Non si muove foglia
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About this ebook
Come lo definisce la scrittrice “un racconto in prima persona, per riflettere e non dimenticare...per poter andare avanti; perché ogni momento vissuto possa essere parte di un bagaglio personale e sia un aiuto per la vita di tutti i giorni…un piccolo diario...”
Il tutto nella consapevolezza di una guida superiore che illumina e protegge.
Non si muove foglia...
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Book preview
Non si muove foglia - Laura Bertuzzi
scritto.
Capitolo 1
«Allora? Sei pronto?»
«Si, eccomi, arrivo»
Sono già diversi minuti che aspetta sulla porta di casa per accompagnarti in ospedale.
Tu, in sala da pranzo, ricontrolli meticolosamente tutte le tue carte, poi ti dirigi con passo deciso in camera da letto, sicuro che ancora qualcosa manchi, per ritornare in cucina e poi ancora in sala da pranzo. Succedeva così anche quando dovevi andare a letto o chiudere la casa prima di partire per le vacanze. Luce e gas venivano controllate ripetutamente in maniera quasi compulsiva. Tenevi in mano l’immancabile borsello che ti aveva accompagnato in tutti i periodi di villeggiatura. Questo tuo aspetto mi fa nonostante tutto sorridere, perché il borsello lo tiri fuori solo quando devi trascorrere una notte o due fuori casa. Per abitudine, le chiavi, il portafoglio e le carte le tieni ammassate nelle tasche dei giubbotti tanto infine da bucarle. Un camminare avanti e indietro che pare una danza, con i suoi ritmi e le sue figure.
Un comportamento che può sembrare bizzarro e immotivato e che serve solo a confortarti e dare tranquillità come se fosse un rituale che ha radici nel profondo del tuo inconscio.
É abbastanza presto, puoi stare tranquillo che arriverai in orario.
«Ma è sempre meglio partire in anticipo, non si sa mai, poi, è meglio uscire di casa, tanto non posso nemmeno far colazione, ormai qui che altro sto a fare?»
Posso immaginare quanto poco tu abbia dormito. Il sonno avrà preso il sopravvento trovandoti accucciato nell’angolo del divano.
Saliti in macchina, mia madre è alla guida e tu le siedi a fianco con lo sguardo basso.
Il motore della macchina s’accende ronfando, lei ingrana la retromarcia e dal parcheggio si immette sulla strada. Seguo l’auto con lo sguardo, mi soffermo sulla tua sagoma, un’ombra che pian piano s’allontana e scompare.
Dovevo essere veramente piccola, molto piccola, forse ancora nella carrozzina perché ho il ricordo di una prospettiva che potevo avere solo da sdraiata. É qualcosa di nebuloso poiché probabilmente non mettevo ancora bene a fuoco le figure e le cose ma ho il ricordo intenso che presso di me ci fosse sempre una persona e a volte un’ombra poi mi si avvicinava e mi solleticava i piedi. Dovevi essere tu, ora che ci ragiono sopra, per due motivi. Tornavi a casa alla sera dal lavoro e la maggior parte del tempo, io lo trascorrevo con la mamma, poi perché il massimo della dimostrazione d’affetto per te era fare il solletico. Non abbracci che duravano interi minuti, carezze o bacetti. No. Non era tua consuetudine l’essere espansivo, al limite dell’appiccicoso e noi negli anni ci abbiamo fatto l’abitudine. Il contatto fisico non è tra i tuoi atteggiamenti preferiti e lo capisco bene che qui io t’assomiglio. Noi eravamo una famiglia così, di quelle che non mangiavano alle sette la sera seguendo le tradizioni, ma senza una regola precisa, dalle otto in avanti e che al sabato pomeriggio se ne usciva alle sei con tutta calma, qualsiasi fossero gli impegni. La domenica, quando finivamo di sistemare la cucina si erano fatte quasi le tre del pomeriggio.
C’erano case dove il pomeriggio iniziava all’una e mezza o alle due e per me avevano un fascino particolare perché credevo che per loro questo fosse un tempo dilatato per stare insieme.
Noi s’usciva sempre dopo, con ritmi che erano solo nostri, che davano alla famiglia un calore tutto suo e un tratto unico e distintivo.
S’è fatto pomeriggio. La giornata di fine settembre è soleggiata. Non fa freddo.
Il mio giorno è trascorso normalmente, con il solito tran tran che mi impedisce di pensare e voi siete ancora in ospedale.
Eravamo rimasti d’accordo che, terminato l’intervento, ci saremmo sentiti. Tutto con la massima tranquillità. Una cosa di routine, nessuno pensava ovviamente ad eventuali complicazioni, abbastanza rare, vista la semplicità dell’operazione.
Talmente presa dagli appuntamenti della giornata e dalle solite cose da sbrigare, non penso a nient’altro. Ho un incontro di lavoro alle diciotto, non chiamo prima perché è inutile aggiungere il mio stress alla situazione. Mi trattengo ma