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La goccia di basalto
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La goccia di basalto

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Un maniero sulla costa nord dell’Irlanda, il dolore per la morte dell'amato conte Patrick, il sollievo per l’omicidio di una donna odiata dalla famiglia ma anche dagli abitanti del villaggio, due storici che, riportando a galla verità tenute nascoste per troppo tempo, aiutano Walsh, il capo della polizia locale, nelle sue indagini.
La storia ha inizio quando Manuel De Santis e Lisa, la sua assistente, arrivano nel castello dei Beresford per fare ricerche. Kevin Beresford, nuovo conte dopo la morte del padre, è un uomo giusto, mite e dedito alla famiglia. Moreen, sua moglie, frivola e altezzosa, tiene strettamente sotto controllo la figlia Eveleen, gelosa della libertà dei ragazzi della sua età e specialmente di Kathie. Kathie, allegra e insolente, arriva al castello con la madre, Allison Smith, aria dismessa e impacciata, governante di Lady Caitlin Beresford, sguardo di ghiaccio e fare severo, sorella del defunto conte.
Coste frastagliate e colonne di basalto che si ergono maestose, un maniero a picco sul mare, una biblioteca in cui il silenzio viene interrotto solo dall'infrangersi delle onde e dall'ululare del vento, un paese con basse casette appagate e oziose. Qui si muovono i protagonisti della storia: una famiglia importante e cittadini di un villaggio che si conoscono tutti tra di loro. Una piccola comunità sconvolta da un omicidio ma anche da tutti quei segreti che oscurano gli occhi sempre bassi di Allison; segreti che impediscono ad Eileen, governante gentile e dal sorriso triste, che nutre un profondo affetto per tutta la famiglia Beresford, di mettersi al dito un anello che conta tanto per lei; segreti che inducono a parole sussurrate e a sotterfugi tutti coloro che, per un motivo o per un altro, sono entrati in contatto con Lady Caitlin.
LanguageItaliano
Release dateFeb 4, 2015
ISBN9786050355185
La goccia di basalto

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    La goccia di basalto - Cristina Toniolo

    Alle sei e mezzo del mattino Kevin era già in piedi, vestito di tutto punto, e passeggiava nervosamente nella grande sala che dava sul giardino. Per tutta la sua vita, Kevin Beresford era stato un animo tranquillo, equilibrato ed abitudinario, per niente propenso agli eccessi, ma la morte improvvisa dell'anziano padre lo aveva sconvolto non poco.

    – Zia Caitlin dovrebbe arrivare domani nel primo pomeriggio, spero sia tutto pronto per allora – disse, a bassa voce e senza girarsi, sentendo i passi familiari di Eileen avvicinarsi. – Come saprai meglio di me, la zia ha fama di essere donna molto severa ed esigente, quindi non lasciamo che abbia qualcosa di cui rimproverarci, non in un momento come questo. Perdonami Eileen, mi dimentico sempre che tu sei qui da tanti anni e che di sicuro certe cose le sai meglio di me, visto anche che la conosci fin da quando era una ragazza. Io vado a prenderla alla stazione verso mezzogiorno e mezzo e, per favore, controlla che tutto sia in ordine, lo sai che mi fido solo di te.

    Il tono, con cui Kevin si rivolse alla governante, era impregnato di un profondo affetto, più come se si stesse rivolgendo ad una zia che a una donna che non poteva vantare alcuna parentela con lui. E l'anziana donna, che portava ancora impresse negli occhi le ore insonni, cariche di pianto, seguite alla morte del suo caro Patrick, come amava chiamarlo dentro di sé ma al quale conferiva sempre e rispettosamente il titolo di conte quando ne parlava con gli altri, si avvicinò a Kevin e gli mise una mano sul braccio in un attimo di reciproco e intimo conforto.

