Argon Rosso
By Luigi Vajani
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Combatterà ovunque battaglie non sue, alla ricerca di venire a capo di un incubo ed un mistero.
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Book preview
Argon Rosso - Luigi Vajani
ROSSO
PREFAZIONE
Un ragazzotto, nato in un paesino di montagna, è coinvolto in una tragedia che cambierà radicalmente la sua vita e carattere, snaturandone l’indole mite o, forse, scoprendone quella vera.
Combatterà ovunque battaglie non sue, alla ricerca di venire a capo di un incubo ed un mistero.
Note dell’autore
Questo romanzo inedito è stato scritto nel 1982. Di seguito è stato più volte rivisitato ma il contesto e l’ambientazione è quella di quel periodo.
PARTE I
CAPITOLO PRIMO
Addio gioventù
Un tenero sole di primavera si specchiava nelle gocce di rugiada che balenava sulle foglie dei boschi intorno. Erano già quasi le nove e trenta del mattino e l’umidità della notte si faceva sentire ancora fastidiosa.
Non era certo di questo che si preoccupavano le due giovani sedute, non proprio comodamente, su una panchina del Le petit Jardin di Ile du Mont.
Ogni giorno le due ragazze facevano una passeggiata fino a quell’angolo di Paradiso e, nello scambiarsi le solite confidenze o meglio, nello spettegolare, trascorrevano alcune delle lunghe e tediose ore della loro vita. In quel piccolo paese non accadeva mai nulla di nuovo.
Si dicevano sempre le medesime cose e a loro piaceva così. Era semplicemente bello stare insieme.
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Annette aguzzò gli occhi incuriosita.
‘LE MONSTRE ~ PARIS
Dans la Seine a été trouvé un cadavre...............
Nella Senna è stato trovato il cadavere di una giovane donna. Ieri mattina un macabro fagotto è rimasto impigliato nel timone di una chiatta. La donna presentava evidenti contusioni ed un profondo taglio sulla testa. Al ritrovamento si era pensato a un suicidio ma oggi, dopo il referto dell’autopsia, la polizia ha la certezza che si tratti di un efferato omicidio. Pare, infatti, che la giovane, oltre ad essere stata strangolata, sia stata terribilmente seviziata…’
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<> disse Annette facendo un gesto con la mano come per scacciarne il pensiero <
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Si voltarono insieme verso il sentiero acciottolato che portava dal paese fino a quell’angolo verdeggiante che, a primavera inoltrata, era costellato di tante piccole aiuole con più di trenta varietà di fiori ed altrettanti profumi.
Senza esserne sorprese, perché in realtà lo stavano aspettando, videro avanzare a piccoli passi un uomo di media statura e dal fisico asciutto. Costui era intento a leggere un quotidiano e ne aveva almeno altri cinque sotto il braccio, tutti appena acquistati a giudicare da com'erano perfettamente piegati. Senza fermarsi, andò a sedersi sulla panchina che loro sapevano abituale per lui e che, non casualmente, si trovava poco distante ed in faccia a quella dove si erano sedute le ragazze così che ne potevano studiare ogni movimento.
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Lo sai che esce solo di mattino e di sera dopo le dieci. Si fa le sue passeggiate e poi rimane chiuso tutto il giorno nella villa?>>
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Le due ragazze guardarono con curiosità il nuovo arrivato. Lo facevano sempre e con crescente sfrontatezza, considerato che lo straniero pareva non accorgersi per nulla di loro o, perlomeno, gli erano del tutto indifferenti!
Salendo per raggiungere la cima del Monte Dolent, sulle Alpi Pennine, si finisce per arrivare in quel paesino. Dietro l’ennesima curva di quella tortuosa strada che si arrampica sulla parete francese del massiccio del Monte Bianco, alternando a fitti boschi brevi pianori, dai quali si gode di surreali panorami, si giunge d’incanto, come sorgesse dal nulla, ad Ile du Mont, l’ultimo centro abitato di quella montagna.
Ile du Mont contava circa settecento abitanti. Sito a quasi milleduecento metri d'altezza era abbastanza isolato dai paesi sottostanti. Non era meta turistica poiché, data la natura piuttosto impervia del luogo, non vi era la possibilità di tracciare una pista per sciare e non offrendo alcuna prospettiva di svago in estate. I pochi turisti erano amanti della natura e della tranquillità.
