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Scusi, è questa la Chiesa Madre?
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Scusi, è questa la Chiesa Madre?

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About this ebook

Un misterioso personaggio, la cui vera identità si cela dietro uno pseudonimo (e capirai presto perché), rivela, per la prima volta in assoluto, i segreti, mai svelati prima, che hanno accompagnato i suoi lunghi anni di preparazione al “ministero”.

Che genere di “ministero”? Lo puoi scoprire se leggi con attenzione, e un pizzico di stupore e meraviglia, il dramma di una vita dedicata a una causa, rivelatasi presto, anche se non improvvisamente, priva di fondamento, a voler essere generosi.

Immagina di ascoltare espressioni come questa: “La religione mi sta bene ma i preti non li sopporto proprio, però non se ne può fare a meno”.

Sei anche tu di questo parere?

Qualunque sia la tua risposta, attraverso questa storia raccontata in prima persona dal protagonista, scoprirai come vengono preparati, e con quali metodi, coloro che sono “destinati” a guidare il popolo dei fedeli che fanno riferimento alla Chiesa Cattolica, Sancta Mater Ecclesia.

Si tratta dunque di un pamphlet pieno di rancore e di astio verso una così nobile istituzione?

Non sia mai! Al contrario, l'autore guarda alla sua storia con distacco, per quanto possibile, quasi come a una sperimentazione sociologica vissuta dal di dentro, cioè partecipata.

E la ragazza? C'è anche quella, ci sono anche quelle, gentili e sorridenti, non sono il sale della vita?

Non è un caso se a mostrare apprezzamento verso questa storia è stata una delle più grandi scrittrici italiane viventi (ma non svelerò il nome neppure sotto... il solletico!

“Ho trovato questo libro semplicemente delizioso. Leggero e profondo allo stesso tempo. Una narrazione spontanea che, come dice l'autore segue il "flusso continuo dei pensieri che andiamo inseguendo minuto per minuto senza porre cesure di sorta" con cui si viene a delineare la figura di un sacerdote e di un uomo straordinario che non ha paura di mettere a nudo la sua sensibilità e la sua umanità.”
Paola Devescovi, Traduttrice, Interprete, Imprenditrice

“...si avvicendano emozioni contrastanti e forti, c'è il tradimento, la rabbia, la disperazione, ma c'è anche tanto amore e tanta speranza… è un libro che parla di ciascuno di noi."
Sandra Brusa, Letterata

“La forma del racconto e del testo regala il rumore della battaglia fra l'urlo che pretende una risposta ad una realtà priva di senso e la rissa che spesso il non senso stuzzica.”
Paolo Flaviani, Docente
LanguageItaliano
Release dateDec 3, 2014
ISBN9786050340389
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    Scusi, è questa la Chiesa Madre? - Ferdinando Quarto

    reserved

    Presentazione

    Quello che stai per leggere potrebbe trarre in inganno e apparire a tutta prima come il libro-denuncia di un prete cattolico più o meno avvertito. Non è così e, a parte il nome, questo sì vero e reale, nessuno dei fatti narrati, anche quando potrebbe sembrare tutt'affatto il contrario, non intende far riferimento a persone, circostanze e luoghi, che sono quindi tutti da attribuire alla fantasia dell'autore. Il quale, se fosse vero quanto sostiene in queste pagine, sarebbe comunque ancora prete a tutti gli effetti ma all’insaputa di tutti, non avendo mai chiesto, e sostiene che mai lo farebbe per nulla al mondo, né dispense né riduzioni allo stato laicale e simili. E che quindi, sostiene sempre il nostro autore, se volesse, ma non lo vuole, potrebbe tornare in una qualsiasi giornata feriale o festiva che sia a dire la messa è finita, andate in pace o quello che si dice ai giorni nostri, perché si sa, la liturgia cambia e i papi anche   Rifiuta in ogni caso di essere considerato un traditore. Semplicemente, così afferma, non ha tradito nessuno. Al contrario, è lui a essere stato tradito nei propri ideali, e ha deciso a suo tempo, anni annorum, di dare un taglio all’esaltante esperienza, su questo non ha dubbi, nello stesso momento in cui se n’è reso conto, cioè a soli cinque anni dalla sua ordinazione a presbitero, c'è ancora la famosa marca di matite sulla testa? I fatti narrati si riferiscono, sempre nella fantasia dell'autore, a vicende di anni e anni fa e hanno quindi perduto, come avviene in tutto ciò che è lasciato a decantare, quel sapore di rivalsa, rancore, luciferina lucidità, cioè il massimo dei massimi dei peccati, imperdonabile allo stesso Domineddio. Vicende ordinarie di tutti i giorni, vissute ora con gioia, ora con tristezza e disperazione, poi con nuovo vigore, quindi con amarezza, ma mai con rassegnazione, come capita a ogni uomo che se lo possa permettere perché senza vincoli e costrizioni. In sostanza, sostiene il nostro, l’idea non era male all’inizio, ma dio ci salvi da chi se n’è appropriato lungo i secoli e continua a farlo con grande saggezza, su questo non ci piove, anche oggi. 

