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Cronache dell'Invisibile
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Cronache dell'Invisibile

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Goffredo Carbonelli, laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Firenze nel 1973, specializzato in Psichiatria presso l'Università degli Studi di Siena nel 1978. Ha lavorato fino alla chiusura, nel 1978, all'ospedale Psichiatrico di Volterra. Per quarant'anni nei Servizi Psichiatrici della Regione Toscana, attualmente vive e lavora a Pisa.

Breve sinossi dei contenuti:

La più antica semeiotica medica è quella psichiatrica: ispezione, auscultazione, percussione, palpazione, un corpo a corpo con annessa deduzione dell’invisibile, del latente nel rapporto umano, senza macchine sofisticate, senza esami di laboratorio, senza brain imaging. Il sacerdote egizio, greco, etrusco, interpreta i sogni, è aruspice e medico. Pellegrini messi a incubare nel Pronao del tempio per l’interpretazione dei sogni… due sono le porte dei sogni… sogni che si credeva fossero visita del dio…


Le scoperte fatte con le macchine o in laboratorio possono restare là inutilizzate fino alla scadenza del loro brevetto, le scoperte fatte nel rapporto interumano e col rapporto interumano non perdono validità e si usano subito.
Il problema non è fare una scoperta, ma averlo capito, fare una scoperta significa saperla usare, sapere usare una scoperta vuol dire trovare la politica della sua divulgazione e applicazione. In psichiatria, cioè nella cura delle relazioni umane malate, ogni scoperta deve essere praticata in prima persona dallo scopritore, e ogni psichiatra in un certo senso deve essere un ricercatore, mentre caratteristica della ricerca neurobiologica e che fatta una scoperta, se mai dovesse esserci una qualche utilità terapeutica, verrà applicata indifferentemente dall’inventore o da altri che non ne hanno proprietà intellettuale…


La ricerca in psichiatria è scienza dell’irrazionale, consente di scrivere la storia recente e di connettere la volontà riformatrice al progresso della medicina, di risolvere la questione della verificabilità e riproducibilità di una tecnica di cura per la malattia della mente. Si può dire che, per tutto il tempo che è durato il “falso movimento”, la “Psichiatria Democratica” ha contribuito alla religiosità attraverso l’idealizzazione della malattia mentale come ribellione spontanea alla violenza della società dei consumi. Senza un metodo di cura tutti i tecnici restano dei volontari martiri del loro destino, e tutti i volontari si possono nominare da sé tecnici, un po’ come l’autonomina a psicoanalista in Lacan…
LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2014
ISBN9786050339833
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    Cronache dell'Invisibile - Goffredo Carbonelli

    BIBLIOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    La più antica semeiotica medica è quella psichiatrica: ispezione, auscultazione, percussione, palpazione, un corpo a corpo con annessa deduzione dell’invisibile, del latente nel rapporto umano, senza macchine sofisticate, senza esami di laboratorio, senza brain imaging. Il sacerdote egizio, greco, etrusco, interpreta i sogni, è aruspice e medico. Pellegrini messi a incubare nel Pronao del tempio per l’interpretazione dei sogni… due sono le porte dei sogni… sogni che si credeva fossero visita del dio[1].

    Tutto questo sparisce nella razionalità delle sostanze psicotrope, finisce la semeiotica, scompare il medico della mente, la prognosi e la malattia mentale stessa. Peggio, la magia del medico diventa povera, sterile, affidata a prodotti di consumo che non ha manipolato con le mani e con la mente. Ho provato a ripristinare farmaci e contravveleni, misture e unguenti per risolvere in modo definitivo la dipendenza del soggetto dal sistema sanitario assistenziale e qualche volta guarire.

    Lo stato attuale dell’arte dice della persistenza del manicomio, dall’universo concentrazionario al malessere ubiquo, rizomatico, stradale, incrementato per l’elezione del ricovero ospedaliero come fabbrica della normalità attraverso le sostanze psicotrope. La fine della cura della soggettività sostituita dal rapporto con l’intero sistema familiare, i membri della famiglia nominati collaboratori nella somministrazione giornaliera della neurosostanza.

    Queste pagine sono un saluto a quanti mi hanno ascoltato e aspettavano cinici di controllare la vitalità del mio pensiero se mai l’avesse conservata; l’elaborazione è una gara di lunga durata, resistenza e bellezza del percorso da correre. Per sostenere la psichiatria ho dovuto rinunziare ai metodi imprestati dalla tradizione filosofica, ai protocolli razionali di somministrazione di farmaci psicotropi, alla disciplinarietà eclettica con cui si appiccica un’etichetta culturale a una prassi senza teoria. Ritengo la psichiatria la scienza dell’irrazionale[2], la scienza che deve liberarsi di quanto si crede di sapere: sono ignorante come chi deve cominciare sempre da capo, non so niente, tutto quello che voglio conoscere deriva dai rapporti con i pazienti nell’uso non autorizzato di scoperte originali, non mie, sulla genesi del pensiero dell’uomo alla nascita. Ho dovuto percorrere il mio sentiero sempre inseguendo. Sono fortunato, ho vissuto in stato di necessità, consapevole delle parti di me di cui liberarmi, delle mie dimensioni malate, con il timore di una libertà senza fine.