    – Non preoccuparti Kevin – lei gli dava sempre del tu, anche quando non erano soli, – so quanto esigente possa essere quella donna, non credo che gli anni l'abbiano addolcita, ma è sempre la sorella di tuo padre e le dobbiamo un po' di rispetto. Anche lei lo amava, di questo ne sono sicura, e anche lei starà soffrendo – gli disse, con un filo di voce che tradiva ben poca convinzione, Eileen. – Dovremo fare uno sforzo ed essere gentili per amore di tuo padre. Anche se ha lasciato questa famiglia da molti anni, e si faceva sentire solo per telefono, io so che lui avrebbe voluto riaverla qui, nella sua vecchia casa. E tocca a noi, adesso, far sì che lei si senta a suo agio in mezzo alla sua famiglia. Va' a fare colazione, rilassati un po' e mangia qualcosa, di tutto il resto me ne occupo io. Ho sentito la cuoca muoversi in cucina, se vai di là troverai sicuramente qualcosa di buono appena sfornato, c'è un delizioso aroma di torta di mele che si sta propagando per tutta la casa. – Nonostante Kevin non fosse più un bambino, Eileen non poteva trattenersi dal considerarlo ancora come tale e, nel suo modo sdolcinato di parlargli, si percepiva un sottile sotterfugio per poterlo ancora coccolare.

    Prima di andare in cucina Kevin si soffermò, qualche istante, davanti alla finestra dalla quale poteva scorgere il giardino dall'erba ben rasata. Lasciò che lo sguardo si posasse nel punto in cui suo padre era solito sedersi, sulla panca che aveva fatto costruire appositamente per poter stare tra le rose in pieno sole, e dove indugiava per delle ore godendosi i raggi tiepidi dando da mangiare ai tanti uccellini che lo allietavano con il loro canto. Poi Kevin sentì un nodo alla gola e si scosse all'improvviso dirigendosi verso la cucina con passo deciso, anche se non aveva molta fame. Si fermò un attimo sulla porta, con gli occhi lucidi di lacrime che non poteva permettersi di versare. Facendo appello a tutto il suo autocontrollo, ricacciò indietro quelle perle di dolore anche se non riuscì a liberare, altrettanto facilmente, il cuore da tutta la sofferenza che lo stava divorando.

    – Non ti affaticare troppo, Eileen – disse, ad alta voce, poco prima di lasciare la stanza, rivolgendo uno sguardo pieno di affetto e di gratitudine alla fidata governante.

    – Questo è il periodo migliore dell'anno per andare in Irlanda – osservò, senza alzare la testa dal libro che teneva stretto tra le mani, il professor Manuel De Santis, mentre si sistemava sul sedile dell'aereo senza, però, riuscire a trovare una posizione che gli desse soddisfazione.

    La prima metà di giugno se n'era andata e la seconda prometteva giornate lunghe e tiepide. Con un po' di fortuna, la pioggia sarebbe stata clemente e non sarebbe scesa con troppa abbondanza.

    – Mai stata in Irlanda? – chiese ancora il professore, questa volta facendo cadere gli occhiali sul petto e girando la testa verso la ragazza che sedeva impacciata al suo fianco. – Vedrai che ti piacerà, io ho amato quel paese fin dalla prima volta che ci sono stato e penso di tornarci ancora molte volte. Lo so che non è una vacanza e che saremo lì per lavorare, ma ti lascerò lo stesso un po' di tempo per goderti il posto. Vedrai che la terra, che ti si svelerà davanti agli occhi, sarà foriera di emozioni.

    – No, non sono mai stata in Irlanda, ma è uno di quei paesi che ho sempre sognato visitare. Sa, era così facile fantasticare, da bambina innamorata di castelli e di storie di cavalieri e principesse, di trovarmi in qualche maniero arroccato su una rupe ventosa e di correre attraverso favolosi paesaggi dall'erba di un verde brillante e dagli alberi con profili di gnomi arroganti. E poi fermarmi di fronte ad un mare che si spinge fino ad un orizzonte senza fine, per ascoltarlo ruggire e sospirare in una notte chiara e languida – gli rispose, con un filo di voce e l'aria sognate, Lisa, facendosi coraggio nel parlare con quello che era diventato, da poco, il suo capo ed era stato, per tanto tempo, un maestro, un mentore, un mito. – A parte tutte queste sciocchezze – si canzonò da sola la ragazza, – spero di trovare il tempo necessario per fare tutte le visite che ho in programma. Mi sono già preparata un piano dettagliato con quello che mi piacerebbe vedere. Anche se non sarà una vera vacanza, ho intenzione di utilizzare tutto il tempo libero che mi resterà.

