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Nient'altro che la verità
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Nient'altro che la verità

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About this ebook

Un laboratorio di ricerca bioingegneristica si lascia scappare un virus dall'effetto molto particolare: totalmente innocuo per la salute, impedisce di mentire a chi ne è affetto. La contagiosità è del cento per cento, l'incubazione quasi istantanea, e nel giro di poche settimane l'intera umanità si troverà costretta a dire la verità, soltanto la verità, nient'altro che la verità! In un mondo profondamente cambiato, tra situazioni grottesche ed esilaranti, una scalcinata compagnia ha l'occasione di riportare tutto alla normalità, ma per farlo dovrà affrontare un lungo e avventuroso viaggio...
LanguageItaliano
PublisherLello Vitello
Release dateJan 15, 2015
ISBN9786050349016
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    Nient'altro che la verità - Lello Vitello

    Amiel)

    1.

    Un tonfo sordo e l'accensione del generatore di emergenza fecero girare di scatto la testa ai due ricercatori del laboratorio seminterrato della Genbiotics Inc.

    -Ci risiamo, Hawkard mi sentirà stavolta, abbiamo fondi governativi per milioni di dollari e vanno a risparmiare sul contratto elettrico... Jamie, puoi andare a controllare il generatore di emergenza, per favore? L'ultima volta, ci stava per lasciare anche quello-

    -Perdonami Kevin, pensaci tu, io sto finendo di isolare questa coltura di vettori, è molto aggressiva-

    -Davvero? Bene, ricordami un po': la sperimentazione biologica sugli amministratori incapaci è permessa dalla legge?-

    -Solo in Texas, credo- rispose Jamie ridacchiando.

    -Gran bel posto, il Texas- disse Kevin mentre usciva nel corridoio che lo avrebbe condotto alla stanza in cui si trovava il generatore.

    Jamie tornò a concentrarsi sulla coltura. Era un giovane ricercatore di ventotto anni, ma ne dimostrava ancora meno. Biondo chiarissimo, ai limiti dell'albinismo, portava i capelli piuttosto lunghi e degli occhiali un po' troppo estesi. Era stato di gran lunga il più brillante del suo corso, l'unico che era riuscito a laurearsi nei severi tempi della facoltà di bioingegneria di Harvard. Da un anno e mezzo lavorava alla Genbiotics come aiutante del dottor Kevin Brushfold, che qualche anno prima era stato un suo insegnante, nonché vera e propria autorità del settore. In contrasto con il suo protetto, Kevin era un corpulento signore distinto e glaciale, sulla sessantina, con un severo pizzetto e una giacca d'ordinanza sempre in perfetto ordine sotto alla tuta sterile.

    Dopo pochi minuti il ronzio del sistema di emergenza si interruppe e Jamie restò solo nel silenzio.

    Si spensero pannelli e macchine che lui ricordava di avere sempre viste accese: centrifughe, microscopi, spettrometri, il computer e i due condizionatori. L'ambiente gli sembrò più caldo già dopo pochi secondi. In lontananza, udì Kevin bestemmiare pesantemente.

    Con una crescente sensazione di panico, Jamie girò la manovella che serviva ad aprire la finestra del laboratorio, lasciando entrare il tipico prodotto locale: aria calda sabbiosa. La Genbiotics era situata alla periferia di Sun Valley, un ammasso di palazzi confinanti col deserto del Nevada, decisamente invivibile, in giugno, per chi non fosse dotato di sistemi di condizionamento. Questo valeva a maggior ragione per una struttura del genere, in cui la maggior parte dei macchinari sviluppava una gran quantità calore semplicemente restando accesa.

    La temperatura continuava ad alzarsi velocemente. A Jamie cominciò a girare la testa, e decise di raggiungere Kevin per chiedergli aiuto, però prima era necessario chiudere la finestra... la finestra...

    La finestra fu il suo ultimo pensiero prima che tutto diventasse buio.

    2.

    -Jamie, Jamie, JAMIE!-

    -Kevin... cosa... la finestra-

    -La finestra era aperta-

    Jamie cominciò a balbettare: svegliato di soprassalto, faticava a rendersi conto della situazione.