    Per sostenere la psichiatria e farne la psicoterapia, per essere psicoterapeutici e non qualcuno che fornisce psicoterapia e altro, bisogna organizzare e condurre la psicoterapia di gruppo.

    Non ho i mezzi per esprimere una comprensione totale delle implicazioni di quanto in modo antipatico, perentorio e assiomatico vado dicendo, ma non ho esagerato. Ho raccontato il mio lavoro senza esigenza di stupefazione, non dovevo annunciare un’antropologia ai contemporanei, né l’apparizione di nuove malattie mentali in grandi e piccini. La specie umana non è particolarmente degradata e non va verso la catastrofe, odio le schiere di sapienti che spaventano alienando su noi che ascoltiamo la loro paura, scambiando la paura della pazzia per paura della morte.

    Ho tentato di osservare qualcuna delle conseguenze nel sottrarre la psichiatria all’eclettismo con cui si appiccica una etichetta filosofica ad una prassi che aveva bisogno della sua teoria. Se si fa una filosofia della cura della mente e dell’umano che si persegue ne deriva certamente una costruzione del mondo che sottrae ai filosofi questo compito possibile solo nella relazione medica. La filosofia non cura eppure la filosofia è indispensabile allo psichiatra. Lo psichiatra è un filosofo che riscrive le competenze disciplinari delle branche del sapere. Naturalmente, se si riesce, è un altro paio di maniche, ma va fatto. Non si può curare dimensioni disumane dell’essere facendo uso delle conoscenze umanistiche consolidate o della storia faticosa e altezzosa della riflessione filosofica.

    Ho scritto queste pagine senza essere uno scrittore in difesa dell’identità medica mentre ero costretto a servire il popolo, ne ho deciso i timbri senza chiedere permesso, non credo di poter interrompere il piacere di cercare non autorizzato, di sentirmi un po’ protagonista della cura del disumano. Sarebbe molto importante che si prendesse atto di quanto è indispensabile la medicina della mente, la cura dell’onnipotenza, del rapporto tra potere e pazzia. La medicina del corpo, quella che usa la ragione per la diagnosi, la prognosi e la terapia non può continuare la sua recente storia di successi senza che la psichiatria torni ad essere la medicina della mente. I medici devono conoscere la nascita e la nascita del pensiero per sapere parlare di sanità della mente, di normalità fisiologica, di ciò che fa ammalare, di ciò che fa guarire.

    Pisa, 16 gennaio 2014

    IL METODO MEDICO IN PSICHIATRIA

    La psichiatria senza ricovero ospedaliero Servire il popolo

    La natura non vuole sapere niente di sé, ad eccezione della natura umana. Gli animali si sottomettono, non patiscono la frustrazione, sembra che non se ne preoccupino e vanno senza che l’eleganza della loro andatura ne risenta. Soffrire del non conoscere è proprio degli umani. La natura umana è speciale e speciale è il metodo per studiarla.

    È un pensiero comune che il progresso delle conoscenze in psichiatria sia affidato alla ricerca biochimica e agli studi neurobiologici, e sembra inconcepibile una scoperta ottenuta attraverso il corpo a corpo nella cura, la psicoterapia.

    Le scoperte fatte con le macchine o in laboratorio possono restare là inutilizzate fino alla scadenza del loro brevetto, le scoperte fatte nel rapporto interumano e col rapporto interumano non perdono validità e si usano subito.

    Il problema non è fare una scoperta, ma averlo capito.

    Fare una scoperta significa saperla usare, sapere usare una scoperta vuol dire trovare la politica della sua divulgazione e applicazione. In psichiatria, cioè nella cura delle relazioni umane malate, ogni scoperta deve essere praticata in prima persona dallo scopritore e ogni psichiatra in un certo senso deve essere un ricercatore. Mentre caratteristica della ricerca neurobiologica è che, fatta una scoperta, se mai dovesse esserci una qualche utilità terapeutica, verrà applicata indifferentemente dall’inventore o da altri che non ne hanno proprietà intellettuale. Stendo appunti di una ricerca medica che per fare la psicoterapia ha pensato di fondare l’identità umana sulla facoltà irrazionale o memoria-fantasia[3].

    Per suo destino la psichiatria è stretta in una morsa, da un lato patisce la prossimità della neurologia e dall’altro ha difficoltà a rifiutare la psicoanalisi. Poi quelli che studiano il cervello parlano del DNA come di un succedaneo dell’anima per proteggere la fede nell’immortalità, attribuiscono all’alterazione di un’area cerebrale la causa di un comportamento anomalo o l’eziologia di un sintomo, intendono curare facendosi prestare dai biochimici e dai neurobiologi prove della dissociazione tra la mente e il cervello. In un’area corticale si troverebbe la tendenza a rubare, in una l’amore per gli animali, in un’altra ancora l’accidia o il talento per la scultura. L’eredità cromosomica sostituisce la ricerca dell’eziologia, lo psichiatra simula l’autorevolezza del neurobiologo, si propone neurofilosofo, produce documenti che giustificano il programma razionale come comportamento normale[4]. Nella neurofilosofia, la mente è il quesito sull’atteggiamento intenzionale cosciente dell’altro, la mente sarebbe la coscienza che insegue la realtà fin dove può.

