Oniria
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About this ebook
La storia narrata in prima persona si trasformerà in un giallo psicologico.
Inizia con la conquista da parte di Andrea (il protagonista) di una ragazza di nome Elena, la storia tra i due si arricchisce di argomenti foschi, al limite della comprensione naturale. Sintomi di una patologia pseudo mentale colpiscono il protagonista, che dopo svariate visite mediche, e incomprensioni, si fa via via sempre meno cosciente, Elena risulta introvabile, come se fosse stata inghiottita dal nulla, sconosciuta a tutti.
Un giorno, quando realtà e fantasia si fondono indissolubilmente..................
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Book preview
Oniria - Maurizio Micheletti
RINGRAZIAMENTI
Capitolo I
L’incontro
Le vicende che mi accingo a narrare, prima del gesto estremo che sto per compiere, mi riempiono di angoscia e di dolore, ma anche di stupore.
Non fatevi ingannare da ciò che appare, un gesto estremo, può essere tutto ciò che ti cambia la vita, o mette essa in una nuova prospettiva, chi mi accompagnerà in questo viaggio avrà chiaro ciò che intendo.
Ho voluto raccontare in prima persona ciò che accadde, onde evitare che chiunque altro travisasse la mia scelta, o la indicasse in modo non attinente a ciò che in realtà fu.
Questo viaggio ai più potrà apparire avventuroso, misterioso, a tratti surreale, ma credetemi, avvenimenti di questa natura, e misteri in genere, per quanto affascinanti, se vissuti in prima linea, possono divenire veri e propri incubi.
La natura spesso si presenta a noi come cosa meravigliosa e unica, ma scoprirete che cosa ancora più sublime e unica, è la mente umana.
Il pensiero, quell’entità aliena insita in noi che ci permette di vedere e percepire il creato, come lo vediamo, ma che portato all’estremo, può distorcere la realtà, o cambiarla in modo radicale, sempre che tale distorsione non sia proprio la realtà stessa.
Mi trovo qui nel mio laboratorio, di fronte a me due strade distinte e ben tracciate, la scelta è già fatta, per questo motivo vi racconto come andarono i fatti, in modo che possiate giudicare con cognizione di causa; Imboccata la via anche se in piena salute, forse molto più felice, la mia condizione fisica e mentale non mi permetterà di comunicare altro.
La mia storia comincia come tante in una città come tante.
Si tratta di Pesaro per l’esattezza, una cittadina tranquilla affacciata sul mare Adriatico, cosi pacata e silenziosa, che la maggior parte delle persone non conoscono neppure la sua esistenza, per indicarne l’ubicazione esatta a chi la richiede, si ricorre spesso ad una frase creata per l’occasione: "vicino a Cattolica," ottenendo dall’interlocutore un caloroso:
Ah Cattolica città solare e del divertimento,
il tutto è molto frustrante, ma il pesarese ci tiene molto all’anonimato e quindi cerca sempre di essere veramente sgarbato con i turisti facendoli sentire tremendamente fuori luogo.
Alcune volte si sente taluno chiedersi ad alta voce: Come mai non stanno a casa loro invece di venire a rompere i c……… qui da noi?
Il risultato ottenuto crea assenza di turismo, poco divertimento pochissima vita e guarda caso, nessuno si ricorda della nostra città.
Un giorno camminavo per strada, diretto al lavoro come sempre; Occupazione che doveva risolvere il lato economico dei mie studi, salutai Elena una dolce e bellissima ragazza dai capelli lunghi e neri, che contornano un viso leggero e gioioso, tra noi, un rapporto di totale reciproca indifferenza.
Era commessa in un negozio a fianco al ristorante, dove io ero direttore, qualifica che mi diversificava in modo estremo dagli altri camerieri, in quanto potevo sfoggiare una bellissima cravatta a fiori che i miei colleghi subalterni potevano solo indossare nei loro sogni più fantastici, per il resto l’occupazione era la medesima.
Elena ed io ci conoscevamo da tanto tempo, eravamo ottimi amici,
nel periodo estivo, avvicinati dalle rispettive occupazioni, poi non ci si vedeva fino all’estate successiva, come suppellettili adagiati su mobili attigui, facenti parti di una struttura, che non ci apparteneva.
Quel giorno qualcosa di diverso era nell’aria, mi salutò come sempre in modo molto garbato e gentile, senza però quel solito sorriso di circostanza che sembrava dire: Io non ho la carie,
come la promoter di un dentifricio in uno spot televisivo.
Non vedere quella fila di perle, che come un tesoro teneva ben custodite in bocca, mi mise in stato di allerta, come se il rapporto, che da sempre ci accompagnava di reciproca indifferenza, si fosse incrinato, era certamente una mia sensazione e nulla di più, ma abbastanza forte da spingermi a fare qualcosa per approfondire quella percezione.
