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20 anni
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Ebook144 pages2 hours

20 anni

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"Una storia d'amore che si snoda lungo vent'anni di vita vissuta in piena intensità" così è stato definito questo romanzo dalla giuria del concorso "Storie.. nel cassetto" che gli ha conferito, per l'anno 2015, il primo premio.
Nel 1992 Anna e Diego si incontrano fortuitamente per la prima volta su un autobus. Ad Anna il ragazzo non fa una bella impressione, le sembra superficiale e maleducato.
Anna frequenta il primo anno di università,Nella sua vita c’è il fidanzato Antonello, la sua migliore amica e coinquilina Nadia e infine Sofia, sua cugina “sorella per scelta”. Ciascuno di loro avrà un posto speciale nella sua vita.
Diego è un cestista appena acquistato da una prestigiosa squadra della città. E’ un ragazzo a cui piacciono le feste, le ragazze ed è un “ragazzo fortunato” perché la Società per cui gioca gli paga l’alloggio, che divide con un altro cestista Roberto, e gli corrisponde uno stipendio.
I due protagonisti scoprono di essere vicini d'appartamento al quarto piano di un palazzo nella zona universitaria... tutto sembrerebbe scontato ma, come nella vita, nulla è mai come appare.
 
LanguageItaliano
Release dateApr 1, 2015
ISBN9786050369243
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    Book preview

    20 anni - Maria Anna Mastrodonato

    Ringraziamenti

    FEBBRAIO 1992

    …il pensiero vola e va a posarsi sul davanzale

    di una casa sul confine tra il bene e il male

    tra l'amore e il sesso il corpo e la mente

    per concludere che in fondo in fondo è divertente

    il continuo dondolare di tutte le cose

    questa falsa divisione tra puttane e spose.

    Lorenzo Jovanotti canta nel mio walkman: questa musicassetta è troppo bella e non riesco a smettere di ascoltarla. Consumerò il nastro prima o poi.

    Mi sono trincerata dietro gli occhiali e osservo il mondo da un oblò in questo autobus che mi porta nel quartiere dove ho preso l’appartamento.

    Antonello e Nadia sono già tornati e mi aspettano.

    Io mi sono fermata qualche giorno in più, presto cominceranno gli esami e non potrò tornare a casa chissà per quanto tempo. Sento che sta arrivando il magone. Penso a mia madre e ai miei fratelli e mi intenerisco. Gli occhiali schermano il mio sguardo al mondo e mi godo gli occhi lucidi di nostalgia senza dovermi nascondere.

    Di fronte a me c’è un ragazzone alto, certamente un giocatore di pallavolo o di pallacanestro, ogni tanto mi guarda incuriosito sicuramente perché faccio le facce, come dice sempre mamma. Devo cercare di stare ferma ma non ci riesco. Osservare gli altri e quello che mi circonda è una mia attività naturale che non riesco sempre a gestire con razionalità. Per esempio adesso sto osservando proprio il ragazzo: mastica una gomma e sembra un cammello, ogni volta che passa una ragazza si gira a guardarle il sedere e lo fa con grande attenzione, come se dovesse dargli un voto. Sarà un intenditore!

    In realtà penso che sia proprio un deficiente. Uno di quelli belli che pensa di avercelo solo lui.

    Il mio Antonello è diverso, serio e dolce, non si metterebbe mai a guardare un’altra ragazza. Ci ha messo 15 anni a chiedermi di essere la sua fidanzata.

    Mi spunta un sorriso. Stavolta il ragazzone posa con più attenzione il suo sguardo su di me. Mi fa sentire a disagio, sembra che riesca a vedermi oltre le lenti scure. Mi giro e faccio finta di guardare il paesaggio ma con la coda dell’occhio continuo ad osservarlo.

    E’ veramente molto bello con gli occhi scuri, profondi con un taglio lungo, due zigomi alti su un ovale perfettamente mascolino, i capelli cortissimi sono acconciati con il gel, le orecchie sono giuste e aggraziate. Sembra uno da copertina. In effetti potrebbe fare il modello, anche se mi sembra troppo alto.

    Mi preparo, sto per arrivare.

    Ho una valigia pesantissima piena di cibo, vasetti e conserve, che mi ha riempito mamma, e ho uno zaino, il mio mitico Invicta 50L, dove ci sono tutti i vestiti stipati. Anche il ragazzo si sta preparando, scendiamo alla stessa fermata. Chissà se mi darà una mano a scendere. Mi trascino verso l’uscita. Lui mi sta davanti, si gira e mi guarda con quello sguardo furbo come se volesse dirmi sfigata.