    – Trascorreremo gran parte della giornata in biblioteca, o negli archivi della città, ma in questo periodo le giornate sono così lunghe che non ti mancherà l'occasione per goderti il luogo. Il castello, in cui alloggeremo, è in ottima posizione per andare alla scoperta di tutta la costa nord. Se ti piacciono natura selvaggia e lunghe passeggiate, starai bene lì.

    Manuel De Santis era un docente di storia e uno scrittore senza pace, a detta di conoscenti e amici. Da qualche anno, ogni suo lavoro in campo storico veniva pubblicato con grande ammirazione di critica e di pubblico e questo lo portava spesso, nei periodi in cui non teneva corsi all'università, a fare ricerche all'estero. Poco meno di sei mesi prima era venuto a conoscenza di una biblioteca che annoverava testi che facevano proprio al caso suo; una biblioteca nel cuore di un castello sulla costa nord dell'Irlanda. Contattato il padrone del maniero, era stato invitato a essere suo ospite per fare le sue ricerche. Gli era anche stato comunicato che al castello si trovava un archivio di tutto rispetto con documenti che ripercorrevano la vita della comunità del vicino villaggio. Non c'era voluto molto altro per indurlo a programmare quel viaggio.

    – Questo è il tuo primo lavoro, in campo storico, dopo la laurea, vero? – chiese Manuel alla ragazza appoggiando la testa sul sedile. – Tieni sempre presente che sarà un compito importante. Lavora bene e non avrai problemi a trovare altri incarichi in campo accademico. Ricordati sempre di essere precisa e accurata nelle tue ricerche, ma anche che non bisogna mai accontentarsi di quello che si trova, anche se sul momento può dare una grande soddisfazione. Ricordati che la curiosità ti porta a fare delle scoperte eccezionali che possono cambiare completamente il tuo modo di fare ricerca e, perché no, anche di scrivere e di pensare. Non credere che il nostro sia un lavoro noioso, anche se stare delle ore su di un libro, magari scritto in un'altra lingua, e per trovare solo una riga che possa interessarci, può non sembrare esaltante. Ma prova solo a immaginare il momento in cui potrai vedere tutti i tuoi sforzi prendere forma, vedere che da tutti i mozziconi che hai raccolto può nascere un'opera eccezionale; allora sì che tutta la fatica, e la noia, scompaiono e ti senti pieno di energia e pronto per la prossima avventura. Perché, questo lavoro, è una continua avventura.

    – Appena laureata non ho trovato niente inerente ai miei studi così mi sono rassegnata, come tanti, a fare dei lavori di ripiego. Ma non può immaginare la mia gioia quando il suo vecchio assistente mi ha informata che aveva bisogno di un sostituto e che le avrebbe parlato di me – gli disse, dopo qualche minuto e con voce rilassata, Lisa. Il suo era un tono sincero che non conteneva false smancerie per farsi bella di fronte al suo capo. Dopo aver bevuto un sorso di caffè, troppo caldo e ancora troppo amaro, continuò: – Può stare certo che io non mi annoierò e che svolgerò al meglio tutti i miei compiti. Non si pentirà di aver scelto me per sostituire Stefano, vedrà. Sto per fare quello per cui ho studiato tanto e che ho sempre sognato, e con una persona come lei, che nel suo campo ha un grande peso, cosa potrei volere di più? Stefano mi ha detto che lei è molto esigente e non la deluderò, mi creda.

