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La traversata di New York
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La traversata di New York

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Hanno cominciato a sparare alle tre del mattino. Dapprima colpi lontani, poi sempre più vicini, fin quando è esploso il tuono di un fucile a pompa che si è impastato con l’urlo bestiale di Benito Lopez colpito a morte.
Un uomo che si prende una fucilata che gli spappola le viscere muore sempre incazzato, perché il dolore non è più umano, diventa una reazione innaturale, selvaggia. Come di chi è troppo incazzato, appunto, per avere l’esatta percezione di ciò che gli sta accadendo. E Benito Lopez mentre urlava, schizzando di sangue la parete accanto all’ascensore, era il più incazzato figlio di puttana che Tommy Lee avesse mai incontrato sulla 94th...
LanguageItaliano
Release dateMay 18, 2011
ISBN9788863691009
La traversata di New York

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    La traversata di New York - Vittorio Schiraldi

    York

    1

    Hanno cominciato a sparare alle tre del mattino. Dapprima colpi lontani, poi sempre più vicini, fin quando è esploso il tuono di un fucile a pompa che si è impastato con l’urlo bestiale di Benito Lopez colpito a morte.

    Un uomo che si prende una fucilata che gli spappola le viscere muore sempre incazzato, perché il dolore non è più umano, diventa una reazione innaturale, selvaggia. Come di chi è troppo incazzato, appunto, per avere l’esatta percezione di ciò che gli sta accadendo. E Benito Lopez mentre urlava, schizzando di sangue la parete accanto all’ascensore, era il più incazzato figlio di puttana che Tommy Lee avesse mai incontrato sulla 94th.

    Tommy Lee ha sentito prima gli spari, poi i passi di corsa, poi le urla dei poliziotti, poi quelle di Benito Lopez infine il silenzio, ma non si è mosso. E come lui, nessuno ha tirato fuori la testa dal buco, a rischio di farsela portare via dai proiettili di una 45.

    In ogni caso, la scena Tommy Lee ce l’aveva già stampata in mente. Era già nell’archivio della memoria da quando, al piano di sotto, qualcuno aveva sparato a Mickey Dalìa, il più sfigato pusher di tutto il caseggiato.

    Dopo quei colpi Tommy Lee si è girato dall’altra parte, illudendosi di riuscire a dormire, ma aveva il sapore del sangue sulle labbra.

    Fuori era il buio, come se New York fosse sprofondata nel buco del culo del mondo. Si udiva soltanto l’urlo delle sirene e il gelido soffio della paura, perché qualcuno con una radiolina aveva detto che c’era stato un black out. Insomma era la notte giusta per ammazzare Benito Lopez o per restarsene tappati in casa. Così lui, per qualche ora, se n’è stato a fissare la città spenta, senza riuscire a chiudere gli occhi. Gli sarebbe parso come chiuderli per sempre e accettare la propria cecità, ma non se la sentiva di farlo. Come la gente che si era messa a scopare negli ascensori per sentirsi ancora viva o per dimostrare semplicemente che la vita è solo una scelta del cazzo.

    Tommy Lee Zac Brown si è svegliato qualche minuto fa, come ogni giorno. Sono le nove del mattino. Apre gli occhi e subito lo investe il rombo minaccioso delle auto che si incrociano sotto di lui, sulla 94th. Un’ondata dopo l’altra, interminabile, senza tregua. Non un solo stridìo di gomme né il rumore improvviso di una frenata, quasi fosse del tutto impensabile persino l’idea stessa di potere arrestare quella colata continua di suoni e lamiere che invadono la carreggiata nei due sensi, saldando ad ogni momento il ferro e l’asfalto senza lasciare interstizi capaci di interrompere, fosse solo per un istante, quel flusso.

