India fai da me
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India fai da me - Claudia Marforio
INTRODUZIONE
Secondo viaggio in India, agosto 2006. Eravamo ad Hampi io e JesuBaba, un gruppo di case e guesthouses tra colline di sassi enormi tondeggianti disegnati dal vento, con rovine di templi antichi, che la guida descriveva come un posto piuttosto pericoloso…e credo che un po’ lo fosse visto che bisogna registrarsi all’ufficio della polizia appena arrivati.
JesuBaba quel pomeriggio non stava bene, così sono uscita da sola in cerca di quella rovina a forma di carretto che doveva assolutamente essere vista, secondo la guida. Eravamo lì da qualche giorno ormai e avevamo discusso perché lui voleva andarsene e io volevo restare perché due giorni dopo ci sarebbe stato un festival assurdo, tipo gente che si infilza la schiena con grossi aghi legati a corde per trascinare un carro con non so che statua di quale divinità hindu. Insomma, quelle situazioni folli pericolosissime ma anche eccitanti e uniche e pazzesche, da raccontare agli amici. Cercavo un contatto con la proverbiale follia indiana, come se quella quotidiana non bastasse.
Così esco, mi faccio un giro nel torrido e umido pomeriggio, da sola nel paesello pericoloso
a cui si accede da un grande cancello che viene chiuso la sera. Inquietante a ripensarci.
Varco il cancello e comincio a percorrere la strada in salita che porta a qualche rovina, forse il famoso carretto è là, o forse mi faccio semplicemente un giro nella mia noia pomeridiana. Pochi metri, e vedo agitazione attorno a me, mi fanno capire di stare a lato della strada come tutti gli altri, mi fermo, mi accosto, e noto un ragazzo, in cima alla strada, diciamo a un centinaio di metri dal cancello, al centro dell’attenzione di tutti. Ha in mano un sasso tondeggiante grande quanto una boccia di quelle che i vecchi lanciano per giocare – appunto a bocce - nei parchi.
E’ concentrato, è emozionato, tiene la pietra come un oggetto prezioso, come un giocatore di bowling che stringe la palla della vittoria e la avvicina alla fronte prima del lancio decisivo, con la concentrazione di chi prega e chiede il successo del suo gesto come se tutto dipendesse da quell’istante. Silenzio. Ultime preghiere private. La lancia.
Il prezioso sasso cade pesante sull’asfalto nel silenzio generale, rimbalza, colpisce di nuovo l’asfalto sempre col tipico rumore sordo e secco, al terzo rimbalzo sul volto del ragazzo cala un velo di delusione immensa, dal pubblico si alza qualche lamento di sconforto che dà voce alle sue emozioni, perché è chiara ormai la direzione del sasso, che sta per uscire inesorabilmente fuori strada, ancora ben lontano dal cancello, suo obiettivo.
Ma colpisce un insulso paletto ai bordi della strada, forse l’unico, nello stupore generale, altro suono secco a segnalare l’Evento, risvegliando ogni speranza ed emozione, si alza qualche grido di speranza, il sasso viene indirizzato con una traiettoria perfetta proprio al centro della porta della città, facendo esplodere una gioia incontenibile generale. Anche in me! Il ragazzo viene raggiunto da persone esultanti quasi più di lui, lo innalzano e lo trasportano in trionfo in mezzo alla folla.
Io assisto. Sono in mezzo alla follia. Una follia buona, una follia che fa sorridere, che fa scuotere la testa pensando sono tutti matti
(quante volte l’ho pensato in India!), e poi fa sorridere ancora ripensandoci anni dopo.
Sono tornata alla guesthouse, perché nessun tempio a forma di carretto può dare emozioni come quelle, e siamo partiti il giorno dopo, perché la follia in India ti circonda, anche senza infilarti in situazioni strane religiose allucinanti e allucinate.
Ho rivisto il ragazzo più tardi mentre portava doni al tempio come ringraziamento. Chissà cosa aveva chiesto con quel gesto, era raggiante.
Se leggendo queste righe hai pensato e se il sasso avesse colpito qualcuno in modo imprevedibile quanto il paletto?
o un banale beh quindi?
, sappi che farai un po’ fatica ad abituarti a mille situazioni, a digerirle e a lasciarti andare per goderti ogni momento. Perché lì è importante togliersi di dosso la nostra rigidezza, i nostri pregiudizi, devi viaggiare con occhi attenti e cuore aperto.
In India, l’ho già detto, sono tutti matti. Sono disarmanti loro e le situazioni. Sei in costante balia delle circostanze, certe volte puoi avere tutti i soldi che vuoi ma comunque sei perso perché parte una serie di circostanze tutte negative e tu ci sei trascinato dentro, hai la netta sensazione di camminare contro corrente in mezzo a un fiume in piena. E alla fine capisci che puoi solo lasciarti andare e riderne e soffrirne e aspettare il primo sorriso che fa passare tutta la serie negativa e dà finalmente il via alla serie positiva.