    Kevin aveva assunto un'espressione molto grave: -Jamie, il generatore d'emergenza ha dei problemi seri, ma alla fine sono riuscito a farlo ripartire... piuttosto, quando sono entrato qui, ho visto un gatto scappare via dalla finestra, guarda cos'ha combinato... lo sai che le finestre qui ci sono solo perché è obbligatorio per legge, non dovremmo mai e poi mai aprirle, se non per un'emergenza assoluta-

    -Perché, questa non era un' emergen... - Per un attimo Jamie guardò, senza realmente vederla, la sua coltura rovesciata tra vetri in frantumi, poi realizzò.

    -La coltura! No! era attivata!-

    -COSA? Ma sei pazzo?-

    -Corriamo alle docce, presto!-

    -No, andiamo a cercare il gatto, Cristo!-

    -Ma dobbiamo...-

    -ADESSO, MUOVITI!-

    Corsero fuori strappandosi le tute di dosso e gettandole a terra. Non fecero alcuna doccia, non strisciarono il tesserino all'uscita, non passarono dal circuito di decontaminazione.

    Quando arrivarono all'esterno, avevano violato almeno una dozzina di punti del severo regolamento del laboratorio.

    Il caldo scosse Jamie dall'illusione di stare sognando. Quello che era successo era una tale sequenza di coincidenze improbabili che

    -ANDIAMO!-

    I cavalli sotto il cofano dell'auto di Kevin stavano urlando, e quando Jamie chiuse la portiera, l'auto era già in movimento a discreta velocità lungo la strada polverosa.

    3.

    Filippo Marenghi stava aspettando il suo taxi all'esterno dell'albergo, nella piazza principale di Sun Valley. La soddisfazione per l'affare concluso era attenuata dal caldo soffocante di quella cittadina.

    Sudava e guardava l'orologio. Era alto e magro, pallido in volto e con dei riccioli che gli facevano dimostrare meno dei suoi quarantuno anni. L'uniforme business lo faceva sudare non poco, nell'ostile estate del Nevada.

    Dall'angolo della strada apparve un gatto, che gli corse incontro più per godere dell'ombra proiettata dalla veranda dell'albergo che per la voglia di farsi accarezzare da quel signore sudaticcio.

    -Ciao bel micio, che ci fai in giro con questo caldo?- disse Filippo grattandogli la collottola.

    Il gatto rimase per un po' a farsi coccolare svogliatamente, poi, all'arrivo del Taxi, si dileguò.

    Lei apparve più velocemente. Era rossa, riccia, piacevolmente abbondante, e molto più sudata di quanto di solito si suppone possa permettersi una signora. Urlò il nome di Filippo e corse verso il finestrino posteriore del Taxi, affacciandosi e urlando scompostamente. A lui venne in mente uno squalo in un acquario. Girò lo sguardo dall'altra parte.

    -Filippo! Ma come, te ne vai così? senza avvisare? E il weekend sulle black mountains? Amore, ti prego!-

    Il tassista si voltò, con un aria fra il sorpreso e il preoccupato. Per un attimo, Filippo ebbe una forte sensazione di deja vu: gli sembrò di aver già visto quella scena, forse da qualche parte su internet. Gli fece sbrigativamente cenno di andare: -Per l'aeroporto, per favore. Sono in ritardo, faccia presto-

    L'auto parti al volo. Filippo ebbe una smorfia di compiacimento voltandosi e vedendo allontanare la donna, che lanciò una scarpa e molte parolacce nella loro direzione.

    4.

    Era ormai da mezz'ora che l'auto della Genbiotics pattugliava istericamente e inutilmente tutte le strade di Sun Valley. Jamie aveva voglia di vomitare. Sapeva che di questo non poteva essere responsabile la sua coltura batterica; certamente la marcia forsennata dell'auto c'entrava un poco, ma l'idea che si era fatto in mente, gli scenari che gli si presentavano nella fantasia, quelli sì che erano davvero determinanti nell'attentare alla stabilità del suo stomaco.