    La stanza è come sempre umida. Fa freddo. Da secoli il riscaldamento non viene più riparato, ma lui ha smesso da un pezzo di curarsene. Né gli importa più nulla di ciò che gli sta intorno e che puzza di vite sfatte. Ha persino dimenticato la sparatoria nel corridoio alle tre del mattino e non si chiede nemmeno se qualcuno abbia già lavato gli schizzi di sangue nel corridoio o quando sia tornata la luce.

    Si mette a sedere sul letto, si stropiccia le palpebre e finalmente getta uno sguardo fuori, da dove giunge il rutto metallico e prolungato che gli ha già invaso la mente. È come volesse constatare che nessuno gli ha modificato il mondo dove è rimasto aggrappato.

    I suoi occhi fissano dapprima il mare di auto che sfrecciano in basso, poi il lato opposto della strada dove un ventaglio di nuovi palazzi in costruzione sembra chiudere definitivamente la linea del suo orizzonte e ancora una volta la sensazione è quella di un naufrago senza speranza sottratto a un miraggio impossibile.

    Sta pensando che vorrebbe essere già altrove, da qualche parte dove spalancare un’altra finestra per guardare quello che non c’è ancora, uno spazio non consumato da dove far ricominciare la vita. Poi avverte lo scatto della maniglia e subito dopo il passo pesante di TJ che si è arrestato sulla soglia.

    È a questo punto che, senza distogliere lo sguardo dalla strada, parla come a se stesso.

    Ho deciso, TJ. Oggi vado dall’altra parte.

    La sua voce ha la solenne estraneità di una sentenza:

    Dì un po’: non sarà per la sparatoria di questa notte….C’entri qualcosa con Benny Lopez?

    Mai avuto niente a che fare con lui…

    E allora? Come sarebbe a dire che te ne vai?

    Sarebbe a dire che ho deciso. Voglio attraversare la 94th.

    TJ avanzò di qualche passo. Si fece di lato per guardarlo dritto negli occhi. Era un nero gigantesco, da anni faceva il buttafuori in un peep show sette metri più sotto, all’angolo della strada, e aveva imparato alla perfezione a far paura alla gente, ma ora aveva assunto un’aria inerme e smarrita e pareva molto più vecchio dei suoi cinquant’anni.

    Sei pazzo? Ti farai ammazzare, disse.

    Può darsi, ma devo provarci. È un pezzo che ci sto pensando, TJ…

    Che ti prende? Pensavo che di questa storia avessimo già parlato!?…

    Si, più di una volta, e io ho fatto sempre a modo tuo. Adesso, però, ho deciso. Me ne vado….E poi non credo nemmeno che le cose stiano come le hanno sempre raccontate..

    Credi che in tutti questi anni la gente se la sia solo inventata la paura? …Credi che la 94th sia una fottutissima qualunque strada e che chiunque possa attraversarla?…È questo che pensi? E allora, coraggio, accomodati e fatti ammazzare…

    TJ continuava a guardarlo allarmato, quasi il ragazzo gli avesse prospettato l’intenzione di volersi arruolare volontario ai tempi della guerra in Vietnam.

    Che ti sta succedendo, figliolo?

    Non lo so. So soltanto che prima o poi uno ci deve provare.

    Perché non l’hai fatto questa notte? C’era un mare di auto impantanate nel traffico. Poteva essere una grande occasione. New York era spenta e la gente si pisciava sotto dalla paura. Ogni volta che questa città va in tilt la gente pensa che sta per arrivare la fine del mondo. C’è pure chi si mette a pregare e non capisce che così porta sfiga. Se davvero volevi filartela dovevi approfittare di questa notte. Nessuno si sarebbe accorto di te

    Io non scappo di notte: Anzi, se la vuoi sapere tutta, non sono nemmeno il tipo che scappa. Io, quando me ne vado, voglio sapere finalmente dove sto andando.

    Non hai nessuna ragione per andartene, qui sei sempre stato da dio

    Cazzate. Non si può passare la vita a nascondersi…

    Tu non ti stai nascondendo. Vivi semplicemente nel tuo quartiere….

