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Luka Jansen
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Ebook264 pages4 hours

Luka Jansen

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About this ebook

All’interno di una maestosa villa, con i vani interni illuminati ad intervalli irregolari dai lampi che squarciavano il cielo notturno, una ragazza stava perlustrando l’interno dell’edificio. Tenendo la sua pistola saldamente impugnata nella mano destra, avanzò attraverso un lungo e tetro corridoio, accompagnata sempre dai tuoni provenienti dal cielo. Mentre stava camminando, sentì uno strano rumore provenire dalle sue spalle. Rapidamente si voltò in quella direzione, senza però riuscire a vedere niente. Accendendo la torcia elettrica, intravide in fondo al percorso delle strane ombre che si spostavano con la sequenza della luce emanata dai fulmini. Con un forte tremore alla mano che teneva l’arma, iniziò ad indietreggiare lentamente verso l’uscita, in quel momento, scivolò sul pavimento. Ripresa in mano la torcia, constatò che si era spenta e danneggiata nell’urto. Mentre cercava di riaccenderla, con l’altra mano sentì che c’era qualcosa di strano. Improvvisamente, un fulmine illuminò nuovamente l’interno della villa ed a quel punto, si rese conto di essere caduta su una grossa macchia di sangue. Impressionata da quella scena e completamente sporca di sangue, si rialzò iniziando a correre verso l’uscita.

Arrivata al portone principale dell’edificio, l’aprì con tutta la sua forza. Prima di uscire, si voltò verso l’interno della magione con un’aria incerta, indecisa se stesse facendo la cosa giusta. A farle prendere una decisione, fu la presenza che aveva avvertito prima. Aprendo con forza la pesante porta di legno uscì dall’edificio e la richiuse per bloccare l’uscita. Immediatamente iniziò a correre verso il bosco che circondava la villa. Tra l’oscurità della notte e la visibilità ridotta dalla nebbia si appoggiò al tronco di un albero, cercando di riprendere fiato. Proprio in quel momento, avvertì un’altra presenza e cercando di controllare la propria paura, udì un ululato provenire dalla foschia...

LanguageItaliano
Release dateDec 9, 2014
ISBN9786050341782
Luka Jansen

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    Book preview

    Luka Jansen - Angelo Balestri

    Sequel

    Anteprima

    Anteprima: Luka Jansen

    All’interno di una maestosa villa, con i vani interni illuminati ad intervalli irregolari dai lampi che squarciavano il cielo notturno, una ragazza stava perlustrando i numerosi vani dell’edificio. Tenendo la sua pistola saldamente impugnata nella mano destra, avanzò attraverso un lungo e tetro corridoio, accompagnata sempre dai tuoni provenienti dal cielo. Mentre stava camminando, sentì uno strano rumore provenire dalle sue spalle. Rapidamente si voltò in quella direzione, senza però riuscire a vedere niente. Accendendo la torcia elettrica, intravide in fondo al percorso delle strane ombre che si spostavano con la sequenza della luce emanata dai fulmini. Con un forte tremore alla mano che teneva l’arma, iniziò ad indietreggiare lentamente verso l’uscita, in quel momento, scivolò sul pavimento. Ripresa in mano la torcia, costatò che si era spenta e danneggiata nell’urto. Mentre cercava di riaccenderla, con l’altra mano sentì che c’era qualcosa di strano. Improvvisamente, un fulmine illuminò nuovamente l’interno della villa ed a quel punto, si rese conto di essere caduta su una grossa macchia di sangue. Impressionata da quella scena e completamente sporca di sangue, si rialzò iniziando a correre verso l’uscita.

    Arrivata al portone principale dell’edificio, l’aprì con tutta la sua forza. Prima di uscire, si voltò verso l’interno della magione con un’aria incerta, indecisa se stesse facendo la cosa giusta. A farle prendere una decisione, fu la presenza che aveva avvertito prima. Aprendo con forza la pesante porta di legno uscì dall’edificio e la richiuse per bloccare l’uscita. Immediatamente iniziò a correre verso il bosco che circondava la villa. Tra l’oscurità della notte e la visibilità ridotta dalla nebbia si appoggiò al tronco di un albero, cercando di riprendere fiato. Proprio in quel momento, avvertì un’altra presenza e cercando di controllare la propria paura, udì un ululato provenire dalla foschia...

