L'AMORE PREGIUDICATO - Donne e omosessuali sotto il fascismo
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L'AMORE PREGIUDICATO - Donne e omosessuali sotto il fascismo - Danilo Ceirani
Danilo Ceirani - Pierluigi Rocchetti
L'AMORE PREGIVDICATO - Donne e omosessuali sotto il fascismo
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Ringraziamenti
Ai nostri genitori,
che ci hanno insegnato a vivere la vita
attraverso le memorie della Storia.
INTRODUZIONE
Il libro che avete fra le mani tratta un argomento scottante e tristemente attuale. Ci siamo impegnati però a renderlo meno triste e pesante, introducendo alcune curiosità storiche non note a tutti tra i vari capitoli oggetto della discussione.
Il ventennio fascista è stato sì catastrofico per la nostra storia, ma anche ricco di avvenimenti e cambiamenti che ancora oggi fanno parte della vita di ognuno di noi. Roma cambiò molto durante quel periodo e così anche la nazione. Il regime ci traghettò pur sempre, dopo due devastanti guerre, verso la democrazia, relegando nell'oblio la monarchia e la dittatura stessa. Molti pregiudizi però resistono ancora oggi nell'indifferenza dei poteri politici. Non siamo ancora tutti uguali nell'alveo sociale e molti diritti devono ancora essere acquisiti per scardinare i tabù dei bempensanti. Donne ed omosessuali lottano ancora per affermare le loro pari opportunità nella società civile.
Noi abbiamo cercato di costruire qui un percorso significativo affrontando gli eventi e l'ambito in cui queste discriminazioni si consolidarono. La dittatura fascista, come tutte le dittature, ha oppresso le libertà individuali senza fare distinzioni.
In certi contesti storici, quando si è diversi dalla norma, e quindi considerati inferiori, ecco che sopravvivere diventa impossibile e l'emarginazione è quasi la cosa migliore che possa capitare agli esclusi
, se il fine ultimo di chi li perseguita è addirittura la loro eliminazione
In un periodo storico come quello del Ventennio, dove tutto viene coperto agli occhi della massa da una coltre di omertoso silenzio e di complice paura, gli uomini del potere si muovono in un quadro in cui intrighi, ricatti, speculazioni, malversazioni e corruzione dilagano e dove tutti, corrotti e corruttori, sono sotto gli occhi non disinteressati del duce.
Mussolini copre, tollera, minaccia, ma soprattutto tiene in pugno la sua pletora di gerarchi con l'arma del ricatto. Non solo il denaro, anche il sesso viene usato come strumento di controllo e potere. Il bordello è il luogo di cui si serve la potentissima polizia segreta, chiamata OVRA, per carpire i segreti inconfessabili dei nemici politici. L'accusa di omosessualità viene usata come arma di ricatto in grado di umiliare, degradare ed emarginare personaggi in vista ma scomodi al partito e soprattutto a Mussolini. Ed è proprio in ciò che può essere denominata la grande Storia
, che a noi è sembrato opportuno inserire una piccola storia
: quella di Rosalia, donna cresciuta in un ambiente rurale e che una serie di sfortunate disavventure portano suo malgrado a seguire tutte le vie della degradazione, fino alla prostituzione in una casa di tolleranza. Raccontare la sua storia ci ha dato l'opportunità di studiare la condizione femminile durante il Ventennio.
Il regime, nei confronti della donna, adottò una politica ondivaga e restrittiva: da una parte costringendola fra le mura domestiche, secondo lo slogan la maternità sta alla donna come la guerra sta all'uomo
; dall'altra inquadrandola nelle associazioni del Partito, dove ella, anziché trovare un'occasione di emancipazione e di autonomia, trovò nella società del consenso fascista nuovi obblighi e nuovi padroni.
