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Il fuoco dell'agio
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Il fuoco dell'agio

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About this ebook

A volte guardando il passato si vede il futuro. In questa favola morale s'accarezzano la società ed il fantapolitico e si procura un abbraccio tra sorrisi e pianti. La sinossi (riassunto breve) è la visione d'insieme, quindi un minoritario rispetto all'Insieme che viene raccontato e che si riferisce al periodo nel quale non v'era elettricità né motori né petrolio. Un tempo nel quale, stranamente, comandava la politica. Accompagnate Bongio Lellino a conoscere chi eravamo e (o) saremo e fatevi ispirare alla libertà da un Gaetano (Rino?) che ne canta di tutti i colori. Fate (tutto voi? Si. L'autore l'ha già fatto) crescere Ralph. Fategli (ancora?) raggiungere l’equilibrio, potrebbe donarlo anche a voi.
LanguageItaliano
Release dateOct 13, 2014
ISBN9786050323672
Il fuoco dell'agio

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    Il fuoco dell'agio - Tommaso Bucciarelli

    Farm

    Capitolo 1

    L’arrivo all’Ordine

    Perfectville viveva la sua giornata più bella dell’anno.

    Faceva caldo, ma non troppo. Il cielo era sereno, e una leggera brezza accarezzava la cittadina come il soffio di una mamma sul viso del suo neonato.

    La mappatura regolare delle strade stranì l’ambasciatore che veniva dal sud: Non c’è una maledetta curva in questo postaccio!, bofonchiò l’omone grattandosi la lunga barba grigia mentre teneva la testa fuori dalla carrozza in movimento trainata da cavalli.

    Perfectville si presentava al visitatore come era suo solito apparire: era la capitale dello Stato dell’Ordine, ed era ubicata esattamente al centro del Paese. In tempi remoti erano stati fatti calcoli di una esasperante precisione, atti a determinare da quale punto si dovesse partire per costruire la città.

    La Storia dell’Ordine

    La Storia narra di due gemelli che percorsero i confini dello Stato a piedi, partendo dal sud ed in direzioni opposte, per poi rincontrarsi al nord.

    (La storia del luogo non approfondisce come tali confini fossero stati definiti. Essi v’erano già prima della nascita della capitale. E questo è un punto sul quale non torneremo).

    I due gemelli camminarono per mesi senza mai fermarsi. I passi erano il motivo per il quale erano partiti: dovevano misurare lo Stato, quindi ogni mille passi lasciavano un segno di modo che, nel caso avessero perso il conto o si fossero dovuti allontanare per urgenze di qualsiasi tipo, avessero un punto dal quale ripartire.

    Instancabili, i due mangiavano e bevevano camminando. La gente che incontravano era per lo più cordiale e socievole. Loro no. Si nutrivano di quel che la terra o gli abitanti dei paesini che attraversavano gli offrivano. Naturalmente non ringraziavano mai. È naturale per chi conosce le usanze dello Stato dell’Ordine, dove dire grazie è una perdita di tempo. Le cose si fanno perché si deve, nell’Ordine. Questo però non era ancora lo stato delle cose, in quello Stato, all’ordine dei tempi.

    Ho forse creato confusione?

    Sta di fatto che allora ringraziare era ancora cosa gradita. Furono loro, i gemelli, ad avviare il processo che estinse il grazie.

    Si chiamavano Precisino e Freddino, ed erano ovviamente figli della stessa madre, ma di padre incerto. Il loro cognome fu preso come sostantivo per l’unità di misura nazionale. Al compimento della missione infatti, i due sommarono i passi dell’uno con quelli dell’altro, stabilendo che lo Stato dell’Ordine avesse un perimetro di-non-so-quanti Giusto-passi.

    In poco tempo, ed in maniera alquanto misteriosa, i fratelli Giusto raggiunsero il potere. Con caratteristiche diverse, ma figlie dello stesso ideale, governarono a turno lo Stato. Chi governava era chiamato Primer, l’altro era chiamato Opposter, ma questa era una legge esistente da prima della loro elezione. Venivano eletti in maniera democratica: si poteva votare solo per uno o per l’altro. Ogni due anni si tenevano le elezioni e la propaganda dell’uno e dell’altro durava due anni. Su questa legge s’appoggiarono tramite il loro genitore, che fu Primer.