    – Sono contento che Stefano ti abbia preparata a quello che ti aspetterà – osservò, soddisfatto ma senza sorridere, De Santis, sapendo bene che quasi tutti gli assistenti, che aveva avuto, se l'erano data a gambe perché non riuscivano a sopportare il suo ritmo di lavoro. – Se resisterai abbastanza da portare a termine la pubblicazione sarai avvantaggiata anche tu, non scordartelo, quindi è nel tuo interesse lavorare bene.

    Lisa ricordò come si era sentita spaventata ed eccitata quando Stefano le aveva accennato che c'era la possibilità di farla diventare l'assistente del professor De Santis. Quell'uomo era diventato una leggenda nel suo campo e Lisa aveva seguito con entusiasmo due dei suoi corsi. Fin dal primo giorno, per lei, ogni sua parola era stata come oro colato e ogni suo scritto era diventato un tesoro inestimabile. Ma avere la possibilità di lavorare insieme non se l'era mai aspettata, soprattutto quando, dopo la laurea, era stata costretta ad accettare un lavoro in una pasticceria per arrivare a fine mese. Era arrivata al punto di credere che tutti i suoi sogni, sogni di immergersi completamente nei reconditi meandri della storia, non avrebbero avuto alcun seguito. Ma un giorno la sua più grande speranza si era avverata, lasciandola senza fiato e quasi tramortita, anche se faticava ancora a crederci. Era noto a tutti che lui trattava male i suoi assistenti, che era troppo esigente, che non lasciava loro molto tempo libero e che non ammetteva errori, ma apporre la propria firma, su un lavoro in cui compariva anche quella di De Santis, voleva dire avere un futuro nella ricerca storica, un futuro nella pubblicazione e un futuro nel mondo accademico. Al fianco di De Santis Lisa si sentiva al settimo cielo, anche se quell'uomo alto e magro, che aveva passato la quarantina e forse era anche più vicino ai cinquanta, sprigionava ancora molto, troppo, fascino; e tutto quel fascino finiva con il turbarla ogni volta che volgeva lo sguardo verso di lui. Ma la cosa che le premeva di più, in quel momento, era fare un buon lavoro e trovare quella sicurezza economica che, negli ultimi mesi, le era proprio mancata; soprattutto da quando il suo ragazzo se ne era andato da casa lasciandole, sulle spalle, tutte le spese. Quel lavoro era arrivato proprio al momento giusto, un momento di totale sconforto e un momento in cui non aveva alcun legame che le impedisse di viaggiare per lavoro. E così si era ritrovata, quasi senza accorgersene, su quell'aereo accanto a quel professore, diretta verso la terra dei suoi sogni infantili. Ma doveva stare molto attenta ad ogni sua mossa perché quel castello di sabbia poteva dimostrarsi fragile e crollarle addosso da un momento all'altro. Bastava poco al professore per sostituire anche lei, come aveva fatto con i tanti ragazzi che l'avevano preceduta, e questa era la cosa che la preoccupava di più.

    – Guarda, stiamo iniziando a sorvolare il territorio irlandese – la informò, con entusiasmo, De Santis indicandole la terra verde che si stendeva sotto di loro. – La prima volta che sono stato qui ci sono venuto con mia moglie, un anno dopo il matrimonio, e nelle due settimane che ci siamo fermati è piovuto tutti i giorni.

    Manuel tornò con la mente a quel viaggio che aveva fatto troppi anni prima, quando credeva che l'amore potesse avere la meglio su tutto e che ci fosse sempre spazio per un compromesso tra due persone che dicevano di volersi bene. Ma, presto, tutte le sue certezze si erano frantumate come un'onda troppo alta su una delle tante scogliere che solcavano quelle coste. Quel viaggio lo aveva organizzato per fare delle ricerche e aveva pensato che sarebbe stata una bella occasione per portare la moglie con sé. Ma mai decisione si era rivelata più sbagliata: la donna non aveva fatto altro che lamentarsi per il poco tempo che le dedicava, per la pioggia che non la smetteva mai di scendere, per il fatto che erano rinchiusi in un villaggio che, secondo lei, era ai confini del mondo. Bé, almeno quell'esperienza gli aveva insegnato una cosa: mai portarsi la moglie appresso in un viaggio di lavoro. In effetti, quell'errore non lo aveva più ripetuto; da quella volta sua moglie l'aveva sempre lasciata a casa, anche quando era stata lei ad insistere per seguirlo. Prima aveva usato la scusa che i bambini sarebbero stati meglio nel loro ambiente, poi aveva adottato mille altri pretesti anche se, a ripensarci bene, non gliene tornava in mente neanche uno. E, ad un certo punto, non aveva avuto più bisogno di trovare scuse ed era stato più facile farla stare a casa senza protestare, ma forse solo perché lei aveva perso interesse a chiederglielo.