    È una storia di pura invenzione, ogni riferimento a fatti o persone è soltanto casuale.  

    Introduzione

    INTRODUZIONE

    Nel mezzo di una bufera di neve, tra le vie di quella che una volta era la città più bella d’Europa, una ragazza stava correndo sul manto nevoso che ricopriva il terreno sottostante. Accidentalmente inciampò e cadde a terra, sbattendo il viso contro la neve. Dolorante dalla caduta, lentamente si rialzò ed iniziò a guardarsi intorno. Stanca, sola, infreddolita e con il morale a terra, si rese conto di essersi persa. In lontananza si potevano ancora sentire i rumori della battaglia che si stava concludendo proprio in quegli istanti.

    La tempesta continuò ad aumentare d’intensità e mentre stava cercando un riparo, si rese conto di aver perso il suo fucile. Disperata, provò ad aprire le porte degli edifici circostanti, ma il gelo e le raffiche di neve, oltre a confonderle la vista, avevano bloccato le entrate. Si guardò intorno, nella speranza di vedere qualcuno che potesse aiutarla, ma non riuscì a scorgere nessuno. Rendendosi conto che non aveva più nessuna possibilità di farcela, si accasciò con la schiena al muro, impugnò la sua pistola e con l’aria di chi non ha altra scelta, si apprestò a puntarsela contro la fronte. All’ultimo momento, cambiò idea. Come gesto di rifiuto nell’accettare la morte, lanciò la sua arma nella neve. Consapevole di quello che aveva fatto, corse come meglio poteva nella direzione dove aveva lanciato la sua Beretta 92, ed iniziò a scavare, ma non riuscii più a ritrovarla. A quel punto, disarmata e sfinita, riprese a camminare, senza meta. Il suo piumone dal colore chiaro, i guanti ed i pantaloni termici, sembravano inutili contro quel freddo polare. Pur di tempra robusta iniziò a crollare di nuovo. Ormai esausta, cadde a terra in posizione prona. Dopo alcuni minuti che era distesa per terra, sentì avvicinarsi qualcuno. A fatica riuscì ad alzare la faccia completamente innevata e tra la foschia della bufera vide la sagoma di una persona che stava in piedi davanti a lei. Da essa sentì una voce che le disse: Cosi ti hanno sconfitta. Quest’avventura finisce qui?! E se fosse appena iniziata? Portando in avanti il braccio destro, la ragazza gli rispose: Spero che ti sbagli, ne ho abbastanza di questa storia.

    Chi sei ragazza?

    Tenente Luka Jansen, dell’ Aeronautica Norvegese… Ed in quel momento, perse definitivamente i sensi.

    Scopri il significato della paura

    Luka Jansen

    L’inizio

    Mi trovavo sdraiata su un letto, in una camera d’albergo ancora vestita con l’uniforme militare femminile da ufficio. Accanto a me c’era un Tenente Colonello dell’US Air Force, della quale ero innamorata. Mentre lui mi stava accarezzando, io iniziai a fissare il grande ventilatore attaccato al soffitto che stava girando lentamente, creando una piacevole e leggera brezza. C’era un caldo afoso, tipico del Medio Oriente. Parlando delle nostre cose, lui si girò verso di me e, toccandomi le cosce con la sua mano infilata sotto la mia gonna, mi baciò. Dopo alcuni secondi, mi disse: Luka, hai una calza bucata, sopra il ginocchio.

    Si hai ragione. Ma se tu a letto sei un terremoto, non è colpa mia.

    Adesso dai la colpa a me! Sei tu che… lasciamo perdere, piccola vichinga. Pensiamo a rilassarci. E ritornammo, dove eravamo rimasti. Dopo quel momento piacevole, gli chiesi: Peter, come sarà quando ritorneremo a casa?

    Perché mi fai questa domanda, Luka?

    A dire il vero, non lo so. Ogni tanto, mi vengono queste domande stupide. Avvicinai la mia faccia alla sua, per baciarlo nuovamente e lui mi disse: Luka, svegliati.