Il Codice di Famiglia era già abbastanza retrivo, ma venne ulteriormente inasprito dal fascismo: le donne vennero poste in uno stato di totale sudditanza di fronte al marito, il quale poteva decidere autonomamente il luogo di residenza, e, in tutto questo, la moglie gli doveva eterna fedeltà, anche in caso di separazione. La storia di Rosalia è indicativa di questa condizione di sottomissione. Certo, a prezzo di dure battaglie una tale condizione può dirsi senz'altro mitigata negli anni del dopoguerra, ma la donna ha ancora una lunga strada da percorrere sul cammino dell'emancipazione.
Allo stesso tempo, con Calogero, personaggio quanto mai controverso e defilato, sia pur decisivo nella nostra storia, ci è parso opportuno delineare la condizione degli omosessuali durante il fascismo, questione spesso evitata e mai approfondita dalla storiografia, eppure trattata durante il Ventennio in modo razzista e sprezzante, sulla stessa falsariga del trattamento persecutorio riservato agli ebrei. Come vivevano gli omosessuali? In che condizioni erano costretti a manifestare la loro passione
? Come si estrinsecava la loro emarginazione nell'atmosfera esasperata del fascismo devoto alla figura di Mussolini, prototipo italico del superomismo culturale imperante? Se da un lato troviamo, nelle grandi città, una sottocultura strutturata con i suoi luoghi canonici di incontro (bar, sale da ballo, gabinetti pubblici, parchi), dall'altro emerge la gran massa degli omosessuali che vive in piccoli centri (non dimentichiamo che l'urbanizzazione di massa in Italia risale al dopoguerra) e che si arrangia seguendo altri schemi culturali e di comportamento. La rivoluzione sessuale era molto in là da venire. D'altronde, le cronache recenti dell'Italia repubblicana, con l'ennesima mancata legge sull'omofobia, ci dimostrano che il cammino è ancora molto lungo e irto di insidie.
Il nostro libro vuole essere un percorso narrativo, ma anche ricerca documentaria, analisi storica, studio delle fonti. Lo storico romano Tacito affermava che sono necessari due fattori per far sì che si compia un evento storico: l'habitus animorum, cioè la predisposizione degli animi, e gli audaces, cioè le grandi personalità che riescono a sfruttare l'habitus animorum. La storia è stata scritta comunemente considerando solo i fatti compiuti dagli audaces, tralasciando quindi tutti coloro che la vivono e che anonimamente la scrivono, ossia gli umili. Eppure la Storia con la esse maiuscola è fatta da tutti quei singoli uomini che vi partecipano non da semplici spettatori e che, anche quando pensano di non avere alcun peso sul suo fluire, ne sono parte integrante. Proprio per questo, abbiamo immaginato e dato risalto al vivere di Rosalia e di Calogero: esempi di due vittime mute e singolari, non solo del ventennio fascista, ma di ogni tempo storico e di ogni dominio.
