Il cinema di Artur Aristakisjan
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Sono film pesanti, difficili da seguire e da digerire, sono difficili da comprendere e ancora di più da interpretare. Sembrano rozzi, mal girati e privi di interesse, eppure, nonostante tutto questo, si infilano in un punto imprecisato del corpo dello spettatore e ogni tanto prudono, reclamando la sua attenzione.
Sono opere che ti si infilano sotto pelle, ti strisciano lungo la spina dorsale e ti strappano brividi quando meno te lo aspetti. Sono come una doccia fredda, quando il gelo ti si infila nelle ossa e non riesci ad ignorarlo neppure quando ormai ti sei asciugato, ti rimane nella schiena, ti fa contrarre i muscoli involontariamente, lasciandoti un senso di malessere indefinito, leggero ma impossibile da ignorare troppo a lungo. Puoi cercare di ignorare quello che mostrano, puoi fuggire al primo contatto con loro, perché il tuo corpo si rende conto prima della tua mente che quello che guardi potrebbe essere dannoso e automaticamente ti invia segnali per farti allontanare. In quel caso, se abbandoni la visione in tempo, forse rimani al sicuro. Se invece continui, se arrivi alla fine delle due ore e oltre di ogni film, hai la sensazione di aver visto qualcosa che non avresti dovuto vedere.
Le opere di Aristakisjan fanno pensare ai “video ritrovati” dai protagonisti di tanti film horror degli ultimi anni, non tanto per i contenuti o per lo stile, quanto perché danno l’impressione – complice probabilmente l’alone di mistero che avvolge questo autore e la difficoltà di reperire materiale su di lui – di trovarsi di fronte ad un reperto unico, che racchiude misteriose realtà che potrebbero nascondere sconvolgenti rivelazioni per il malcapitato spettatore."
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Il cinema di Artur Aristakisjan - Mattia Caprilli
Mattia Caprilli
Il Cinema di Artur Aristakisjan
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Table of contents
Premessa
Capitolo 1: Una breve introduzione
1.1 La libertà del mendicante
1.2 Apocalisse in bianco e nero
1.3 Vita, opere e poetica
1.4 Esperienza e Visione
Capitolo 2: Ladoni
2.1 Un film, due racconti
2.2 Un film senza spettatori
2.3 Prigionieri del sistema
2.4 Il ragazzo cieco
Capitolo 3: Mesto na zemble
3.1 Tra fiction e documentario
3.2 Il guru
3.3 Il cinese
3.4 Maria
3.5 Tabù
3.6 Alifib
Conclusioni
Note
Fonti
Nota sui titoli
Schede dei film
Ringraziamenti
Note
Premessa
Parlare del cinema di Artur Aristakisjan vuol dire affrontare uno degli esempi più radicali di cinema autoriale che il panorama moderno ci offra[1]. Già dalla difficoltà che si riscontra nella ricerca di materiale su di lui ci si rende conto di trovarsi di fronte ad un autore unico nel panorama mondiale. Per farsi un’idea, i suoi film sono solo accennati su Internet Movie Database (IMDb); quasi sconosciuto per gli spettatori, finora solo uno studioso, per altro italiano, ha tentato di delineare un’analisi della sua cinematografia in una monografia; i suoi film sono quasi ignorati dalla critica[2], nonostante la sua opera prima si sia aggiudicata il Nika (l’Oscar russo) per il miglior documentario nel 1994, il Premio della Giuria al Festival di Taormina e sia stata presentata al Festival Internazionale di Berlino; su di lui si trovano solo accenni e piccole recensioni dei suoi film sul web; e la sua stessa biografia rimane per lo più un mistero, tanto che la sua età è stata confermata solo in seguito ad una sua intervista a Potenza, dove ha tenuto un workshop di regia nel 2008, su invito del critico Enrico Ghezzi, uno dei pochi ad aver riconosciuto da subito la potenza delle sue opere, che ha presentato per la prima volta in Italia sul suo programma notturno Fuori Orario.
Anche cercare di contestualizzare l’opera di questo autore all’interno di una cinematografia nazionale come quella russa risulta estremamente difficile, sia per la difficoltà con cui si possono reperire materiali su un cinema che solo recentemente ha superato i confini nazionali, sia perché lo stesso autore non si è espresso a riguardo.
Quando le sue opere sono state avvicinate al cinema di Tarkovskij, Aristakisjan ha espresso la sua totale distanza dal maestro russo, che ha definito ininfluente per il suo percorso di formazione[3].
Il cinema moderno russo rappresenta una continua scoperta per gli occidentali, che possono usufruire di queste opere solo dopo il loro passaggio in qualche festival cinematografico in Europa, unica porta che permette a questi film di valicare i confini della Russia.
Al di là di questa endemica difficoltà di distribuzione, che spiegherebbe in parte la marginalità della figura di Aristakisjan per la critica occidentale, quello che stupisce maggiormente è che anche in patria questo regista ha il ruolo dell’outsider.
Non vi sono riferimenti alle sue opere e i suoi film non sono assimilabili a nessun prodotto cinematografico dell’ex Unione sovietica giunto da noi.