    L’autobus si ferma e lui esce senza guardarsi dietro, va via dinoccolato per la sua strada. Cafone! Io mi trascino giù dall'autobus e mi avvio verso casa.

    Suono e risponde la voce squillante di Nadia. Mi apre il portone.

    L’appartamento è al quarto piano. Grazie al cielo che c’è l’ascensore, altrimenti avrei lasciato tutto al piano terra.

    E mi ci sarei trasferita!

    Non sono neppure entrata che Nadia mi stordisce di chiacchiere. Cerco di calmarla e le chiedo aiuto per sistemare tutto in dispensa. Dopo aver messo tutto a posto mi vado a mettere una tuta comoda e ci sediamo in cucina davanti ad una fumante tazza di tè.

    Questo appartamento è un po’ freddo, ma confortevole. E’ arredato con tutti pezzi unici, recuperati chissà da dove.

    E’ una casa per studenti: nessuna sedia è uguale all'altra, nessun piatto, nessun bicchiere e nessuna tazza sono doppi. Ciascuno è a sé.

    I mobili sono stati messi insieme con il gusto dell’orrido, sicuramente recuperati da amici e parenti e, sospetto, qualcuno anche in discarica.

    Nadia freme e so che sta per raccontarmi qualcosa di grosso e aspetta che la mia attenzione sia al massimo. Spara la cannonata La settimana scorsa si sono trasferiti qui accanto due cestisti,  aggrotto la fronte e chiedo Nell'appartamento di Cecilia? Cecilia è la studentessa che si è laureata a dicembre. Una palla incredibile di ragazza!

    Nadia continua Si, ti rendi conto due cestisti proprio fighi. Avranno la nostra età. Uno biondo e uno bruno. Sono simpaticissimi. Quello bruno è proprio forte. Quello biondo è timidissimo ma mi piace tantissimo.

    La stoppo chiedendole Cosa studiano? Mi guarda stupita Non studiano. Fanno i cestisti! La società gli paga l’alloggio e guadagnano una marea di soldi. Non commento e dico semplicemente, per tagliare corto, Beati loro!. Nadia mi attacca la solfa di quanto sono belli, quanto sono simpatici e chissà che bello è fare il giocatore di pallacanestro e via discorrendo. La guardo aprire e chiudere la bocca come un pesce: ho spento l’audio e annuisco automaticamente. Sto pensando che devo scendere alla cabina all'angolo per telefonare a mamma e avvertirla che sono arrivata. Chiamerò anche Antonello così stasera ci vediamo.

    Interrompo il soliloquio di Nadia per avvertirla che scenderò a telefonare.

    Mi metto il piumino ed esco.

    L’ascensore è naturalmente sempre occupato.

    Sento la porta dell’appartamento di Cecilia che si apre. Ne esce un ragazzo altissimo, biondo con gli occhi verdi, il viso è troppo sottile e le orecchie sono grandi. Non mi sembra particolarmente carino. Nadia è sempre esagerata!

    Siamo in silenzio sul pianerottolo aspettando l’ascensore che non arriva mai. Lui si tormenta le mani e io mi guardo intorno.

    Non tocca a me rompere il ghiaccio.

    Lui prende coraggio e mi dice Sei una delle ragazze che abitano di fronte al nostro appartamento? lo guardo e gli sorrido Si gli porgo la mano Mi chiamo Anna lui ricambia con un sorriso timido e mi porge la mano enorme prendendo la mia e stringendola Mi chiamo Roberto.

    Fine della conversazione, arriva l’ascensore.

    Quattro piani di imbarazzante silenzio e poi un ciao al volo.

    Su una cosa Nadia ha ragione: è timidissimo.

    Alla cabina telefonica c’è la fila. Ci sono due ragazzi che aspettano e si stringono nei loro cappotti. Aspetterò. Peccato che non abbia portato le cuffie.

    Guardo due fidanzatini all'angolo della strada che si fanno delle effusioni. Sorrido ripensando al mio Antonello. Non posso crederci ancora che sia mio, mio, mio, mio… lo ripeterei all'infinito. E’ quasi un anno che stiamo insieme e mi sembra un sogno. Sono innamorata di lui da quando avevo sei anni. Nel mio piccolo paese lui è il più bello, il più ricco, il più in gamba di tutti; tutte le ragazze del paese sono ai suoi piedi.

