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Al di là dei Monti
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Al di là dei Monti

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"Questo è un viaggio dal quale non si può più fare ritorno."

Viola, a trent’anni, si sente improvvisamente estranea alla sua identità. Decide di abbandonare il mondo in cui ha sempre vissuto, per compiere un pellegrinaggio alla ricerca sulla sua “vera” identità. Il viaggio la porta in un territorio di confine fatto di incontri inattesi , in un paesaggio che rapidamente va allontanandosi dal mondo che la ragazza aveva sempre considerato reale. Un territorio di confine in cui è difficile determinare cosa sia reale e cosa no, con le difficoltà che si susseguono e che sono molto diverse da quelle che aveva immaginato. Un’amnesia la costringe però ad abbandonare la sua ricerca, fino a che decide di rivolgersi a un amico psichiatra, Claudio, con l’intenzione di recuperare, grazie all’ipnosi, i ricordi di quel periodo buio. L’esperimento non funziona ma il confronto con Claudio offre alla protagonista una versione del suo viaggio che ribalta completamente le sue certezze, ma non ha più importanza; ormai Viola ha capito quale sia la strada che dovrà seguire.
LanguageItaliano
Release dateJan 21, 2015
ISBN9786050350753
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    Al di là dei Monti - Bianca Schiavon

    Al di là dei Monti

    Un romanzo di

    Bianca Schiavon

    © Bianca Schiavon 2015

    Copertina di Sa.Di.Co. © 2015

    È vietata la riproduzione totale o parziale di questo e-book. Altresì sono vietati il noleggio, la copia, la trasmissione a terzi o qualunque altro utilizzo non sia contemplato dalle norme vigenti senza l’autorizzazione di chi ne detiene i diritti. Qualunque violazione dei diritti d’autore sarà passibile di sanzioni civili e penali secondo quanto previsto dalle Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Prologo

    La strada è larga, poco trafficata. Per qualche chilometro prosegue perfettamente e noiosamente diritta, affiancata dalla regolarità, altrettanto monotona, dei campi coltivati.

    Zoom

    Al centro del rettilineo, metro più metro meno, una vecchia Uno blu notte procede a velocità piuttosto moderata. Quasi da intralcio al traffico, se ce ne fosse.

    Zoom

    All'interno ci sono due giovani donne. La ragazza al posto di guida indossa un paio di jeans tenuti assieme solo dai rattoppi, una camicetta chiara con dettagli in pizzo che certamente ha visto tempi migliori. I capelli lisci, castani, le arrivano alle spalle, dalla piega si capisce che fino a poco tempo prima dovevano essere legati. Magra, abbronzata, né brutta né particolarmente bella. L'altra ragazza è sul sedile del passeggero. Capelli ricci, corti e neri. Piuttosto carina nonostante qualche chilo di troppo. Porta calzoni di mimetica e T-shirt scollata piuttosto provocante. Entrambe sono coperte di polvere, gli abiti macchiati di verde(erba) e di rosso(fragola).

    Audio

    – Certo che hai proprio un bel colorito, questo fard ti dona! ‒ dice la ragazza-passeggero.

    – Anche tu sei messa bene eh? Quel tocco di grigio sui capelli ti da un’aria vissuta, sei bonissima! ‒ replica l'autista, distraendosi per un attimo dalla guida mentre osserva la sua compagna di viaggio.

    Risate.

    – Non vedo l'ora di arrivare a casa e ficcarmi sotto la doccia, non la sopporto più 'sta cazzo di polvere. ‒ dice l'autista.

    – A chi lo dici, ne ho fin dentro la figa... anche se bisogna sempre trovare il lato positivo... scommetto che almeno oggi Claudio non mi salta addosso appena arrivo. Se ci prova, gli scortico l'uccello, effetto carta vetrata! ‒ ribatte la ragazza con i capelli ricci.

    Risate. Di tono vagamente isterico.

    – Giuro che se questo cazzo di maestrale non si calma un po', Sergio le fragole se le stacca da solo, domani! ‒ dice la ragazza con i capelli ricci.

    – Ce lo vedo proprio... con quelle manine delicate! Chissà che marmellata...

    Risate...

    La ragazza con i capelli neri e ricci è la mia collega (e amica) Paola. La ragazza magra al volante invece sono io, o forse farei meglio a dire: ero io.

    Strano potersi rivedere così, dall'esterno, quasi fosse un film... eppure in questo caso mi viene facile. Proprio perché, non essendo più io, ormai la scena che vedo non mi appartiene. La protagonista è un’estranea, con i miei capelli, i miei abiti e le mie fattezze, ma pur sempre un’estranea. Allora chi era quella ragazza che io non sono più? Diciamo una tipa piuttosto standard.