    -Kevin, non ce la faremo mai. É passata mezz'ora, e quel gatto può essere andato ovunque, e potrebbe essere venuto in contatto con...-

    -Zitto, idiota, dobbiamo solo sperare!-

    -Dobbiamo consegnarci, autodenunciarci-

    -Sei pazzo? Cosa pensi, che ci fanno una multa e si risolve tutto? Vuoi che ti ripassi i metodi dei nostri amati superiori? Stark l'hai più rivisto?-

    -So che Stark è stato trasferito a...-

    -A Guantanamo, è stato trasferito, se gli è andata bene! Altrimenti, direttamente nella fossa delle Marianne! Ma cos'hai in testa, la sorpresa? Hai fatto uscire all'esterno un virus sperimentale attivato, un' arma biologica... come avevi detto? COLTURA AGGRESSIVA!-

    Jamie stava anche sudando copiosamente, e non solo per il caldo: -Non chiamarla arma biologica, si tratta di un progetto scientifico molto ambizioso che...-

    Kevin lo squadrò con un'espressione durissima, e la sua voce salì di tono, tra il panico e il rabbioso: -Jamie, a volte mi sembri uscito da un cartone animato. Sei un ricercatore molto intelligente, ma veramente, non hai ancora capito il verso in cui gira il mondo-

    -Forse non è così male, dopotutto... GUARDA, UN GATTO!-

    Kevin inchiodò, poi voltò la testa nella direzione indicata da Jamie, che sentenziò: -Potrebbe essere... sì sì, mi sembra proprio lui-

    I due abbandonarono l'auto nel punto in cui avevano frenato, e iniziarono a correre in direzione del felino. La caccia fu breve: Kevin agguantò velocemente il gatto mentre Jamie, poco più in là, si inginocchiava sull'asfalto, rovesciando finalmente tutto il suo pranzo sul marciapiede.

    5.

    Filippo viaggiava in business class, a spese della sua società finanziaria. Come sua abitudine, aveva scelto il posto vicino al finestrino, non tanto per godersi il panorama, ma piuttosto per minimizzare le occasioni di essere disturbato dai passeggeri vicini.

    Questa volta fu sfortunato. Il suo vicino era un uomo dotato di occhiali da sole ed evidente parrucchino, del tipo sono-sulla-settantina-ma-ancora-pienamente-vitale, che appena seduto gli porse la mano per presentarsi: -Piacere, Carlo Parsi-

    Filippo gli strinse la mano di malavoglia e si presentò a sua volta, sperando che la cosa finisse lì. Stava iniziando ad elaborare una strategia per sottrarsi alla conversazione: dormire? Fingere di essere un oriundo che non capiva l'italiano? Simulare un attacco di scabbia e grattarsi vistosamente?

    Ma era già troppo tardi.

    -Sa, sono stato a trovare mio nipote Franco, fa il ricercatore a Denver-

    Filippo cercò di adattare le labbra per farle somigliare ad un sorriso, senza riuscirci troppo.

    -Eh, questi cervelli in fuga- continuò Carlo -finché c'è la crisi... ma d'altra parte, almeno sono stato in America, altrimenti chi avrebbe mai avuto l'occasione-

    -Eh, già- mormorò Filippo. La scabbia, la scabbia... no, è troppo vistoso, e anche imbarazzante, vorrà dire che tra un po' mi metterò a dormire.

    -E poi ha trovato anche la fidanzata americana, vedesse che bella, due gambe... una volta al ristorante ho fatto cadere la forchetta apposta per chinarmi a guardarle, sotto al tavolo mi è uscita anche la lingua fuori, stavo per mettermi a leccargliele!-

    Filippo sollevò la testa sorpreso e si lasciò scappare una risatina. I discorsi da aereo normalmente seguivano la stessa regola di quelli da treno, da autobus, da ascensore o da sala d'attesa del medico: dovrebbero sempre permettere all'interlocutore di annuire con un eh, sì senza l'obbligo di ascoltarli. Filippo non si aspettava un'uscita del genere, e non era più il caso di rispondere distrattamente, per cui cercò in qualche modo di approfondire il discorso: -E poi con questo caldo, non avrà avuto neanche le calze-

    -Ma figuriamoci! Neanche le mutande, aveva! Eh eh, mio nipote sa scegliere bene!-

    Il viaggio per Filippo fu meno noioso del previsto, e alla fine i due si scambiarono il numero di telefono.

    6.

