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Alarico, un pastore e la caduta di Roma
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Alarico, un pastore e la caduta di Roma
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Alarico, un pastore e la caduta di Roma

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About this ebook

All'inizio del V secolo l’impero d’Occidente vive una profonda crisi, anche a causa delle continue invasioni barbariche. Alarico conduce i suoi Visigoti in Italia e per due anni assedia Roma, che cadrà nell'estate del 410.
Sullo sfondo di questi eventi, Fausto e altri pastori dell’agro romano cercano di salvare la famiglia e il gregge, vagando per le campagne e cercando di sfuggire alle numerose minacce che incombono. Costretti a usare il buonsenso, l’astuzia e talvolta le armi, incontrano profughi, barbari e banditi. Per sopravvivere occorrono prudenza, tenacia, fortuna e un po’ di solidarietà; ma non tutti riusciranno a ricostruirsi un’esistenza dignitosa...
La vita quotidiana di contadini e pastori, sullo sfondo degli eventi che portarono all'assedio e alla caduta di Roma, descritta con passione e precisione. Un’avvincente avventura e il fascino della storia vista dal basso.
LanguageItaliano
Release dateMay 16, 2015
ISBN9786050379914
Alarico, un pastore e la caduta di Roma

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    Alarico, un pastore e la caduta di Roma - Romano Del Valli

    ALARICO

    Indice

    Cap 1                                pag  2

    Cap 2                                pag  36

    Cap 3                                pag  55

    Cap 4                                pag 85

    Cap  5                              pag 107

    Cap  6                              pag 126

    Cap  7                              pag 156

    Cap. I    Alarico all'attacco di un mito

    ÈNell'agosto dell'anno 1161 dalla fondazione di Roma¹ Flavio Stilicone, il miglior generale di cui l'impero potesse disporre, fu giustiziato per ordine di Onorio, l'imperatore d’Occidente, insofferente per il potere e l'autorità di colui che era stato il suo protettore.

    Appresa la notizia, Alarico, re dei Visigoti, si mise in marcia col suo popolo in armi e si affrettò a valicare le indifese Alpi Giulie.

    Alarico era perplesso: l'uomo che per ben tre volte lo aveva sconfitto, l’esperto generale Stilicone, era stato ucciso proprio per ordine di colui che gli doveva la salvezza dell'impero! Era incomprensibile, tuttavia per lui si trrattava di un colpo di fortuna e non gli restava che approfittarne.

    Traversato e devastato il Veneto, Aquileia apparve ai Visigoti come una visione, una città ricca e maestosa, uno dei migliori porti dell'Adriatico.

    I suoi guerrieri fremevano, l'avrebbero volentieri assalita e saccheggiata, ma Alarico osservò attentamente le solide mura e decise di proseguire: Roma è il nostro obiettivo! È indifesa e ben più ricca di Aquileia.

    Così diceva ai suoi ufficiali, in realtà si rendeva conto di non poter espugnare delle mura robuste e ben difese, inoltre l' assedio di una città che si poteva rifornirsi via mare quasi certamente non avrebbe dato risultati.

    Tenendosi lontano da Ravenna, fortificata e ben vigilata perché vi risiedeva l'imperatore Onorio con la sua corte di preti e parassiti, superò il Po su un ponte di barche che l'imprevidenza e la sorpresa di una guarnigione aveva lasciato intatto, e giunse a Bononia².

    Ovunque passasse la grande onda dei Visigoti seminava morte e distruzioni. Gli aitanti guerrieri dai capelli biondi, dalla carnagione chiara e occhi azzurri, erano spietati: risparmiavano solo le giovani donne, destinate a soddisfare la loro libidine. Tutti gli altri, vecchi e bambini compresi,

    venivano passati a fil di spada.

    Le popolazioni rurali fuggivano all'apparire del grande esercito, tuttavia la loro sorte pareva segnata: la distruzione dei raccolti e delle strutture agricole preparava un futuro di miseria e fame nei territori devastati.

    Dinanzi a Bononia Alarico non perse tempo. La sua meta era Roma, pertanto trattenne l'esercito e proseguì la marcia, giungendo nel Lazio in autunno.