    Il problema della coscienza è registrare i livelli di complessità del discorso, escludendo quanto è ulteriore ai sensi, perché la coscienza è legata alla percezione in atto e conosce il pensiero dell’altro solo se separato dal corpo. Di conseguenza l’attendibilità della memoria starebbe nei ricordi meglio conservati al di là del nostro potere di evocazione, in ogni caso le macchine ricordano al posto nostro. Quanto non fa parte della coscienza non può essere pensiero, nella coscienza vive la negazione-falsificazione della realtà mentale dell’altro, assenza di consapevolezza, bugia inconscia. La coscienza non è in grado di affrontare la bugia inconscia, per cui si rinuncia a sapere del pensiero dell’altro perché la negazione lo tiene sempre nascosto[5]. Nascondere il proprio pensiero sostituisce l’esigenza dell’identità. La ragione crede che esista solo il pensiero senza immagine e parole che non suscitano nessuna idea per il loro suono. Non sa che una stessa parola con voce diversa fa nascere immagini diverse.

    "Menzogna, mitomania, pseudologia fantastica, delirio; man mano che diminuisce la consapevolezza di mentire aumenta quanto chiamiamo malattia della mente; la malattia della mente è direttamente proporzionale all’aumento della violenza della negazione che sta nel convincimento che quanto si crede, è vero. Lo psichiatra ha il compito di rapportarsi a questa distinguendo quanto è rapporto con la realtà delle cose, la certezza del proprio rapporto con ciò che è, dal delirio di credere che sia ciò che non è. La società non può perseguire la negazione perché non la comprende; non distingue il pensiero vero dal falso perché avendo scoperto e realizzato con la conquista del pensiero detto ragione la libertà del pensiero, non può più scoprire la malattia mentale che fa nella negazione il suo fondamento. Il pensiero cosciente sul diritto dell’uomo alla libertà di pensiero nasconde la negazione della possibilità della negazione, della possibilità umana di pensare ciò che non è anche oltre la realtà della percezione dei sensi[6]."

    Per il neurofilosofo, l’uomo riconosce di avere una intenzione perché ammette le intenzioni dell’altro, come a dire non si può non comunicare e si comunica anche senza rendersene conto, in pratica applicazione del so di non sapere[7]. Lo psichiatra conquistato dalla neurofisiologia perde una propria via alla biologia del pensiero, dove avrebbe trovato la soluzione alla questione ontologica nell’evidenza deduttiva che l’uomo pensa sempre. Nella neurofilosofia non si coglie il non sapere di sapere, che è l’universale umano, non si immagina il pensiero senza ragione, ci si occupa delle intenzioni coscienti depositate nei territori neuronali come sacchi di grano in magazzino. Diciamo che la neurobiologia non è stata annessa alla filosofia, perché non si è fatta ricerca sul pensiero prima della parola. Il neurofilosofo che fa ricerca sul cervello considerandolo totalmente la mente non contribuisce alla soluzione della questione ontologica, cioè la verità della conoscenza, non ha rapporto con ciò che prima era non pensabile e poi è diventato conoscenza. Molti ragionamenti coscienti si rivolgono a ciò che non esiste, lo credono pensabile, credono che si possa pensare ciò che non esiste e renderlo vero e reale.

    La gran parte dei fenomeni della psicopatologia sono impenetrabili alla disciplina filosofica nonostante siano una frequentatissima materia di riflessione, si aggiunga che la neurobiologia non aiuta ad intendere la proiezione o la percezione delirante[8], la razionalità applicata alle relazioni non esce dall’orizzonte del sistema circolare della comunicazione, la specificità umana si ridurrebbe al linguaggio articolato. La teoria neurofisiologica ha potenziato la psicologia della coscienza, essa dice che la menzogna inconsapevole non esiste, il no inconscio non esiste, non concepisce la capacità umana di fare il nulla con un atto di fantasticheria onnipotente: la negazione inconscia sarebbe recitazione, arte del mentire come al poker, vedere il bluff… io pensavo che tu pensavi che io pensassi…[9]. La negazione non è gratis, è un atto di violenza e di odio, distruzione della realtà interna dell’altro.