    Più passavano gli anni e più lui stava lontano da casa immerso in archivi e biblioteche. Guardava con amore la moglie in pubblico, lei non mancava mai alle uscite mondane, ma in casa erano come coinquilini. A poco a poco lui aveva finito con il cercare fuori quello che la donna non gli dava più, anche se lei non era l'unica che si era allontanata. Era stato così facile avere belle donne che ormai, dopo tanto tempo, non si chiedeva più se fosse il caso di finirla con quella farsa che chiamava matrimonio. Però c'erano sempre i due figli e poteva raccontarsi che lo faceva per loro. Ma, quando trovava un briciolo di onestà, si rendeva conto che a lui piaceva avere quelle relazioni, relazioni che non lo legavano e che gli permettevano di tornarsene in una casa perfetta dove nessuno si azzardava a dirgli cosa fare.

    – Cercati un appartamento e vattene – gli aveva detto, un pomeriggio come tanti, la moglie, quando era rientrato con ancora il profumo dell'avventura addosso. – Io ho il diritto di rifarmi una vita, una vita vera, e finché continuerà questa farsa sarà impossibile. Se pensi di aver mai provato qualcosa per me, questo è il momento giusto per dimostrarmelo. Prendi le tue cose, vattene e lasciami libera di vivere.

    Un morso allo stomaco aveva risvegliato Manuel dal torpore della giornata troppo afosa. Lui era consapevole di non amare più quella donna, ma il semplice fatto che fosse stata lei a parlare di separazione lo stizziva e gli faceva venire voglia di combattere per qualcosa che, in realtà, non voleva più. Come un bambino che desidera qualcosa solo perché questa gli viene negata, aveva faticato parecchio a capacitarsi del fatto che la sua vita non fosse così perfetta come si ostinava a credere. Quando, finalmente, c'era riuscito, aveva ammesso che lei aveva ragione e aveva preso le sue cose e se ne era andato. Ma non era stata una cosa semplice, né veloce, né indolore. Era divorziato da sei mesi e faticava ancora a vedersi come tale. In un breve momento, girando la testa verso la ragazza, bionda e minuta, che gli stava seduta a fianco, e sapendo bene come riusciva a metterla a disagio, si disse che sarebbe stato troppo facile portarsela a letto. Anche se aveva la freschezza di una ragazzina, Lisa aveva già trent'anni ed era una donna, una donna che non aveva bisogno di essere protetta da uno come lui e che poteva prendere le sue decisioni liberamente, quindi non avrebbe avuto alcun rimorso. Ma quella ragazza gli piaceva veramente, in modo diverso da come può piacere una donna, perché in lei aveva visto un alleato prezioso. Nel provarci con lei, sarebbe stato molto di più quello che avrebbe perso che quello che ne avrebbe ricavato. La prima volta che le aveva parlato aveva intravisto una dolcezza e un'arrendevolezza che si sarebbero sposati bene con il suo carattere burbero e autoritario, ma aveva percepito anche il fuoco della passione per quel lavoro che condividevano e amavano. E la sensazione che avrebbero lavorato molto bene insieme si era subito impossessata di lui. Mai avrebbe sprecato tutto ciò per una notte con una bella donna.

