Gynoid: Duecento anni di donne artificiali
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Bambole, manichini, ballerine, robot, mogli, amanti, assassine... Molti i ruoli assunti dalle ginoidi, esseri “a forma di donna” creati dagli uomini per dare sfogo alla propria contorta creatività: ecco un breve viaggio... che dura duecento anni. -
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog come il CitaScacchi (blog e sito). Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha iniziato a raccontare le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena sono presentati nel blog NonQuelMarlowe.
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Book preview
Gynoid - Lucius Etruscus
Lucius Etruscus
GYNOID
A forma di donna
1815~2015
Duecento anni di
donne artificiali
Crediti
Prima edizione digitale: marzo 2015
Aggiornato ad aprile 2016
In copertina: elaborazione grafica dell’autore,
con la gentile (e paziente) consulenza di Mala Spina
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Visitate la bacheca pinterest dedicata a GYNOID.
Trama
Nel 1815 E.T.A. Hoffmann scrive di getto la bozza di un racconto destinato a fama imperitura, in cui dà vita alla più inquietante delle donne artificiali: Olympia, la bambola di legno che irride chi ancora non ha capito che il Romanticismo è finito e siamo tutti nell’Era della Macchina. Dopo cento anni Thea Von Harbou crea la sua Maria meccanica proprio mentre l’invenzione della catena di montaggio sta trasformando gli uomini in robot, e da allora le Donne Artificiali sono state piegate ad ogni tipo di preconcetto maschile, nel tentativo di neutralizzare la loro potenza.
Bambole, manichini, ballerine, robot, mogli, amanti, assassine... Molti i ruoli assunti dalle ginoidi, esseri a forma di donna
creati dagli uomini per dare sfogo alla propria contorta creatività: ecco un breve viaggio... che dura duecento anni.
L’autore
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database Gli Archivi di Uruk
e di vari altri blog, come Fumetti Etruschi
(recensioni di fumetti di ogni genere), Il Zinefilo
(dedicato al cinema di serie Z), il CitaScacchi
(citazioni scacchistiche da ogni forma di comunicazione) ed altri ancora. Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?
(Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha raccontato le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non quel
Marlowe, i cui retroscena (ed altro ancora) sono narrati nel blog NonQuelMarlowe
.
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GYNOID
A forma di donna
«Niente sulla terra è più vendicativo
di una macchina che ritiene di essere stata trascurata»
Thea Von Harbou, Metropolis (1926)
Introduzione
La recente uscita, dopo anni di silenzio, di ben tre film con protagoniste donne robot – The Machine (2013), Autómata (2014) ed Ex Machina (2015) – mi ha spinto ad affrontare un argomento che per giunta festeggia quest’anno il suo bicentenario: il tema della donna artificiale è infatti al tempo stesso antico e moderno, figlio del mito classico e della tecnologia moderna.
Come gran parte della cultura occidentale, le sue origini affondano nel mito greco. Ovidio nelle sue Metamorfosi (scritte esattamente all’inizio della nostra èra) ci racconta dello scultore Pigmalione, disgustato dalla dissolutezza e dalla viziosità delle donne, che non sa scegliere una moglie virtuosa in mezzo alla bassezza morale che lo circonda. Dopo aver scolpito una statua d’avorio ritraente la ninfa Galatea, d’improvviso Pigmalione si accorge di esserne fortemente attratto: nessuna donna viva potrà mai eguagliare lo splendore e la rettitudine della donna artificiale. Lo scultore impazzisce per la propria eburnea virgo, la abbraccia, la bacia, le parla, le dona fiori e gioielli, la veste e vive con lei come se fosse la propria compagna.
Non può gli occhi levar di quella imago,
Che vergine sì degna rappresenta,
E de la sua beltà talmente è vago,
Che vi tien tutto ’l dì la luce intenta.
(Versione di Giovanni Andrea dell’Anguillara, Venezia 1584)
Giunge la festa di Venere e tutta Cipro è in festa: per l’occasione Pigmalione chiede alla dea di avere in sposa una donna «uguale alla mia d’avorio». Tornato a casa e baciata la statua... si accorge che man mano essa inizia ad acquisire calore. La tocca, la stringe e più si ripete il contatto più la donna artificiale prende vita e diventa la più virtuosa delle mogli per Pigmalione.
La trasformazione dalla donna artificiale in donna umana rimarrà propria del mito e dormirà per secoli in attesa della scintilla che potrà riportarla alla luce. Verrà stuzzicata quando nell’Ottocento l’inizio di quella che in seguito verrà chiamata rivoluzione industriale
dà vita al primo vagito della Donna Artificiale per eccellenza, Olympia, dal nome greco solo per parodiare quanti amavano il classicismo: è una creatura fortemente legata all’instabilità del progresso che avanza e che trasforma tutto ciò che credevamo umano. Ci vorranno altri cento anni perché il mito di Galatea si risvegli: sarà evocato da George Bernard Shaw che lo rimaneggerà per la sua pièce teatrale Il pigmalione (da cui il celebre film My Fair Lady) e troverà la concretizzazione nella Maschinenmensch, la macchina umana
che campeggia in tutte le locandine del film Metropolis: la donna artificiale ha preso vita... ma non è assolutamente disposta a fare da moglie al suo creatore.
Da quel novembre del 1815, quando cioè il prussiano Ernst T.A. Hoffmann concepì Olympia, sono passati esattamente duecento anni: due secoli di tentativi maschili di ridurre la donna in donna artificiale, di procedere all’inverso di Pigmalione e trasformare la carne umana in materia inanimata. Per quanto sia un tema raramente affrontato, quelle poche donne artificiali dell’immaginario collettivo sono piegate alla morale del proprio tempo, usate e consumate dalle passioni maschili, vittime della loro psiche in fase di autoscoperta. Curiosamente Freud stesso analizzò molto il racconto in questione di Hoffmann ma non sembrò interessato più di tanto ad Olympia, limitandosi a studiare e a codificare l’effetto che essa crea: l’unheimlich, quel senso di inquietudine
che assale la mente quando scopriamo che qualcosa che consideravamo familiare non lo è affatto, anzi non lo è mai stato.
La donna artificiale, paradossalmente, incute più paura della donna vera, così l’uomo sin dall’inizio cerca di piegarla, umiliarla, parodiarla. La vicenda di Pigmalione diventa una pièce frizzante mentre Olympia, tra gli esseri più inquietanti della narrativa proprio perché specchio dei turbamenti di chi la osserva, diventa parodia con Coppelia, storia farsesca dal