    E chi l’ha detto che debbo morire qui?…

    In questo modo ci stai maledettamente provando, figliolo….E poi credevo che questo quartiere ti avesse già dato abbastanza…

    Io ce l’ho nel sangue questo quartiere ma ora voglio vedere cosa c’è sull’altro lato…Voglio vedere l’altra riva del fiume, TJ. Ho passato una vita sulla 94th …

    Io cinquant’anni….

    I miei sono solo diciassette, ma è tutto quello che ho, TJ. E non voglio marcire in questo posto aspettando che diventino cinquanta….

    TJ ammutolì, girò le spalle. Si era fermato davanti all’acquario, la sola eccentricità in quello squallore. Per un istante rimase a osservare il repentino guizzare dei pesci da una parete all’altra poi parve avere trovato ispirazione e finalmente parlò, senza nemmeno voltarsi.

    Lo sai perché i pesci cercano di muoversi in banchi? Te lo dico io. Perché un pesce piccolo se si muove da solo ha un sacco di probabilità di finire in bocca a un pesce più grosso, ma se resta in mezzo al banco, e il banco viene attaccato, ha molte più probabilità di riuscire a farla franca. Tu sei un pesce troppo piccolo, Tommy Lee. Dovresti restare nel banco.

    Io non sono un pesce, TJ. Non sono mai stato in mezzo al banco e poi voglio sapere dove sto andando senza doverlo chiedere al capo banco.

    Allora vuol dire che ti farai ammazzare da solo.

    TJ si diresse verso la porta. Sembrava sinceramente offeso.

    Porca puttana, non puoi prenderla in questo modo. Tu non c’entri per niente in questa storia…. disse allora Tommy Lee cercando di rabbonirlo.

    Come pensi di metterla con Jerry Spokane? Non la prenderà tanto bene nemmeno lui…Faceva molto affidamento su di te…

    Vuol dire che dovrà cercarsi un altro ragazzo. Non sono i candidati che mancano in questo quartiere…Io ho smesso di rubare per lui….

    Tu non sai fare altro, ragazzo. Rubare e scappare

    Io non voglio più rubare e nemmeno scappare, TJ

    Credevo che ti piacesse correre…

    Avevo detto solo che non mi piace scappare, disse Tommy Lee, senza nemmeno guardare l’uomo che gli stava di fronte.

    Okey, come vuoi tu….Io ero venuto solo per sapere qualcosa della sfida di oggi, ma ormai per te sarà acqua passata…

    Non so di che sfida stai parlando…

    Ho sentito per strada che devi correre …C’è di mezzo un sacco di soldi e gente che non vuole perderli…

    A me non hanno detto niente…E comunque questa non è la giornata adatta, ho altri programmi per la testa…

    Okey, figliolo…Ancora una cosa: se incroci Malone la Talpa digli che lo sta cercando un amico. Ha detto di chiamarsi Brown Sugar… Ci vediamo, ragazzo…

    2

    TJ uscì e poco dopo Tommy Lee riconobbe la musica. TJ si era chiuso in casa e aveva messo in funzione il giradischi con i motivi che da mesi gli perforavano le orecchie a qualsiasi ora del giorno e della notte. TJ stava al 3C, un altro fetido buco accanto al suo, sbarrato da una identica porta color verde marcio sulla quale era incollata, a ridicole lettere d’oro, la sigla d’identità dietro la quale il buttafuori nero passava la maggior parte delle sue giornate al buio, con l’immancabile ferro vecchio acceso. Diceva che erano le sue ore di meditazione, ma per tutti quello era il momento in cui gli piaceva sbronzarsi, restando da solo con la musica.