    È interessante sottolineare che l’attività gnoseologica dell’irrazionale sia dimostrata dalla psichiatria, non dalla filosofia, non dalla matematica, non dagli antropologi e sociologi. I matematici, gli economisti, i giuristi devono avere conferma dai colleghi, per loro è sufficiente farsi intendere da scienziati e professionisti dello stesso campo, gli psichiatri invece hanno l’obbligo del dialogo con gli uguali–diversi, a partire dai pazienti. Gli psichiatri si rivolgono a tutti come fossero specialisti di psicologia. L’obbligo di curare è una necessità di relazione con chi è in un'altra condizione di sapere e spesso non vuole discutere la sua convinzione di conoscenza-ignoranza. Il medico del corpo parte dalla normalità, la fisiologia studia la norma. Se il medico del corpo inizia il suo fare dall’idea di fisiologia normale, anche lo psichiatra per guarire non può partire dal male, deve differenziare il male dalla malattia cioè sapere che cosa è fisiologico per la mente senza il principio di normalità. In un certo senso la condivisione della conoscenza è d’obbligo nella psicoterapia, mentre non è necessario che io sappia teoricamente come il mio dentista impianta un dente o l’ortopedico riduce la lussazione. L’obiettivo della normalità non aiuta il malato di mente, il normale sta sempre a copiare gli altri, il malessere può essere letto come un’idealizzazione della norma astratta o demoscopica. Il pazzo ha l’ideale della normalità.

    La prassi medica

    La prassi medica dello psichiatra è pensare dimenticandosi, se così si può dire, la razionalità. Per essere psichiatra si è obbligati ad un’identità oltre quella del ruolo riconosciuto dall’ordine dei medici o dalla società italiana di psichiatria. Un’identità oltre quella del medico positivista che studia gli organi e gli apparati. Mi giovo del pensiero irrazionale per far coincidere la psicoterapia con la psichiatria e la vita con l’attività del pensare. È un fatto nuovo, operare con un corredo di pensieri mai pensati. Per esempio: l’uomo che crede nell’al di là non può capire la malattia della mente e non sa parlare della morte[10].

    La cura della malattia mentale è prassi medica che connette il sintomo a quanto è latente oltre le cose che si dicono e al di là dei gesti e dei comportamenti che si vedono. Il corpo degli umani reagisce con gli affetti all’altro che gli va incontro, all’ascolto delle parole, un’elaborazione insopprimibile produce immagini involontarie, inoltre idee e pensiero possono essere senza immagini.

    Cura è una lotta alla malattia in quanto cura del disumano e va oltre la psicoterapia quale discorso verbale o empatia[11]. Il modello delle psicoterapie è la psicoanalisi, già resa sacra, in essa converge la consuetudine popolare della confessione; la psicanalisi suggerisce in modo perentorio di associare liberamente i pensieri, ci si cura attraverso il verbum, attraverso il linguaggio parlato[12]. L’atto di cura viene attribuito alla mancanza, l’assenza dell’analista benevolente consola dalla durezza della vita; una psicoterapia pensata come effetto del significato oggettuale delle parole, sostiene che la cura della psicosi passi attraverso il principio di realtà come fondamento della logica, sia che si tratti di narrare avvenimenti o l’araldica della famiglia. La diagnosi in psicanalisi, resta legata alla fissazione al di là degli sforzi di superare, da parte di Freud e dei seguaci la teoria delle pulsioni, fissazione-esclusione, forclusion secondo Lacan, un trauma molesto o seduttivo durante l’evoluzione più antica del bambino.

    Al contrario per la terapia della psiche è necessario scoprire l’antecedente del pensiero verbale. Il pensiero umano (anche l’attività superiore degli animali si può definire pensiero) ha una fisiologia non già nelle regole della sintassi, della semeiotica e della semantica[13], l’attività di pensiero va annessa alla fantasia e al pensiero onirico, al suono della voce, mentre il computo razionale va avvicinato all’azione, al mero commercio.

    La ragione non è garanzia dell’umano

    L’attitudine del corpo a pensare è una speciale funzione biologica, l’uomo è materia vivente intelligente. Una funzione che non resta legata al corpo viene alienata e agisce su altri corpi. Il pensiero delle immagini inconsce non oniriche e del sogno sono della stessa stoffa, i sogni sono vivi perché l’uomo pensa ininterrottamente. L’esercizio razionale è episodico, una tessera del mosaico.

    La qualità del non-cosciente umano ha la caratteristica del movimento interno, si passa da sensazione a linguaggio verbale, pertanto dal silenzio neonatale si arriva alla scrittura, dal punto alla linea, un’entrata nel mondo senza parole e con la capacità di immaginare. Il pensiero senza coscienza è più della ragione, senza di esso la razionalità non ha garanzie[14].

    Le immagini mentali inintenzionali non hanno le regole della logica, né vogliono sovvertirla, semplicemente sono espressioni in forma di alterazione, composizione, deformazione, organizzazione di tutto ciò che è intelligenza dell’umano. L’inconscio è prima di qualunque linguaggio, certamente di quello verbale, ma anche della pittura, della musica, ne prescinde completamente, è autarchico senza essere autistico.

    Le immagini mentali inventate sono l’epifenomeno di una fantasia che non può essere guardata e che vede se stessa proiettando una visione sulla realtà nonostante e al di là della percezione retinica. L’occhio mette a disposizione della costruzione delle immagini false lo sguardo cosciente, immediata e sincronica con la percezione visiva si svolge l’attività di elaborazione rivolta alla dimensione latente della relazione interumana[15].