    Avvertenza dell'autore

    Attenzione, il racconto procede a mo' di magma inarrestabile eruttato dalla bocca di un vulcano. Per una buona lettura occorre prestare attenzione più al ritmo della narrazione che all'esatta comprensione di ogni singola frase, lo stesso processo che caratterizza il flusso continuo dei pensieri che andiamo inseguendo minuto per minuto senza porre cesure di sorta, non è così?

    Citazioni

    Il cattolicesimo è il grande distruttore dell'anima infantile,  ciò che incute la grande paura, il grande annientatore del carattere del bambino. Questa è la verità. Milioni, e infine miliardi di persone debbono alla Chiesa cattolica il fatto di essere state distrutte alle radici e rese inservibili per il mondo, il fatto che la loro natura è stata trasformata in contronatura. La Chiesa cattolica ha sulla coscienza l'uomo distrutto, restituito al caos, in definitiva infelice fino al midollo, questa è la verità, non il contrario. Perché la Chiesa cattolica tollera solo l'uomo cattolico, nessun altro, questo è il suo intento e il suo fine perenne.

    Thomas Bernhard, Estinzione

    La Chiesa cattolica avrebbe molto da riparare nei miei confronti, mi dissi, se le mettessi in conto ciò che con la sua dottrina ha devastato e distrutto e rovinato in me bambino, avrebbe, nonostante il suo cinismo, di che restare atterrita, pensai.

    Thomas Bernhard, Estinzione

    1 AFFIDERESTI IL TUO BAMBINO DI APPENA 10 ANNI ALLA CHIESA PER FARNE UN PRETE?

    Dove si narrano i preliminari e il protagonista ricorda fatti e circostanze che lo hanno condotto alla situazione in cui si dibatte al momento

    Mia madre sarebbe stata orgogliosa di avere un figlio prete, e lo ha avuto. Ha avuto l'orgoglio, la compiacenza, la serenità, di avere fatto il proprio dovere dando un figlio al Signore. Di figli maschi ne aveva avuti tre, ma uno no, non era cosa, s'era provato a mandarlo in seminario ma aveva fatto fare una figura barbina alla famiglia chiedendo di venirne via dopo solo sei mesi, fortuna che l'esperimento era stato fatto in un seminario di frati minori, una cosa un po' meno impegnativa del seminario diocesano, d'altra parte il tipo non dava molto affidamento, distratto, testardo, si applicava poco allo studio, e l'altro non che avesse qualcosa di particolare, ma era troppo piccolo e si sarebbe dovuto aspettare tanto, restavo io e mia sorella che però per fortuna sua era esclusa dal gioco per ovvi motivi.

    Quanto a me ero molto preciso, non avevo ancora otto anni ma ero già pieno di impegni, messe da servire, funerali, matrimoni, la mia infanzia era già finita, la mattina a messa e la sera il rosario e la benedizione, avevo già i miei orari, le campane della chiesa mi dicevano fino a che ora potevo giocare. Scrivere così è cercare di sviare il problema e il problema sono io adesso, non come ero, perché, perché, perché, le costanti che si ripetono nella mia vita. E questo tipo qui dietro che è venuto a rompermi le scatole stamattina, non poteva leggersi il suo giornale altrove.

    Da quando ho lasciato la banca ho in mente fisso il pallino di scrivere un libro della mia vita sbagliata, classico esempio di una persona disadattata che finirà certamente con il disadattamento totale.