    La gente credeva a quello che i due promettevano, anche se non riuscivano quasi mai a mantenere gli impegni. Questo perché si dovevano continuamente difendere dalle calunnie che l’uno subiva dall’altro e che l’altro subiva dall’uno. Ma il popolo comprendeva la difficoltà dei governanti e continuava a sperare che i problemi della fame, del lavoro, della sanità e dell’istruzione venissero risolti nella legislatura seguente.

    Precisino e Freddino in realtà non si odiavano, anche se erano perennemente in competizione. In fin dei conti erano due gemelli che si spartivano un giochino. La pensavano alla stessa maniera su tutto, anche se fingevano di essere completamente diversi. Riuscivano a proporre lo stesso provvedimento mascherandolo. Ben presto lo Stato si divise in due nette correnti politiche differenti: quella del Qua e quella del Là. Precisino era di Qua e Freddino di Là.

    Una delle prime riforme portate a compimento fu l’abrogazione delle curve. Precisino la presentò alla Stanza del Bisbiglio nei primi tempi della sua democratica reggenza come Amministratore del Bisbiglio.

    Se si curva ci si piega, se ci si piega si cade. Questo lo slogan.

    L’Opposter fu chiaro: È assurdo quel che dice il Primer, non vuole che ci si pieghi per non cadere, quando sappiamo tutti che il pericolo del piegarsi è quello dello spezzarsi, che è una conseguenza ovvia. Io dico no alle curve.

    Le curve vennero così abolite nel mandato successivo, quello di Freddino.

    Un lavoro estenuante per i poveri addetti alla manutenzione delle strade, che dovettero distruggere tutte le curve sostituendole con angoli più o meno ottusi.

    Durante i primi mesi dell’era senza curve, gli incidenti furono innumerevoli: le carrozze uscivano fuori strada molto spesso e le morti di giovani alla guida di queste vetture erano tantissime. Fu il primo, vero, immenso successo di Freddino: Lo avevo detto, le curve erano da abolire. Rifare le strade ha portato lavoro e occupazione. Si è guadagnato anche in educazione stradale: ora tutti devono andare più lentamente, in modo da non mettere a rischio la propria vita. Alle volte è nella difficoltà che si trova la giusta via.

    Il popolo fu entusiasta: più lavoro e più sicurezza con una sola mossa.

    La città di Perfectville venne quindi costruita seguendo questa concezione. Guardandola dall’alto era un’interminabile incastro di quadrati e rettangoli, con qualche raro triangolo sparso.

    I Giusto promulgarono in seguito anche altre leggi; tra le più importanti c’era quella dell’istruzione mirata: i figli dovevano crescere studiando il lavoro del padre e, obbligatoriamente, dovevano scegliere se seguire le orme del genitore ereditandone il mestiere o, ove ce ne fosse stato bisogno e possibilità, fare domanda per un posto da impiegato statale.

    Si presentò però il problema delle donne, inadatte a determinati tipi di lavoro del genitore. Troppo esili, con un ciclo mensile che le debilitava per alcuni giorni o, quando questo spariva, con la noia della maternità.

    Le donne non lavoreranno mai più. Sarà l’uomo, con il sudore della fronte a mantenere la razza femminina, portando a casa i soldi necessari affinché lei possa adempiere ai doveri di una buona moglie o figlia, sentenziò Freddino, in un momento in cui era lui il Primer.

    La replica di Precisino non tardò: Le donne hanno il diritto al lavoro, come chiunque altro. Propongo che vengano retribuite per legge dai loro mariti, a compensare il lavoro che faranno in casa. Saranno così realizzate e utili alla società, senza dover imparare altri mestieri se non quelli casalinghi.

    Fu così che durante il mandato di Precisino le donne smisero di lavorare al di fuori della casa.

    La storia ha naturalmente dei punti che si mescolano alla leggenda; fatti improbabili che sono divenuti parte di un qualcosa che è più serio. È infatti impensabile per chi conosce l’Ordine, credere che in questo posto non sia mai stata utilizzata la parola grazie.