    La dogana dell'aeroporto è una noiosa formalità che tutti considerano soltanto una scocciatura. La classica domanda Niente da dichiarare? faceva sempre un po' sorridere Filippo, perché gli ricordava una commedia teatrale che aveva interpretato in gioventù.

    Andò verso il doganiere italiano pronto a snocciolare il suo niente meccanicamente, come il grazie arrivederci bisbigliato alle cassiere del supermercato.

    -Niente da dichiarare?-

    -Figuriamoci, io non dichiaro mai nulla, sapesse quanto mi sono scordato di dichiarare quest'anno!- fu la risposta che uscì dalla bocca di Filippo.

    -Ah ah! Molto spiritoso, signore! Io a quelli come lei di solito chiedo una bustarella, ma mi è simpatico e lascerò correre, buona giornata!-

    I due si guardarono imbarazzati e congelati per un lungo attimo.

    Filippo fu il primo che riuscì a distogliere lo sguardo, e il suo saluto apparve più che altro rivolto alla maniglia della sua valigia.

    7.

    Ancora scosso, Filippo decise che in quella bella giornata poteva valere la pena arrivare a casa a piedi. Aveva un bagaglio tutto sommato ridotto, e dall'aeroporto al suo quartiere c'erano sì e no un paio di chilometri, che, pensò, lo avrebbero aiutato a schiarirsi le idee.

    L'aeroporto era cittadino: praticamente, gli aerei passavano sopra il suo quartiere. Quando Filippo parlava di casa sua, era solito dire che poteva salutare con la mano i passeggeri affacciati al finestrino. Ancora un paio di affari come quello appena concluso nel Nevada e avrebbe portato la sua famiglia in un posto migliore, magari in collina. Il pensiero gli fece riguadagnare il sorriso.

    Imboccò una strada che puzzava di vino in cartone, di cani e di elemosina. Ad un angolo, un uomo malmesso, vestito in maniera approssimativa e dotato di barba incolta e di capelli lunghi parzialmente bianchi, interpretava un Bob Dylan ancor più stonato dell'originale, con una chitarra classica arancione, di sottomarca, a cui mancava una corda.

    -How many roads must a man walk down, na na na na na na na-

    Normalmente Filippo avrebbe tirato diritto, indifferente o infastidito a seconda dell'umore. Quel giorno, però, ogni scusa per distrarsi era buona, e così decise di dilatare ulteriormente la sua passeggiata fermandosi ad ascoltarlo. Non era mai stato un appassionato di musica, e provava anche una certa repulsione verso i cosiddetti casi umani, eppure alla fine della canzone si sorprese ad applaudire sinceramente.

    Rimase ad ascoltare anche la canzone successiva, che non conosceva o non riconobbe, forse era degli Oasis o dei REM. Non che importasse molto, il suo scopo era solo quello di arieggiare la mente.

    Nel frattempo, anche una giovane coppia si era fermata ad ascoltare, un po' più indietro di lui.

    L'artista di strada si inchinò al ristretto pubblico, e Filippo aprì il portafogli per mettere direttamente in mano all'uomo un foglio da cinque euro. Fu una sorpresa per entrambi.

    -Grazie signore, lei è molto generoso- disse il barbone.

    -Così ti vai a comprare una bottiglia e magari ti schianta il fegato, e ci sarà un parassita in meno al mondo- replicò Filippo.

    -Ah ah! molto spiritoso signore! Lei dev'essere proprio un bel fascistone... di sicuro sarà anche pieno di corna-

    Filippo sentì un'esplosione nelle viscere, e la rabbia prese possesso di lui. Alzò la valigia sopra la testa, pronto a colpire: -Brutta feccia, ora te lo faccio vedere io!-

    L'altro alzò istintivamente la chitarra davanti a sé per proteggersi. La scena dell'improbabile duello risultò divertente al ragazzo della coppia di fidanzatini, che si mise a incitarli: -Vai, dateci dentro!-

    I due si voltarono entrambi di scatto verso l'inopportuno giovane, poi i loro sguardi tornarono ad incrociarsi, e rimasero imbambolati come appena usciti da un brutto sogno. Entrambi riposero le armi.

    Parlò per prima l'uomo armato di chitarra a cinque corde.

    -Io... non so cosa mi è preso, non volevo dire quelle cose. Cioè... le pensavo,

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