Come tante altre volte, anche quella sera nella pausa, venne a cenare nel ristorante, non certo per incontrarmi o per la volontà di vedermi, ma solo perché eravamo il punto di ristorazione più vicino al suo esercizio, che nel periodo estivo prevedeva l’apertura anche nelle ore serali.
La osservavo da lontano, era seduta al suo tavolo, stanca del suo lavoro, con una mano che scompariva affondata tra i folti capelli, l’altra, abbronzata, affusolata con unghie che spiccavano colorate di un bianco candido, frugava un libricino poggiato sul tavolo le cui pagine si susseguivano l’una all’altra in modo meccanico e involontario, una ciocca di capelli le sfiorava il seno, coperto da una maglietta precaria
a frange, azzurra con le spalle completamente scoperte, era un indumento di quelli, che come le foglie autunnali, sembrano cadere da un momento all’altro, ma nonostante un’osservazione puntuale, ciò non accade mai.
Per la prima volta vedo Elena in modo diverso da com’ero solito vederla, sembrava una Dea, di una bellezza inaudita, la incontravo tutti i giorni, ma era come se la vedessi per la prima volta, una luce particolarmente intensa e candida sembrava avvolgerla, in un bagliore incandescente e accecante, come un’entità di un mondo lontano, di cui non conoscevo l’esistenza, mi sentii attraversato da una scarica elettrica di migliaia di volt, l’adrenalina salì alle stelle, e un’ansia piacevole pervase il mio corpo.
Dovevo trovare un sistema per rompere quella tensione, senza rovinare l’incanto di quel momento unico, pensai di sfruttare la mia posizione di direttore, per aprire un varco, per farmi notare.
Con qualche pressione in cucina, le feci avere un primo piatto quasi raddoppiato nella quantità, lo portai al tavolo personalmente, Elena lo guardò e sorridendo disse: Per una ragazza a dieta, un piatto di queste proporzioni equivale a una fucilata a tradimento.
Non contenta aggiunse: Com’è possibile mangiare una quantità cosi esagerata di pasta Quanto spreco?
Fu come un macigno piombatomi addosso, schiacciava le mie membra a più riprese, onde aumentarne la sofferenza, la piacevole ansia si tramutò in panico, e quel momento idilliaco divenne un inferno, risposi dicendo: Hai ragione, sono porzioni da caserma, andrò subito a farmi sentire in cucina.
e sorridendo mi allontanai andando a leccarmi le ferite in un angolino nascosto, tutto pareva svanito, avevo sprecato un’occasione unica e singolare, avevo rovinato tutto.
Attesi che finisse il suo piatto nella speranza che ne avesse consumato buona parte, speravo di vedere la ceramica di cui è costituito sul fondo per recuperare la situazione, ma mi accorsi con estremo rammarico, avvicinandomi al tavolo per sbrogliare le posate sporche, che la portata era poco meno che intatta, quasi ne avesse fatto solo un piccolo assaggio per infierire ulteriormente.
Pur essendo informato, di una sua relazione sentimentale con un energumeno locale, le chiesi molto candidamente: Allora quando usciamo tu ed io?
Lei mi guardò lasciando trasparire sgomento misto a incredulità, mi regalò uno dei suoi grandi sorrisi, e mi rispose dicendo: Devo chiedere al mio ragazzo quando è meglio per lui.
Capii che non c’era nessuna possibilità reale di poter raggiungere la mia meta, ma non mi feci prendere dallo sconforto, sapevo che molto probabilmente sarebbe finita male, non avevo nulla da perdere.
Finì la sua cena, prima che se ne andasse, mi venne un’idea, le portai un cornetto gelato mignon, le allusioni del caso erano tutte chiaramente volute, lo appoggiai sul suo tavolo dentro un piattino bianco candido e le sussurrai: Questo è un cornetto, se pensi che ti possa servire da spunto, se la trasgressione ti solletica, sai dove trovarmi.
La frase di per se banale lasciò la mia splendida interlocutrice sbigottita, la vidi molto turbata, ma non proferì parola, si alzò, mi saluto come sempre, e con fare lento e meditativo si allontanò.
Da qualche giorno i miei pensieri abbandonarono quella vicenda, senza darle importanza, il mio rapporto con Elena continuava a essere lo stesso di prima, la solita totale ma garbata indifferenza.
Una sera venne a cenare come d’abitudine, in compagnia di un’amica, Il ristorante era affollato, non potevo prestarle quell’attenzione che meritava, passando tra i tavoli, la scorgevo con la coda dell’occhio; Mi sentivo osservato, scrutato, ogni sguardo che incrociavo con lei, era subito seguito, da risate, e buffe smorfie che le due amiche, in piena sintonia, si scambiavano tra loro.
