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Il tango vi aspetta
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Il tango vi aspetta

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Una tranquilla vita da funzionario di banca, una moglie, un figlio, qualche infedeltà che non passa il limite dell’avventura: tutto, nella vita di Carlo, si è svolto all’insegna della calma piatta, solo la passione per il tango gli ha dato qualche ora diversa, e forse in quella passione c’era il sogno di una vita diversa. Ma non è lo stesso ballare il tango a Milano o a Buenos Aires...
LanguageItaliano
PublisherFranco Mimmi
Release dateMar 12, 2015
ISBN9786050364729
Il tango vi aspetta

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    Il tango vi aspetta - Franco Mimmi

    La vita è una ferita assurda

    (Dal tango La última curda

    di Cátulo Castillo e Aníbal Troilo)

    Franco Mimmi

    IL TANGO VI ASPETTA

    Solo sul letto di morte Doña Berta rivelò il segreto: il suo ragazzo adorato, il suo Carlos la cui tomba, al cimitero della Chacarita, era sempre coperta di fiori (e sempre lo sarà), el Morocho il cui sorriso di eterno ragazzo splendeva ancora nel bronzo (sempre risplenderà), non era nato a Buenos Aires, sul Rio de la Plata, ma a Tolosa, presso la Garonna, l’undici di dicembre milleottocentottantasette, ricevendovi il nome di Charles Romuald Gardes.

    Carlo avvia il disco due, faccia A: Adiós amigos, A la luz del candil, Chorra, Tomo y obligo, El Tabernero, Recuerdo malevo, Yira yira. Si mette a sedere e continua a leggere il retro di copertina:

    Sua madre lo portò a Baires quando aveva quattro anni, con un destino di cantore ereditato dalla sua terra di trovieri provenzali. Nella capitale porteña Charles divenne Carlos e lui stesso cambiò il cognome.

    Alza gli occhi e sorride alla fotografia che gli sta appoggiata davanti, sulla vetrina di una sala da pranzo assai corretta, quasi austera, in palissandro scuro: ritrae due giovani un po’ stupidi nella posa del giorno delle nozze. Sotto alla figura di lei, in bianco lungo, c’è una scritta sbiadita, in una bella calligrafia ordinata ma vivace: Milonguera de mi vida, dice la scritta. Carlo la guarda e sorride. In realtà Silvana non era mai stata una brava ballerina, qualcosa le era mancato e gli sforzi di Carlo non erano riusciti a darglielo. Lei stessa se ne era sempre resa conto e spesso aveva preferito mettersi da parte e ammirare, seduta al tavolino, le figure che il suo uomo tracciava sulla pista guidando una compagna più dotata. Presto, tuttavia, e nonostante le insistenze di Silvana perché continuasse, Carlo tornava da lei. Ma vai, diceva Silvana, torna a ballare. Quella ragazza è proprio brava. Così così, diceva Carlo scuotendo la testa, e poi, sorridendo: Non tanto da valere il cambio. E una ballerina brava davvero, che lo soddisfacesse tanto da valere il cambio, quando aveva smesso di ballare ancora non l’aveva trovata.

    Ora Silvana è morta e Carlo le sorride: legge la scritta, scuote la testa e sorride. Suo figlio, Alfredo, è seduto alla sua destra e aspetta che il padre gli parli, ma Carlo guarda la fotografia, sorride e non parla. La voce di Gardel, nella vecchia registrazione, corre un po’ gracchiante per le strofe finché il disco di vinile si arresta e Carlo si alza e va a girarlo. Anche lui canticchia qualcosa, parole che Alfredo non riesce a capire perché è poco più di un borbottìo. Carlo canta tra sé, con il disco: Desde que se fue, triste vivo yo; caminito amigo, yo también me voy.

    Papà, dice alla fine suo figlio, e Carlo fa segno di sì con la testa. È un’idea da pazzi, papà, dice il figlio, e Carlo non fa segno di no con la testa.

