Viva Miguel
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Miguel combatte senza paura e senza equivoci per la sopravvivenza della grande madre verde, diventando una leggenda che volerà di bocca in bocca, più in alto delle stesse cime andine di un paese incantato che, riprendendo le parole di Edoardo Galeano: “E’ stanco di vivere per il progresso altrui”.
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Book preview
Viva Miguel - Roberto Fraschetti
Roberto Fraschetti
Viva Miguel
UUID: 88-901253-0-6
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Table of contents
dedica
01 - Prologo
02 - Pablo
03 - La Paz
04 - Trasferimento
05 - Milagro
06 - Esmeralda
07 - Reinaldo
08 - Miguel
09 - Prigione
10 - Febbraio
11 - Salar
12 - Potosì
13 - Miniera
14 - Frane
15 - Stanchi
16 - Pianure
17 - Rio Beni
18 - Canoa
19 - Villaggio
20 - Divise
21 - Madidì
22 - Valigetta
23 - Voce e Vento
24 - Fine
25 - Epilogo
Biografia
dedica
Vorrei avere due lunghe braccia per stringere i tanti amici che continuamente prestano il loro lavoro per la realizzazione di questo mio sforzo. Ma soprattutto vorrei ringraziare quelle persone che, troppo spesso in silenzio, lottano per il bene comune.
Su tutti il vecchio Reinaldo.
So che non è stato facile per lui riportare alla luce quegli eventi che con tanta pazienza mi ha raccontato, di uomini a noi così lontani, eppure così vicini. Ed io, consapevole che tutte le dediche implicano un dono, penso che il dono più bello siano state le sue stesse parole e mi lascio così cullare dall'idea che tutto il libro sia una grande dedica.
Vicini o lontani che siano, gli uomini come Miguel esistono e come noi si infiammano per le nostre stesse passioni.
Questo dunque, è ciò che conta.
01 - Prologo
Fino a dieci giorni fa non conoscevo l’esistenza del Rio Beni, né lontanamente immaginavo fosse uno dei più grandi affluenti del Rio Madeira. Questo, dopo aver percorso centinaia di chilometri, alimenta nel cuore della grande Madre, il Rio delle Amazzoni. Ma ora, dopo dieci giorni di foresta, eccomi qui a raccontare un’impresa che ha dello straordinario e che ho deciso di scrivere affinché possa rimanere una traccia per chi avrà voglia di leggere e di sapere.
02 - Pablo
"Ti aspetto a La Paz tra dieci giorni,
ti scrivo appena possibile per i dettagli".
Questo era il messaggio che avevo trovato nella mia posta elettronica e da quel momento non avevo smesso di pensare al mio amico Pablo.
Al mattino mi ero svegliato di soprassalto forse insospettito da qualche rumore insolito e, sbadigliando, avevo cercato di mettere a fuoco gli oggetti che mi attorniavano.
Ora la luce del sole, filtrando attraverso le imposte socchiuse, metteva in luce molti particolari della piccola casa in pietra che la sera prima non avevo colto a causa del buio. I fari della macchina mi avevano guidato nel difficile tentativo di aprire la porta di legno e poco dopo il grande camino all’interno aveva contribuito non poco a rischiarare le freddi pareti interne.
Mi ero alzato con movimenti lenti e avevo spalancato una delle due imposte guardando con gli occhi ancora assonnati gli oggetti impolverati che il padrone di casa aveva raccolto qua e là per il mondo e che ora sembravano giacere, presi da una noia mortale, su quelle mensole.
Poi avevo voltato lo sguardo verso l’esterno. La vista era strepitosa: le colline del senese emanavano una vitalità sensazionale ed il sole tiepido di fine ottobre, inondando le dolci sommità, rimandava colori incredibili e delicati che sembravano pulsare di una vita sconosciuta a noi uomini delle città. In quel momento avevo compreso l’amore per quelle zone tante volte descrittemi dal vecchio Alberto, il padrone di casa, che aveva tirato su quella specie di baita in pietra dal nulla e non l’aveva più abbandonata. Aveva lavorato per anni nello stesso istituto di credito dove io ero stato assunto e arrivato alla soglia dei cinquanta, aveva colto l’occasione per mollare tutto per quel posto da favola.