    Ogni immagine mentale è opera di una memoria selettiva che trattiene il senso precipuo, eminente dell’essere; compare l’immagine e si svela quanto tempo, quali rapporti, quali memorie sono state necessarie a ciò che ci viene proposto ultimato e descrivibile. Ogni immagine consente di ricostruire l’episodio storico degli affetti, la storia, ciò che preesiste, il prima. L’immagine (la rappresentazione mentale, il pensiero inconscio non onirico) tratta la vicenda relazionale degli affetti con la stessa precisione con cui la coscienza vorrebbe dominare i fatti. La rappresentazione, cioè l’espressione in forma inventata è la composizione del senso degli affetti, la fantasia costruisce la storia degli affetti sotto forma di immagini nuove, per l’appunto viene nominata memoria-fantasia.

    Gli artisti provano a dare un senso a ciò che non si vede, spesso vi riescono in modo sconcertante, inventano la linea, ma non hanno necessità di universalizzare il sapere, sentono di aver trovato la forma nuova e originale, e insistono nella ricerca personale. C’è diletto, non c’è conoscenza. Sanno parlarne con affermazioni fulminanti ed episodiche, esponendosi all’elogio dei critici, questi a loro volta affermano che non si può avere certezza di non essere immersi in un grande sonno, dicono che l’artista sogna, è un visionario in trance che sa modificare le esigenze di conoscenza proprie e degli altri[16]. Chi ha la presunzione di mostrare immagini inventate sue proprie è esposto alla reazione degli invidiosi in quanto pretende una cosa difficile, pretende di parlare agli sconosciuti, egli ha il coraggio di alienare le immagini.

    Lo psichiatra studia l’irrazionale, vuol dire che deve avere la fantasia necessaria per discutere con interlocutori straordinari, in genere non parla ai colleghi, la quasi totalità degli psichiatri si occupano delle azioni e dei comportamenti e credono che la malattia della mente sia un danno connaturato. Meglio sarebbe parlare agli artisti, ai tanti che pretendono la fama per il proprio nome e si dicono artisti, sono curiosi e potrebbero capire il pensiero che distingue la fantasia e la fantasticheria. E non si vergognano della loro speciale ignoranza.

    Guardare ad occhio nudo. Dove sta Psyché ?

    L’uomo è materia che immagina[17].

    La fantasia: immaginare l’oggetto d’amore esistente.

    La fantasticheria: immaginare l’oggetto inesistente.

    La fantasia sa ciò che non esiste, vede solo la realtà.

    L’immaginazione-fantasia è una sofisticata forma di riflessione, essa scompensa l’equilibrio corporeo già acquisito perché richiede di essere sapienza condivisa, l’immaginazione-fantasia impegna ogni singolo corpo nella ricerca dell’altro umano per completarsi in forme di società nuove ed originali.

    Il pensiero razionale e la ragione cosciente garantiscono alla collettività umana l’utile, lo scopo pratico, ricombinano, sfruttano lo stato delle cose. Il linguaggio, con cui in genere si fa coincidere la razionalità, è solo uno dei comportamenti manifesti dell’uomo come tosare le pecore o vendere vestiti, ma è il suono della voce a insinuare l’idea che ogni parola ha senso se è inventata o meglio se veicola l’invenzione.

    La sensibilità nel suono della voce è una disciplina necessaria alla formazione medica. Non si può rivendicare alla medicina la cura della malattia mentale, senza la conoscenza della biologia umana, delle doti specie-specifiche della razza umana e della trasformazione delle possibilità del corpo in capacità della mente.

    Nella nascita umana sono stabilite le condizioni eccezionali della nostra specie. Gli esseri umani possiedono la memoria-fantasia che si occupa di qualità, di tutto quanto non è solo misura, non è solo giudizio e garantisce che noi si possa avere una parte soggettiva nell’evoluzione: l’uomo introduce nel creato la soggettività.

    La psichiatria può essere sottratta alla fondazione neurologica e studiare il pensiero come parte di un organo la cui fisiologia esprime la qualità dell’intuito (la vitalità-sensibilità). Questo è il metodo medico in psichiatria. La mente del medico dovrebbe trascinare la mente del paziente in una avventura a ritroso verso la storia, al di là dei fatti, verso la condizione irrazionale del silenzio prima che sapessimo parlare.

    Le neuroscienze altresì propongono osservazioni anatomiche e variazioni ultramicroscopiche degli umori e dei flussi cerebrali attraverso le valutazioni algoritmiche di macchine straordinarie[18]. Il pensare dei neuroscienziati non è proprio filosofia della scienza, è tecnologia, discorso sul funzionamento, esplorazione dell'utile; il rapporto interumano per loro è indipendente dalla validità della conoscenza, la relazione tra i corpi che produce la qualità specie-specifica (ciò che non è misurabile con le macchine e che è stato detto sempre inconoscibile), sarebbe secondaria. La sensibilità specie-specifica è qualità che integra nel proprio corpo la fantasia e la sensibilità del corpo non mio, una mente è plurale, un corpo è l’opportunità singolare della mente nella sua relazione con gli altri corpi. Poi, se la relazione tra gli esseri umani è costruttiva, la mente è il corpo che si gode il piacere della conoscenza.