    Un'infanzia abbastanza normale con accanto genitori abbastanza normali. Una prima parte della vita passata tutto sommato bene, anche se in casa non si navigava certo nell'oro. Aveva anche un fratello, minore di quattro anni, con cui non era mai riuscita a legare molto.

    Passata l’infanzia, divenne, questa ragazza, un'adolescente mediamente problematica. Superate le scuole medie, si iscrisse senza troppa convinzione al liceo classico e ne uscì, dopo giusto un anno di troppo, con in mano un diploma ottenuto in maniera non troppo brillante. Poiché le mancavano sia i soldi che l'ispirazione, diede solo uno sguardo distratto alla prospettiva di una carriera universitaria, ma decise piuttosto in fretta di lasciar perdere e si impegnò a trovarsi un lavoro.

    La ragazza in questione non aveva una particolare propensione al contatto col pubblico. Escluse quindi a priori due tra le possibilità più quotate che offriva il mercato. Diventare, cioè, una commessa sottopagata in un qualunque negozio della zona, oppure una barista sottopagata in un qualunque bar della zona.

    Visto che dalle sue parti prosperava l'agricoltura, preferì diventare una delle tante operaie agricole sottopagate, in una delle tante aziende agricole del circondario. Era un lavoro in cui in genere ci si spostava parecchio, per cui, all’epoca di questo racconto, aveva cambiato cinque, forse sei datori di lavoro. Temo di aver perduto il conto esatto.

    Dopo qualche anno di lavoro, la ragazza si era decisa a fare armi e bagagli. Aveva abbandonato la dimora ancestrale per un piccolo appartamento che l'aveva fatta sentire, per la prima volta nella sua vita, una persona libera.

    Riguardo alle cose più personali, la vita sentimentale per esempio, la ragazza nel corso della sua esistenza si era impegolata in due cosiddette storie importanti. La prima risaliva a parecchio tempo addietro, era durata appena un anno e si era conclusa tragicamente con la morte di Sergio, che era finito a stamparsi su un guard-rail in un malriuscito tentativo di sorpasso. La seconda era invece molto più recente, tragicamente terminata, appena un anno prima, con la scoperta del tradimento di Pippo, consumato con una sua collega molto amichevole.

    Entrando ancor più nel personale, c'è da dire che la ragazza era una gran divoratrice di letteratura, che divorava (ora lo so) con l'unico intento di estraniarsi da una realtà frustrante. C'è da dire che si valutava una tipa piuttosto intelligente (mio Dio!) e che si vedeva come uno spirito libero e inquieto (e potete immaginare quale dovesse essere la sua confusione interiore, dato che era ormai diventata dipendente dal lavoro, e non solo dal punto di vista economico, che sarebbe anche perdonabile, bensì da quello dell'abitudine. La poveretta fantasticava di tutto quello che avrebbe potuto fare con un po' più di tempo libero. In realtà, senza la routine del lavoro, che la ancorava saldamente all’ambiente circostante, sarebbe stata persa. Tutto ciò che avrebbe potuto fare di un’eventuale surplus di tempo libero, sarebbe stato sprecarlo davanti a qualche stupido programma televisivo, ne sono certa).

    Un ultimo particolare, questa ragazza è da poco entrata nel suo trentesimo anno. Lei non ne è esattamente consapevole, ma tutti sanno che si tratta di un anno estremamente importante nella vita di ogni persona, spesso addirittura cruciale. L'anno che separa, o che dovrebbe separare, la spensieratezza dalla maturità, il gioco dall'edificazione.

    Comunque è tutto dire. Nulla cambiò per quella ragazza nel suo trentesimo anno. Semplicemente svanì nel nulla, anche se in compenso al suo posto c'ero io, e posso assicurare che in questo scambio c'era tutto di guadagnato.

    Capitolo 1

    Da qualche giorno soffiava un forte maestrale e l'aria era carica di foschia umida che il vento trascinava dal mare, distribuendola generosamente in tutto il circondario. Mentre guidavo, scambiando con Paola una caterva di battute sceme, il mio sguardo si sollevò di qualche metro oltre l'orizzonte della strada che percorrevamo.

    I monti di fronte a me, avvolti dall'aria umida, avevano perso la loro essenza. Impossibile distinguere le valli, i pendii e i picchi, tutto si era fuso in un muro di un blu intenso e uniforme che si stagliava contro l'azzurro, solo appena più chiaro, del cielo quasi estivo. La cresta frastagliata ricordava un antico muro in rovina, la dentatura sbreccata di un’enorme bocca divoratrice di pietre. Blu intenso, blu su blu.

    – Oh! Viola! Ti sei incantata?

    La voce di Paola stridette, irrompendo nel mio mondo interiore.

    – Che? Scusa Pa', mi sono distratta un attimo, guardavo i monti...