    Appresa la notizia del suo arrivo, lo sbigottimento degli abitanti di Roma fu enorme: era dai tempi di Annibale, oltre seicento anni prima, che un esercito nemico non marciava verso le sue mura, attraversando e devastando l'Italia.

    Nelle campagne a una ventina di miglia a nord di Roma, anche il pastore Fausto Licino fu colto di sorpresa dalla notizia dell’arrivo dei Visigoti.

    Riteneva esagerate le voci dei fuggitivi che annunciavano una grande invasione, la credeva impossibile sapendo le truppe imperiali schierate alle frontiere e presso Ravenna.

    Fausto supponeva si trattasse di una scorreria di qualche orda di barbari insediatisi entro i confini dell'impero per ripopolare le zone deserte o per fornire soldati all'esercito, in cui pochi italici ormai chiedevano di essere arruolati.

    La sua fattoria era a una ventina di miglia a nord di Roma, nella fertile campagna compresa tra il Tevere e la via Flaminia. Lì, con l’aiuto di alcuni dipendenti, coltivava un po’ di terra e soprattutto allevava pecore.

    Al primo allarme Fausto aveva preso delle precauzioni: condotti in città, presso i suoceri, sua moglie e i tre figli, riparate le greggi e le provviste in una valletta isolata e sbarrata la casa rurale, inchiodando alla porta robuste assi di legno.

    Lui e i tre pastori rimasti al suo servizio, Sempronio, Reano e Ummidio, si erano armati e vigilavano attentamente.

    Col passare dei giorni aumentava il numero dei profughi che percorrevano la via Flaminia per correre a rifugiarsi in Roma.

    I pastori non volevano credere a ciò che udivano, pensavano si trattasse di esagerazioni causate dalla paura, tuttavia cresceva in loro l'inquietudine per l'annunciato arrivo dei Visigoti.

    Credendo si trattasse di un’orda di barbari desiderosi di razziare le campagne indifese, come già era accaduto in passato, Fausto decise di sincerarsene.

    Preso con se Reano, il più giovane e svelto dei suoi uomini, cominciò a esplorare con prudenza verso settentrione.

    I due pastori, armati di spada, archi e frecce, si tenevano sulla cresta delle colline, al riparo degli alberi.

    Benché di statura normale, Fausto era un uomo massiccio, temprato da una lunga e faticosa vita all'aria aperta. Sul volto cotto dal sole spiccavano lineamenti marcati, occhi e capelli neri, una corta e folta barba scura.

    Nonostante l’esistenza dura ed errabonda, dimostrava meno dei suoi quarant'anni.

    Lui e il giovane che l'accompagnava indossavano giubbone e brache di pelle di pecora, un ampio e pesante mantello

    con cappuccio. Per calzature avevano dei rozzi ma robusti stivaletti, impermeabili e foderati di pelliccia.

    Era il tipico abbigliamento dei pastori, che spesso restano esposti a freddo, vento, sole e intemperie.

    Avanzavano di buon passo, in silenzio, scrutando attentamente la campagna circostante ed evitando di camminare allo scoperto.

    Reano era un giovane dai tratti orientali e carnagione olivastra, i suoi avi erano giunti da qualche luogo esotico, schiavi o commercianti, lui non lo sapeva, però suo padre sosteneva che erano cittadini romani da molte generazioni.

    Aveva circa vent'anni e sembrava molto eccitato per essere stato scelto per quell’esplorazione.

    Mentre scendevano il declivio di una collina, udirono un inconfondibile scalpiccio di cavalli e tintinnio di metalli.

    Si affrettarono a nascondersi nel folto della vegetazione e attesero col cuore in gola.

    Poco dopo dal fondovalle spuntarono una decina di cavalieri, che avanzavano in ordine sparso armati di spade, piccoli scudi rotondi e lance.

    L'abbigliamento, l'alta statura, le bionde chiome, li rivelavano appartenere a uno di quei popoli chiamati genericamente Goti o Germani.

    Non sembravano ausiliari dell’esercito imperiale, probabilmente erano esploratori di quei Visigoti annunciati nei giorni precedenti dai fuggiaschi.