    Suonano alla porta, Alfredo si alza e va ad aprire, torna con Emilio, un vecchio amico di Carlo e di Silvana, fin da quando erano ragazzi. Emilio va a mettersi dietro al suo amico, gli appoggia le mani sulle spalle, da sopra la testa di Carlo anch’egli guarda la fotografia e sorride. I due uomini sono entrambi un po’ oltre la settantina ma sono molto diversi: quello seduto è magro e certamente molto più alto di quello in piedi, che infatti, pur essendo in piedi, sovrasta l’amico solo di poco ed è anche grassoccio, però i loro sorrisi si assomigliano. Il figlio è seccato e non lo nasconde, avrebbe voluto parlare con suo padre, convincerlo, e l’arrivo di Emilio lo ha disturbato. Sa che per la confidenza di tanti anni potrebbe parlare anche in sua presenza, ma sa pure che in Emilio suo padre avrà un alleato che non esiterà a intervenire. Scuote la testa e ci riprova: È una pazzia, papà, dice.

    Non essere noioso, dice Carlo, ho detto che vado e vado.

    Dove vai? chiede Emilio.

    Vuole andarsene, spiega Alfredo, andarsene via.

    Mica è per sempre, dice Carlo. E poi chiede: Che c’è di male?, sempre guardando la milonguera che gli sorride. Gli sorride perché sa che è giusto, di più: che gli è dovuto, e Carlo lo sa, che gli sorride per questo. In fin dei conti, pensa Carlo, se le cose sono andate in quel modo è perché lei mica ballava tanto bene, e così si fermò anche lui. Beh, non solo quello, certo, ma in buona parte.

    Che c’è di male? chiede Emilio. Un viaggio lo distrarrà. È in buona salute, i soldini non gli mancano. Che c’è di male?

    Emilio stringe un po’ le mani sulle spalle di Carlo, in segno di approvazione e di solidarietà, e Carlo batte con la mano destra sulla mano sinistra di Emilio per ringraziarlo. Sono in buona salute e i soldini non mi mancano, dice Carlo. Perché non dovrei andare?

    Strizza l’occhio a Silvana. Forse, fosse stata più brava, sarebbero andati insieme, tanti anni fa. Peccato. Le sorride ancora, nonostante sia stata proprio lei, tanti anni fa, a mostrargli una strada diversa. Non che volesse fare il ballerino di tango, suvvia! Carlo sorride un po’ anche a se stesso giovane, salta i tre anni di guerra, si lascia all’ingresso della banca ed è di ritorno.

    Lascialo andare in pace, dice Emilio, conciliante. Perché non dovrebbe divertirsi un po’?

    Alfredo si alza, spazientito. Per favore, Emilio, dice, non si metta in mezzo, sono cose di famiglia.

    Carlo vorrebbe intervenire ma non fa a tempo. Non dire cazzate, dice Emilio, tranquillamente. È sempre stato velocissimo, nelle sue reazioni, e fisicamente agilissimo nonostante il peso, bravo ballerino anche lui. Carlo gli batte con la mano destra sulla mano sinistra, Alfredo si siede.

    È là che vuoi andare? chiede Emilio. Carlo fa cenno di sì.

    È pazzo, dice Alfredo.

    Nessuno ballava come lui, dice Emilio. Lascia la postazione di sentinella alle spalle dell’amico e va a sedersi anche lui, alla sinistra di Carlo, di fronte ad Alfredo. Tra loro c’è la fotografia con Carlo e Silvana il giorno del matrimonio, lui ha folti capelli neri pettinati all’indietro lisci di brillantina, sopracciglia appena arcuate, un bel naso lungo e dritto e una gran bocca sorridente, piena di denti bianchi. Come Carlos Gardel, la voce del tango, e gli amici lo chiamavano così: Carlos. Silvana, vestita di bianco, è allacciata a lui in un passo di tango, e sotto, con la sua bella calligrafia allegra però ordinata, Carlos ha scritto: Milonguera de mi vida, 24 giugno 1939. Gardel è morto da quattro anni esatti, nell’aereo precipitato a Medellín, in Colombia: Adiós

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