    – I monti? Guarda la strada piuttosto! – fece lei con un tono a metà tra l’ironia e la critica.

    I suoi occhi si sollevarono dubbiosi a osservare lo spettacolo che si parava davanti a noi. Dalla sua espressione capii subito che l’immagine catturata dalle sue retine non aveva niente da spartire con i misteri e la magia che invece io avevo appena intravisto.

    – Sì, i monti... mi hanno fatto tornare in mente dei vecchi ricordi. – risposi.

    Ricordi di quando ero molto più giovane, ricordi di partenze all'alba per lunghe scampagnate estive assieme ai miei genitori. In quei giorni, nella luce fredda dell'alba, le montagne assumevano la stessa piattezza che avevano mostrato qualche istante prima, anche se in toni di blu molto più tenui.

    Ricordo che in quelle occasioni mi raggomitolavo sul sedile e non spiccicavo mai parola. I miei forse pensavano che fossi ancora mezzo addormentata, invece ero io che cercavo di tenermi stretto il sonno per camminare su quell'esile filo che separa i sogni dalla realtà. Di tanto in tanto guardavo le montagne attraverso le palpebre socchiuse, fantasticavo su cosa ci potesse essere oltre quel muro in rovina, oltre quel blu che, pur essendo a pochi chilometri di distanza, per me era in qualche modo più distante dei confini dell'universo.

    Pur essendo cosciente che si trattava solo delle montagne che mi erano familiari, allo stesso tempo mi sentivo certa che ci fosse qualcosa di più, avvolto in una magia misteriosa che ne occultava la presenza agli occhi degli uomini. Quell'antico muro diroccato a volte celava tesori perduti che un giorno sarei stata capace di riportare alla luce, altre i resti di nebbiose civiltà del passato, tutte ancora da svelare. Altre ancora celava, in maniera istintivamente simbolica, solo l'infinito, l'ignoto. Quel che non cambiava mai, alla vista di quel muro azzurro tenue, stagliato nell'azzurro più tenue del cielo, era una certa sensazione allo stomaco, che di lì a qualche tempo avrei imparato ad associare all'amore. Una certa malinconica nostalgia, cui non sono mai riuscita a dare un nome né una spiegazione.

    E tutto ciò lo provai di nuovo quella sera, mentre rientravo dal lavoro assieme a Paola. Più sconvolgente ancora, perché alle vecchie sensazioni si mischiava la forza evocatrice dei ricordi d'infanzia. In quel momento quella che ero se ne andò per sempre, e quella che prese il suo posto è ciò che sono ora.

    Accompagnai Paola a casa, poi mi diressi verso il mio appartamento, il piccolo simbolo della mia indipendenza. Parcheggiai la macchina ed entrai. Capii improvvisamente che ciò che fino ad allora era stato così importante mi era diventato del tutto estraneo, né più né meno di come mi era diventata estranea la persona che ero stata fino a meno di mezz'ora prima. L'arredamento, che avevo messo assieme con tanta fatica e impegno, facendo attenzione a conciliare estetica e praticità. Le piante che avevo seguito nel loro sviluppo con tanta cura. L'attrezzatura da cucina di cui ero andata tanto orgogliosa, perfino il mio guardaroba. Niente di ciò che avevo attorno conservava più un briciolo di significato. Invece, ciò che mantenne tutto il suo valore, e la sua urgenza, era la doccia che mi aspettava con ansia. Mi spogliai e restai per qualche lungo istante a osservare il mio corpo riflesso nello specchio. Non si trattava certo dell'immagine che avrei desiderato vedere. Il mio corpo era vecchio, macchiato e asimmetrico, pieno di concavità e di sporgenze dove non avrebbero dovuto essere. I miei capelli erano stoppa impolverata e perfino i peli del pube non avevano più la lucentezza dei giorni migliori. Ecco come aveva ridotto quell’altra Viola la vita condotta fino a quel momento.

    Aprii il rubinetto e, quando l'acqua fu calda a sufficienza, mi infilai sotto il getto vaporoso. L'acqua cominciò a scorrere sul mio corpo, incontrando e abbracciando la polvere che mi ricopriva. I rivoli limpidi, scivolando lungo la pelle, divennero in breve fangosi. Il piatto della doccia, una pozza di melma. Poi pian piano l'acqua tornò cristallina, già dimentica del lordume precedente. Insaponai la spugna e iniziai a strofinarla violentemente su ogni centimetro della mia pelle, non un solo granello di polvere doveva sopravvivere a quella furiosa abluzione. Quella polvere non mi apparteneva, era di quell'altra.

    Quando finalmente mi ritenni soddisfatta, uscii dalla doccia e mi rilassai per qualche istante nel morbido oblio dell'accappatoio. Asciutta, gettai in terra l'accappatoio

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