Situato nel punto dì convergenza fra i tre confini: italiano, svizzero e francese, la maggior risorsa per i suoi abitanti era stata il contrabbando. I padri di Annette e Joceline, come quasi tutti gli anziani di quel paese, avevano trascorso metà della loro vita a nascondersi sui monti, tra i boschi ed a scappare dai cani dei doganieri. A sentire loro vi era di che vantarsi ed i più vecchi poi, quando erano in cerca di ricordi, magari perché avevano bevuto qualche calice in più del solito, raccontavano di avventure incredibili, imprese rocambolesche per sfuggire all‘acerrimo nemico, l’uomo in divisa, non importava a quale stato appartenesse.
Per i giovani era diverso. Oggi, agli inizi degli anni ’80, avevano metabolizzato integralmente la rivoluzione, soprattutto culturale che, alla fine degli anni ’60, aveva contagiato tutto il mondo occidentale arrivando perfino ad Ile. Ora, il loro principale desiderio era una vita completamente diversa da quella dei loro genitori.
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Annette guardò per l’ennesima volta lo straniero e lo fece con aria di sfida, con l’espressione critica di chi si ritiene superiore.
L’oggetto di tanto interesse pareva completamente assorto nei suoi pensieri e, di tanto in tanto, si lisciava l’appariscente barba rossa che contrastava in modo stridente con i capelli castano scuro. Di un'età difficilmente definibile, si sarebbe detto tra i trentacinque ed i quarantacinque anni, aveva una pelle liscia, bianca e gli occhi, di un azzurro chiaro, balenavano da sotto le sopracciglia, anch’esse del colore dei capelli, a definire una fronte ampia e corrugata.
Aveva un’aria vissuta, un portamento signorile ed indossava con disinvoltura abiti ricercati, casual ma esclusivi, alla moda e certamente non alla portata di tutti i portafogli.
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Un ragazzotto robusto correva verso di loro un po’ goffamente, superando senza difficoltà la breve salita che portava a quel pianoro, vanto degli abitanti di Ile du Mont.
A quasi diciotto anni era ancora un bambinone. Legato fortemente alla sorella, maggiore di soli quattro anni, stravedeva per lei che aveva sostituito la madre quando era morta, sette anni prima. Tutto il suo interesse era rivolto alla vita all’aria aperta, tra i boschi, alla pesca ed alla caccia.
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Ora il giovane Antoine stava sbuffando un poco per la lunga corsa e le guance colorite gli si erano arrossate ancor di più. Quando erano vicini, non si poteva fare a meno di notare come i due fratelli si somigliassero, per quanto con lineamenti diversi: dolci, in un ovale perfetto, quelli di Annette e squadrati, quasi spigolosi quelli di lui. Entrambi avevano capelli ricci, castano chiaro, occhi castani e buoni ma determinati e si potevano tranquillamente definire dei bei ragazzi; infatti, un certo fascino contraddistingueva entrambi ma Annette poteva vantarsi di una bellezza genuina, un po’ selvaggia, atipica. Era decisamente bella.
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Così Annette la prese sottobraccio e, appoggiando una mano sulla robusta spalla del fratello che era divenuto più alto di lei, sbirciò un ultima volta verso l’ignoto personaggio. Il cuore le sobbalzò mettendosi a battere forte ed arrossì. Non ne era sicura ma lui l’aveva guardata! L’aveva fissata per un attimo con uno sguardo strano anzi, avrebbe giurato interlocutorio.
La domenica sera prima di cena, come accadeva sempre, tutti i giovani si ritrovavano nell’unica piazza del paese. A volte, se faceva freddo, andavano nell’unico bar ristorante esistente ed altre volte a casa dell’uno o dell’altro. Si conoscevano tutti e formavano un’unica compagnia di una ventina di elementi, dai quindici ai venticinque anni. Ile stava divenendo sempre più un paese di vecchi e loro, ultimi rimasti, si erano uniti in una coalizione per combattere la noia.
Il lunedì seguente alcuni di loro sarebbero dovuti scendere a valle per lavorare, chi nella cittadina vicina e chi oltre i confini pertanto, di domenica sera, erano tutti in paese. Non era facile essere giovani ad Ile!