PRIMO CAPITOLO
La questione femminile sotto il fascismo
Mussolini, al pari di Hitler, intendeva promuovere lo sviluppo economico per elevare la forza della nazione, ma al contempo temeva, condannava e cercava di limitare i cambiamenti sociali connessi alla rapida trasformazione economica iniziata alla fine dell'Ottocento. Questa contraddizione era particolarmente visibile nell'atteggiamento del regime verso le donne. Da un lato, i fascisti condannavano tutte le pratiche sociali connesse con l'emancipazione femminile: il voto, il lavoro extra-domestico, il controllo delle nascite, cercando di estirpare quegli atteggiamenti e quelle dinamiche sociali legati alle richieste di autonomia ed uguaglianza da parte delle donne; dall'altro, le istituzioni fasciste, nel momento in cui restauravano le antiquate nozioni di maternità e paternità, femminilità e virilità, costruivano nuove forme di coinvolgimento sociale. Così facendo, il regime affermava l'intenzione di ripristinare il vecchio, mentre in realtà promuoveva suo malgrado qualcosa di nuovo. Nel periodo che s'inaugurò con la Grande Guerra, le donne assunsero un ruolo centrale nella società italiana, soprattutto nei processi di ricostruzione del paese dopo le devastazioni del primo conflitto mondiale. In realtà, in Italia accadeva ciò che si andava verificando in molti altri paesi: ridottasi la presenza maschile nella vita quotidiana, toccava alle donne prenderne il posto nelle varie attività sociali. Nelle campagne, le donne lavoravano i campi, accudivano gli animali e venivano chiamate a rapportarsi con le nuove politiche d'interventismo statale. Nelle città, furono impiegate negli uffici pubblici, in quelli commerciali o come operaie nelle fabbriche. Le donne dei ceti più alti, appartenenti alla borghesia medio-alta o all'aristocrazia, erano impiegate nella Croce Rossa o iscritte al Consiglio Nazionale delle donne italiane, d'ispirazione patriottica ed emancipazionista. Questi enormi sacrifici lasciavano presagire un riconoscimento sociale che avrebbe portato l'universo femminile ad acquisire diritti di cittadinanza analoghi a quelli degli uomini, a cominciare dal voto e dalla parità in tema di lavoro. Le cose si svilupparono invece in maniera totalmente diversa. La nazionalizzazione
delle donne italiane da parte del fascismo fu realizzata in termini autoritari, non liberaldemocratici. Il regime, partendo dall'assioma della diversità naturale tra uomini e donne, istituì o mantenne la medesima diversità in campo sociale e politico, a tutto vantaggio degli uomini. Su questa base fu eretto un nuovo sistema particolarmente repressivo e persuasivo, dove ogni aspetto della vita delle donne fu subordinato agli interessi dello Stato e della dittatura: dalla definizione della cittadinanza femminile alla determinazione dei livelli salariali e alle forme di partecipazione alla vita sociale. In questo sistema, il riconoscimento di alcuni diritti delle donne andò di pari passo con la negazione dell'emancipazione femminile, mentre le riforme volte alla protezione sociale delle madri e dei bambini s'intrecciarono con forme brutali di oppressione
Il processo si sviluppò a tappe. Quando Mussolini giunse al potere, nel 1922, l'affermazione degli indirizzi programmatici per gestire
le donne emerse con più fatica rispetto alle politiche di regime su cultura e lavoro. Soltanto nel 1925, il governo fascista mise mano alla prima riforma sulla questione femminile con l'istituzione dell'ONMI: l'Opera Nazionale per la Maternità e l'Infanzia, destinata alla tutela della madre e del bambino. Dovettero passare poi altri due anni perché il Duce lanciasse la campagna per l'aumento delle nascite. Il primo serio sforzo per la creazione di organizzazioni di massa femminili venne messo in atto a partire dagli anni Trenta, quando il fascismo decise di rivolgersi al popolo per controllare le forti tensioni sociali venutesi a creare durante la grande depressione economica del 1929. Le adunate di donne in camicia nera, le leggi di persecuzione dei non ariani
e le misure tese ad espellere le donne dal mercato del lavoro, furono varate tutte dopo il 1935, ovvero quando iniziò lo sforzo del riarmo e dell'allineamento alla politica sessuale e razziale del nazismo. L'atteggiamento fascista verso le donne nell'arco del Ventennio fu determinato in larga parte dalle iniziative per il consolidamento del potere. La prima di queste concedeva alle donne un ruolo essenziale: quello di essere madri e, dunque, le generatrici dei futuri soldati dell'esercito italiano. Uno degli obiettivi del Duce era portare la fanteria italiana ad un effettivo di 8.000.000 di baionette
entro 15 anni dall'avvento del fascismo. La politica atta ad incoraggiare le famiglie a far figli, con incentivi e decreti leggi, ricorreva spesso nei discorsi pubblici del Duce, il quale promuoveva costantemente l'incremento della razza. Nel famoso discorso dell'Ascensione del 26 maggio 1927, Mussolini pose le basi della sua strategia per la difesa per la razza
. L'anno seguente, accogliendo a Palazzo Venezia alcune delegazioni femminili, affermò che il vero ed unico loro compito era promuovere l'incremento demografico: Quando tornerete alle vostre città dite alle donne che ho bisogno di nascite, molte nascite
. Nello stesso contesto rivolse il medesimo appello agli uomini: Ora, una nazione esiste non solo come storia o come territorio, ma come massa umana che si riproduce di generazione in generazione. Fascisti italiani: Hegel, il filosofo dello Stato, ha detto: Non è uomo chi non è padre!