Stella protestò debolmente, lamentandosi per quel riflesso di luce, poi pigra più che mai, si girò dalla parte opposta e continuò a dormire. Rimasi fermo con lo sguardo fisso su di lei, ora che solo il lenzuolo era rimasto a coprire il suo corpo muscoloso e proporzionato. Un metro e ottanta di grinta e dolcezza - pensai assorto - che posso pretendere di meglio?
Avevamo lavorato nella stessa azienda per dieci anni, poi le nostre strade si erano incrociate. O meglio, dovrei dire che avevo fatto di tutto per farle incrociare. Ogni scusa era stata utile per attirarla a me, dalle cose più banali a quelle più originali.
Mi piaceva tutto di lei: i gusti, gli hobby e il suo viso dagli zigomi alti, gli occhi scuri, le labbra carnose ed il naso leggermente schiacciato, i denti bianchissimi che risaltavano sul viso dalla pelle eternamente abbronzata, quasi vivesse in qualche posto tropicale piuttosto che a Roma. L’avevo inseguita, corteggiata e braccata come un animale fiuta la preda.
Poi finalmente una vita insieme. Avevamo lasciato il lavoro sicuro da impiegati: io per tentare la sorte con due miei amici e mio fratello nel campo informatico, lei nel campo degli interpreti free lance. Tutto ciò significava che per tre o quattro giorni alla settimana mi lasciava solo per recarsi nei luoghi dove, l’agenzia che la stava ingaggiando richiedeva la sua presenza: ora Bruxelles, ora Parigi, Londra, Francoforte e così via lasciandomi con Tino, il quattro zampe mezzo boxer e mezzo lupo che con noi condivideva la casa e la vita.
Facemmo colazione a mezzogiorno. Avevo passeggiato da solo per un paio d’ore fino alla sommità della collina sulla quale era adagiata la baita per respirare l’aria fresca e godere della vista. Da lassù, i paesi circostanti sembravano ancora più lontani. Ero rientrato accaldato e mi ero buttato sotto l’acqua fredda della doccia proveniente direttamente dal pozzo, poi una volta vestito ero andato in cucina.
Stella era china sul lavello mentre preparava il caffè.
Aveva indosso un grembiule da cucina, degli zoccoli di corda intrecciata ai piedi e niente altro.
Mi fermai sulla soglia e guardai i suoi seni grandi e dritti come quelli di una quindicenne: Che bell’effetto faresti sugli alti papaveri così vestita. La miglior traduttrice in Europa e nel mondo, tutta nuda alle prese con il caffè
.
Mi lanciò uno sguardo minaccioso, come a dire di non provocare, poi disse: La mia vita privata non riguarda nessuno e cerco di tenerla separata da tutti quei discorsi ufficiali noiosi e ripetitivi, e poi non sono nuda, se è a questo che alludi… ho il grembiule e le scarpe.
La abbracciai e la trascinai senza troppo sforzo sul letto, sapevo che non avrei mai avuto l’ultima parola con lei.
Stella si accoccolò al mio fianco e mordicchiando il lobo del mio orecchio sussurrò: Tre giorni tutti per noi, senza telefono che squilla, senza lavoro, senza dover parlare in inglese e soprattutto senza rotture di scatole… sembra quasi un sogno.
Il letto protestò a lungo cigolando tutto il suo disappunto per i nostri giochi innocenti ed innamorati e solo dopo di noi si arrese in silenzio.
Dopo colazione sistemammo la casa qua e là, portando la legna per il camino in salone, sistemando il frigorifero e la stufa a gas.