    Procedevano lentamente, non tutti nella stessa direzione; alcuni si inoltravano sui fianchi della collina, uno invece tornò indietro dopo aver confabulato con gli altri.

    Fausto e Reano si erano acquattati tra la vegetazione e trattenevano il respiro per l’emozione.

    Mentre un cavaliere risaliva la collina presso di loro, il pastore udì dei fruscii alla sua sinistra, nel folto della macchia. Credendo si trattasse di qualche animale che, disturbato, come loro si rintanava tra i cespugli, si preoccupò solo del cavaliere che sopraggiungeva.

    Aveva afferrato l'arco e incoccata una freccia, ma il barbaro, protetto da una cotta in maglie di ferro, transitò a una trentina di passi senza neppure sospettare la loro presenza.

    Quando il cavaliere fu lontano, Fausto fece un cenno a Reano quasi per rassicurarlo, e indicò il folto in cui aveva udito dei rumori: Forse abbiamo trovato della cacciagione da cucinare stasera!

    Nel mormorare queste parole tendeva la corda dell'arco, quando dai cespugli giunse un sussurro: Fermo! Non sono una lepre, abbassa l'arco!

    Tra la sorpresa dei pastori un vecchio uscì dai cespugli trascinando un pesante fardello: Salve! Mi chiamo Vezio e come voi mi nascondevo dai Visigoti. Sono abbastanza lontani?

    Fausto si affacciò con circospezione dal sottobosco, prima di rispondere: Non si vedono più, ma è meglio stare al riparo un altro po'. Questi Visigoti, quanti sono e dove vanno?

    Rinfrancato, il vecchio si avvicinò ai pastori; indossava un logoro mantello scuro sotto cui si distingueva una lunga tunica di buona fattura che doveva aver visto tempi migliori. Vi dirò tutto quello che so su di loro, ma potete darmi qualcosa da mangiare?

    Fausto annuì e dalla bisaccia che portava a tracolla estrasse una focaccia e un pezzo di formaggio che porse al vecchio.

    Questi li afferrò con bramosia e cominciò a divorarli avidamente, mormorando tra un boccone e l'altro: Dio ve ne renda merito!... Sono barbari e vengono da est, un flagello!... Li comanda Alarico e vanno a Roma per fare bottino... Rubano tutto quello che trovano, ammazzano chiunque incontrino... a parte le giovani donne!

    I pastori non sembravano turbati da quelle parole e Fausto ruppe il silenzio: Roma è inespugnabile! Dicono che Alarico sia cristiano, possibile sia così spietato? Quanti uomini conduce, e dov'è l'esercito dell'imperatore?

    Saranno pure cristiani, ma si comportano come selvaggi. Tra poco vedrai l'armata dei Visigoti; sono un mare di guerrieri giganteschi e fortissimi! ... Non avresti un poco d'acqua? Questo formaggio è buono ma scatena una sete...

    I pastori sorrisero della sfacciataggine del vecchio, a cui Reano porse un otre di pelle e una timida domanda: Però l'imperatore Onorio li sconfiggerà, non è vero?

    Vezio strabuzzò gli occhi, fece una buffa smorfia e sputò in terra per manifestare il suo disprezzo: Onorio? Puah! Quello smidollato se ne sta rintanato tra le paludi di Ravenna e non ha nessuna intenzione di affrontare Alarico. Da quando ha fatto ammazzare Stilicone, in Italia non c'è più un generale con un po' di fegato! Inoltre tutte le truppe sono sui confini, impegnate a tenere a bada altri invasori...

    A queste notizie Fausto si allarmò: Allora per Roma non c'è scampo? Possibile che nessuno la soccorra?

    Il vecchio strizzò l'occhio e, dopo aver inghiottito l'ultimo boccone, sorrise scoprendo i pochi denti rimastigli: Roma non cadrà! Ha resistito ad Annibale e non sarà certo Alarico che l'espugnerà. Sono state riparate le mura? Se saranno difese adeguatamente i Visigoti non potranno valicarle, non hanno macchine e non saprebbero come usarle!

    Ma la città sarà cinta d'assedio. Potrebbe cadere per fame se nessuno viene a soccorrerla! Fausto pensava con angoscia alla moglie e ai figli che pochi giorni prima aveva accompagnato in città ritenendoli al sicuro.