. Legate alla politica demografica fascista, c'erano le mire colonialiste ed espansionistiche del Duce. L'Italia doveva diventare un Impero e il primo obiettivo, oltre all'aumento delle nascite, era quello di fermare l'immigrazione verso gli Stati uniti, dove i nostri concittadini andavano a costruire e a far progredire un modello sociale non cattolico e che tollerava, seppur con molte contraddizioni, una convivenza tra razze diverse. La forza sta nel numero
, sosteneva Mussolini, ribadendo quasi ossessivamente che, se l'Italia non si fosse trasformata in un impero, sarebbe stata colonizzata a sua volta. La normalizzazione della sessualità fu quindi una logica conseguenza e il fascismo la costruì su solidi pilastri d'ipocrisia e menzogna. Il Duce identificava il proprio slancio sessuale con la virilità del sistema fascista, fondata sull'immagine tracciata dal futurista Mario Carli, il quale aveva così descritto lo squadrista della prima ora: Occhi ardenti, fieri ed ingenui, la bocca sensuale, energica, pronta a baciare con furore, a cantare con dolcezza e a comandare imperiosamente
. Il fascista era un uomo elegante, sobrio, virile; correva, lottava, ma al contempo danzava e arringava le folle. I giovani fascisti vivevano l'iniziazione sessuale nelle case chiuse istituite dal regime e ammiravano la virilità del Duce, anche grazie a ciò che trapelava sulle sue scappatelle. D'altro canto, per Mussolini, l'uomo era l'unico e vero capofamiglia. Egli sconfessava dunque tutte le ideologie che da ex socialista, in gioventù, lo avevano portato perfino a sposare le idee di Malthus, economista e demografo inglese, ispiratore di una corrente di pensiero sul controllo delle nascite mirante a scongiurare l'impoverimento dell'umanità. Mussolini, un tempo fautore dell'amore libero, tacciava ora di egoismo piccolo borghese chi mancava di sposarsi e di proliferare. Nell'Italia nuova, i veri uomini dimostravano la loro virilità non più picchiando e purgando con l'olio di ricino i propri nemici comunisti, socialisti e liberal-democratici, ma spargendo i semi di una prole numerosa. La tassa sul celibato
, introdotta con chiari intenti punitivi nel 1926, fu tra le prime misure pro-natalità del regime. Con il codice penale del 1931, ossia il famigerato codice Rocco, che sostituiva quello di Zanardelli del 1889, fu reintrodotta la pena di morte per i delitti comuni e considerata reato
la pederastia; gli atti omosessuali tra gli uomini, da quel momento, furono puniti con il carcere e, in seguito, con una e vera propria deportazione. Ogni impiegato pubblico veniva invitato a sposarsi e, dopo il 1937, il matrimonio e il numero dei figli divennero criteri di preferenza per la carriera. Per alcune figure istituzionali quali il podestà o il rettore universitario, la paternità fu considerata un prerequisito. Lo squadrista scapolo e turbolento cambiava volto per diventare un uomo che si dedicava alla costruzione e alla disciplina della vita familiare. A questo punto, la condizione delle donne regredì notevolmente e la speranza di un ruolo sociale attivo e di primo piano svanì con le frasi pronunciate dal Duce nel discorso dell'Ascensione. L'istituzione dei tribunali speciali antifascisti e la pena di morte lasciavano poco spazio ai sentimentalismi, considerati da Mussolini tipici delle donne, il cui sesso, a suo dire, portava nelle cose serie il segno incorreggibile della propria frivolezza. Il ruolo di madre assunse un ruolo preponderante, ma la maternità veniva vista funzionalmente come mera produzione