    Rimasi sorpresa da quella frase, quando la risentii nuovamente con un tono più forte. Svegliati Luka è un ordine! Di colpo mi svegliai con la faccia appoggiata sulla scrivania del mio ufficio. In quel momento, vidi davanti a me il capoufficio con diversi fascicoli in mano che con voce riprovevole, mi disse: Tenente Jansen, adesso si usa dormire durante il servizio?! Alzando la testa dal piano e con una faccia assonnata, gli risposi: No Signore, non accadrà più.

    Lo spero Tenente. Intanto pensi a visionare questi dossier. Mentre li appoggiava sulla mia scrivania, gli domandai: Scusi Sergente, ma cosa riguardano questi documenti?

    Non se lo ricorda più?! Sono per i ragazzi della leva, che entreranno nell’Aeronautica il prossimo trimestre. Tenente si dia un po’ di contegno, lei è un ufficiale! Non è che m’importasse molto, ma feci lo stesso, finta di ascoltarlo finche non uscì dalla stanza. La cosa che non tolleravo era il fatto, che solo perché aveva quasi trent’anni più di me, faceva valere la sua anzianità, vanificando il mio grado più alto. Pazienza, mi toccava sopportarlo. Guardai l’ora sul telefono e vidi che erano le 15,30. Bene, almeno tra mezz’ora, finisco di lavorare.

    Dopo aver letto una parte di quei file, vidi che ormai avevo finito il mio turno. Poco m’importava del lavoro rimasto ancora da terminare. Presi la mia giacca dall’attaccapanni, la ventiquattrore, la mia fedele bustina, (un tipo di berretto militare) e la mia pistola d’ordinanza.

    Già, me lo dimentico sempre, che non sono più in servizio operativo. Dopo aver messo la scrivania in ordine, uscii dal mio ufficio.

    Preferendo le scale al posto dell’ascensore, scesi fino al piano terra, dove ad aspettarmi c’era un altro giovane Tenente. Appena mi vide scendere dallo scalone del Ministero della Difesa, mi venne subito incontro. Un po’ snervata, gli chiesi: Ciao Karl, cosa vuoi?

    Ciao Luka, ti va di andare a bere qualcosa, lungo il fiordo? Con un’aria seccata, gli risposi: Karl, piantala! Lo vuoi capire che non m’interessi!

    Una volta liquidato il mio collega, uscì dal Ministero. Appena fuori dall’edificio, vidi la città di Oslo, ricoperta dalla neve. Era così che si presentava la capitale norvegese, il 13 Gennaio del 2015. Iniziai a camminare verso la fermata degli autobus, per andare verso casa mia; mentre stavo proseguendo sulla neve appena caduta, i fiocchi continuavano a cadermi dolcemente sui capelli. Decisi di non ritornare subito a casa. Poiché non portavo mai l’orologio al polso, presi il mio cellulare e vidi che tra una cosa l’altra, avevo fatto quasi le cinque. Un po’ stanca dalla giornata e non avendo voglia di ritornare subito a casa, scelsi di fare sosta in un bar situato nel centro, dove negli ultimi tempi avevo preso l’abitudine a fermarmi dopo il lavoro. Dato che si trovava a metà strada tra casa mia e il Ministero della Difesa, incominciai a camminare fino a lì, passando per le vie principali della città. Entrata nel locale, tutta infreddolita mi sedetti al bancone e ordinai subito qualcosa da bere. Ero già al mio terzo bicchiere di Mojito quando il barista, che ormai mi conosceva bene, mi disse: Luka, non ti sembra che per oggi possa bastare?

    Non è un problema tuo Joseph! Pensa a riempirmi il bicchiere!

    Ok Luka. Permettimi di dirti che a ventisei anni dovresti essere un po’ più responsabile, visto la tua professione e i gradi che indossi.

