partigiani d'Italia e sbucai in via Fratelli Piol.

    La via principale era affollata. Forse perché era quasi ora di pranzo e la gente usciva dagli uffici riversandosi su per il viale, colmo di bar e piccole locande accoglienti.

    Un profumo di toast al prosciutto e formaggio arrivò alle mie narici facendomi venire l'acquolina in bocca. Il cielo faceva presagire l'arrivo della pioggia. Distribuii gli ultimi volantini entrando in un paio di negozi e mi rintanai alla Locanda, per bere un caffè. Quello al ginseng era il mio preferito e ogni tanto me ne concedevo una tazza.

    La pioggia non attese, scrosciò inesorabile. Fissavo quelle minuscole goccioline cadere una dietro l'altra.

    Vuole altro?. Una giovane cameriera che mi fissava con un sorriso a trentadue denti mi distolse dai miei pensieri.

    Come prego?, chiesi stralunata.

    Desidera altro? ripeté gentilmente.

    Sì,un figlio alla panna e un lavoro al cioccolato. Pensai tra me e me.

    No, grazie. Raccolse la tazza vuota e se ne andò, ritornando con il mio scontrino.

    Pagai e mi diressi a passo spedito verso casa.

    Stare in giro, per conto mio, mi dava un senso di libertà. Mi faceva acquistare sicurezza. Mi piaceva osservare l'andirivieni dei passanti. Alcune mamme con i loro carrozzini. Anziani a passeggio senza meta. Uomini d'affari intenti a parlare al vento con gli auricolari incastrati nelle orecchie. Le stradine per metà asfaltate e per metà realizzate in pavé conservavano un po' del vecchio stile romano. Qua e la colonne e vecchi capitelli. La Rivoli vecchia così ben curata e contemporaneamente datata, mi faceva pensare ad una signora anziana. Forte e con principi ben radicati. Quelle donne a capo di famiglie numerose. Ogni cosa, ogni dettaglio mi faceva pensare alla famiglia. Stava diventando quasi stressante.

    Nella via del ritorno mille domande vorticavano nella mia testa..

    Perché non posso mettere al mondo dei figli?Perché devo per forza lavorare per avere un bambino.. e poi chi lo crescerebbe? Una babysitter ? Viviamo in un paese dove una coppia non può decidere di mettere al mondo un figlio se entrambi non lavorano.

    E anche cercando continuamente, rispondendo ad annunci per segretarie e centraliniste, maestre e assistenti di studi medici : non lo trovo.

    Tornai a casa delusa dai miei stessi pensieri. Appena aprii la porta un profumo di lavanda mi avvolse dandomi il benvenuto. Avevo sparso sacchetti di garza colmi di piccoli boccioli essiccati.

    Respirai a pieni polmoni. Profumo di casa mia. Tirai fuori dal mio baule un morbido scialle dalle lunghe frange rosa bebè, dono della mia cara nonna materna.

    Mi accoccolai sul divano, continuando a riflettere sul mondo del lavoro e in poco tempo caddi tra le braccia di Morfeo.

    DRIIIN... DRIIIN...

    Un suono stridulo e insistente penetrò i miei sogni,  riportandomi bruscamente alla realtà.

    Mi alzai e per poco non persi l'equilibrio.

    Maledizione, pensai.

    Pronto?.

    Eva?.

    Sì, sono io. Chi parla?, chiesi incuriosita dalla voce profonda.

    Sono Enrico Di Vado, Lei non mi conosce e aggiunse neppure io la conosco rise

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