I loro padri non avevano avuto bisogno di fare i pendolari. Alcuni erano emigrati ma, quelli rimasti, avevano ricavato abbastanza per vivere dal lavoro della terra e dai boschi, arrotondando il tutto, appunto, con il contrabbando. Oggi questo non era più possibile; oggi, anche ad Ile, era indispensabile un'entrata fissa e sicura, anche per potersi permettere tutte quelle moderne comodità che la pubblicità convinceva essere indispensabili.
In quelle occasioni, quando erano tutti presenti, si raccontavano le avventure del week-end trascorso, passando qualche ora insieme. Quella domenica poi vi erano proprio tutti ed Annette, nello splendore dei suoi ventidue anni, era di gran lunga la più attraente di tutte le ragazze e, da sempre, teneva ‘banco’
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La domanda era posta con un sorrisetto sicuro e così accattivante che ben pochi ragazzi avrebbero potuto negarsi, salvo chi non fosse già stato scottato dalla sua malizia.
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Come accadeva oramai da tre settimane, tutti i loro discorsi finivano col confluire in un unico argomento: quel misterioso personaggio che abitava, da altrettanto tempo, a villa Duprè.
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Stanno qualche ora chiusi nella villa e poi ripartono senza nemmeno pranzare… >>
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Annette sembrò divertirsi molto alla cosa e rispose con tono di sfida:
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La ragazza finse di riflettere un attimo, poi con uno scatto, quasi avesse veramente deciso solo in quel momento, disse <
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Infine ognuno tornò alla propria casa, ridendo e scherzando, salvo Antoine che era perplesso e mormorava tra sé <
Il mercoledì mattina successivo Annette si trovava ancora nel Le petit Jardin decisa a riuscire nella sua bravata. Questa era la terza volta che provava a farsi notare ma con scarso successo e la cosa la seccava moltissimo. Era avvilente per chi sapeva di piacere e di suscitare interesse, non riuscire nemmeno ad ottenere uno sguardo.
Ile du Mont le andava stretto. Da quando, l’estate precedente, in vacanza al mare di Nizza, aveva avuto una relazione con un giovane giocatore di calcio della serie cadetta del Monaco. Ora era insofferente di tutto e sopportava a fatica quella vita noiosa. Aveva scoperto l’amore per la prima volta ed era rimasta abbagliata dall’idea che la vita poteva essere molto diversa da come la conosceva. Bastava volerlo.
Purtroppo questa relazione non durò a lungo; lei si accorse quasi subito che si era trattato di un’infatuazione passeggera ed il tedesco, capito l’antifona, dopo qualche insistenza smise di venirla a trovare. Annette non ne soffrì ma le rimase dentro un senso di vuoto che la tormentava e sentiva la mancanza di quella vita brillante che lui le aveva fatto conoscere. Ora, tutta la straripante voglia di vivere, tipica della sua età, le bruciava; la voglia di viaggiare, di avventure romantiche, di assaporare appieno il fascino delle cose che tutti i suoi sogni le promettevano, erano compagni difficili da tenere a freno!
Quel mattino era tiepido ed un allegro sole giocava con i raggi tra le foglie appena mosse da una leggera brezza; pareva che le piante le bisbigliassero suggerimenti, a lei però incomprensibili. Annette provò un brivido di freddo, si fermò indecisa, aveva già pensato di lasciare correre tutto e che si era stancata di quella commedia, quando lo vide arrivare dal sentiero ghiaioso, sempre puntuale.
Per quanto strizzasse le palpebre per guardarlo, non riuscì a metterne a fuoco i lineamenti perché lui aveva alle spalle il sole che, ancora basso all’orizzonte, lo abbracciava completamente. Una palla di luce iridescente in movimento, una visione celestiale.
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Lui andò a sedersi sulla sua panchina, sempre leggendo il giornale e sempre senza degnarla di uno sguardo. Allora lei gli si sedette davanti e, dopo essersi guardata in giro con indifferenza, finse un improvviso spiccato interesse per un articolo sul giornale che lo sconosciuto teneva aperto davanti a sé.
Fece qualche mossa, esagerandone l’effetto, come se volesse leggere e non vi riuscisse
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Ora lo guardava decisa; ne cercava gli occhi e nella sua voce aveva aggiunto una nota di sarcasmo. Quello sarebbe stato l’ultimo tentativo, poi si sarebbe arresa.