    Hai fatto centro! Sono ormai quasi tre mesi che non piloto più un elicottero. Mi hanno relegata dietro una scrivania, dentro al Ministero. Finii il terzo bicchiere e cominciai a sentire un gran caldo. Tolsi la giacca dell’uniforme, la appoggiai su uno sgabello accanto al mio e mi allentai il nodo della cravatta. Agitando un po’ il bicchiere, cominciai a pensare: se il 2014 era finito male, il 2015 era iniziato ancora peggio. Avendo anche un po’ di fame, ordinai un paio di panini imbottiti di salmone e maionese. Divorato il primo panino, aspettai qualche minuto per mangiare il secondo e ripresi a pensare a Peter. A un certo punto, mentre ero ancora immersa nei miei pensieri, un tipo con i muscoli gonfiati si avvicinò a me. Non so se lo fece di proposito o se era semplicemente una persona imbranata, ma in un attimo mi rovesciò parte della sua birra sulla manica della mia camicia. Scusa, scusa, mi dispiace! Sì certo come no, ed io ci dovrei pure credere. Rimasi immobile mentre lui stava cercando di pulirmi la manica con dei tovaglioli e si presentò. Piacere sono Hendrik. La mia risposta fu molto secca: Sparisci!

    Potresti essere anche un po’ più carina. A casa tua, non ti hanno insegnato le buone maniere?

    Ho detto sparisci! L’uniforme me la pulisco da sola! Per fortuna se ne andò via subito, ma dopo una ventina di minuti tornò in compagnia di altri due tipacci che sembrarono suoi cloni. Joseph mi disse: Guarda Luka, è tornato e non è da solo. Con una faccia seccata da quell’imprevisto, gli chiesi: In quanti sono?

    In tre e tutti piuttosto ben messi.

    Grazie Joseph. Ecco i soldi. Per me, la serata finisce qui! I tre si avvicinarono al banco dietro di me. All’improvviso, con una mossa rapidissima, scagliai contro di loro lo sgabello con sopra la mia giacca. Ne centrai subito due. Il terzo era rimasto un attimo turbato dalla mia reazione e sfruttai il momento per lanciargli una bottiglia di Beck’s gridandogli: Tieni! Di riflesso la prese al volo, dandomi così la possibilità di tirargli un pugno nello stomaco. Storcendosi dal dolore lasciò andare la bottiglia e la presi, appoggiandola nuovamente sul bancone. Dissi a Joseph: Non l’ho consumata, perciò non metterla sul mio conto! Ma ebbi poco tempo per godermi la mia battuta. Hendrik, che si era ripreso subito dal primo colpo, mi assestò un pugno, mandandomi a sbattere contro il bancone. La bottiglia cadde a terra e andò in frantumi. Joseph, dall’altra parte del bancone mi disse con tono sarcastico: Dicevi a proposito della birra?!

    Non è comunque a me che la devi addebitare! Poi con un tono più cinico, ribadii: Ti diverti? Se inizio a utilizzare le tecniche di combattimento che mi hanno insegnato all’accademia, li mando tutti e tre all’ospedale.

    In quel momento Hendrik provò a prendermi per la spalla destra, ma istintivamente gli presi la mano e gli piegai il polso, per poi dargli una ginocchiata in mezzo alle gambe. Gli altri due corsero in suo aiuto, ma i loro movimenti erano troppo lenti e goffi. Incassavano i miei colpi fino a sputare sangue. A quel punto decisero di abbandonare la scena, trascinando via anche il loro amico. Mentre stavano scappando, li urlai: Prendete meno creatinina, idioti!! Piena di lividi e con un’espressione compiaciuta, raccolsi la mia giacca che era finita sul pavimento. Stavo per salutare Joseph, quando incominciò a girarmi la testa e all’improvviso mi vomitai addosso. Questa volta dovevo aver esagerato con l’alcool; devo stare più attenta a quanto bevo era il mio ultimo pensiero prima di accasciarmi a terra e perdere i sensi.

    Resisti Luka! Non ci lasciare proprio ora! Pilota, quanto manca all’ospedale?

    Pochi minuti Capitano.