Voglio vedere se Pablo ha scritto ancora - dissi in tono distratto – in fondo sono passati tre giorni da quando ha mandato quel messaggio inverosimile.
Non lo fare – sentenziò Stella – non oggi, per favore, ci saranno i soliti clienti della tua azienda che ti reclamano per qualche stupido problema a loro avviso improrogabile.
Non ti preoccupare leggerò solo la posta elettronica personale, in fondo solo agli amici ho detto che sono quassù con te.
Il vecchio Pentium 100 sembrava un arnese dell’altro secolo. La tecnologia correva veloce e lui sembrava essersi arreso, parcheggiato in campagna ad ammuffire in attesa di chissà cosa. Comunque i led luminosi si accesero e dopo qualche minuto tentai il collegamento nella rete delle reti. La vecchia scatola ruggì in modo violento come una belva appena uscita dalla gabbia e dopo un paio di minuti ero nel mondo virtuale.
C’è un nuovo messaggio di Pablo – gridai in direzione di Stella - oltre ai saluti di un po’ di gente…
Stella salì incuriosita al primo piano e si inginocchiò al mio fianco, leggendo ad alta voce l’e-mail del mio amico argentino:
"Devo fare una piccola ricerca su alcune piante per la mia specializzazione.
Passi per Miami e andiamo insieme a La Paz e da lì proseguiamo per l’Amazzonia.
Quindici giorni e si torna.
Non puoi rifiutare! Fammi sapere solo il numero del volo. Ciao".
"Che significa? - chiese.
Non lo so, non so che pensare – dissi meravigliato – Pablo non fa scherzi del genere, avrà sbagliato destinatario, e poi La Paz non è certo dietro l’angolo…anche se un pensierino…
Beh prova a rispondere e mentre pensi al tuo amico, io scendo in paese a fare spesa
– disse Stella dileguandosi e lasciandomi davanti al vecchio computer acceso.
Seguii il suo consiglio ma ben presto mi accorsi che la tastiera non rispondeva al meglio e gridai a Stella: Aspettami scendo con te in paese!
Ma il rombo del motore della jeep mi avvisò che ero rimasto solo con i miei pensieri e la mia curiosità.
Avevo conosciuto Pablo nel luglio ‘98 in Giordania, anzi a Petra, e ricordo perfettamente la bettola in cui ci scambiammo le prime battute di quella che sarebbe diventata una lunga amicizia. Il locale era affollato di turisti seduti ai pochi tavoli di legno e le bottiglie di birra fresca venivano regolarmente svuotate alla velocità della luce. Un vecchio televisore posto in alto e visibile da ogni parte del locale trasmetteva un film di Indiana Jones in lingua araba con i sottotitoli in ebraico ed i suoni a noi incomprensibili, si andavano a sommare agli idiomi parlati contemporaneamente nella sala.
Pablo era entrato con l'aria ottimista, per cercare due posti a sedere. Lo avevo subito notato per la curiosa somiglianza con il cantante Albano. Era circa un metro e sessanta, muscoloso, con gli occhi vispi e cordiali dietro una montatura metallica, i capelli neri e la mascella quadrata. Ma il suo viso mutò repentinamente quando si accorse che non c'erano posti a sedere, gesticolò indispettito all’indirizzo di una persona rimasta fuori in attesa e poi fece per uscire.
Incuriosito da quel volto, lo chiamai e alzando la voce dissi che in due avrebbero potuto trovare posto al mio tavolo.
Si disegnò allora sul viso di Pablo un’espressione meravigliata per quell’offerta inaspettata, sorrise alla sua compagna ancora in attesa e mettendosi seduto fece gli onori di casa presentando se stesso e la sua compagna.
Mi raccontò la sua avventura in giro per il mondo. Aveva lasciato Buenos Aires perché a suo dire era diventata troppo violenta per trasferirsi a Miami.