    Le macchine per guardare nel corpo

    Sembra che non ci sia niente da vedere senza specchio, senza l’obbiettivo della camera, le lenti e i microscopi. Sembra che senza macchina ottica l’uomo sia cieco. Perfino le opere visive, i quadri vengono preceduti dall’accecamento, l’evento è annunciato e prefigurato, già visto, premasticato.

    La neurobiologia non può fare a meno delle macchine che registrano la variazione emozionale dei flussi cerebrali dentro il cervello e filmano i comportamenti nelle 24 ore del tempo oggettivo, ed è giusto che sia così, ma la neurobiologia favorisce le pratiche assistenziali in psichiatria. Prendiamo l’esempio di una straordinaria osservazione neurofisiologica, ovvero i neuroni a specchio: Si sostiene che gli individui riconoscano le azioni fatte da altri in quanto la popolazione di neuroni attivata nella loro area premotoria durante l’osservazione è congruente a quella che si genera internamente per riprodurre tale azione (Arbib 1999); infatti i neuroni a specchio permettono una rappresentazione interna, o meglio una simulazione incarnata di una determinata azione reale, sia essa linguistica o socio-comportamentale, mappando le azioni osservate sugli stessi circuiti nervosi che ne controllano l’esecuzione attiva" (Gallese 2003:36). Da questo punto di vista l’attività dei neuroni a specchio rappresenta il punto di ‘condivisione’ tra l’informazione convogliata dall’emittente e quella ricevuta dal ricevente, cruciale in ogni tipo di comunicazione. Durante l’esecuzione di un’azione precedentemente osservata l’attivazione di una popolazione di neuroni a specchio conforme a quella realizzata durante l’osservazione rappresenta la base che supporta la comprensione dell’azione e quindi, la conferma dell’avvenuta comprensione[19]."

    Osservo: i neuroni a specchio traggono il massimo di informazione dai comportamenti visibili degli umani o degli animali, ma queste ricerche non ci aiutano a capire la malattia mentale né a curarla. Alcuni autistici sono eccezionali nei processi di riproduzione, nell’imitazione, nelle comunicazioni completamente espresse nei comportamenti visibili. L’uomo ha, in più e oltre la parola e il comportamento, la negazione, cioè la menzogna non cosciente, che non si vede e non riconosce in sé e nell’altro fisicamente. Riconoscere l’umano è memoria di fatti mai visti e mai accaduti, e quello che non ho guardato e non posso imitare che fa evolvere i processi cognitivi. Tutti possono imitare, pochi ci riescono, solo il genio è in grado di imitare.

    Sapere che l’altro pensa non basta a vedere quello che pensa, né fare lo stesso pensiero, forse pensare insieme è usare un’immagine comune inventata e non una visione comune. Per la coscienza razionale l’altro è specchio, si usa l’altro per studiarsi, ti guardo per capirmi, è la funzione della coscienza, la coscienza è sempre speculare. I neurobiologi hanno scoperto il luogo della coscienza (l’area di Broca? I neuroni a specchio?), ma non hanno affermato che i neuroni dell’area di Broca sono forse di tutta la corteccia, hanno interesse prioritario per l’umano, scannerizzano immagini umane alla ricerca di senso. Non c’è un locus della non-coscienza e della fantasia inconscia, non si può scoprire questa struttura profonda con ricerche effettuate grazie alla tomografia ad emissione di positroni o alla risonanza magnetica. Mi pare che si valorizzino i lavori neurofisiologici per ricondurre l’eziologia della malattia mentale ad una disfunzione dell’attività cerebrale. Non nego che l’area di Broca o i neuroni a specchio siano necessari al funzionamento della coscienza, ma questo pensiero non va al di là della constatazione che gli uomini registrano il simile e il dissimile. Tale esigenza diviene istanza di eliminare ciò che non si spiega: mappare, spazializzare per simulare il controllo, ingannare l’osservatore esterno. Resta fuori l’esigenza di riconoscere e produrre nuovi pensieri e forme di trasmissione del pensiero non algoritmiche.

    L’intenzione di cura, il metodo

    L'idea che il fare, il rimboccarsi le maniche, la prassi, ogni tipo di prassi, (ognuna delle circa 322 diverse psicoterapie censite?), sia attività di cura, è un’idea sbagliata, è un’idea impraticabile per un uomo che voglia curare la malattia mentale. Non c’è la psicoterapia, ma lo psicoterapeuta, per negare la malattia mentale si nega il medico della mente.

    La prassi di cura psichiatrica ha una componente non comportamentale, invisibile, fuori dal gesto palese, come se per curare contasse quello che lo psichiatra ha fatto nella vita fuori dal setting, cosa egli fa per essere medico della mente nel contesto della società che nega la malattia.