    Mia madre, cari miei, anche l'altra sera, dopo tutto quello che non si è ricordata di fare per me, mi ha detto che adesso che ho lasciato la banca lei non è più tranquilla, mentre lo era quando io ero in banca ed ha assunto quel tono suo di incomprensione totale, ancora più penoso, mi chiede se posso fare un prestito a mio fratello che ha sette figli e una moglie, deve traslocare, ha avuto un incidente gravissimo, non capisco niente, che prestito, io non ho una lira, devono vendere un mio pezzetto di terra che dicono che vendono ma non vendono mai, al diavolo tutto quanto, si ricordano di me solo quando gli pare, ma cosa credono. Un cane, due persone, uomo donna, lindi e agghindati, belle valige, hanno una macchina e stanno per partire, li invidio, e io sono alle prese con gli spinaci, con quello che farò, riuscirò a portare avanti questo discorso dell'agricoltura, sia chiaro che è un rifugio, non ho velleità bucoliche, vorrei che mi lasciassero in pace ma come sarà possibile, ho dentro un'angoscia indescrivibile, mi pare di odiare mio figlio, accompagnarlo, andarlo a riprendere, vestirlo, pulirlo, ci mancherebbe anche un cane o un gatto. Come quella volta che ho portato il gatto in cooperativa in macchina, tenendolo con una mano compresso sul ventre e guidavo con una sola mano e sono arrivato a destinazione piuttosto graffiato, questo qui dietro continua a rompere con questo giornale, ci saranno almeno altri quattro saloni dove si può leggere qui dentro, in questo circolo di conversazione per così dire, e quella volta che mia madre mi portò dal prete che io dovevo entrare in seminario e gli disse allora che cosa ne facciamo di questo asino perché mi avevano rimandato in matematica all'esame di ammissione, l'avrei mangiata, e stavano per farmi ripetere la quinta elementare perché non riuscivo a risolvere il problema di aritmetica, se un uovo costa tot, avendone mangiato settecento, quanto era lungo il pistolino di Marco? e poi mi mandarono a scuola privata da un'altra mamma maestra che mi faceva impazzire con i problemi, aveva un marito nevrastenico che quando parlava stringeva continuamente le mascelle e chiudeva leggermente gli occhi da miope, avevano due figli, uno studiava a Perugia, l'altra insegnava qualcosa come latino, non so.

    Decidemmo che io andassi in seminario, mamma non venne perché il distacco per lei sarebbe stato troppo duro, gente senza cuore, e io mi sarei divertito? almeno mio padre non diceva niente, poi dissi che volevo esser più vicino a casa, in un seminario meno lontano e mia madre si meravigliò molto, primo perché, quando noi veniamo a trovarti una volta al mese, non ci fai né faccia né niente, e poi perché se stai lì paga tuo zio ma se vieni qui dovremmo pagare noi.

    Non stavamo niente male, mio padre lavorava quattro ettari di terra e qualcosa rendevano, in seminario mi portò mio padre, avevamo la giardinetta, avevo un baule militare e una valigia, dieci anni, mio dio, solo dieci anni, mangiammo a casa dello zio monsignore, ebbi delle difficoltà a mangiare un caco, generalmente lo prendevo in mano, ma lì non si poteva, lo zio disse che avrei imparato in seminario, dovevo essere forte come lo sono adesso ma ho pianto un po', avevo lasciato mamma, papà, sorella e due fratelli, il nonno di cui ero il preferito e che non avrei più rivisto, povero vecchio continuava a dire nella malattia che voleva rivedermi ma non me lo consentirono perché pensarono che era meglio così, mi dissero poi che era morto e di pregare per lui, ma noi eravamo amici, non è mica giusto. Cominciavo una vita nuova, da dieci fino a ventiquattro anni, tutto quello che dovevo fare era segnato da un suono di campana, il rettore mi disse che i miei pantaloncini erano troppo corti, per la prima volta cominciai a vergognarmene, bramai di potere avere i pantaloni lunghi della divisa, una roba oscena che mi copriva tutto a dieci anni senza lasciare scoperto un centimetro della mia pelle tranne viso e mani, l'ambiente non mi dispiaceva, mi trovai abbastanza a mio agio, avevo un prefetto simpatico, ci sapeva fare, dopo diventerà anche lui un elemento poco raccomandabile, suonava la campana alle sei, un suono lungo, assordante, bisognava rispondere a una preghiera in latino e nel frattempo sotto le coperte, nessuno si sarebbe mai sognato di uscire fuori e mostrarsi in pigiama o in mutande, sfilarsi il pigiama, infilarsi pantaloni, calze e camicia e quindi venire fuori praticamente vestiti, chi tardava in questa operazione rischiava grosse derisioni perché improvvisamente si sarebbe accesa la luce, chi armeggiava ancora sotto le lenzuola era oggetto di risate plateali, qualche anno dopo in seminario si entrava a nove anni e vi si faceva anche la quinta elementare.