Non sapevo se sentirmi lusingato, o mortificato da quelle attenzioni fugaci, la frenesia del lavoro non mi dette tregua, al punto di dimenticarmi quasi della loro presenza.
Tra una corsa e l’altra a slalom tra i tavoli affollati di quella serata estiva, le vidi lasciare la loro posizione, s’incamminarono verso la cassa.
Senza dare troppo nell’occhio, fingendo di non averlo fatto apposta, mi avvicinai per salutarla, mi guardò per alcuni attimi fisso negli occhi, e poi nel congedarsi mi chiese con fare intrigante, se fosse ancora valido l’invito dei giorni precedenti.
E’ chiaro che immediatamente le risposi di sì, quasi incredulo della domanda che mi era appena stata posta, tanto che non abbozzai espressioni di nessun tipo, rimasi in uno stato di semi infermità mentale per circa dieci minuti, prima di riavermi definitivamente e prendere pieno possesso delle mie facoltà che l’accaduto mi aveva fatto perdere.
Non appena quella domanda mi fu inferta, lei spari senza attendere una risposta, ed io subito pensai che forse si riferisse al cornetto gelato, e non al significato più profondo e spirituale al quale anelavo.
La giornata scorse tranquilla per lei,
per me la cosa era del tutto diversa, non facevo che pensare alle sue parole le analizzavo a una a una le scandivo, le rovesciavo in ogni modo per trovare dove fosse la fregatura, ma erano troppo poche perché diano delle certezze, e troppo poche per darmi una profonda delusione, decisi cosi di perseguire il mio intento e di stare al gioco.
La sera stessa alla chiusura del ristorante salii le scale che portano all’uscita, dove l’avrei incontrata fra borsette, cinture di pelle e stranieri tedeschi candidi come il latte, che presentavano sulla schiena e nel viso scottature e ustioni di primo grado, come braciole alla piastra, denunciando cosi la gioiosa giornata vissuta in spiaggia, sguardo fiero e contento di quell’ambito trofeo, ignari delle pene dantesche che lo stesso avrebbe loro procurato la notte seguente, con l’inevitabile corsa alla farmacia più vicina.
Elena non c’era, guardai qua e la cercando di non dare nell’occhio e incontrai lo sguardo arguto della proprietaria del negozio, senza che accennassi una parola, mi disse con aria sghignazzante e sorriso comprensivo, che Elena era uscita poco prima e aggiunse: Vedrai che domani sera ci sarà
.
Sapeva tutto, conclusi tra me e me, e se le aveva raccontato tutto, sicuramente qualcosa sotto c’era.
Passarono ben tre giorni prima che la rivedessi per colpa di uno di quei virus solitari, che non avendo trovato vittime durante l’inverno gironzolano d’estate, provocando malanni tipicamente inaspettati per quella stagione, già che la cosa non fosse complicata di suo, ma il virus fu estremamente più persuasivo di me, visto che la tenne a letto con se per due giorni consecutivi cosa che io potevo sperare solo nei miei sogni più reconditi.
Il fatidico terzo giorno arrivò, ed io, puntuale come un orologio mi presentai da lei, facendole credere di non essere li per vederla, ma solo per puntualità al lavoro; ero in anticipo di circa un’ora, la trovai piuttosto provata col naso arrossato gli occhi pestati, e non dico altro per non infierire, le donne adorano farsi vedere da noi uomini quando sanno di non essere al massimo della forma fisica tanto che quando mi vide mi disse subito: scusa ma sono ancora un po’ disorientata e debole a causa degli antibiotici, è meglio se ci vediamo la prossima settimana, ti dispiace?
Non mi dispiace assolutamente,
risposi io, sono cosi indaffarato che non so neppure se questa settimana sarei potuto uscire, sei comunque molto carina,
la mia falsità raggiunse in quei momenti dei livelli mai sperimentati prima, eravamo solo a lunedì, avevo programmato l’intera settimana in funzione di lei, pensando di prendere un periodo di ferie, per quanto riguarda il carina, normalmente lo era davvero ma in quel momento, più che un banale virus sembrava aver contratto chissà quale devastante malattia esotica.
La settimana passò in fretta, ma ormai ero rassegnato all’idea, che tutto quel tergiversare fosse solo un modo gentile, per allontanare quel momento, in cui forse c’eravamo sentiti più vicini del dovuto, e come tutte le cose col passar del tempo tendono a svanire, lasciando solo un leggero sapore dolce amaro in bocca, quindi senza molte pretese, e con molta cautela, la mia storia proseguì, ci furono ancora grandi saluti, perfide occhiate ma nulla