    TJ collezionava dischi di Dizzie Gillespie e Artie Shaw e li ascoltava in continuazione. Da lui Tommy Lee aveva imparato ad amare Gillespie, soprattutto nelle esecuzioni dell’orchestra di Tom Doorsey, ma amava molto meno il suo vicino di casa, anche se si rendeva conto che TJ da un pezzo rappresentava quasi tutta la sua famiglia.

    Aveva smesso di amarlo il giorno in cui, a dieci anni, quando ormai aveva cominciato a scordarsene, TJ lo aveva portato sette metri più sotto, facendolo entrare di straforo nel locale di Russel. Poi, all’improvviso gli aveva detto questa è tua madre mentre la ragazza bionda emergeva da una gabbia buia ed entrava nel cono di luce strizzandosi tra le dita i capezzoli, senza sospettare che al di là del vetro, invece di un chicano in procinto di masturbarsi, avrebbe incontrato lo sguardo allucinato del suo bambino.

    Quanto a suo padre Tommy Lee non immaginava nemmeno che faccia avesse. Sapeva soltanto che qualcuno gli aveva sparato proprio alle spalle del Sunshine per prendergli il portafoglio.

    Un giorno o l’altro ti porterò a vedere dove l’hanno raccolto, proprio davanti al bidone dei rifiuti, aveva promesso TJ, ma poi il bambino era cresciuto e non se n’era fatto più niente.

    Tommy Lee non aveva quindi conosciuto suo padre né aveva saputo più niente di lui. Aveva scoperto dove lo avevano ammazzato ma da allora aveva sempre evitato di gettare un’occhiata al bidone dei rifiuti dove aveva scaricato l’anima. Infine, dopo quella serata al peep show , aveva capito che forse sarebbe stato meglio scordarsi anche sua madre.

    Era stato facile. All’indomani di quell’improvvisata, Mary Jo aveva già cambiato aria. Era passata in un locale sulla 42th, dopo avere invitato TJ a non farle altre sorprese. ( Se ci provi un’altra volta a sbattermi davanti mio figlio ti strappo le palle a morsi, brutto figlio di puttana, erano state le parole ).

    In questo quartiere, comunque, Tommy Lee ha ormai scoperto tutto ciò che c’è da scoprire. In pratica ruffiani, delinquenti e puttane e tutti i non classificati che trovi da ogni parte nel mondo in attesa di un posto in fila per completare la platea universale. Ruffiani, delinquenti e puttane che sulla 94th hanno la rassicurante funzione dei quadri alle pareti in una casa borghese. Gli restava ormai una sola cosa da conoscere. Tutto quanto era possibile incontrare dall’altro lato della strada, sul marciapiedi opposto al suo, dove si stava sbattendo da diciassette anni meno qualche ora, in un buco di merda. E questo significava attraversare la 94TH. È soltanto il primo passo. Potrebbe diventare l’ultimo ma ormai Tommy Lee Zac Brown è pronto a rischiare.

    In realtà il suo è solo un indirizzo virtuale. Provate a chiedere a un fottutissimo taxi di portarvi sulla 94th Avenue. Col cavolo che vi ci porta. La 94th Avenue per lui non esiste. E se non esiste per tutti coloro che ci potrebbero arrivare, allora vuol dire che non esiste davvero, come tutti i posti dove non va mai nessuno.

    Insomma, se pensi di poterci arrivare, la 94th non la trovi da nessuna parte, ma se ci vivi dentro, allora può essere un inferno o la linea di demarcazione che segna la fine di un’illusione.

    Adesso, però, la fissa di Tommy Lee, questa mattina, è ormai quella di tirarsi fuori dal dubbio e di vedere le carte. A costo di giocarsi l’ultima partita e perderla.

    Come si fa, infatti, a passare dall’altro lato di una strada attraversata giorno e notte da una marea di macchine che potrebbero fermarsi soltanto se qualcuno sparasse in testa all’autista?

    Una strada dove non c’è un semaforo, un sottopassaggio, un varco qualsiasi,

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