    La carrozza con il delegato a bordo sobbalzò, facendo imprecare l’omone grassoccio. Poi si ricompose assumendo nuovamente l’aria bonaccia che lo contraddistingueva.

    Buon uomo, cerchi di non prender buche, per gentilezza. La panca sulla quale mi siedo è dura alquanto e non ci siamo mai fermati. Mai, per tutto il lungo viaggio!.

    Il cocchiere, che era partito il giorno prima da una cittadina al confine con lo Stato dell’ambasciatore, e che quindi era dell’Ordine, non si voltò quando rispose con sufficienza: A Perfectville non ci sono buche, straniero. Poi trangugiò un qualche liquido da una bottiglietta grigia.

    L’omone cacciò nuovamente la testa fuori dal finestrino e guardò curioso indietro cercando cosa avesse causato lo scossone. Notò un bastone molto grande in terra. Era sicuramente stato quello! Poi vide i cespugli del giardino di una delle case lungo la strada muoversi. Guardò nuovamente il bastone e rimase stupito quando vide un uomo in divisa che lo raccoglieva per metterlo su un calesse.

    La strada era nuovamente pulita.

    Non si può dire che non si diano da fare, pensò, sussurrandolo appena mentre si lisciava la barba e abbozzava un sorriso.

    Voltarono a destra ed egli tornò a curiosare. Le case che vedeva in città erano tutte identiche. Poche tonalità differenziavano le mura color crema l’una dall’altra. Un giardino circondava le villette che avevano tutte i tetti neri; c’era una piccola stalla in tutti i giardini grazie alla quale, verificando la presenza del cavallo, si poteva intuire se il padrone della villa fosse o no in casa. Infatti solo gli uomini potevano cavalcare, alle donne non era concesso; quindi, per uscire a fare spese si dovevano prenotare il giorno prima dal capo-facchino di zona, che passava lentamente e continuamente tutto il giorno e tutti i giorni nel quartiere di sua competenza, segnando i servizi che le donne da sole non potevano fare per il giorno successivo, e per le quali lo Stato aveva messo a disposizione giustappunto dei facchini.

    I facchini erano una parte fondamentale dello Stato, in quanto lavoravano per il Ministero dei Multiservizi ed effettuavano tutti i tipi di lavoro utili per la comunità: pulivano le strade, regolavano il traffico, spegnevano gli incendi, arrestavano i malfattori, cucinavano alle mense statali, aiutavano le donne, curavano le persone e molto altro. L’importante era che non avessero alcuna competenza specifica, in quanto facevano tutto tutti, con una logica perfetta: la rotazione. Era parte della democrazia lavorativa, per i governatori. Il facchino era l’unico lavoro che potevi tentare, se non amavi quello che ti stava insegnando tuo padre.

    L’omone s’aggiustò il fiocco rosso che legava i sui lunghi e ricci capelli mentre continuava a guardare con curiosità tutto ciò che lo circondava.

    Le strade erano piene di manifesti con le facce di due persone. Una delle due era quella che l’aveva mandato a chiamare. Il suo nome era Primer.

    I volti apparivano secchi e spigolosi, come la maggior parte delle persone che aveva notato sino ad allora.

    Nessun sorriso da quand’era nell’Ordine.

    L’altro doveva chiamarsi Opposter, come scritto a volte sopra e a volte sotto il manifesto.

    Manca molto?, chiese l’ambasciatore.

    La risposta arrivò dopo qualche secondo, stancamente.

    Poche centinaia di Giusto-passi, straniero.

    Giusto-passi? E cosa diamine sono i Giusto-passi?.

    È più ignorante di quanto pensassi.

    È più stronzo di uno stronzo, avrebbe voluto rispondere l’omone, ma sorrise al sol pensiero e si accucciò nuovamente sulla panca.

    Pochi minuti dopo vide un’enorme costruzione che si stagliava verso l’alto. Bianca, regolare e lucida. La carrozza si fermò di fianco a una lunghissima scalinata, con due gigantesche statue ai lati. Sotto una di esse, che raffigurava un uomo calvo con l’indice alzato dinnanzi al viso, c’era scritto Precisino Giusto. Sotto l’altra, che raffigurava un uomo dai capelli lunghi e lisci e le mani dietro alla schiena, c’era scritto Freddino Giusto.