E poi ci sono questi episodi incredibilmente vivi che metti via e ritornano come i più preziosi nella loro semplicità e magia. Perché c’è tanta magia, tanta emozione, tanta energia in India, tangibili, visibili e innegabili. E tu entri in quel teatro magnifico, e ti muovi da spettatore, giochi con le maschere che ti vengono incontro e a volte ti ci incazzi (spesso), ma loro ti trattano come il personaggio esterno che sei e rimani anche se cerchi disperatamente di passare inosservato o almeno di capirci qualcosa.
Poi torni a casa e allora sale tutto, salgono alla mente e al cuore certi momenti a cui non avevi dato nemmeno peso, colleghi tutti i puntini e capisci che ciò di cui hai bisogno ti viene dato, che tu lo voglia o no, che tu lo digerisca subito o mesi dopo o anni dopo.
Una doverosa premessa: non lavoro nel campo del turismo e non ho una formazione letteraria. Sono un’ingegnere edile e sento il bisogno un mese all’anno di staccare e andare in India. Le prime due volte sono andata con sconosciuti compagni di viaggio cercati in internet, con Pacco nel nord e con JesuBaba nel sud. Poi sono tornata da sola due volte, una per scrivere la tesi su baraccopoli e strutture in bambù e l’altra per chiudermi in una capanna di bambù in riva all’oceano. Poi mia madre mi ha convinta a farsi portare nel nord. Poi sono tornata da sola a Varanasi. Poi sono andata nel deserto con la Vale e infine ho trascinato MasalaCi nel sud.
Questa guida pratica nasce spontaneamente da un desiderio di sdrammatizzare le paure di chi subisce il fascino dell’India ma teme di andarci da solo. Oppure ci và da solo ma finisce per seguire le classiche rotte iperturistiche accompagnato da guide locali e drivers e terminato il viaggio – comodo e filtrato – l’India resta un posto come altri. Ed è davvero un peccato perché proprio dagli imprevisti del fai-da-te nascono le emozioni più inaspettate che poi risalgono nei nostri pensieri anche dopo mesi, che ci rendono orgogliosi delle situazioni affrontate e che ci divertono.
Ho scritto alcune di queste pagine perché ne sentivo la voglia e le ho inviate ad amici e conoscenti che mi sommergevano di domande pre-partenza senza inizio e senza fine. Erano una sorta di lista della spesa di cose da portare, comportamenti da adottare e fregature comuni, in cui non ho potuto omettere certi aneddoti personalmente epici.
E ora cerco di ampliare il raggio d’azione della mia esperienza e i contenuti pratici e personali.
Le informazioni che qui riporto nascono dalle mie esperienze e da spiegazioni di persone conosciute in viaggio. Ma visto che spesso allo stesso fenomeno gli indiani stessi danno più interpretazioni, potrai trovare altre spiegazioni agli esempi qui riportati. Lascio a te ogni ulteriore ricerca filosofica, culturale, storica o religiosa, ma sappi che non è necessario andare in India preparato
o esperto di yoga, costumi e filosofia orientale. Le virgolette sono obbligatorie perché non sarai mai preparato all’India, alla sua moltitudine di sensazioni.
In questi anni ho potuto viaggiare solo in estate, nel periodo monsonico. Ho sempre scelto esperienze zaino in spalla senza grandi pretese di comfort. Ho viaggiato sola o in due, per i miei gusti già in tre c’è folla. Ho visitato il nord e il sud, tornando in posti già visti e cercandone di nuovi, soffermandomi su un unico stato o addirittura su una sola città. Su tutto questo si basano i miei consigli di viaggio.
L’input di questa guida è arrivato dopo qualche anno in India e ho iniziato ad appuntarmi tutti i consigli possibili derivanti da esperienze che ormai dopo anni si ripetevano, fregature e scocciature che si ripresentavano sempre con gli stessi occhi, le stesse modalità – ho potuto descriverti solo le seconde – e le ho scritte per tutti gli amici che mi vedono emozionata quando torno dai miei viaggi e si domandano che cavolo ci trovo per tornarci ogni anno senza il minimo dubbio di cambiare meta, ma hanno paura ad affrontare l’India e mi guardano come una pazza coraggiosa che affronta situazioni incredibili spesso da sola.
In India la parola d’ordine è contraddizione. Un viaggio del genere è impegnativo e allo stesso tempo rilassante, perché il fisico può essere provato dal caldo, dal cibo, dai lunghi viaggi, ma la mente è sgombra da ogni pensiero che ti riporti a casa.