    Vezio scrollò lo spalle nel rispondere: Ci vorrebbe troppo tempo, i barbari non hanno tanta pazienza! Sarà meglio che ci allontaniamo da questo posto pieno di spini. Quel formaggio era proprio saporito, dove posso trovarne dell'altro? Posso pagarlo.

    Reano rispose con una punta di orgoglio: Lo facciamo noi! Quel sapore è dovuto alle foglie di menta che tritiamo e aggiungiamo all'impasto. Noi non abbiamo paura di questi barbari, siamo venuti apposta per vederli...

    Il vecchio levò le braccia e fece una smorfia per palesare il suo orrore: Pazzi! Se vi trovano siete morti. Comunque non transiteranno prima di domani. Se mi date asilo vi racconterò tutto quello che sta succedendo.

    Prima di rispondere Fausto si arrampicò agilmente su una maestosa quercia e gettò uno sguardo attento tutto attorno: i cavalieri erano scomparsi e la campagna pareva tranquilla. Scese e disse: Va bene Vezio, vieni pure con noi. In cambio dell'ospitalità ci racconterai quello che sai. Ad esempio, chi sono questi Visigoti e da dove vengono?

    Mentre si avviavano circospetti verso la valletta ove erano

    nascoste le greggi, il vecchio prese a raccontare con la voce arrochita dalla stanchezza, mentre Reano gli portava il pesante bagaglio per il rispetto dovuto all'età.

    "Pare siano originari di una terra fredda molto più a settentrione della Germania³. Da secoli vagano in cerca di un luogo propizio per stabilirsi, devastando le terre che attraversano. In passato si sono scontrati più volte con i nostri eserciti e sono stati quasi sempre sconfitti. Ulfita li convertì alla religione cristiana ma ciò non ha mutato la loro indole selvaggia e bellicosa. Si erano stabiliti oltre il Danubio e rispettavano il nostro lirnes⁴ quando l'arrivo di un popolo ancor più spietato, gli Unni, li spinse a chiedere il permesso di entrare nell' impero, ove dicevano di volersi stabilire pacificamente. Purtroppo trent’anni or sono l'imperatore Valente lasciò loro varcare il Danubio e da allora non abbiamo più avuto pace. Questi che giungono sono guidati da Alarico, che Stilicone sconfisse per ben tre volte senza riuscire a dargli il colpo di grazia..."

    I pastori ascoltavano con grande attenzione il vecchio, tuttavia Fausto non poté esimersi dal chiedere: Chi sei tu che conosci tutte queste cose? Da dove vieni e di cosa ti occupavi prima di fuggire verso Roma?

    "Sono, anzi ero perché ormai tutto sarà stato distrutto dai barbari, l'intendente del senatore Anicio Gallo, che possiede un grande latifondo presso Bononia. Vengo da lì e vado a Roma, ma le mie gambe non sono più quelle di un tempo, sono esausto e da due giorni non mangiavo nulla..."

    Fausto comprese l'antifona e gli porse l'ultimo pezzo di pane che serbava: Coraggio, Vezio! A Roma ci arriverai presto, ma cosa porti in quel sacco tanto pesante?

    Il vecchio scosse le spalle con noncuranza: "Volumina⁵ e documenti del mio padrone, lui ci tiene molto e ho dovuto salvarli... Voi sapete leggere?"

    A quelle parole i pastori scoppiarono in una fragorosa

    risata; fosse dipeso da lui, Reano avrebbe gettato in un fosso il pesante e inutile fardello.

    Fausto però gli fece cenno di trattarlo con cura, anche se la sua risposta era piena d’ironia: "So scrivere il mio nome

    e leggere quanto basta. Facevi meglio a portarti del cibo, invece che inutili scartoffie!"

    "Sappi che chi sa leggere e scrivere è come se fosse ricco ...

    Quanto manca al vostro bivacco?"

    Tra un paio d’ore potrai stendere le tue stanche ossa su un buon giaciglio. Quindi sei un uomo dotto, di dove sei?

    L'interpellato fece un gesto come per schermirsi; "Forse avete ragione, dovevo lasciare i volumina e

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