    Tra sogni, speranze ed angosce erano arrivati a Dublino ed era ora di scendere dall'areo e di mettere da parte quei pensieri. L'aria fresca che li colpì, appena usciti dall'aeroporto, li fece rendere pienamente conto di dove si trovavano e Lisa si sentì elettrizzata, piena di energia e voglia di fare, imparare e scoprire. La ragazza seguiva De Santis come un automa e, poco dopo, si trovò alla fermata dell'autobus ad aspettare la corriera che li avrebbe portati a Belfast. Lei non era dispiaciuta per il fatto che i tanti cambiamenti di programma del professore li avesse costretti a prendere quel volo e, di conseguenza, a fare quel tragitto in autobus; per lei era tutta un'avventura e se la stava gustando con l'entusiasmo di un bambino.

    Lisa si abbandonò sul sedile dell'autobus e lasciò lo sguardo vagare fuori dal finestrino. In realtà, restò un po' delusa dal paesaggio che le scorreva di fianco. Stavano percorrendo una specie di superstrada, racchiusa tra due file di alti alberi, e il panorama non era molto interessante. Anche se cercava di far volare il suo sguardo verso mete lontane, le uniche cose che riusciva a scorgere erano campi a non finire, prati di un verde brillante punteggiato da una miriade di puntini bianchi che si chiamavano pecore. Ogni tanto facevano la loro comparsa, quasi avessero voluto conferire un po' di colore al paesaggio, qualche mucca e qualche cavallo. Lisa non si accorse nemmeno di aver varcato il confine con l'Irlanda del Nord, si accorse solo del paesaggio che si faceva sempre più intrigante. All'orizzonte, alte montagne svettavano fiere e superbe con l'unica particolarità che gli alberi, abeti come lei conosceva molto bene, se ne stavano placidamente alla base di questi colossi e non alla sommità, che restava senza chioma ma ricoperta solo da una folta coltre d'erba dall'aspetto rigoglioso. Villaggi, dalle case minuscole, cominciarono a diventare una costante mentre le alte vette li accompagnarono fino a Belfast. Contrariamente a De Santis, a Lisa la città piacque immediatamente in quanto seppe cogliere, al volo, tutti quegli scorci pieni di fascino che si celavano, timidi, dietro ad alti e insulsi condomini.

    Senza parlare i due ricercatori scesero dalla corriera e cercarono l'auto a noleggio che li avrebbe condotti a nord. Erano quasi le quattro del pomeriggio e la ragazza cominciava a sentire la stanchezza dell'alzataccia. Ma come faceva il professore a sembrare così fresco e riposato, si chiese lanciandogli un'occhiata di sbieco mentre lui parlava con l'uomo del noleggio e, allo stesso tempo, fantasticando su come sarebbe finita quell'avventura.

    Era tutto così strano in quel posto, pensò la ragazza con un sorriso: il modo di parlare della gente, il modo di vestire delle donne, il viaggiare dalla parte sbagliata della strada, come lei si ostinava a ripetersi. Perché non le piaceva, proprio per niente, vedere le auto procedere nella direzione opposta a quella a cui era abituata, facendole credere di avere un incidente da un momento all'altro. La strada che stavano percorrendo era uno spettacolo. Nel primo tratto era un continuo susseguirsi di case con giardinetti così piccoli che sarebbe stato difficile farci entrare anche solo una sdraio, anche se quasi tutti erano carichi di fiori, ceramiche e quant'altro fosse stato necessario per abbellirli. Ma, superato Antrim, con le sue casette e la sua chiesetta da fiaba, tutto diventò più monotono e noioso. I campi tornarono a farla da padroni mentre la destinazione sembrava sempre più lontana.

    – Sveglia, siamo arrivati – le disse Manuel scuotendola per un braccio.