Guardi dal finestrino quando sei sul treno e puoi scovare elefanti e situazioni eccezionali, ma poi distogli lo sguardo dalle persone accovacciate nei campi per i loro bisogni. L’India è bellezza e sporcizia. Colori sgargianti e odori nauseabondi. E’ ritrovare il silenzio e l’ordine interiore in mezzo alla totale confusione. L’India è il sole caldissimo e la pioggia torrenziale. Il verde umido delle campagne e la polvere rosa delle città. Gli sguardi fieri e intensi di uomini e donne e gli occhi spenti e senza speranza di bambini che chiedono soldi. Si cammina con l’impressione di essere trasportati da un’onda, ci si impegna ad essere protagonisti in un teatro che ammette solo comparse.
L’India è facile. È immediata. Sa educarti a essere ciò che sei, sa farti aprire gli occhi, sa darti ciò che ti serve senza che neppure tu lo sappia, ma questi sono significati troppo grandi perché sia io a pretendere di spiegarli a qualcuno. Io posso solo dirti che sembra tutto un gran casino – e lo è – ma basta lasciarsi trasportare dalla corrente e ridere e goderti ogni presa in giro come ogni momento magico per sentirti semplicemente tranquillo.
Questo meraviglioso Paese è talmente denso e ricco e grande che ogni tuo sguardo potrebbe cogliere infiniti dettagli eccezionali. Il tuo corpo spesso è messo a dura prova, così come il tuo cuore e la tua mente. Lì e quando torni. Ti allena a vivere, ti insegna a conoscerti.
Il mio obiettivo qui è fornire una guida pratica efficace, piena di piccoli consigli per non restarci troppo male se ti pigli qualche fregatura e per evitarne la maggior parte. Il segreto è non prendersela mai troppo.
Ho raccolto le domande più frequenti, quelle che mi vengono poste in modo disordinato e che meritano risposte ampie e dettagliate.
POSSO FARCELA?
Ripenso al mio primo viaggio e a quanto fossi impreparata e ingenua. Ripenso a un giapponese incontrato a Varanasi mentre giocava a carte in un negozio che non parlava una parola di inglese: mi è uscito di bocca questi se lo magnano
e il negoziante indiano che parlava benissimo spagnolo ridendo mi ha tranquillizzata dicendo che invece lo tratteranno bene proprio per la sua spontaneità. E ripenso a tutti i turisti incontrati, alcuni svegli e pratici, altri con gli occhi fissi sulla guida e la bocca aperta, alcuni nervosi e diffidenti con un no
sempre pronto in bocca, altri ingenui e creduloni, tutti hanno preso treni, hanno girato in posti turistici e non, hanno acquistato ciò che cercavano, hanno visitato palazzi e sono stati fregati con prezzi un po’ troppo alti, ma dubito che si siano mai trovati completamente persi e soli, che si siano pentiti di non avere una guida o un gruppo numeroso di compagni di viaggio con cui parlare. L’India è per tutti, nasconde molta più semplicità di quanto si possa pensare a un primo approccio. E tra il casino e i rumori e la gente che ti scoccia ogni momento troverai sempre un’umanità profondamente sincera e bella. Non ho mai avuto difficoltà a trovare un aiuto, un sorriso gentile e disinteressato, lì nessuno si gira dall’altra parte se hai bisogno o ti vede perso, è qualcosa che qui abbiamo dimenticato per diffidenza verso il prossimo o esagerato egocentrismo. Lì il contatto umano è diretto e onesto, ma ci vuole un po’ per capirlo se si gira solo per luoghi turistici.
A volte mi chiedono se si riesce ad entrare in contatto con la popolazione o se si ha solo a che fare con chi lavora coi turisti. Dipende. Dipende da te e dal viaggio che scegli di fare. Se pensi di non essere capace di muoverti da solo (prendere treni e autobus, cercare una stanza per dormire, trovare il palazzo da visitare) e opti per un taxi privato che ti scarrozza per tutto il viaggio, allora sarà ben difficile che tu possa entrare in contatto veramente con la popolazione locale che non lavori nel campo del turismo. In un viaggio del genere tu non dovrai fare praticamente nulla perché sarà il tuo autista indiano a prelevarti la mattina, portarti da un tempio all’altro, trovarti l’albergo e pure il ristorante e il negozio per lo shopping.
Se invece viaggi per conto tuo, entrerai nelle stazioni, salirai sui treni e sugli autobus, dovrai cercare la soluzione migliore per dormire e qualcuno a cui chiedere informazioni, mangerai in ristoranti frequentati dalla gente comune. Insomma, se scegli di vivere l’India e non di farti portare a vederla allora il contatto umano reale e sincero è possibile, anzi, è improbabile che tu possa evitarlo!
Inoltre nei luoghi meno frequentati dai turisti sarà maggiore la curiosità nei tuoi confronti e quindi il tentativo di approcciarti senza secondi fini