L’uomo continuò a leggere indifferente, quasi lei non fosse nemmeno presente ed allora Annette, stanca di essere presa in giro, si alzò e fece per andarsene.
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La voce era profonda, gentile e ferma.
Mio Dio! Ha parlato!
sussultò incredula e colpita dal magnetismo e dal timbro di quella voce che un oratore di professione avrebbe invidiato E’ vero od ho sognato?
e si voltò a guardarlo indecisa.
Lui non aveva alzato gli occhi dal giornale.
L’inaspettata domanda l’aveva colta impreparata e dovette fare uno sforzo per non tradire l’emozione che l’aveva assalita nuovamente.
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Questa volta Annette rimase disorientata. Era impressionata dall’invito ricevuto. Entusiasta nel rendersi conto di essere ad un passo dal vincere la scommessa ma anche incredula di quel che aveva sentito e così rimase interdetta anche per la crudezza con cui le era stata posta quella richiesta, senza preamboli, in un modo così diretto.
Solo in quel momento si stava rendendo conto dell’assurdità della situazione nella quale si era ficcata e, nella sua testa, si fece strada l’idea di dover andare da sola in casa di quel tale cosa che le procurò un attacco di ansia. Ora non si sentiva più tanto spavalda e cominciava a pensare seriamente di essere stata sconsiderata ad accettare quella sfida.
In definitiva rimase zitta a guardarlo assente. Vi era qualche cosa in quell’uomo che la tormentava, impedendole di rispondergli di sì e la affascinava al tempo stesso, impedendole di rispondere di no.
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No, non era solo curiosità quella che la spinse a chiamarlo e nemmeno il desiderio di vincere la scommessa, sapendo che così sarebbe divenuta la ‘numero uno’. Forse era destino che accadesse o forse non riuscì a sottrarsi al magnetismo di quegli occhi che parevano appartenere ad un’altra persona, a quella voce che arrivava direttamente al cuore e poi, le parve di capire che l’uomo dalla barba rossa sapesse tutto della scommessa, altrimenti che senso avrebbe avuto un invito così repentino? Una sfida nella sfida e lei non era una che si tirava indietro.
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La sera giunse presto, anche troppo ed Annette stava recandosi trionfante all’appuntamento con quell’uomo misterioso, in compagnia di tutti i ragazzi del paese che, ancora increduli, si domandavano come fosse riuscita a farcela.
Non vi era motivo di avere paura perché, se avesse avuto bisogno d’aiuto, vi sarebbero stati i suoi amici e suo fratello a portata di fischio e lei sapeva fischiare molto bene. In fondo al suo cuore però, nonostante tutto, Annette era egualmente in apprensione; ora che la situazione si era avverata, non era più tanto semplice vincere la scommessa.
Venne così anche il momento di superare il piccolo cancello di legno e ferro della villa Duprè, e lasciare gli amici; da quel limite avrebbe dovuto proseguire da sola e si accorse di non essere per nulla certa di voler continuare.
Osservando la casa, posta ad una ventina di metri al centro di un discreto giardino con boschetto privato, si accorse che tutte le luci erano spente.
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Era troppo tardi ed Annette lo sapeva bene; si morse un labbro dal nervoso Che stupida che sono!
si biasimò per la propria debolezza.
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Attese qualche secondo, riprovò a suonare ed attese ancora un attimo, poi, con un lungo sospiro di sollievo, si voltò per andarsene e quasi svenne quando udì aprirsi l’uscio alle sue spalle. Il cuore le picchiò violento nel petto sentendo la voce di lui venire dalle scale, ora appena illuminate.
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Come diavolo faceva a saperlo?
si chiese stupita ed intimorita.
Entrando nell’ampio salone sito al primo piano, scoprì che anche questo era debolmente illuminato e vi era qualche candela su minuscole ‘bugie’ in ottone che, con le loro tremule fiammelle, disegnavano sulle pareti ombre sinistramente ondeggianti.