E’ la città più sudamericana degli Stati Uniti, ci si sta bene, sembra che si viva in attesa della grande occasione che spesso arriva. Tutto per quel momento che ti cambia la vita: questa è Miami. Soldi, auto, musica, colore. C'è tutto quello che ti serve. Faccio il cuoco in un ristorante italiano ma ho lasciato il lavoro per questo giro. Abbiamo attraversato l’oriente partendo dal Laos, poi il Vietnam, l’India, il Nepal, ora siamo qui a Petra, contiamo di arrivare al Cairo per poi prendere un aereo per Londra dove c’è uno dei miei tre fratelli che ci aspetta, poi verso Stoccarda dove lavora l’altro mio fratello.
Fece una pausa e tirò fuori una foto raffigurante i quattro fratelli e poi aggiunse: Siamo una famiglia di giramondo…il maggiore di noi, Miguel, vive in Bolivia, è un ingegnere minerario, sai le miniere di argento boliviane sono famose…
- e lo indicò nella foto che mi porse. Io la guardai attentamente colpito dalla somiglianza tra i due. Avevano dieci anni di differenza. Il primo e l'ultimo dei fratelli, ma sembravano due gemelli.
Io e il mio gruppo di amici eravamo rimasti senza parole.
Un anno in giro per il mondo e tutti quei posti visitati.
Era passato con semplicità dallo spagnolo all’italiano quando si era accorto che alcuni del mio gruppo non avevano facilità nel seguirlo, poi aveva aggiunto con aria divertita: Conosco la vostra lingua perché Graziela ha i nonni che sono delle vostre parti e poi lavorando in un ristorante italiano viene spontaneo chiacchierare con i clienti. Voi siete un popolo particolare, riuscite a parlare anche a gesti se non capite una lingua
.
Rivolgendomi a Graziela chiesi: Tu che fai di bello?
Analisi cliniche in un laboratorio e soprattutto al mattino aiuto Pablo a studiare. Deve sostenere un solo esame, poi il mondo avrà l'onore di conoscere il dottor Pablo Flores dell'università di Miami
.
E la specializzazione?
- chiesi ancora.
Gli occhi di Pablo si illuminarono: Malattie tropicali, intendo raggiungere mio fratello in Bolivia e studiare qualche anno da quelle parti, sarebbe stupendo.
Parlammo per due ore di mille argomenti: l’Argentina, a suo modo bella e invivibile, povera ed orgogliosa, immensa nelle sue praterie ma troppo piccola per dare lavoro a migliaia di persone disoccupate. Una terra di frontiera e di conquista a disposizione di pochi ricchi disposti a sfruttarla senza pensare al domani. Parlammo di politica e degli orrori della dittatura e Pablo, con occhi velati di tristezza, disse: Non esiste una famiglia in Argentina che non abbia avuto una persona scomparsa, sono stati anni di paura e terrore e tanti di noi temono che possano tornare, come un virus che si annida tra le pieghe della società pronto a riesplodere
.
Poi il vino e la birra ebbero la meglio e passammo a cose più futili e leggere, argomenti più da bettola: le donne argentine dal sangre caliente così simili a quelle italiane, poi il calcio da Maradona agli ultimi mondiali, e via così in libertà. La serata era scivolata via piacevolmente e d’accordo con il gruppo chiesi ai due argentini se avessero voluto unirsi a noi nell’escursione della mattina seguente alla città morta di Petra.
Accettarono con entusiasmo e alle sei li trovammo sulla porta del loro ostello pronti per la visita.
Finita la vacanza in terra giordana, li avevo ospitati in casa mia e avevano girato Roma per tre giorni. Poi erano ripartiti alla volta di Londra. Da allora avevamo tenuto una fitta corrispondenza tramite la posta elettronica, informandoci reciprocamente sui nostri viaggi e sulle nostre vite.
Ma ora quel messaggio così particolare aveva acceso in me una piacevole agitazione. Che poteva significare quel ci vediamo tra dieci giorni? È vero, nel frattempo Pablo si era laureato e sperava di raggiungere il fratello in Amazzonia, ma io che c’entravo in tutto questo?