    Sta perdendo molto sangue, muoviamoci!! Di colpo mi svegliai e mi resi conto che si trattava solo di uno dei miei soliti incubi. Ero stesa su di una brandina all’interno dell’infermeria di un comando della Polizia di Oslo. Mentre cercai di alzarmi, avvertivo un fortissimo dolore alla testa. Come se non bastasse, mi accorsi che la mia uniforme si era sporcata di vomito. Poco dopo, arrivarono due uomini di mezza età vestiti in borghese e accompagnati da un agente di polizia. Il più anziano si rivolse a me con l’aria minacciosa: Jansen, siamo gli agenti Johansson e Smith, scendi dalla branda e ricomponiti, dobbiamo parlarti! Dopo essermi lavata la faccia in bagno, pulita un po’ alla meglio l’uniforme e rimesse le scarpe, mi portarono nella stanza degli interrogatori. Messa a sedere su una sedia, cominciarono a farmi delle domande. Non essendomi ancora del tutto ripresa dalla serata, iniziai ad innervosirmi.

    Allora non sei stata tu a iniziare?

    No!

    Allora chi è stato?

    Fanculo! Con un’aria minacciosa, mi alzai in piedi e lui, venendomi faccia a faccia, mi disse: Non dimentichiamo la natura della nostra conversazione. Non è un processo. Sei colpevole! So già come va a finire, la tua fottuta storia!! In quel momento la porta della stanza si aprì ed una voce familiare dichiarò: Sono l’avvocato della signorina Jansen. Questo interrogatorio finisce qui. Quando vidi che si trattava di mio padre, iniziai a provare un gran senso di vergogna. Appena i poliziotti finalmente se ne erano andati, lui si rivolse a me e con quel suo tono riprovevole che ho sempre detestato, affermò: Lukina, cosa hai combinato questa volta? Guarda come sei ridotta.

    Se sei venuto a farmi la predica, te ne puoi anche andare!

    Tranquilla, ancora una volta, sono qui solo per tirarti fuori dai guai.

    Allora sono molto fortunata ad avere come padre uno dei più grossi avvocati di Oslo.

    Dopo aver svolto le pratiche, uscimmo finalmente dal distretto. Ormai erano già le otto del mattino e vidi cadere grossi fiocchi di neve sulla città, già imbiancata dalle nevicate precedenti. Giunti alla macchina, aprii la portiera sul lato del passeggero della Saab 95 di mio padre ed entrai dentro la berlina svedese.

    Mentre mi stavamo allacciando la cintura, lui accese il motore e una volta attivato il riscaldamento elettrico dei sedili, si girò verso di me, comunicandomi: Luka, a mezzogiorno ti devi presentare al Ministero della…

    Al Ministero? Ma perché? Oggi doveva essere il mio giorno libero!

    Lasciami finire. Il Generale Sørrenson ti vuole vedere. Sono riuscito a tirarti fuori e ho convinto i tre che hai aggredito a non sporgere denuncia, ma non ce l’ho fatta ad evitare che la notizia arrivasse ai tuoi superiori.

    Ah! Io li ho aggrediti?! Ma non vedi come mi hanno ridotto! Non bastava che quello stupido di Hans mi lasciasse! Dovevo pure farmi umiliare da degli idioti?!

    Non pensare più a lui. Piuttosto, come va con i tuoi incubi? Mi scappò qualche lacrima, mentre lui con il suo sguardo severo, continuava a fissarmi. Non raccontare questa scena alla mamma!

    Non preoccuparti Lukina. Nel frattempo cosa vuoi fare? Vieni da noi o ti accompagno a casa tua? Prima di presentarti, bisogna che tu ti dia una bella ripulita.

    Smesso di piangere, mi venne una gran rabbia. All’improvviso tirai un violento pugno contro lo schermo del computer dell’auto. Mi spaventai di me stessa per questo gesto insulso, ma stranamente mio padre non rimase molto sorpreso. Un attimo dopo mi resi conto di quello che avevo fatto e togliendo lentamente la mano dallo schermo ormai distrutto, dissi con un tono seccato: Non ti preoccupare, te lo ripago!

    Non avevo dubbi su questo, anche se è il terzo solo su quest’auto che deve subire la tua furia.