Lo sconosciuto aveva ragione, Annette conosceva bene quella stanza che aveva ben tre porte finestre che davano sul davanti, sul giardino; la conosceva perché da bambina ci veniva spesso, con gli altri ragazzi del paese, a giocare con il figlio dei Duprè, quando i genitori di lui lo portavano a trascorrere in quella villa parte dell‘estate. Questo tanti anni prima, prima che JeanPierre, così si chiamava l’unico erede dei Duprè, morisse affogato in un laghetto montano, non molto distante da Ile du Mont, nel quale a volte andavano a fare il bagno. Da quell’anno i Duprè non vennero più e la villa rimase chiusa o fu affittata, in genere solo in estate.
Sì, Annette conosceva bene quella sala eppure ora non ne era per nulla sicura tanto le pareva trasformata e quella semioscurità la spaventò del tutto consigliandole di voltarsi per riconquistare le scale e tagliare la corda.
Non fece in tempo. Proprio in quel momento entrò lui e nello stesso istante, con un effetto speciale da film, tutta la sala si accese di una vampata di luce indescrivibile. Annette rimase abbagliata da decine di faretti di luce bianca e gialla. Gli occhi ci misero un po’ per abituarsi poi intravvide la barba dello sconosciuto che pareva divenuta d’oro luccicante ed i suoi occhi balenare di un azzurro intenso
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Nel pomeriggio successivo, Annette ne stava ancora parlando con la sua amica del cuore.
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L’amica la guardò con occhi improvvisamente attenti <
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Venne nuovamente la sera e, puntuale, suonò ancora alla porta di villa Duprè.
Al contrario della volta precedente, quando aveva preferito nascondere la sua giovane bellezza, in quest’occasione si era truccata per bene ed aveva indossato un completino in velluto blu, di sperimentato effetto, che metteva in risalto la sua piacevole figura. Non sapeva ancora perché ma ci teneva a mettersi in mostra; era lusingata dall’interesse che lui aveva mostrato per lei sola in tutto il paese.
I giorni che seguirono furono solo lunghe pause nell’attesa della sera ed Annette si comportò in modo sempre più strano; divenne perfino scontrosa in casa. Tanto fece che Antoine, un pomeriggio, decise di affrontarla. Era passata una settimana da quel primo giorno ed Annette continuava a frequentare quell’individuo; lui già sentiva di odiarlo.
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La ragazza allora cambiò tono e, più tranquilla, rispose
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Quella settimana Annette andò ancora tutte le sere dal suo principe ed anche lei cominciò a comportarsi in modo altrettanto misterioso. Non parlava più con nessuno, nemmeno con Joceline e l’uomo dalla barba rossa non usciva più da casa, nemmeno per le due brevi passeggiate.
I vecchi cominciarono a mormorare, gli amici a ridere nel vedere passare mademoiselle e la schermivano. La situazione precipitò e spaventò a morte Antoine, soprattutto quando lei non riuscì a nascondergli un livido sulla guancia sinistra. La sorella l’aveva attribuito ad un incidente ma lui non le credette e non si diede più pace.
Quella sera, non avendo ottenuto alcuna risposta che lo potesse tranquillizzare, Antoine decise di spiarla per capire, una volta per tutte, cosa accadesse in quella casa.
I viottoli erano deserti, la sera stellata e luminosa e Annette camminava veloce per andare alla villa senza sospettare che, a breve distanza, vi era un’ombra che la stava seguendo furtiva.
La giovane si ripeteva che era sbagliato continuare con quella storia ma non riusciva a smettere, era più forte di lei; era una nuova avventura o, forse, solo una sfida alla quale non voleva sottrarsi e così, ancora una volta, sgusciò oltre il cancello lasciandolo socchiuso come il solito e l’ombra alle sue spalle si acquattò in un angolo, rimanendovi nascosta fino al rinchiudersi della pesante porta della villa.
Stando attento a non far rumore, entrò anche Antoine nel giardino e raggiunse uno dei grossi abeti che s’innalzavano verso il cielo, proprio davanti alle ampie finestre della sala da cui sortiva un forte bagliore. Si arrampicò con destrezza sulla prima, facilitato dal fatto che la pianta era quasi priva di foglie aghiformi, a seguito della malattia che aveva colpito le conifere di mezza Europa.
Giunto ad un ramo situato circa all’altezza del primo piano, si accomodò per osservare l’interno della casa. Da quella posizione poteva vedere più di metà del salone e rimase esterrefatto da quello che si presentò ai suoi occhi. Tutto