    La ragazza aprì gli occhi e guardò l'ora: erano già le cinque e mezza e aveva sonnecchiato per un bel pezzo. Puntando lo sguardo in alto, vide che il tempo era buono, anche se i fili d'erba erano piegati dal forte vento che soffiava. Poi guardò la stradina su cui Manuel stava girando e tutti i suoi sogni sembrarono realizzarsi in un istante. Si stavano avvicinando, lentamente, ad un piccolo parcheggio che dava direttamente sul mare e, davanti a loro, si stagliava un magnifico maniero arroccato su uno sperone roccioso che sembrava dominare i ruggenti flutti che si inchinavano ai suoi piedi. Lasciarono l'auto in un angolo del parcheggio, assieme ad una decina di altre vetture, e Lisa seguì Manuel rischiando di inciampare diverse volte; la ragazza non riusciva a tenere la testa ferma da quante erano le meraviglie che catturavano la sua attenzione. E, come per magia, quando giunsero davanti all'ingresso, una donna ne uscì porgendo loro la mano e sorridendo.

    – Salve, io sono Eileen, la governante. Il Conte mi ha incaricato di darvi il benvenuto e di condurvi da lui appena arrivati. Seguitemi – li invitò facendogli strada all'interno di quel mondo incantato. Eileen era sulla sessantina, alta e bionda, parlava con tono gentile e sul volto portava dipinto un sorriso triste che cercava di mascherare dietro un'espressione tirata.

    Superato il pesante portone di legno, che teoricamente doveva proteggere la proprietà dalla strada e che veniva lasciato aperto durante il giorno e sbarrato solo di notte, si trovarono nel mezzo di una grande corte circondata da diversi edifici.

    – L'edificio a sinistra è un nostro piccolo vanto, la birreria. Produciamo piccole quantità di birra, ma la qualità è ottima. Per la maggior parte la vendiamo al pub del villaggio, ma molta la consumiamo direttamente qui. Spero vi piaccia perché qui se ne consuma molta a cena – spiegò la donna cercando di mantenere un tono gaio. – Da quella parte ci sono le scuderie. Al momento ci teniamo solo due cavalli ma se volete farci una passeggiata basta che me lo facciate sapere e io organizzerò tutto. Là in fondo, invece, ci sono gli alloggi per coloro che lavorano e vivono qui.

    Più andavano avanti e più Lisa appariva completamente presa da quel luogo ringraziando, mentalmente, il cielo che le aveva regalato quell'enorme possibilità. Arrivati in fondo al cortile, si trovarono a dover attraversare un ponte di legno che poggiava su archi in pietra ed Eileen si premurò di informarli, come una diligente guida turistica che, tanti anni prima, quello era stato un ponte levatoio. Dopo essere passati in mezzo a due muretti, che non lasciavano trapelare nulla di tutto ciò che vi fosse nascosto dietro, proseguirono verso un cortile interno trovandosi proprio di fronte alla casa padronale. Gli ospiti vennero fatti accomodare in una grande sala del pianterreno e, dal bow-window che occupava un'intera parete, si aveva una vista meravigliosa del giardino. Salendo al primo piano, quella stessa immensa finestra, che era stata giudicata troppo importante per farla terminare troppo in basso, permetteva di ammirare tutta la costa che si apriva di fianco al castello.

    – Benvenuti, io sono Kevin Beresford e, immagino, lei sia il professor De Santis – esordì un uomo sulla quarantina avvicinandosi, con la mano tesa, a Manuel.

    – Esatto, grazie per la disponibilità – rispose, Manuel, ricambiando la stretta di mano prima di fare le presentazioni: – Questa è la mia assistente, la dottoressa Elisabetta Ricci.

    – Spero che questo posto faccia al caso vostro e che possiate scovare quello che cercate. Eileen vi mostrerà le vostre camere e dopo vi farò vedere la biblioteca. Sono sicuro che la troverete molto interessante. Non siete i primi studiosi che vengono a consultare il materiale che è stato raccolto qui in tanti secoli.