    Ci viene detto costantemente che esiste la realtà, anzi il principio di realtà, gli psichiatri genetisti e quelli della psichiatria sociale, affermano che l’insight di derivazione psicoanalitica, abbia per oggetto la realtà, un nucleo di roccia immodificabile nel cuore dell’umano[20].

    Al contrario, l’interpretazione della negazione, scoprire ciò che viene negato è la versione del principio di realtà che preferisco, il frutto di una scoperta, il lavoro contro i pensieri e le parole che pongono come esistente l’inesistente. La pulsione di annullamento e l’invidia cancellano l’esistente, lo distruggono, pertanto nessuna ricerca e nessun lavoro può interpretarla e trasformarla. Se si annulla e si nega la realtà non la si può cambiare. La realtà mentale esiste per essere modificata, la constatazione della realtà è il privilegio della separazione, il potere della capacità di immaginare. Non posso separarmi da qualcosa che non conosco e che ho distrutto, non ne posso inventare un’immagine diversa. Si sente continuamente ripetere quanto sia dura la realtà e l’impossibilità di curare e conoscere l’umano. Per poter mettere tra parentesi la realtà senza impotenza, per potersi disporre totalmente al rapporto ‘qui e ora’, è necessario pensare irrazionalmente, l’insieme del sentire e dell’essere indifferente. La psicosi si sente provocata quando si imbatte nel medico, occorre costringere la malattia a riconoscere il medico che si occupa della separazione.

    Poniamo che essere sani sia usare la genialità nei rapporti interumani e che l’igiene mentale, la prevenzione, consista nel farsi aiutare dallo psichiatra. La psichiatria è l’opposto della psicanalisi perché, come ogni metodo medico, cura partendo dalla fisiologia, dalla conoscenza di ciò che è la sanità, così per aiutare bisogna avere diagnosticato la malattia che si sa curare.

    È necessario precisare che opera terapeutica è solo quella medica, quella che ha la necessità di un differenziale di consistenza biologica materiale tra curante e curato, e che individua nella condotta assistenziale o paternalistica una negazione di malattia. La cura è un corpo a corpo. Prendersi cure di qualcuno nel senso tutorio e nel senso assistenziale non è conoscenza, in psichiatria la conoscenza non è applicazione del bagaglio di esperienze già possedute, bisogna correre rischi osservando la costante determinazione del paziente a far crollare la teoria e la certezza magica che sorregge lo psichiatra del DSM[21].

    Il medico della mente ricorda che l’uomo pensa sempre, quando è solo e quando è circondato, quando cucina o mangia, canta o corre. L’ideale sarebbe raggiungere una sorta di coincidenza tra essere e pensare, tra il pensare e il parlare, tra il silenzio e il senso delle immagini affiorate alla fantasia. Quello che cambia è il rapporto con gli stimoli umani. La terapia usa l’intenzione di cura del paziente e del medico, l’intenzione di curare del medico è spontanea ed occasionale[22], non c’è medicina senza intenzione del medico di guarire, l’intenzione di guarire deve puntare a mettere il paziente nella condizione della separazione dal curante. L’intenzione di cura affronta immediatamente la reazione oppositiva e di fuga ispirata dalla coerenza del medico; essa reazione è il transfert negativo.

    La psichiatria deve osare quello che la psicoanalisi ha dichiarato impossibile[23], l’attacco alla struttura di carattere, cosa che ha sempre scoraggiato perché si tratterebbe di affrontare l’odio, l’animosità aggressiva del transfert negativo. Il transfert negativo è la negazione della realtà interiore di validità del medico. Si tenga conto che la malattia mentale, la negazione che è odio, trova alleanza nella struttura religiosa e razionale dell’opinione comune, la psicologia del senso comune, tanto infarcita del lessico medicale da far credere che opera terapeutica sia il semplice parlare. Per essere terapeutici è preliminare una riflessione sulla autenticità della domanda di cura del paziente, la frequentazione dello studio medico può essere l’estremo alibi della negazione di malattia e quindi della cura.

    La psicoterapia quale prestazione a richiesta del paziente non è automatica, il paziente non distingue tra bisogni ed esigenze, la psicoterapia inizia quando il paziente ha il pensiero delle sue esigenze. L’impoverimento della psichiatria per l’uniformarsi con l’assistenza sociale, ha inquinato la relazione medico-paziente, gli psichiatri non parlano alla soggettività del paziente, non alla coppia, ma alla famiglia nella sua eternità astorica e sacra, la famiglia come espediente della razza. La psicoterapia sarebbe un consumo garantito e l’azienda sanitaria ha lasciato che si pensasse la psicoterapia come medicamento della famiglia, cioè di un ideale astratto. Infatti sovente succede che la richiesta di psicoterapia ci sia anche per i deficit cognitivi di anziani compromessi cerebralmente.

