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Due favole relativistiche
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Due favole relativistiche

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La cosmologia spiegata e raccontata attraverso la geniale tessitura di una “tela”.
Ecco, in poche parole, il contenuto del libro ideato e scritto dall'astrofisico Oriano Spazzoli, suddiviso in due racconti. Un breve saggio che racchiude in due storie apparentemente indipendenti le principali conoscenze scientifiche riguardo allo Spazio-Tempo, in un dialogo incalzante tra le figure di un “giovane ragazzo” ed il “Ragno della Luna”, che somiglia tanto a uno di quei dialoghi tra il “maestro” e l'allievo. Durante un “viaggio orbitale” nello spazio, in queste poche pagine si rivivono diverse conquiste riguardo alla materia ed alla gravitazione da essa prodotta; si fa riferimento con estrema semplicità alla teoria della relatività, seguendo le “geometrie euclidee e non” per imparare insieme, attraverso i ragionamenti di “un ragazzo”, come ci giungono le informazioni dall'intero Universo.
LanguageItaliano
Release dateOct 27, 2014
ISBN9786050330045
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    Due favole relativistiche - Oriano Spazzoli

    Chiara.

    Jerry relativistico

    1

    Jerry, pilota da corsa

    Jerry era un pilota; correva da molti anni. Si può dire che fosse nato col casco, i guanti, il rumore del warm-up nelle orecchie, il fumo e la puzza di gomma nei polmoni.

    Jerry ricordava poco della sua vita: un ragazzino tutto ossa, con la testa grossa e gli occhi grandi, neri e tristi, una madre che gridava sempre, gridava e fumava, sempre con addosso una vestaglia rossa ed un insopportabile profumo di fiori da camposanto; gli unici momenti tranquilli erano quelli in cui lei si chiudeva in camera con i clienti.

    E un padre ... un padre?! ... per quel che ne sapeva, avrebbe anche potuto considerare l'uomo non indispensabile alla procreazione. C'erano tutti i presupposti perché diventasse un pilota da corsa, di quelli che scappano più veloce che possono perché odiano il luogo in cui si trovano. E lui li odiava tutti, tutti tranne uno: l'officina del vecchio Moses. Alto e grosso come una montagna, tutto nero compresa la tuta e la faccia perennemente sporche d'olio, ma con un sorriso aperto e dolcissimo ed una strana calottina d'argento sul cranio simile ad un'aureola. Moses era l'unico che gli parlava senza gridare e senza insultarlo; Jerry portava sempre con sè il ricordo del giorno in cui lui gli diede una chiave a becco e un cacciavite, (tieni ragazzo, datti da fare, oggi c'è un sacco di lavoro!) e gli fece smontare una testa. Che emozione! Tutta in una scatola la magia di quell'urlo di belva feroce pronta a scattare e a sgranare l’asfalto.

    Sì perché Moses, in tanti anni trascorsi a girare chiavi avvitando e svitando in quella specie di grotta sudicia, era diventato un mago dei motori, capace di comprendere dal loro linguaggio la loro provenienza, il loro stato di salute, fino a carpirne i segreti, quelli che un singhiozzo, un cigolio, una vibrazione tradisce sempre: il motore è come un bambino appena nato, diceva lui, che pure viveva solo e non aveva avuto figli, se piange c'è sempre un motivo.

    Intanto nei ritagli di tempo lavorava alla sua creatura (una specie di mostro di Frankenstein meccanico, assemblato con pezzi smontati da più di venti macchine diverse destinate alla demolizione, inscatolati dentro la carrozzeria di una vecchia Ford), che ogni domenica lui stesso sfasciava su quella specie di ottovolante che era la pista da cross giù al fiume; e ogni lunedì si doveva ricominciare ... prima la carrozzeria e il telaio ... poi la meccanica ... e avanti così per settimane, mesi, anni. Finché una domenica, il giorno del suo sedicesimo compleanno,per la prima volta fu Jerry a far ruggire il mostro pestando con rabbia sull'acceleratore.

    2

    Carriera

    Da allora fu un crescendo continuo; dalle prime corse sulla terra battuta, o se preferite nel fango visto che da quelle parti piove continuamente, organizzate da un club di amatori e sostenuta dalla locale concessionaria Chevrolet, alle prime gare di regolarità, al primo contratto e alla prima gara NASCAR su di un pick-up Dodge in un circuito short track (un miglio di cemento con due spaventose paraboliche alte come le cascate del Niagara) e sempre con una grinta, una tenacia ed un coraggio al limite della follia, che lo rendevano capace di concludere più di una competizione su di un asse solo, tra il fuoco delle scintille prodotte dal metallo lacerato contro l'asfalto. La sua guida non era bella a vedersi e rivelava una certa antipatia per le curve: lo si vedeva spesso sbandare al loro ingresso a causa della notevole velocità guadagnata in rettilineo e di un cronico ritardo nella staccata. Così le sue corse erano spesso un film di avventure, con sorpassi impossibili, testacoda vorticosi e doppi ribaltamenti, che gli costavano qualche squalifica, ma gli procuravano la simpatia del pubblico, anche perché al traguardo arrivava sempre. Dopodiché abbandonava l'auto nei box tra le bestemmie del suo meccanico, e senza dire una parola rientrava nel suo alloggio; non si fermava a parlare con nessuno, non gli interessavano le donne (gli era bastato l'esempio della madre), né lo attirava intrattenersi con amici che pareva non avessero altro di cui

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