    Che rottura! E poi lo sai che io odio le macchine svedesi, non capisco perché te e la mamma vi ostinate a comprare questi bidoni svedesi! Avrei voluto tirare un altro pugno contro i resti dello schermo, ma quando incrociai lo sguardo oscurato di mio padre, desistetti. Temendo la sua reazione, poiché era l’unica persona di cui veramente rispettavo l’autorità, ritrassi la mano. Sapendo bene come prendermi, ribatté: Se ti va, torniamo a casa. Così se vuoi, puoi distruggere la Volvo della mamma, almeno non demolisci la mia macchina.

    "Non serve; quel trattore si regge in piedi per miracolo. È quasi meglio una macchina inglese!"

    Ignorando le mie parole, lui accese il motore ed uscendo dal parcheggio, ci dirigemmo verso casa.

    L’abitazione dei miei genitori era una tipica villetta norvegese, molto spaziosa, situata sul fiordo e vicina alla città. Entrati in casa, mia madre mi venne subito incontro, abbracciandomi. Appena mi strinse con tutta la sua forza, cacciai un urlo di dolore e lei mi disse: Allora, ti sei fatta male! Spogliati, così ti visito subito.

    Non c’è bisogno che fai il medico a tua figlia!! Sto bene, ho solo qualche livido!!

    Hai ragione; che cosa ne può sapere un medico con la mia esperienza! Quasi quasi chiamo un veterinario, almeno lui sa come trattare gli animali.

    Va bene, basta che non rompi troppo!

    Era inutile opporre resistenza. Mia madre non era soltanto una brava professionista, ma anche una donna molto testarda. Come mi ero immaginata, lei non riscontrò nessuna lesione grave, a parte qualche ematoma. Alla fine mi era andata piuttosto bene.

    Terminata la visita, feci un bel bagno caldo e mi cambiai. Pur abitando da sola da oltre quattro anni, tenevo ancora alcuni vestiti nell’armadio della mia vecchia cameretta. Infilai l’uniforme sporca di vomito in un sacchetto, nella speranza che in lavanderia sarebbero riusciti a smacchiarla e mangiai di corsa un boccone, per poi andare a casa mia. Mentre stavo per uscire, fui fermata da mio padre. Con il suo tono noioso e monotono, mi disse: Questa è l’ultima volta che sarò in grado di tirarti fuori dai guai. Tu stai tirando troppo la corda. Sei andata da uno specialista, per farti aiutare come ti ha consigliato la mamma? Ricordati che così metti a rischio la tua carriera. Hai già avuto diversi richiami. Finora ti hanno estromessa solo dal settore operativo, ma il prossimo passo sarà il licenziamento.

    Quando ti deciderai ad accettarmi per quella che sono?! Mi dispiace di non essere come i miei fratelli! Adesso devo andare, sennò faccio tardi all’appuntamento al Ministero!

    Cara, io non sto parlando solo da genitore preoccupato, ma anche come avvocato. Le cose si stanno mettendo molto male. Se continui così, rischi di andare in galera.

    Non gli risposi e me ne andai. Senza pensarci troppo, mi diressi al mio appartamento, utilizzando la linea del tram che portava al centro della città.

    Una volta a casa, mi cambiai di nuovo per indossare l’altra uniforme pulita che tenevo di riserva. Poi a piedi, mi diressi verso la mia destinazione finale.

    Giunta al Ministero, l’attendente del Generale mi fece accomodare nell’anticamera.

    Aspettai più di cinquanta minuti, poi la porta dell’ufficio del Comandante si aprì e l’attendente mi fece entrare. Il Generale Olaf Sørrenson, seduto alla sua scrivania, non alzò la testa, ma continuò a consultare le sue carte. Passati altri dieci minuti, finalmente mi prese in considerazione e disse: Tenente Jansen, mi è stato riferito che ieri sera ha dato di nuovo il meglio di se’. Si ricorda che durante il nostro precedente incontro, la avevo già avvertita che l’amicizia che ho con suo padre non l’avrebbe tutelata per sempre. Mi può spiegare come mai un ufficiale con le sue note caratteristiche, il suo stato di servizio durante l’operazione Red Dragon, pluridecorata dall’Aeronautica e per giunta di buona famiglia, possa arrivare ad aver un comportamento simile… Lei ormai ha superato ogni limite!

    Quando finirà questa paternale?

    "L’ultima chance che le posso dare è una

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