    Una era Qua, l’altra era Là.

    L’ambasciatore tirò su la tunica che indossava e scese le scalette della carrozza. Con la bocca semiaperta, continuava a studiare quell’edificio che esibiva il nome di Palazzo dell’Ordine proprio sopra l’entrata.

    Il Primer porta l’ordine.

    È legge quel che vuole il popolo e che valuta il Primer.

    Tutti sbagliano, alcuni in malafede. Il Primer è umano e se inciampa è solo per aver guardato troppo il popolo.

    Queste erano solo alcune delle targhe appese alle mura che costeggiavano la larga scalinata.

    L’omone si stiracchiò, poi si girò verso il cocchiere e fece per salutare, ma quello fischiò e frustò i cavalli ripartendo per chissà dove.

    Questi sono tutti matti, disse mentre sistemava il fiocco rosso sulla testa ed esplodeva un peto.

    La dichiarazione

    L’ambasciatore cominciò a salire la scalinata, fermandosi di tanto in tanto a leggere le targhe che erano esposte senza comprenderne appieno i significati.

    Quando sembra che tutto vada male, ricordiamo che potrebbe sempre andar peggio.

    Certe decisioni possono prenderle solo i governanti. Il popolo è mediamente più ignorante dei politici.

    Bah..., commentò l’omone ansimando per la fatica dell’arrampicata; poi si voltò e vide i facchini che pulivano le strade, tutti impeccabili nelle loro divise nere con una striscia gialla verticale al centro e con una solerzia che da lontano li faceva sembrare formichine fluorescenti. Continuò a guardare basito: Ma quanti sono? E in quanti fanno quello che potrebbe fare uno solo?, pensò.

    Ricominciò la salita e gli venne in mente che sino ad allora, da quando erano entrati in città, non aveva visto persone passeggiare. Tutti lavoravano e la maggior parte di loro indossava la divisa nera e gialla.

    La scalinata finì ed egli si trovò dinnanzi al portone d’entrata del palazzo. Bussò con forza e dall’interno una voce chiese: Chi sei?.

    Vengo dal sud, sono stato chiamato da Primer.

    La porta si aprì e tre facchini si presentarono alla sua vista. A parlare fu l’unico con indosso un cappello e una medaglia appuntata sul petto: Sei in ritardo di ben quattro minuti! Ti sembra accettabile?.

    Ecco... In ritardo? Di quattro minuti? Sono stato preso e portato qui. Ho viaggiato di notte e avevo detto che sarei arrivato in mattinata. Quattro minuti sono tanti? Sa, da noi gli orologi non li utilizziamo granché, rispose l’ambasciatore.

    Inqualificabile! La tua battuta è fuori luogo. Abbi almeno la decenza di seguirmi in silenzio.

    Ma quale battuta? Io non....

    Mi segua!, ordinò il capo-facchino di palazzo, spezzando qualsivoglia spiegazione. L’omone obbedì.

    Camminarono e salirono le scale, per poi camminare ancora e salirne altre. L’ambasciatore non disse nulla durante il tragitto per paura della suscettibilità dell’uomo col cappello. Non commentò lo sfarzo ostentato che riempiva il palazzo, tanto meno la glacialità degli sguardi dei facchini. Sembrava che tutti avessero una gran fretta correndo Qua e Là senza fermarsi, senza parlarsi. E Qua e Là sono i due termini più appropriati e non casuali. Infatti in ogni piano della struttura c’era una netta divisione in parti uguali: metà piano aveva le mura gialle con pavimento e soffitto neri e la scritta, ripetuta più volte, Qua sulle pareti; l’altra metà aveva le mura nere e pavimento e soffitto gialli con la scritta .

    D’un tratto l’omone notò un sorriso. Era il primo da che era partito. Ed era addirittura di una donna!

    Caspita, è la prima donna che vedo da stamattina!, pensò.

    Ella gli veniva incontro salutando con un cenno della testa tutti i facchini e mostrando tutti i denti che aveva a disposizione. Era molto bella, portava una minigonna e una camicia stretta aperta sul davanti, che lasciava intravedere un generoso seno.

    L’ambasciatore ci lasciò per qualche secondo gli occhi, e quando gli sguardi dei

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