di bambini. Le donne si videro così ridurre praticamente a zero il proprio impegno nella vita sociale; escluse dalla politica vedevano ora messi in discussione anche gli altri diritti concernenti il lavoro, l'istruzione, e persino quel volontariato che le aveva contraddistinte durante la Grande Guerra e nel periodo post-bellico. La maternità venne quindi messa al servizio dello Stato, ma il costo per mantenere una prole numerosa era alto, fu allora che il regime cercò di fronteggiare la riluttanza delle giovani coppie a proliferare cercando di esaltare pubblicamente l'allevamento dei figli. S'istituì pertanto la Giornata della madre e dell'infanzia, durante la quale il momento più esaltante del cerimoniale consisteva nel premiare le madri più prolifiche, che venivano chiamate al cospetto del Duce non per nome ma per numero di figli fatti quattordici, quindici, sedici...
. Questa immagine della maternità era imbarazzante persino per le organizzatrici della cerimonia, che consideravano intollerabile la discriminazione nei confronti di chi aveva meno figli, ossia la maggioranza delle donne, per ovvi motivi pratici di salute e denaro. Il regime le tentò tutte per promuovere la fertilità fascista ed organizzò perfino l'Unione delle famiglie numerose, un'organizzazione di propaganda che perorava benefici per i capifamiglia, promettendo posti di lavoro e titoli di preferenza nelle promozioni. L'immagine della donna italiana si trasformò nell'antitesi dell'immagine femminile europea della Belle Epoque; alla silhouette con corpetto e braccia scoperte, con ombrello e cappellino, si sostituì la prolifica madre fascista, incarnata dalla giovane e florida contadina italiana. La maggioranza delle donne non era sicuramente d'accordo e molte furono le voci di protesta che si levarono fuori dal coro, ma la condotta del Duce e del regime stroncò sul nascere ogni forma di protesta; il maschilismo regnava sovrano. ogni uomo, occupato o disoccupato, si sentiva autorizzato a lamentarsi della competizione femminile, dato che il fascismo sosteneva che il lavoro delle donne non era necessario, causando nevrastenia, sterilità, e impedendo di assolvere ai compiti familiari. Si allargava di conseguenza anche la propensione all'abuso, e le donne oggetto di violenze erano trattate come provocatrici anziché da vittime: il fatto stesso che avessero suscitato interesse sessuale era prova sufficiente che il loro comportamento non era stato abbastanza materno. La stessa condotta del Duce legittimava il peggior maschilismo, con pesanti apprezzamenti e galanterie estreme specialmente verso le giornaliste estere (alcune diventarono sue amanti) o nelle sentenze misogine che riservava in interviste e discorsi. Il suo esasperato sciovinismo maschile si manifestava anche nelle normali attività di routine. Emblematico fu l'episodio che lo indusse a chiamare il prefetto di Bologna, allorché, imbattutosi in un'inserzione su un quotidiano, lesse l'invito di un club aeronautico che incitava le donne ad iscriversi ad un corso di pilota. Il messaggio che venne telegrafato al prefetto fu perentorio: Proibire al direttore del club di accettare donne come soci, nell'Italia fascista la cosa più fascista che le donne possono compiere è quella di pilotare molti figli, il pilotaggio degli aerei è una cosa molto seria che deve essere lasciata agli uomini, i quali in Italia finora almeno non mancano
.
La politica dello Stato costituì un terribile handicap per le donne, le quali raramente contestavano in pubblico il fatto di essere