Decisi di rimandare il tutto a dopo pranzo. Avevo intenzione di scendere in paese e cercare un punto Internet per scrivere al mio amico argentino e chiedere notizie più dettagliate su questa faccenda.
Però, in cuor mio, l'idea di riassaporare l'aria frizzantina di La Paz, non mi dispiaceva affatto.
03 - La Paz
Scendemmo dall'aereo ed immediatamente l'aria rarefatta dei quattromila metri ci colpì come il gancio di un pugile alla bocca dello stomaco lasciandoci senza fiato.
Pablo da bravo medico, mi rassicurò: "Non ti preoccupare, un bel sonno e domani staremo meglio…passerà presto. L'organismo accusa la mancanza di ossigeno per quattro o cinque ore, poi inizia lentamente ad ambientarsi.
La cosa migliore da fare è andare direttamente in albergo e domani in marcia verso Rurrenabaque".
Tirammo dritti verso il ritiro dei bagagli tra una chiacchiera e l'altra e ci mettemmo in paziente attesa insieme agli altri passeggeri provenienti come noi da Miami.
Una campanella cominciò ad urlare ed il tapis roulant iniziò a trasportare valigie di diverso colore, borse, e zaini. D'improvviso Pablo avvistò i nostri. Ecco il mio e subito dietro il tuo
.
Tirai un sospiro di sollievo e aggiunsi: Rimanere senza bagagli sarebbe veramente una situazione spiacevole
.
Dopo alcuni secondi gli zaini arrivarono ai nostri piedi e noi allungammo le braccia per issarceli in spalla.
Un momento per favore – tuonò una voce imperiosa – aspettate un momento…controllo antidroga
.
Un uomo vestito da militare, ci indicò un tavolo non distante e ci invitò a seguirlo.
Chiaramente, non opponemmo resistenza.
Uscimmo dal nugolo di persone e adagiammo gli zaini sul piano come indicatoci dal tizio.
Con lo sguardo attento seguì i nostri movimenti passando poi a studiare i nostri lineamenti.
Ci guardammo a lungo negli occhi, in silenzio. Pensai immediatamente ad un tentativo intimidatorio.
Dimostrava ad occhio e croce trent'anni, il fisico ben piazzato, probabilmente allenato da ore di palestra, la mascella regolare. Il basco nero nascondeva i capelli folti, e baffi nerissimi circondavano le labbra terminando con un pizzetto appena accennato. Era il classico volto sudamericano. Solo gli occhi azzurri lo rendevano particolare e per certi aspetti inquietante. Si muoveva nervosamente mentre masticava una gomma americana. Per venti lunghi secondi entrambi ci sfidammo senza abbassare lo sguardo.
All'altezza del cuore, inciso sulla mimetica, portava un’etichetta con il cognome bene in vista: Gomez A., mentre dalla parte opposta due stelle dorate indicavano il suo grado: tenente.
Poi con un ordine perentorio ci disse di allontanarci dagli zaini.
Pablo protestò: Se li volete aprire fate pure, ma davanti a noi
.
Non si preoccupi e preparate i passaporti
.
Notai in quel momento un lieve tremolio nella voce dell’uomo e in italiano dissi a Pablo: Chissà perché un militare che fa il suo dovere ha la voce che trema
.
Pablo annuì sussurrando: C'è qualcosa che non va… teniamo gli occhi aperti
.
Poi, il giovane capì di aver commesso un piccolo errore che non era sfuggito alla nostra attenzione e cercò di riprendere il controllo della situazione. Sfogliò lentamente il passaporto di Pablo e cercò il visto boliviano poi ritornò alla prima pagina: Signor Flores, che fa in Bolivia?
Turista – rispose Pablo – siamo diretti in Amazzonia
.
Sfogliò il mio passaporto: Una coppia davvero insolita, come vi conoscete?
La sua voce aveva