    Eileen guidò Manuel e Lisa attraverso un lungo corridoio, li fece uscire sul retro e si fermò davanti alla torre di nord-est dove erano state ricavate delle piccole camere per gli ospiti. Dopo aver lasciato i bagagli, Kevin mostrò loro la biblioteca che era stata spostata, cinquant'anni prima, su due livelli ad occupare completamente l'altra torre, quella di sud-est. Tornata in camera, Lisa si rammaricò solo che, nelle antiche torri, le finestre fossero troppo piccole, così piccole da permetterle di vedere poco di quello che c'era fuori. Con la foga dettata dalla curiosità, si trovò ben presto all'esterno. Arrivando, aveva notato una scala in pietra che saliva verso l'alto e vi si arrampicò con la frenesia di una bambina che va alla scoperta di un mondo nuovo. La scala conduceva sul tetto della torre e il panorama era a 360°.

    – È uno spettacolo magnifico quello che si gode da qui. Cosa ne pensi? – Manuel era lì che si fumava una sigaretta, godendosi l'aria fresca della sera. – Ne vuoi una? – chiese, porgendole il pacchetto pieno a metà.

    – No, grazie, non fumo. Almeno questo vizio sono riuscita a evitarmelo – rispose, sorridendo, la ragazza senza distogliere lo sguardo dal panorama che le si svelava davanti.

    Di fronte a loro si stendeva un mare solcato da scogli, un mare che prometteva tempesta quando la forza del vento si indispettiva e decideva di trascinarlo con sé. A sinistra, alte scogliere delineavano una costa frastagliata e un'apertura ad arco spaccava in due la roccia formando un antro naturale nella montagna dove l'acqua si insinuava vibrando. A destra, la costa era più bassa e tranquilla, un'ampia insenatura riparava una spiaggia lunga e di fine sabbia bianca. Uno scenario perfetto per una romantica passeggiata al chiaro di luna, pensò, sorridendo, la ragazza. Più in là si innalzavano imponenti, sontuose e prepotenti formazioni rocciose che sembravano le guglie di un'antica cattedrale mentre, alcuni picchi isolati, sovrastavano tutta la zona come guardiani ancestrali. Dietro di loro, sulla destra, stava disteso un quieto e placido villaggio. La strada principale tagliava, quel piccolo gioiello, proprio a metà mentre piccole case dai colori vivaci si affacciavano sulle rive di un fiume altrettanto placido. Poco oltre la vecchia chiesa e il cimitero se ne stavano nel loro eterno abbraccio, soli e silenziosi, in posizione appartata al limite del centro abitato avendo, dietro di sé, solo un'infinita distesa di campi verdi punteggiati dalle immancabili pecore.

    Capitolo 2

    La mattina seguente si aprì con il fervore dei preparativi per il funerale, previsto per quel pomeriggio, del vecchio Conte Patrick. Manuel e Lisa decisero di parteciparvi come segno di rispetto e gratitudine per l'ospitalità offerta dalla famiglia. In casa erano tutti un po' disorientati e i due ricercatori cercarono di tenersi in disparte e di non dar fastidio a nessuno, anche se l'andirivieni costante e concitato faceva sì che nessuno si accorgesse della loro presenza. Verso mezzogiorno videro l'auto di Kevin tornare dal villaggio e l'uomo scendere con un forte disappunto dipinto in faccia. Con lui c'erano tre donne che entrarono subito in casa venendo risucchiate, immediatamente, da una delle tante stanze del castello.

    Vagando per l'ampia dimora non era difficile ascoltare, spesso involontariamente, commenti sul vecchio Conte. Volendo dar retta alle parole dei domestici, nonostante ci fosse stata qualche incomprensione sempre risolta, il Conte veniva ricordato con molto affetto da tutti e il dolore per la sua morte era sincero nelle voci commosse di tutte quelle persone. Patrick Beresford aveva avuto solo un figlio, Kevin, che aveva sempre adorato, soprattutto dopo la morte, in giovane età, della moglie. Non si era mai risposato e sembrava che la vita appartata e serena, che quel piccolo angolo di mondo gli offriva, bastasse per renderlo soddisfatto della sua esistenza. Quel castello era sempre stato una sorta di mondo chiuso in se stesso:

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