    Feci amicizia con uno, amicizia per la pelle, ridevamo insieme, ne facevamo di tutti i colori, improvvisamente la bomba, fummo chiamati insieme con il prefetto dal vicerettore, questo sì vero forgiatore di anime non so quanto in buonafede, di sicuro con parecchi complessi, a volte spietato senza tante storie, la nostra era un'amicizia particolare, bisognava troncarla, non capimmo niente ma non potevamo più vederci e giocare insieme con tranquillità, c'era qualcosa di impacciato nel nostro rapporto.

    Avevamo un professore di geografia, portava un crocefisso enorme sul petto perché lui era religioso e il seminario ce l'aveva solo in prestito, era divertente, ci facevamo un sacco di risate, c'era uno che si chiamava qualcosa tipo avveduto ed era d'una cretinaggine assoluta, non capiva niente neanche quando gli suggerivamo quello che doveva dire, un altro si chiamava Franza, poi non ricordo.

    Gioacchino era entrato in seconda media, il seminario era in costruzione, tiravano su un edificio grandioso, centocinquanta seminaristi era la meta, la mattina a colazione mangiavamo in tazze tutte sbeccate, i posti a tavola erano fissi, non si poteva scegliere, le tazze non erano tutte uguali perciò poteva capitare di trovarsene una molto piccola oppure una più capace, questo era fonte di discordia, tutte le mattine un caffellatte e pane in silenzio dopo un'intera ora di meditazione e messa, alcuni andavano a confessarsi durante la messa dal padre spirituale, eravamo tutti grandi peccatori, una normale masturbazione si chiamava peccato solitario molto mortale, per fare la comunione bisognava confessarsi, era una seccatura ma dopo quella formalità con un po' di dolore si veniva fuori freschi e si sperava di non dovervi ricorrere per la comunione del giorno dopo, ma ahimè la carne era il nostro grande nemico.

    La sera il vicerettore spiegava il regolamento, era stato scritto dal vescovo precedente il quale lo aveva desunto dalle usanze del seminario romano, c'era scritto tutto quello che bisognava sapere per diventare preti, veramente non c'era proprio scritto tutto, il più lo aggiungeva il vicerettore a voce e anche quello che diceva lui era ugualmente regolamento, due regole fondamentali che riuscivano di difficile comprensione a me, la prima era che non si tocca con le mani, non quel coso lì che tutti pensano, ché quello è già peccato gravissimo, ma non si toccano con le mani gli altri, questo significa fra ragazzini che non si può fare la mischia, in me finì col significare una certa fobia di essere toccato, l'evitare il contatto con qualcuno anche involontario, la seconda regola era quella del lei, per cui ad evitare eccessiva familiarità fra di noi, dovevamo rivolgerci agli altri dando del lei.

    La trasgressione di queste due regole era la fonte principale dei castighi, il castigo più in voga era il silenzio, si poteva essere messi in silenzio per dieci minuti, un'ora una giornata intera, a discrezione del prefetto e a seconda della gravità della colpa, il punito non poteva parlare e parlare voleva dire fare crescere ancora di più la colpa, e ovviamente non poteva giocare durante i periodi di ricreazione che normalmente duravano mezz'ora, la fine del periodo di castigo veniva segnata dalla parola Deogratias che la persona che aveva imposto la pena, e solo lei, poteva a suo insindacabile giudizio pronunciare graziosamente verso il punito, allora si diceva che il silenzio era stato tolto.

    Anche se questo genere di punizione era all'ordine del giorno io non l'ho mai beccato, una volta imparate

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