    Fino a metà degli anni ’80, la domanda di psicoterapia veniva avanzata da chi aveva qualche velleità di psicologia quale discorso della coscienza, era una curiosità intellettuale, una visione del mondo che poneva al suo vertice la cosa detta psicoanalisi[24]. Sappiamo invece che curare qualcuno significa fargli sospendere le ‘psicoanalisi’ che ha in corso, i rapporti dove si valorizzano i segreti, il mondo occulto e familiare delle sue abitudini, le relazioni identificative che mantengono l’automatismo della coazione a ripetere. Anche un ‘ottimo’ rapporto se ripetitivo è sadico. In un certo senso i rapporti sado-masochistici sono sempre psicoanalisi, la maggioranza delle vicende sado-masochistiche accade nella struttura comunitaria detta famiglia, dove la richiesta di libertà è irresponsabilità e va sotto il nome di diritto ad avere una vita privata.

    Accertato questo, per lo psichiatra è utile capovolgere il convincimento più diffuso sulla soggettività, che sia meglio la libertà che l’identità, ridimensionare l’ideale astratto di persona che si forma attraverso il carattere e il temperamento. Il carattere potrebbe essere definito l’insieme delle memorie coscienti di familiari e amici, che il soggetto accetta che gli vengano attribuite. Il temperamento, come esortavano i latini, il successo nel mantenere una maschera di decoro e dignità in tutte le vicende della vita[25]. Il medico indaga in che modo il carattere della persona predispone alla malattia o al suo contrario, il cambiamento. In linea di massima carattere è il modo con cui si arriva ad un compromesso con i conviventi per diversificarsi e farsi riconoscere appartenente alla tribù, mentre il temperamento sarebbe il coté genetico dell’umore. Lo studio del carattere e del temperamento è conclusivo per la diagnosi della struttura della personalità, principalmente quella che fa soffrire gli altri, la personalità sociopatica.

    Esaminata la personalità come struttura al servizio delle relazioni sociali, passiamo all’anamnesi che mette al centro il rapporto del soggetto con la cura, rapporti con precedenti psicoterapeuti, i rapporti con la malattia mentale di familiari e amici, la preoccupazione di essere affetti da pazzia, domande su cosa s’intenda per normalità e sanità di mente, sulla partecipazione alle culture della negazione di malattia, (psicoanalisi, omeopatia, musicoterapia, pet therapy, pratiche yoga, religione, etc.). Lo psichiatra deve procedere alla risoluzione della condizione di minorità che ha portato alla richiesta di aiuto, è urgente non occuparsi di normalità, ma di sanità, fisiologia versus psicopatologia. Se non ci si fa abbagliare dall’apparenza della normalità, si capisce che una richiesta di cura può nascondere il proposito di far fallire l’opera medica. La psicoterapia individuale come cura della coscienza lascia sul piano delle dichiarazioni l’esigenza di cura, l’intenzione di curarsi è l’intenzione inconscia di curarsi, la domanda cosciente non contiene necessariamente un’esigenza di conoscere e vivere il cambiamento, il movimento della mente.

    Nel rapporto di cura della malattia mentale, non si avrà una ‘restitutio quo antea’. Contrariamente alla convinzione freudiana dell’impossibilità di cambiare il carattere, una sua modificazione si rende auspicabile, perché la malattia mentale non è una diminuzione del funzionamento di un organo o apparato, ma realizza un plus, un'attività di distruzione violenta in sé e negli altri attraverso l’assuefazione alla malattia che diventa struttura razionale di pensiero.

    Il processo terapeutico, per aver una probabilità di essere condiviso dalla coscienza, è una relazione che dura per lo meno fino a quando non è chiara la differenza tra razionalità e irrazionalità. Fino a quando il paziente non distingue tra soddisfazione di esigenze e soddisfazione di bisogni, fino a che il soggetto non sviluppa l’idea della vita come pensiero, non sta chiedendo la cura. Non tutti quelli che si presentano al medico chiedono la cura, spesso vogliono perfino distruggerne la speranza, la cura non si offre, si conquista. Il malato tanto è più grave quanto vuole persuaderci dell’incurabilità. Questa disperazione non si manifesta in modo appariscente, ma più spesso è subdola, stancante, afasica, la negazione è il suo fenomeno.

    Lo psichiatra è il medico che non può arroccarsi sulla identità razionale, egli porta con sé il setting, il luogo dove è possibile constatare che la malattia se non curata è infettiva per l’intero sistema. Il medico che verifica il suo controtransfert, l’intenzione inconscia oltre che cosciente della guarigione, il medico che porta con sé il setting. La psicoterapia non è una delle medicazioni psichiatriche, è l’attività psichiatrica, la psichiatria non ha prevenzione perché è prevenzione. La psicoterapia è la prescrizione, i neurofarmaci sono sedativi che somministro a chi non ha volontà di cambiamento, a chi vorrebbe colludere con la mia imperizia (si può anche fare transitoriamente). La psicoterapia è l’agire psichiatrico che non cerca legittimazione nel fondamento in cui lo cercano le scienze che studiano l’uso delle risorse economiche. L’episteme della psichiatria è lo stesso della filosofia, è lo stesso della vita, la teoria della psichiatria è il pensiero irrazionale e consiste negli studi sulla specificità della biologia umana, e non nel cercare un fondamento dai filosofi della scienza, bensì fondare la psichiatria come visibilità della realtà psichica del curante. Il curante

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