    Ho passato tante di quelle notti insonni a parlare di lui a mia cugina/confidente/sorellaperscelta Sofia.

    Anni di parole fino a quel giorno di maggio quando…

    Devi telefonare? mi dice seccato il ragazzo subito in fila dietro di me.

    Ripiombo nell'inverno di questa città.

    Tocca a me. Mi giro e una fila di studenti aspetta il proprio turno e mi guarda con impazienza. Svelta chiamo mia madre per rassicurarla. Chiamo all'appartamento di Antonello e non mi risponde nessuno. Sono delusa e un po’ arrabbiata. Non ho il telefono in casa, neppure per ricevere e mi scoccia dover scendere alla cabina e non riuscire neppure a parlargli.

    Me ne faccio una ragione e mi avvio verso casa. Salgo all'appartamento e mi viene in contro Nadia sussurrandomi C’è una sorpresa per te in camera. Apro la porta e mi accolgono i due meravigliosi occhi azzurri di Antonello. Due piscine in cui io mi specchio. Mi sorride e gli corro incontro con le braccia aperte.

    Sono appoggiata con la fronte sul vetro gelato. L’autobus ci sta riportando verso casa. Sono cominciate le lezioni ed è ricominciata la mia vita nuova in questa bellissima città. Nadia mi sta accanto assonnata. A causa della stanchezza non abbiamo neppure la forza di parlarci.

    Penso a come organizzare lo studio e a come sia diversa la mia vita dallo stesso periodo dell’anno scorso.

    Mi lascio trascinare in questo vortice di sensazioni mentre la città scorre davanti ai miei occhi.

    Tutto è nuovo e sembra tutto possibile.

    Spesso, al nostro ritorno dalla facoltà, incontriamo Roberto di ritorno dagli allenamenti.

    Non ci parliamo molto. In realtà entrambe non sappiamo cosa dirgli.

    Io e Nadia evitiamo accuratamente di guardarci.

    Siamo così: tra noi, in un attimo e con uno sguardo, si scatena un attacco di ridarella, di natura sicuramente isterica, che potrebbe essere legittimamente fraintesa. Ad ogni incontro succede qualcosa di interessante tra loro, una dinamica di cui neppure loro sono coscienti. Osservo attentamente.

    Nadia lo guarda sottecchi e lui fa la stessa cosa.

    Cerco di non farmi vedere mentre li studio. Ad entrambi vanno a fuoco le guance, le orecchie di Roberto si tingono di viola. Nadia si morde il labbro superiore, Roberto sospira.

    Che posso fare? Nulla.

    Si vede che si piacciono: qui sta nascendo qualcosa ma dubito che queste due persone timidissime approdino da qualche parte.

    Lasciamo lavorare il destino.

    Stamattina ho lezione alle nove e se parto adesso arriverò giusto in tempo. La lezione ha frequenza obbligatoria: ci fanno firmare all'inizio e alla fine dell’insegnamento. Una vera scocciatura anche perché il professore è un accademico di grido e vuole la platea sempre piena e osannante. Mi aspetta una lezione forzata e noiosissima, predispongo il mio animo alla rassegnazione.

    Metto il piumino, la mia mitica e vecchia borsa Camomilla con dentro il mio blocco per gli acquerelli e prendo il walkman e la cassetta degli Eagles. Esco sul pianerottolo e chiamo l’ascensore che, manco a dirlo, è occupato. Mentre sto valutando la possibilità di fiondarmi per le scale, le porte si aprono.

    Che mi venga un colpo!

    Dall'ascensore esce il ragazzone che ho incontrato sull'autobus, quel deficiente che non mi ha dato neppure una mano con le valigie: il valutatore di culi!

    Anche lui mi guarda, sembra stupito come me ma è una fugace impressione, il suo sguardo si trasforma subito in quello furbo da Marlon Brando dei poveri.

    Si vede che torna da una corsetta, è tutto sudato e i capelli sono appiccicati alla testa.

    Nella mia mente parte il mantra non lo salutare, non lo salutare, non lo salutare. Uscendo lui mi fa un cenno con la testa e io gli passo avanti impettita. Le porte si chiudono. Nell'ascensore c’è profumo di bagnoschiuma al sandalo misto

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